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La produzione di laterizi e l’aristocrazia pisana

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Academic year: 2021

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Capitolo IV

La produzione di laterizi e l’aristocrazia pisana

Introduzione

Una produzione cresce e prospera in luoghi che presentano caratteristiche specifiche determinanti per l’avvio di un’attività manifatturiera; essa può essere topograficamente rintracciata se il luogo in esame dispone di precise risorse, ovvero le materie prime a buon mercato e l’accesso a vie di comunicazione privilegiate come i corsi d’acqua1.

Nella Valle dell’Arno esistevano tutte le condizioni affinché si sviluppasse la produzione laterizia e la grande disponibilità di materia prima offerta dai corsi d’acqua della pianura alluvionale invogliava gli aristocratici del tempo e importanti produttori di terra sigillata – soprattutto a partire dal I secolo d.C. - ad investire sul territorio2.

Anche se non mancano testimonianze archeologiche di nuclei manifatturieri costruiti a ridosso delle villae dei signori, molto più spesso si preferiva impiantare le officinae nei quartieri artigianali come quelli ubicati in prossimità del Portus Pisanus o di Isola di Migliarino3.

In questo capitolo si farà luce sui casi presenti nella bibliografia disponibile relativa ai ritrovamenti di materiale edilizio. Per determinare lo sviluppo e i cambiamenti che si registrarono all’interno della produzione verranno passate in rassegna prima le notizie concernenti il rinvenimento di reperti anepigrafi in contesti urbani e suburbani, per poi passare ai materiali bollati.

Successivamente si tratterà separatamente e cronologicamente (ove è possibile) il materiale laterizio bollato, suddiviso a seconda della figlina di appartenenza e alla famiglia che deteneva la proprietà della manifattura. Si metterà anche in luce il legame che s’instaura nel I secolo d.C. tra produzione di opus doliare e terra sigillata tardo italica. In alcuni casi si è potuto osservare che le due produzioni con stesso marchio erano spesso associate sia nei contesti di rinvenimento, nei contesti produttivi e anche nelle imbarcazioni funzionali al commercio.

4.1. Bacini d’approvvigionamento della materia prima: l’argilla

1 PEACOCK 1982, p. 39.

2 PASQUINUCCI – MENCHELLI 1999, p. 133.

3 PASQUINUCCI – MENCHELLI 2002, pp. 137 – 152.

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Funzionale alla localizzazione dei centri di produzione è l’inquadramento geologico del territorio pisano-livornese. Per individuare “le officine” bisogna focalizzarsi sulla materia prima risultante dall’unione dei minerali argillosi, non argillosi e materiali accidentali. I materiali non argillosi sono quarzo, calcite, feldspati, ossidi e idrossidi di ferro e altri minori (minerali delle sabbie) e vanno a costituire la frazione sabbiosa. Grazie al riconoscimento di essa si possono definire gli ambiti di provenienza della materia di base.

La fonte di approvvigionamento del vasaio era l’argilla naturale che egli ricavava lungo i corsi d’acqua che solcavano le valli pisane: essa era composta da sabbie e materiali minutissimi, risultato dello sgretolamento dei rilievi circostanti, ciascuno con una formazione caratteristica riconoscibile dall’esame di quei cosiddetti materiali accidentali o

“caratterizzanti”. Il componente mineralogico che si rileva in maggior percentuale nelle argille è il quarzo: esso costituisce gran parte degli affioramenti rocciosi del territorio toscano e presenta una durezza maggiore rispetto ad altri minerali come le miche e i carbonati.

I Monti Pisani presentano vari tipi d’affioramenti: quelli ad ovest di Buti, sulle pendici occidentali del Monte Verruca, sono formati da quarziti4 a grana fine; sulla destra della Valle del Guappero, scendendo verso Lucca, vi sono affioramenti costituiti da sedimenti clastici più o meno fini, in origine argille e sabbie, di colore grigio scuro.

- Filladi e Quarziti listate di Buti5: è una formazione paleozoica presente esclusivamente all’interno dell’Unità del Monte Serra. Si presenta come un complesso scistoso a grana variabile di colore grigio verdastro, fino a grigio-bianco nelle porzioni più quarzitiche.

4 Le quarziti appartengono al gruppo di rocce metamorfiche composte prevalentemente da quarzo. Derivano da rocce sedimentarie come arenarie e selci.

5 La fillade è una roccia metamorfica con grana media. Solitamente è originata dal metamorfismo di originarie rocce argillose. Contiene quarzo e feldspati in misura maggiore; le miche e i cloriti sono quelli che le conferiscono lucentezza e la colorazione grigio-verde .

MAZZANTI 1994, p. 33.

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Fig. 23 - Indicazione delle località in cui sono diffuse le formazioni dei "Quarziti e Filladi di Buti", della "Verruca".

- Formazione della Verruca: costituita da depositi terrigeni6; in essa si distinguono tre sequenze:

I. La prima sequenza è caratterizzata da depositi conglomeratici d’origine fluviale contenenti clasti arrotondati in prevalenza quarzosi, spesso di colore rosato (Anageniti grossolane) e filladi quarzitiche a grana fine, di colore violetto (Anageniti minute e scisti viola).

II. La seconda sequenza è composta da sedimenti fini in cui si alternano filladi di colore verdastro e arenarie quarzoso-micacee di colore biancastro (Scisti verdi e Quarziti verdi).

III. La terza sequenza è costituita da quarziti bianco-rosa, affiorante in maniera estesa in tutta la porzione del territorio in esame.

