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contrattuale nel mondo dell’giornalismo, ovvero, in sintesi, il cittadino

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Conclusioni

Nei precedenti capitoli abbiamo evidenziato i temi e le problematiche connesse al fenomeno della corruzione nel mondo del giornalismo, affrontandoli sia dal punto di vista teorico che empirico, e utilizzando a questo scopo la teoria dell’agenzia. Questo corpus teorico è solitamente usato per spiegare altri tipi di rapporti contrattuali, soprattutto nell’economia dell’organizzazione, ma è stata riadattata ed impiegato anche nelle scienze sociali.

Applicando la teoria all’oggetto del nostro studio siamo riusciti

innanzitutto a definire ed individuare i protagonisti del rapporto

contrattuale nel mondo dell’giornalismo, ovvero, in sintesi, il cittadino

lettore e il giornalista. Siamo inoltre riusciti a dimostrare che il

giornalista è delegato dal cittadino-lettore a interpretare e scegliere

alcuni fatti meritevoli di approfondimento per garantirgli una migliore

e più facile gestione dell’ overload informativo a cui è sottoposto nella

società dell’informazione, rendendo così possibile una più facile

interpretazione della realtà da parte del cittadino. Abbiamo inoltre

sottolineato come il giornalista, nonostante abbia anche altri obblighi

contrattuali nei confronti dell’editore o del direttore del giornale,

debba riconoscere nel lettore l’unico destinatario e giudice ultimo del

proprio lavoro. Le clausole del contratto obbligano infatti il giornalista

a prestare la massima professionalità, ovvero ad utilizzare filtri

cognitivi e valori che lo avvicinino alla massima obiettività [Mandelli,

2004].

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Il rapporto tra cittadino e giornalista è tuttavia esposto ad un alto tasso d’incertezza: è infatti molto difficile se non impossibile per il cittadino lettore controllare in modo puntuale il lavoro del giornalista. Ecco perché negli ultimi anni ci sono stati, soprattutto in Europa, tentativi di codificazione delle regole relative alla deontologia professionale.

Infatti sono proprio le regole deontologiche a rappresentare il principale apparato di controllo sul lavoro del giornalista, siano esse regole raccolte in codici (come in Italia e in Europa) oppure fortemente interiorizzate dagli operatori (nei paesi anglosassoni). In questo vi è una sostanziale prima differenza tra i due sistemi.

L’Italia è l’unico paese al mondo dove l’ingresso alla professione giornalistica è subordinato all’iscrizione ad un ordine professionale a seguito di un esame. Anche se la presenza di un ordine professionale che vigila sul comportamento dei propri iscritti dovrebbe essere una garanzia ulteriore sulla qualità dell’informazione nel nostro paese, in realtà, come si è visto, la condotta dei giornalisti è assai lontana dal rispettare le norme deontologiche elencate nelle varie carte di autoregolamentazione.

L’ordine ha capacità di agire nei confronti dei giornalisti soprattutto in materia di deontologia e comportamento. Zaccharia [1994, p.516] raggruppa le funzioni in:

a) funzioni di amministrazione attiva, relative alla tenuta dell’albo, nonché alla costituzione ed estinzione dello status di giornalista;

b) funzioni di vigilanza sulla condotta degli iscritti,

nonché sulla tutela del tutolo di giornalista, anche in

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sede giudiziaria, e di repressione dell’esercizio abusivo della professione.

L’ordine quindi, almeno sulla carta, dispone di strumenti cogenti per sanzionare i giornalisti che hanno commesso gravi violazioni della deontologia professionale. In realtà negli anni l’ordine dei giornalisti non è stato in grado, se non in casi eccezionali come quelli presentati, di intervenire in maniera efficace nei casi d’informazione corrotta.

Negli Stati Uniti invece non è possibile ritrovare un sistema paragonabile a quello italiano. Le regole deontologiche sono scarsamente codificate, come già affermato più volte, e l’unico tentativo di controllo sul lavoro dei giornalisti confrontabile in qualche modo con il caso italiano è rappresentato da alcune riviste specializzate come American Journalism Rewiew, organo scientifico della University of Maryland e del Columbia Journalist Rewiev, rivista della Columbia University, sede delle più prestigiose scuole di giornalismo americane, che compiono un continuo monitoraggio sull’attività dei giornalisti americani, valutandone la qualità, mettendo in evidenza i casi di deformazione o di negligenza

8

. Le riviste cercano infatti di raccogliere nei propri studi le tendenze del giornalismo americano, verificandone lo stato, riflettendo sui miglioramenti da apportare al sistema.