Questa formazione permette di distinguere le varie produzioni dell’area pisana, difatti in base alle analisi compiute su campioni di terra sigillata provenienti dall’Isola di

6 I depositi terrigeni sono indice di bassi valori di infiltrazione delle acque meteoriche su cui prevalgono i processi di ruscellamento superficiale.

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Migliarino il fattore che consente di riconoscere l’ambito di provenienza è la presenza di un abbondante componente sedimentario terrigeno7.

Nel settore centrale dei Monti Pisani prevalgono i calcari:

- Calcari ceroidi: affioranti in modo limitato all’interno dell’unità del Monte Serra, lungo una fascia a S dei Monti Pisani tra Asciano e S. Giovanni alla Vena, e in modo esteso nell’Unità di S. Maria del Giudice, tra S. Giuliano e lungo tutto il versante E del Monte Moriglione di Penna. Si tratta di marmi bianchi, gialli e grigi. Costituiscono il litotipo più utilizzato nell’edilizia monumentale pisana: la roccia sedimentaria da cui derivano è la stessa della formazione del marmo Apuano; ciò che li contraddistingue è il minore grado di metamorfismo subito dai calcari ceroidi che gli conferisce una grana più fine. Tale materiale veniva estratto fin dall’età romana sia sul versante pisano sia in quello lucchese dei Monti Pisani8.

Fig. 24 – Indicazione delle località in cui sono diffusi gli affioramenti dei calcari selciferi e ceroidi.

7 MENCHELLI – CAPELLI - DEL RIO – PASQUINUCCI – THIRION MERLE – PICON 2001, p. 99.

8 MAZZANTI 1994, p. 43.

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- Calcari Selciferi: questa formazione affiora in modo limitato all’interno dell’Unità del Monte Serra, diffusamente nell’Unità di S. Maria del Giudice. Si tratta di metacalcari dai colori variabili, dal grigio al nocciola9.

Proseguendo verso sud si rintracciano ulteriori tipologie di affioramenti:

- Diaspri: all’interno del Monte Serra vi sono radiolariti (organismi unicellulari marini con uno scheletro di silice)10 di vari colori e marne silicee color tabacco. La loro diffusione è ristretta alla zona a N di Uliveto Terme.

- Pseudomacigno: presente esclusivamente all’interno dell’Unità di S. Maria del Giudice. Affiora limitatamente in una fascia che si estende in modo discontinuo tra Rigoli e Molina di Quosa. Si tratta di metarenarie quarzoso-feldspatico-micacee alternate a filladi più o meno quarzitiche grigio-scure11.

Fig. 25 - Diffusione dello pseudomacigno nell'Unità del Monte Serra.

Gli affioramenti delle Colline Pisane e delle Colline Livornesi sono il risultato della deposizione di sedimenti sabbiosi, conglomeratici e argillosi avvenuta a partire dal

9 Il litotipo venne impiegato ampiamente per la costruzione degli edifici monumentali pisani medievali.

10 Roccia sedimentaria organogena derivata da lento accumulo e cementazione degli scheletri silicei dei organismi unicellulari marini e contenente piccole quantità di materiale detritico.

11 MAZZANTI 1994, p. 47.

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Miocene in un ambiente fluvio–deltizio. Sopra la sequenza dei conglomerati s’individuano strati marnosi12 - argillosi sormontati da un banco di gesso. I litotipi caratterizzanti dell’area sono i litoidi arenaceo - siltitici e misti (gabbri, serpentiniti e diallagio sono i minerali tipici delle colline livornesi), nonché quelli litoidi metamorfici (ofioliti) tipici dell’area compresa tra Livorno e Cecina; la presenza in traccia di essi costituisce un ottimo indicatore di provenienza.

Le argille con una componente carbonatica presenti nelle Colline livornesi sono un forte elemento di distinzione in rapporto a quelle dell’area pisana caratterizzate invece da un alto contenuto di ferro (aspetto qualificante delle argille alluvionali)13.

Fig. 26 - Colline Pisane e Livornesi.

12 Le marne sono calcari con all’interno materiali argillosi, quarzo, miche, ossidi e idrossidi di ferro e altri componenti accidentali. A seconda della percentuale di minerali argillosi e di calcite vengono classificate in argille calcaree, argille marnose, marne argillose, marne (CUOMO DI CAPRIO 2007, p. 92).

13 MENCHELLI – CAPELLI – DEL RIO – PASQUINUCCI – THIRION MERLE – PICON 2001, p. 98.

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4.2. Modelli e tipologie di laterizi

Il modo migliore per estrarre il maggiore numero d’informazioni da una classe ceramica è creare delle tipologie fisse di riferimento per poter attuare analisi di confronto. Come già precisato in precedenza, la classe di materiali inerenti all’edilizia rimane una delle meno

“indagate”; escludendo gli esemplari recanti bolli quelli anepigrafi vengono osservati solo superficialmente.

E’ necessario mettere in piedi un sistema di documentazione e d’elaborazione dati che si ancori a punti di partenza solidi. L’indagine deve basarsi sull’osservazione di un numero d’esemplari significativo e le descrizioni inerenti devono essere il più possibile lontane da visioni parziali o soggettive poiché esse rendono inapplicabili qualunque tentativo di confronto.

Da quanto si deduce dagli scavi di domus in cui viene rinvenuta la copertura si evince che i materiali edilizi spesso provengono da centri produttivi diversi (nel caso in cui si rinvengono materiali bollati) e, nonostante ciò le misure si discostano poco da un gruppo a un altro. Evidentemente ogni centro produttivo aveva un modello di riferimento: la tegola di marmo rinvenuta ad Atene14 esplicita ciò che viene dedotto dalle prove empiriche, inoltre non mancano decreti legislativi che parlano di misure standard: nella Lex Ursoniensis15 e nella Lex Tarentina la grandezza di un edificio viene definita in base al numero delle tegole16.

Il materiale proveniente da un unico telaio si riconosce facilmente perché le misure dipendono fortemente dalle caratteristiche della forma, mentre le ali difficilmente sono tra loro uguali, poiché il profilo era determinato da una lisciatura frettolosa che l’artigiano attuava nel momento dell’estrazione della tegola dal telaio.

Solitamente il materiale edilizio anepigrafo rinvenuto è diviso in grandi gruppi: le categorie si definiscono in base alle variazioni dimensionali. Si segue questo principio perché le peculiarità metriche possono essere legate ad una specifica funzione17.

Nel caso dell’Etruria Settentrionale può esser utilizzato come modello di riferimento il lavoro di classificazione svolto per i materiali dell’Ager Cosanus relativi alla Villa di Settefinestre: la sintesi tipologica comprende tipi e forme che si diffusero

14 STEVENS 1950, pp. 174 - 188.

15 MINGAZZINI 1970, p. 404.

16 STEINBY 1973-74, pp. 124-125.

17 STEINBY 1973 – 1974, pp. 128 – 133.

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contemporaneamente nell’Ager Pisanus18. Nei siti pisani analizzati sono state rinvenute tegole assimilabili alla tipologia 1.1.

Tegola di forma leggermente

trapezoidale con i margini convergenti rialzati. I margini del lato minore esternamente presentano un restringimento ad angolo retto) che serve a sovrapporre e ad incastrare le tegole tra loro.

Dimensi oni:

Altezza cm 48 - 70;

Base maggiore cm 35 - 52;

Base minore cm 32 - 46.

Essa è attestata in quasi tutte le fasi della vita della villa; si ritrova sia in strati risalenti all’età giulia-claudia, sia alla tarda età antonina, in età severiana, perfino in strati pienamente medievali.

E’ la forma più comune e prende origine da esemplari d’età arcaica sviluppatisi da un tipo più semplice costituito solo dalla base liscia senza ali e sistemi di sovrapposizione.

I coppi dell’ager Pisanus sono assimilabili alla tipologia 1 di Settefinestre: gli elementi di copertura considerati hanno le basi di differente grandezza (la variazione era funzionale alla sovrapposizione di un coppo sull’altro). Così come per le tegole, la faccia superiore era lisciata a stecca, mentre quella inferiore si presentava scabra e irregolare.

Dimensioni: lunghezza cm 57 – 60;

Larghezze cm 22 – 17;

Altezza cm 7 – 9;

Spessore cm 2 - 2,5.

18 CARANDINI 1985, pp. 33-37.

Fig. 27 - Tegola proveniente dalla villa di Settefinestre (CARANDINI 1985, p. 40).

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Anch e il coppo nasce in età arcaica e si diffonde dapprima nelle regioni orientali. La tipologia appena descritta fu quella che ebbe subito maggior successo perché più semplice da produrre e maggiormente idonea per una messa in opera agile e veloce.

I mattoni diffusi in Etruria avevano una lunghezza compresa tra i 40 – 41 cm; la larghezza tra i 25 e i 26 cm, e lo spessore tra i 7 e i 12 cm. Le misure sono differenti nel caso di mattoni ricavati dal taglio di altri materiali laterizi, per esempio bessali.

Fig. 29 - Mattoni della villa di Settefinestre (CARANDINI 1985, p 41).

Fig. 28- Coppo proveniente dalla villa di Settefinestre (CARANDINI 1985, p. 40).

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4.3.

Organizzazione dei centri produttivi

Prima della fase espansiva dell’industria costruttiva, le officine laterizie pisane avevano un’organizzazione molto semplificata: esse erano a conduzione familiare e la produzione mirava all’autoconsumo nonchè alla vendita rivolta alle zone immediatamente attigue.

Ne consegue che è difficile trovare materiale bollato risalente ad un’età precedente alla centuriazione, poiché la pratica della bollatura19 è da connettere ad un momento in cui la vita economica di Pisa diventava dinamica e il commercio non era più solo di ambito strettamente locale, ma d’ampio respiro andando a varcare in alcuni casi i confini regionali (vd. paragrafi successivi).

La centuriazione portò ad un numero maggiore d’abitanti che insistevano sullo stesso territorio, causando così un aumento delle abitazioni e conseguentemente della domanda di materiale edilizio. Per rispondere alla richiesta, le figlinae si “modellarono” in nuove forme20: a quelle a conduzione familiare, che producevano tegoloni e mattoni anepigrafi, si affiancarono figlinae dalla complessa organizzazione gerarchica in cui lavoravano schiavi in massima parte provenienti dall’Oriente Mediterraneo.

L’organizzazione di tali officine, ricostruita tramite lo studio dei bolli, era molto più accentrata rispetto al periodo precedente così come il sistema produttivo della terra sigillata tardo-italica, ciclo manifatturiero che nasce e cresce contemporaneamente al rinnovamento del ciclo produttivo laterizio.

I bolli si trovano principalmente impressi sui tegoloni piatti perché maggiormente utilizzati: essi erano impiegati non solo come elementi di copertura, ma una volta tagliati, venivano adoperati per la costruzione di alzati e fondamenta.

In base ai contesti esaminati e al materiale rinvenuto (grande quantità di laterizi non bollati) è possibile stabilire che solo una piccola percentuale della merce era sottoposta alla marcatura.