8 Si veda per un approfondimento il sito internet www.ajr.org. Il sito riporta altri link interessanti che rimandano a siti che studiano e compiono monitoraggi sul sistema dell’informazione. Ne riportiamo alcuni: Center for Media & Public, Affairs Columbia Journalism Review, Committee of Concerned Journalists, FAIR -- Fairness and Accuracy in Reporting, Media Research Center, Media Tenor Mediachannel.org, News Watch Center for Integration and Improvement of Journalism, Project for Excellence in Journalism, Rocky Mountain Media Watch, Slipup.com, The

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E’ infine utile sottolineare che negli Stati Uniti è possibile trovare un ulteriore strumento di controllo, ovvero la sanzione del cittadino lettore. Come già abbiamo ricordato, il sistema degli Stati Uniti è associato ad una forte concorrenza nel settore del giornalismo:

l’alto livello di vendite, e quindi l’appetibilità commerciale del settore, dà al cittadino lettore, qui nella veste di consumatore di informazione, la possibilità di sanzionare con un differente atteggiamento rispetto all’acquisto di giornali (o alla visione di programmi) i comportamenti dei giornalisti ritenuti non essere in linea con la deontologia professionale.

La sanzione del pubblico non è così importante in Italia, da sempre alle prese con un bassissimo numero di lettori e di fruitori dei canali tradizionali. Inoltre molto poco praticata la sanzione diretta nei confronti del giornalista in termini di fiducia. Caso assai emblematico è quello di Renato Farina, che pur essendo stato oggetto di un provvedimento di radiazione da parte dell’ordine dei giornalisti dall’albo professionale, continua a scrivere indisturbato dalle colonne di “Libero”.

L’obiettività del giornalista è in definitiva la misura della

professionalità e della qualità del suo lavoro nei confronti del pubblico, ed il rispetto delle norme deontologiche è quindi fondamentale perché il contratto tra cittadino e giornalista venga onorato in modo corretto dalle parti. [Mandelli 2004, Schudson 1984].

L’obiettività non va però confusa con l’imparzialità: chiedere al

giornalista un freddo distacco dai fatti che è chiamato a raccontare è

probabilmente impossibile: tuttavia molti studiosi del giornalismo

contemporaneo concordano nell’affermare che la via del giornalismo

sia la professionalità, da raggiungere attraverso un continuo lavoro sul

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controllo delle notizie, sulla forma e sul contenuto dell’informazione, in una parola, un lungo lavoro sull’obiettività [Rizzuto, 2003, Schudson 1984, Lepri, 2002].

Abbiamo scelto di mettere a confronto i sistemi di informazione di Italia e Stati Uniti per mettere in evidenza le loro differenze.

Innanzitutto abbiamo visto come il giornalismo in America e in Italia si sia sviluppato lungo due direzioni divergenti.

Negli Stati Uniti il sistema dell’informazione ha storicamente assunto la funzione di watch dog nei confronti del potere a favore di una maggiore trasparenza della vita economica politica e sociale, così maggiormente comprensibile dal cittadino. L’indubbia tendenza alla professionalità, necessaria ad acquisire la fiducia del lettore e quindi a garantire un buon livello di vendite, è dunque servita come scudo contro gli innumerevoli tentativi di strumentalizzazione da parte del potere politico, del quale la stampa, e successivamente gli altri media, sono stati attenti watch dog.

In poche parole è possibile affermare che il sistema americano ha da sempre guardato con attenzione alla qualità del prodotto informazione: il mercato fortemente concorrenziale ha obbligato i

giornali a guerreggiare sul piano della qualità delle notizie e

dell’indipendenza dal potere politico ed economico, mettendo così al

centro l’informazione al cittadino. Questa tendenza alla

identificazione dell’informazione come prodotto da immettere in un

mercato ha portato però ad alcune conseguenze che vanno a colpire

proprio la qualità delle notizie. E’il caso della nascita

dell’affermazione teorie di news managment, attraverso cui sono stati

possibili episodi di deformazione delle notizie.