Le indagini archeologiche e i ritrovamenti casuali hanno restituito materiali bollati provenienti da contesti insediativi ma non produttivi: questi ultimi finora hanno restituito solo reperti anepigrafi.

A Ponsacco è stata rinvenuta una fornace che produceva laterizi. Essa è strettamente legata ad una villa del II secolo a.C. probabilmente costruita durante la deduzione coloniale (vd.

cap. 1, par. 2.2.) e sopravvissuta in età tardo antica. Non rimane nulla dell’alzato della

19 MENCHELLI 2003, p. 167.

20 TORELLI 1991, pp. 459 - 460.

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fornace, sono tuttavia ancora visibili la pavimentazione e la camera di combustione interrata.

Fig. 30– Fornace per laterizi individuata a Ponsacco (PASQUINUCCI-MENCHELLI 2002, p. 142).

Nella porzione meridionale del territorio afferente all’ager pisanus sono state rintracciate negli ultimi due decenni numerose fornaci che producevano nel periodo di massima espansione della colonia laterizi perlopiù anepigrafi e anfore.

Nel 2005 è stato rinvenuto nella zona meridionale dell’antico ager Pisanus, in località Ca’

Lo Spelli, un quartiere produttivo da cui venivano foggiate tegole, coppi, anfore e vasellame fine. La prima fornace, collassata durante la fase di cottura del carico e a posteriori obliterata dagli scarti di produzione, dovette essere attiva tra il II e il I secolo a.C.

Fig. 31- Resti della fornace di Cà Lo Spelli (DUCCI 2006, p. 236).

Essa era connessa ad uno spazio coperto in cui avveniva il processo di essiccazione dei fittili prima della cottura; tale settore doveva essere privo di chiusure e ciò è provato dalle impronte di animali rinvenute su alcune tegole. La seconda fornace individuata durante la

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campagna del 2007 ha dimensioni ragguardevoli (circa 20 m di lunghezza, 5 m di larghezza) si conserva buona parte dell’alzato, il prefurnium, le camere di combustione e di cottura.

Dai materiali rinvenuti (tegole sottili, ad ala bassa e dalla superficie inferiore molto irregolare) non sembra ascrivibile all’età romana21.

Negli anni ’90 la Soprintendenza Archeologica per la Toscana ha messo in luce in località Vallin Buio un vero e proprio quartiere artigianale: lo scavo iniziato per la costruzione di una strada ha evidenziato due fornaci di cui una a pianta quadrangolare con il corridoio centrale, e l’annesso deposito colmo di scarti di lavorazione, appunto laterizi e anfore Dressel 2/4. L’area rimase attiva nel periodo compreso tra gli ultimi anni della repubblica e il I secolo d.C. 22

21 DUCCI – CARRERA – PASINI 2008, pp. 341 – 343.

22 ESPOSITO 1992, pp. 23 – 24; PASQUINUCCI – GAMBOGI 1997, p. 228; PASQUINUCCI 2003 c), p. 45.

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4.4. Commercio e impiego dei materiali edili

I materiali prodotti dalle officine pisane si trovano in loco utilizzati nelle residenze private, come documentano i bolli dei Venuleii nella villa di Massaciuccoli o i bolli degli Appii trovati in villae dell’ager meridionale; o in edifici pubblici costruiti per fini evergetici come i mattoni bollati dai Venuleii dell’acquedotto in località Caldaccoli. Parte della merce usciva dai confini regionali e veniva commercializzata a più vasto raggio: è attestata una distribuzione lungo le coste alto-tirreniche, da Luni alle coste dell’Etruria centro meridionale (Populonia23, Follonica24, Cosa25, Lorium26), a Roma27, all’isola d’Elba 28 e in Sardegna.

Il commercio di laterizi era inserito nelle rotte di cabotaggio e di navigazione fluviale, la merce veniva trasportata tramite piccole imbarcazioni insieme ad altre tipologie di prodotti (grano, anfore vinarie, ceramica a pareti sottili e terra sigillata). Nelle rotte alto tirreniche i materiali nord etruschi erano commercializzati a livello sub regionale: per le tegole e i mattoni bollati da gentes pisane è documentata una circolazione nell’entroterra lucchese, attraverso la via fluviale del Serchio29 e a Luni. Oltrepassata una certa distanza diventava poco conveniente trasportare il materiale edile poiché ingombrante, pesante e soprattutto dallo scarso valore intrinseco30. Difatti raramente tali prodotti oltrepassavano i limiti del mercato a medio raggio e ancora più limitatamente giungevano fino alla capitale (bisogna considerare che le officine sia laziali, sia campane riuscivano a sopperire alla richiesta della

23 SHEPHERD 1985.

24 BIZZARRI 1959.

25 GLIOZZO 2005.

26 CIL XV 2207. Lorium era una località situata sulla via Aurelia, nei pressi dell'odierna Castel di Guido (nel XVI municipio del comune di Roma). La località era citata nella Tabula Peutingeriana come prima stazione di posta sulla via, al suo XII miglio da Roma.

27 CIL XI, 6689, 240, GLIOZZO 2005, pp. 201- 207.

28 Nella villa delle Grotte è stato rinvenuto materiale prevalentemente di ambito regionale, difatti sono attestati i bolli della gens Caecina, ricca famiglia senatoria dell’Ager Volaterranus (CASABURO 1997, p. 28); FIRMATI 2004, pp.

171 – 185.

29 CIAMPOLTRINI – ANDREOTTI 1990-1991, pp. 161-167.

30Nel calmiere di Diocleziano (vd. cap. 3) vengono citati nove differenti prodotti laterizi, diversi per funzioni, tipologie e dimensioni. Le tariffe più alte erano per laterizi specializzati (tubi per condutture idriche e per ambienti riscaldati e le tegole di comignolo).

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stessa merce)31. Parte arrivava fino a Roma perché veniva scaricata e sostituita con altre merci.

Fuori dei limiti del mercato urbano i rinvenimenti sono al termine di rotte commerciali e marittime già consolidate, e le “eccezioni” vanno spiegate di volta in volta. Nel caso in cui si trovino laterizi pertinenti a dei relitti bisogna considerare che possibilmente essi non erano merce di scambio ma materiale impiegato nella struttura delle navi. Ciò è comprovato dalle numerose imbarcazioni che costellano i fondali del Mediterraneo (rinvenimenti sono documentati nell’Italia Settentrionale, sulla costa adriatica, sulla costa ligure, sulla costa Azzurra, in Spagna, in Sardegna, in Sicilia, in Africa e in Egitto)32.

Un’altra spiegazione elaborata per giustificare la presenza di laterizi nelle imbarcazioni è che essi venivano impiegati come zavorra durante i viaggi di ritorno delle navi ormai prive della merce di partenza33.

Il rinvenimento a Capo Carbonara, a largo della Sardegna di un carico totalmente costituito da materiale da costruzione pone quesiti sulla funzione della merce: sicuramente non aveva funzione di zavorra e tantomeno quello di colmare gli spazi ma plausibilmente esso era il soggetto commerciale dell’imbarcazione34.

31 MENCHELLI 2004, pp. 72.

32 TAGLIETTI – ZACCARIA 1971-74, pp. 707-708.

33 HARTLEY 1973, pp. 49 – 57; STEINBY 1981, pp. 244 – 245; TOMBER 1987, pp. 161-174; ZUCCA 1987, pp. 659 – 676 (materiali urbani rinvenuti a Cartagine e in Sardegna); RICO 1995, pp. 767 – 800; THEBERT 2000, pp. 341 – 356.

34 THÉBERT, 2000, p. 356.

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4.5. Legami tra produzione di laterizi e terra sigillata

La connessione tra le due produzioni ceramiche è stata stabilita per la comunanza di certi aspetti, primo fra tutti la presenza di bolli sui manufatti, e tramite la lettura dei marchi è stata notata la simile organizzazione interna delle figlinae. La pratica della bollatura già attestata da più tempo sui materiali laterizi venne adottata nel ciclo manifatturiero della terra sigillata perché fu una classe ceramica di largo consumo. Quest’ultima gioca un ruolo fondamentale per la conoscenza dell’economia antica romana: prodotta a partire dall’ultima metà del I secolo a.C. (50-30 a.C.) fino al II secolo d.C.35 , essa costituisce l’ago della bussola per essere stata la classe ceramica diffusa su grande scala. In tutto l’impero romano si trovano centri produttori di ceramica a vernice rossa. Il marchio aveva come fine ultimo quello di razionalizzare i passaggi intrinseci alla manifattura. Le officinae di laterizi rette da Baraeus ed Euhemer(us) per conto di M.Appius (vd. infra) ricordano nella loro organizzazione le coeve manifatture pisane di terra sigillata in cui gli Ateii gestivano un enorme volume d’affari mediante liberti e schiavi grecanici36 collocati a capo di nucleated workshop37.

La produzione di terra sigillata nel territorio pisano inizia con l’avvento di Ateius38, officinator di Arezzo, quando gli affari di costui diventarono così redditizi da rendere necessaria l’installazione di officine periferiche in aree in cui i corsi d’acqua e la costa rendevano più agevoli e vantaggiosi i commerci. Tracce di stabilimenti ateiani sono state trovate all’interno del centro urbano pisano39, ad Isola di Migliarino, a Poggio Fiori40. La gens Ateia deteneva la proprietà dei terreni, le strutture produttive e le materie prime che furono messe a disposizione dei numerosi lavoratori a differente titolo giuridico. Data la parcellizzazione dell’attività e i numerosi reparti produttivi fu necessario tenere sotto controllo la catena manifatturiera tramite l’adozione della bollatura.

Gli scavi a Pisa e ad Isola di Migliarino hanno dimostrato che gli officinatores di Ateius utilizzavano gli stessi bacini d’argilla e cuocevano i vasi negli stessi forni.

35 PEDRONI 1995, pp. 195 – 204.

36 CARANDINI 1981 pp. 251 – 260.

37 FULLE 1997, p. 122.

38 SANGRISO 1998, pp. 919 – 932.

39 PAOLETTI 1995, pp. 319 – 329.

40 MENCHELLI – PASQUINUCCI 1995, p. 212; CHERUBINI – DEL RIO 1997, pp. 133 -134.

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A partire dal I secolo d.C. si affermò la produzione di terra sigillata decorata: L. Rasinius Pisanus41 è uno dei primi ad adottare lo stile decorativo tardo – italico. Egli è anche un produttore di laterizi; ciò vale anche per L. Nonius Floren[n(---)].

41 PUCCI 1981, pp. 114 -115; MENCHELLI – CAPELLI – DEL RIO – PASQUINUCCI – THIRION MERLE - PICON 2001, pp. 89 -105; CHERUBINI – DEL RIO MENCHELLI 2005, p. 72.