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L’Italia non ha invece mai vissuto una stagione di netta separazione tra giornalismo e potere. Il carattere fortemente elitario del giornalismo è stata la prima causa di una mancata netta separazione dalla politica. Lungo gli anni il sistema giornalistico ha infatti vissuto, e vive, periodi di pericolosa sudditanza nei confronti del potere politico ed economico. Lo stesso sistema di mercato, caratterizzato da una forte concentrazione delle imprese editoriali in pochi gruppi e con attività finanziare eterogenee, ha sicuramente favorito la mancata crescita di un sistema d’informazione indipendente e al riparo dai tentavi di strumentalizzazione nei confronti del sistema.

Nel quarto e nel quinto capitolo sono stati presentati alcuni casi di corruzione giornalistica che fanno riferimento a quanto fin qui detto. In Italia è evidente una deformazione del rapporto tra cittadino lettore e giornalista, quest’ultimo sviato da una terza parte (il corruttore) in cambio di una rendita. Nei casi di studio è evidente soprattutto un forte e ripetuto tentativo da parte del potere politico ed economico di condizionare il giornalista. Il particolare assetto politico,

incentrato sul dominio della sfera pubblica da parte dei partiti, ha contribuito a connotare il giornalismo italiano da un’esasperata attenzione (che talora sconfina nel servilismo) nei confronti della politica. Da qui gli ultimi casi di corruzione di Farina, Fazzo e Gambarotta, tutti coinvolti operazioni di deformazione dell’informazione in favore di personaggi in qualche modo legati alla politica ed all’economia.

Il caso di calciopoli, seppur particolare nella sua specie in

quanto coinvolge trasversalmente molti settori, risulta un esempio

emblematico dello stato dell’ informazione italiana: Luciano Moggi,

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ex direttore sportivo della Juventus F.C., aveva una rete di contatti, sia con il mondo dell’economia che con quello della politica, conoscenze utili a strumentalizzare a suo favore l’informazione sportiva relativa alla squadra da lui diretta.

Negli Stati Uniti invece si è assistito a fenomeni molto diversi.

In questo casi non sono emersi casi di corruzione giornalistica simili a quelli visti in Italia. L’era Reagan e l’applicazione sistematica delle teorie di news management ha certamente inaugurato una nuova fase del giornalismo americano. Le nuove tecniche dei consulenti presidenziali hanno avuto infatti come obiettivo quello di rompere il clima di contrapposizione tra media e potere politico che ha caratterizzato le presidenze di Nixon e Carter, cercando vie d’uscita.

Questa via d’uscita sarà appunto il tentativo di scavalcare l’apparato giornalistico per andare direttamente al pubblico, senza filtri o intermediazioni. E’ questo il fulcro delle teorie di news management, che si traducono nella capacità di indurre il giornalista a riportare i fatti in modo errato o a renderne impossibile la verifica attraverso tecniche di scavalcamento della funzione di filtro e di mediazione.

Il giornalista non è quindi attivamente coinvolto in uno scambio corrotto, tuttavia reagisce passivamente ai tentativi di strumentalizzazione da parte della politica. Le tecniche di news management sono infatti un tentativo di aggirare il rigore etico del

giornalismo americano, sfruttato soprattutto dai consulenti dei

presidenti americani. E’ fondamentale sottolineare come uno snodo

cruciale del rapporto tra informazione e politica negli Stati Uniti sia

quello relativo al rapporto tra cittadini e presidente. Il sistema politico

infatti vede la figura del presidente come istituzione centrale nella vita

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politica del paese, e quindi principale oggetto di interesse della pubblica opinione, e quindi dei media.

Dunque, in entrambi i sistemi è possibile parlare del fenomeno della corruzione giornalistica soprattutto all’interno del rapporto tra giornalismo politico e potere politico, ma con declinazioni diverse:

mentre in Italia si possono individuare facilmente i protagonisti dello scambio corrotto, ed il giornalista partecipa attivamente e volontariamente allo scambio per ottenere in cambio rendite di vario genere, negli Stati Uniti il giornalista viene scavalcato e quindi sostituito dalla terza parte, appunto il corruttore.