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4.6. Materiali edili anepigrafi rinvenuti nello spazio urbano ed extraurbano pisano

Numerose figlinae di laterizi nacquero al di fuori del contesto urbano della Colonia Iulia Opsequens Pisana; nello spazio racchiuso tra le mura altomedievali che corrisponde in via approssimativa anche allo spazio occupato in età romana, non sono stati rintracciati nuclei produttivi; tuttavia le indagini archeologiche effettuate in alcuni punti nevralgici del tessuto cittadino hanno rivelato che in aree limitrofe o adiacenti venivano prodotti materiali edili; sono un esempio le ricerche effettuate nel Giardino dell’Arcivescovado e lo scavo di Piazza Dante.

Fig. 32 – Localizzazione dei luoghi di rinvenimento dei materiali laterizi anepigrafi.

4.6.1. Pisa (Giardino dell’Arcivescovado)

Il sondaggio stratigrafico effettuato nel 1961 nel Giardino dell’Arcivescovado ha restituito 70 frammenti di tegole, 44 coppi e 3 frammenti di mattoni insieme ad altri materiali di rivestimento42. L’insieme dei reperti fa supporre che tali materiali fossero pertinenti ad una struttura abitativa d’età imperiale; la totale mancanza di scarti di fornace fa escludere che ci si trovi davanti ad un centro produttivo urbano, anche se l’analisi delle paste ceramiche ha dimostrato che l’officina si trovava nelle immediate vicinanze della città;

infatti il bacino di approvvigionamento è stato localizzato nel Bacino dell’Arno. La materia

42 PASQUINUCCI – STORTI 1989, p. 121.

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prima è affine a quella di Coltano (vd. infra), anch’essa originaria del bacino dell’Arno43. La pasta n°1 è di color giallo limone e presenta inclusi grigio-neri, bruni, rossastri ad alta frequenza medi e più raramente grandi, comparabile alla pasta n°1 del materiale edilizio di Coltano. La pasta n°2, sempre di colore giallo tendente al beige, presenta degli inclusi minutissimi scuri (affine alla pasta n° 9 di Coltano). La pasta n°3 di colore beige- rosato presenta inclusi di colore rossastro di grandezza minuta e media, e inclusi di colore biancastro (comparabile alla pasta n°5 di Coltano), mentre la pasta n°4 è di colore arancio- beige, beige–giallastro con inclusi grigiastri di varia grandezza ( affine alla pasta n°11 di Coltano). La pasta n°5 di colore rosato presenta inclusi giallo-biancastri, nero-grigi e rossastri di dimensione minuta e media (accostabile alla pasta n°3 di Coltano). La pasta n°6 è caratterizzata dal colore arancione, dagli inclusi biancastri, grigiastri, neri con media frequenza e dai rari grandi inclusi biancastri e neri (affine alla pasta n°8 di Coltano). La pasta n°7, dal colore arancione-rosato presenta inclusi bianco- grigiastri e nero- grigiastri più grandi rispetto ai precedenti (affine alla pasta n°8 di Coltano).

La pasta n°8, anch’essa caratterizzata dal colore arancione e dalla presenza di inclusi biancastri, bruni, grigi minuti e medi, con alta frequenza e di media grandezza, è assimilabile alla pasta n°13 di Coltano. Il nono gruppo si differenzia per l’impasto che possiede gradazioni cromatiche grigio –nere con inclusi biancastri ad alta frequenza e giallastri di media frequenza. In ultimo si distingue un decimo gruppo che ha come comune denominatore il colore marrone, gli inclusi minuti biancastri e grigiastri con media frequenza, scaglie di scisti di media e grande dimensione ad alta frequenza.

Quest’ultimo aspetto accomuna la gran parte dei manufatti ceramici originari del territorio pisano – volterrano.

Le tegole rinvenute presentano una superficie scabra, dovuta al sistema di essiccazione a contatto con il suolo; in talune sono state osservate tracce di lisciatura a stecca. Le forme sono trapezoidali con risega all’esterno del margine.

I profili delle ali non sono conformi; la diversità deriva dalla lisciatura che veniva fatta frettolosamente sui singoli esemplari estratti dal telaio. In base alle misure sono stati individuati infine cinque gruppi44:

I gruppo: h totale cm = 5 – 5,9 cm e h piano d’appoggio cm = 2,2 – 3,5 cm.

II gruppo: h totale cm = 6 – 6,9 cm e h piano d’appoggio cm = 1,9 – 2,9.

III gruppo: h totale cm = 7 - 7,6 e h piano d’appoggio cm =2,5 – 3,1.

43 MENCHELLI 1986, pp. 118- 129; PASQUINUCCI – STORTI 1989, pp. 124- 125.

44 PASQUINUCCI – STORTI 1989, pp. 123 – 124.

(19)

IV gruppo h totale cm = 7,75 e h piano d’appoggio cm = 4,2.

V gruppo h totale cm = 8,23 e h piano d’appoggio cm = 3,1.

I coppi presentano la ricorrente forma semicircolare, mentre per quanto riguarda i mattoni, dato lo stato di conservazione estremamente frammentario, non si può fornire nessun tipo di classificazione o confronto.

Purtroppo non sono stati rinvenuti laterizi bollati e questo impedisce di stabilire una datazione certa per il materiale recuperato, tuttavia l’associazione con classi ceramiche come la terra sigillata italica e tardo italica e la ceramica africana da mensa permette di fissare il terminus post quem all’età imperiale45.

Fig. 33 – Materiale laterizio proveniente dagli scavi nel Giardino dell'Arcivescovado (PASQUINUCCI - STORTI 1989, tav. 33).

Fig. 34 - Mattoni provenienti dagli scavi nel Giardino dell'Arcivescovado (PASQUINUCCI - STORTI 1989, tav. 34).

45 PASQUINUCCI – STORTI 1989, pp. 7-8.

(20)

4.6.2. Pisa (Piazza Dante)

Durante la campagna di scavo del 1991 effettuata nella zona compresa tra Piazza dei Cavalieri e la riva destra dell’Arno sono state messe in luce tracce di fondazioni pertinenti ad una domus di età augustea. Ciò che ha consentito la datazione delle evidenze archeologiche è stata la componente materiale46.

Parte di essa era costituita da una considerevole quantità di materiale edile, per la maggior elementi di copertura (embrici e coppi).

Le tegole sono conformi alla tipologia classica diffusa in tutti i contesti romani contemporanei: di forma leggermente trapezoidale con ali più o meno rialzate e rastremate verso la base maggiore; la base minore esternamente ha una leggera risega che permette l’incastro tra un pezzo di copertura e l’altro. I coppi hanno la caratteristica forma semicircolare con le due estremità d’ampiezza diversa. Si osserva che le superfici superiori dei materiali edili veniva lisciata a stecca, mentre quella inferiore rimaneva scabra, lavorata grossolanamente. Della piccola frazione costituita dai mattoni (26 frammenti) è stato possibile stabilire semplicemente lo spessore medio (cm 3,5 e 7,5).

Fig. 35 - Materiale edile proveniente dagli scavi di Piazza Dante (da VALLEBONA 1993, pp. 380 - 381).

Dall’analisi macroscopica delle paste risulta che senza dubbio il bacino di approvvigionamento fosse il bacino dell’Arno. Le caratteristiche di ciascun gruppo

46 PASQUINUCCI 1991, pp. 95 – 104.

(21)

individuato sono assimilabili a quelle delle paste di Coltano. Si può concludere in ultimo che i materiali edili fossero di produzione locale:

La pasta n°1 è di color rosso e presenta numerosi inclusi biancastri, bruni e giallastri di piccole e medie dimensioni. La pasta n° 2 di colore tendente al bianco o rosa contiene inclusi rosso – violacei di piccole e medie dimensioni, comparabile alla pasta n°5 di Coltano. La pasta n°3 di colore bianco rosato presenta inclusi bianchi, grigi, rossastri, bruni di piccole, medie e grandi dimensioni (comparabile alla pasta n° 1 di Coltano), mentre la pasta n° 4 di colore giallo rossastro chiaro contiene inclusi rossastri di piccole, medie e talvolta di grandi dimensioni (analoga alla pasta n° 12 di Coltano).

La pasta n° 5 è di colore giallo – rossastro e contiene inclusi neri di medie dimensioni a distribuzione irregolare, bianchi, bruni, grigi e rossastri. La pasta n° 6, molto depurata si presenta di colore rosso chiaro. Dello stesso colore è la pasta n° 7; quest’ultima si differenzia per la maggiore presenza di inclusi bianchi, rossastri, grigi, bruni di piccole, medie e grandi dimensioni (analoga alla pasta n° 4 di Coltano).

La pasta n°8, di colore giallo rossastro, essendo poco depurata presenta numerosi inclusi bianchi, grigi, bruni di piccole dimensioni (analoga alla pasta n° 9 di Coltano). Poco depurata appare anche la pasta n° 9 caratterizzata da un colore rosso chiaro e inclusi bianchi e grigi di piccole e medie dimensioni, assimilabile alla pasta n°6 di Coltano.

Le paste n° 10 e 11 hanno un colore tendente all’arancio e contengono inclusi bianchi bruni, rossastri di piccole e grandi dimensioni; l’ultima è molto vicina alla pasta n° 3 di Coltano. I corpi ceramici di Piazza Dante si differenziano per la quantità di inclusi.

La paste n° 12 e 13 sono caratterizzate dal colore marrone. Esse si presentano abbastanza depurate con radi inclusi di colore biancastro. La prima pasta è accostabile alla n° 10 di Coltano.

In base all’altezza totale delle tegole e all’altezza del piano d’appoggio sono stati individuati 4 gruppi:

I gruppo: h totale cm = 4,7 – 5,2 e h piano d’appoggio cm = 1,6 – 2,6.

II gruppi: h totale cm = 5,8 – 6,7 e h piano d’appoggio cm = 2,1 – 2,9.

III gruppo: h totale cm 7 – 7,8 e h piano d’appoggio cm 2,1 – 3,4.

IV gruppo: h totale cm = 11, 4 e h piano d’appoggio cm = 4.

L’assenza di bolli non permette di ricavare ulteriori conclusioni oltre alle semplici osservazioni delle paste ceramiche e di carattere metrico.

(22)

L’associazione con materiali di certa cronologia consente di datare gli elementi edilizi all’età romana47.

47 VALLEBONA 1993, pp. 377 – 382.

(23)

4.6.3. Isola di Migliarino

Poco al di fuori del contesto urbano pisano a seguito di ricerche avviate nel 1981 è stato individuato l’insediamento in località Isola di Migliarino48, qui è stato rinvenuto materiale edile che dalle caratteristiche tipologiche e dai contesti di provenienza è assimilabile a quello rinvenuto nel Giardino dell’Arcivescovado.