Anche se esistono altri settori sensibili alla corruzione giornalistica come l’economia o la pubblicità, il settore che più è esposto alla corruzione è sicuramente il giornalismo politico. In questo ambito infatti il giornalista intrattiene rapporti con gli uomini delle istituzioni, e per questo si trova più facilmente a contatto con notizie

“scottanti” per i personaggi della politica, e quindi oggetto di tentavi di distorsione della realtà. D’altro canto è fondamentale per i partiti politici (in Italia) e per il presidente (negli Stati Uniti) utilizzare al meglio gli strumenti della comunicazione per aumentare il consenso presso l’elettorato.

Per concludere è opportuno porre l’attenzione sul dibattito

relativo ai rapporti tra democrazia e modelli di giornalismo. Molti

degli studi presentati in questo lavoro rappesentano il fruitore ultimo

dell’informazione, ovvero il cittadino, come un decisore astratto e

perfettamente razionale, ovvero l’all informed citizen.[Mandelli, 2004,

p.36]. Questo modello astratto mal si collega con la realtà del

quotidiano, in cui il cittadino è costretto ad interpretare fatti e

compiere scelte sulla base di dati evidentemente incompleti. L’ideale

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dell’obiettività è strettamente collegato a questo concetto di cittadino perfettamente informato, che rischia di portare fuori strada chi è interessato a capire che tipo di rapporto si instaura tra cittadino lettore e giornalista, e quali cause portino alla corruzione e quindi alla deformazione delle notizie. Il rapporto tra democrazia e giornalismo è infatti alla base della legittimità e dell’importanza della professione giornalistica.

I cittadini si basano sull’informazione pubblica per esercitare al meglio i propri diritti civici e politici. Non solo: il lavoro di selezione del giornalista contribuisce a produrre schemi e modelli culturali attraverso i quali i fatti e la realtà possono essere interpretati ed utilizzati per formare opinioni [Mandelli, 2004, 2002]. Seguendo questo ragionamento diventa facile fare un equazione tra qualità del giornalismo e qualità della democrazia.

Certo, non è possibile valutare le complessità di un sistema democratico adottando come sola variabile la qualità del sistema giornalistico; è tuttavia possibile fare una serie di considerazioni relative al grado di trasparenza dei regimi democratici.

Alcuni autori come Patterson (1993) sostengono che il degrado

della qualità dell’informazione, visto attraverso la bassa qualità dei

programmi televisivi e degli articoli dei giornali, contribuisce ad un

allontanamento dei cittadini dalla vita pubblica, e quindi a un degrado

della qualità della democrazia. Altri autori invece [Schudson, 1993,

Mandelli, 2004] si focalizzano sul ruolo della pubblica opinione e

sulla necessità di andare oltre il mito del cittadino completamente

informato, in favore di un nuovo tipo di cittadino, il cittadino

monitorante, che partecipa attivamente alla ricerca ed al controllo

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degli input informativi rilevanti per la sua vita sociale e civica, spesso sostituendo o affiancando i giornalisti [Mandelli, 2004].

Le interpretazioni che vanno a valorizzare il ruolo del cittadino ci aiutano a capire che il tema del rapporto democrazia− informazione oggi ha bisogno di nuove risposte ed interpretazioni. Il fatto che il paese più avanzato del mondo in termini di regolamentazione della professione del giornalista (l’Italia) sia anche quello dove si assiste ad una diffusa proliferazione della pratica della corruzione, porta a pensare che non basti un sistema rigido di norme formali fortemente cogente per i giornalisti. E non basta neppure un insieme di norme fortemente interiorizzate e frutto di una lunga evoluzione storico−culturale come quello presente negli Stati Uniti d’America.

La realtà, nella sua complessa articolazione, necessita oggi ancor più

che in passato di un filtro dei fatti meritevoli d’approfondimento in

favore dei cittadini. La figura del giornalista non può essere affatto

superata, anzi, è ancora necessaria nella nostra società

dell’informazione una grande attenzione alla formazione di

professionisti in grado di salvaguardare i contenuti del “contratto” con

i cittadini lettori, rispettando la prima regola, mai caduta in disuso,

della professione giornalistica: la ricerca della verità.

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