Non si dispone di un numero elevato di reperti data la casualità dei rinvenimenti, inoltre, dato l’altissimo livello di frammentarietà, non è stato possibile fare dei raggruppamenti per base tipologica; si può solo stabilire che i coppi e le tegole adoperate nel sito erano quelle più comunemente diffuse nel mondo romano: il coppo a sezione grossolanamente semicircolare e la tegola trapezoidale con i margini convergenti e rastremati (vd. supra) E’ stato possibile documentare solo cinque esemplari di tegole; l’altezza dell’ala varia fra 4, 3 e 7 cm, mentre l’altezza del piano d’appoggio tra 1, 6 -3,2 cm:

- I gruppo: h totale cm = 4,3 e h piano d’appoggio = cm 2 - II gruppo: h totale cm = 5,8 e h piano d’appoggio = cm 2,1 - III gruppo: h totale cm = 6,5 e h piano d’appoggio = cm 1,6 - IV gruppo h totale cm = 6,8 e h piano d’appoggio l = cm 2,4 - V gruppo h totale cm = 7 e h piano d’appoggio = cm 3,2.

Le differenze metriche non sono da attribuire a molteplici produzioni, ma piuttosto a differenti finalità di utilizzo, forse legate a ripetuti restauri subiti dagli edifici del sito che ebbero vita lunga. Lo stesso vale per i mattoni: non sono state rilevate grosse varietà tipologiche, la disomogeneità metrica è sempre da attribuire ad interventi di manutenzione diacronici degli edifici. Di tali elementi costruttivi è stato possibile determinare un’unica misura: essi hanno uno spessore compreso tra 4,2 e 6,1 cm.

48 Per la storia delle indagini MENCHELLI- VAGGIOLI 1987, pp. 495- 516; MENCHELLI – VAGGIOLI 1988, pp.

147-151.

(24)

Fig. 36 - Materiale edilizio a Isola Migliarino; restituzione grafica dei 5 tipi di tegole ( MENCHELLI - VAGGIOLI 1988, p. 150).

La superficie inferiore dei mattoni, delle tegole e dei coppi si presenta scabra (legata all’essiccazione a contatto con il terreno), mentre quella superiore priva di disomogeneità, lisciata a stecca. Talvolta sul piano d’appoggio delle tegole e dei mattoni è possibile notare un solco rettilineo oppure ad andamento circolare impresso digitalmente; esso viene letto come segno convenzionale che i produttori lasciavano per questioni legate alla produzione o forse alla messa in opera.

Le analisi petrografiche confermano che il Bacino dell’Arno era il luogo di approvvigionamento della materia prima. Sono state individuate 11 paste ceramiche49:

- Il primo gruppo oltre a differenziarsi per la presenza d’inclusi di sabbia da fine a grossolana contiene frammenti di diabasi.

- Il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto gruppo hanno un’argilla siltosa con granelli di sabbia di dimensioni variabili, da fine a medio – grossa; il settimo gruppo contiene feldspati in maggior quantità rispetto ai quarzi.

- L’ottavo è caratterizzato da una pasta siltosa micacea con poca sabbia; il nono gruppo si differenzia dal precedente per le intercalazioni di diabasi.

- Il decimo gruppo contiene molti feldspati e plagioclasi. L’undicesimo gruppo è caratterizzato dalla presenza di un frammento litico arenaceo con foraminiferi50. In tutte le paste ceramiche sono presenti il quarzo e il plagioclasio elementi mineralogici presenti nei Monti Pisani.

Anche in questo caso non si dispone di una cronologia certa data l’assenza dei bolli sui manufatti, molto probabilmente essi sono da collocare in un periodo antecedente alla fondazione della Colonia Iulia Opsequens Pisana (vd. supra) o forse dato il raggio limitato della destinazione era superfluo l’utilizzo del marchio di fabbrica per prodotti indirizzati al mercato locale.

4.6.4. Coltano

Lo stesso tipo d’informazioni ci viene restituito dalle indagini effettuate negli anni ’80 a Coltano (Podere San Michele, Podere Isonzo e Podere Sasso Rosso). Tralasciando il

49 MENCHELLI - VAGGIOLI 1988, pp. 147 – 150.

50 Protozoi marini i cui gusci calcarei sovrapponendosi vanno a costituire le rocce sedimentarie di origine marina.

(25)

rinvenimento di quattro mattoni da colonna, un mattoncino da opus spicatum, un grosso nucleo di opus signinum e due mattonelle pavimentali litoidi, il materiale edilizio è costituito in massima parte da tegole e coppi51 anepigrafi, realizzato con argille e sabbie del bacino dell’Arno.

I reperti di Coltano sono stati trovati in associazione con ceramiche che restituiscono un range cronologico molto ampio 52(I secolo a.C. – V secolo d.C.), ma plausibilmente i materiali laterizi possono essere attribuiti all’età successiva alla centuriazione, quindi all’età augustea53.

Le tegole hanno una forma trapezoidale e i lati convergenti e rastremati; i lati minori presentano la risega (tipologia 1 di Settefinestre). La superficie talvolta appare lisciata o leggermente segnata da striature provocate dal passaggio nella sabbia; la superficie inferiore rimane scabra.

Esse in base alle dimensioni sono state suddivise in quattro gruppi:

- il primo ha h totale = cm 5, 8 e h del piano d’appoggio = cm 2, 2-3;

- il secondo ha h totale = 6,5-7,7 e h piano d’appoggio = 2,1-3;

- il terzo ha h totale = 7-7,6 e h piano d’appoggio = 3-3,5;

- il quarto ha h totale = 8-9 e h piano d’appoggio = cm 2,8-3,5.

In tutti e tre poderi la forma più attestata è quella appartenente al II gruppo; segue il III gruppo, poco rappresentati sono il primo e il quarto54.

I coppi presentano la tipica forma semicircolare con superficie superiore lisciata a stecca e l’inferiore non rifinita.

Su molti esemplari sono state evidenziate tracce già interpretate precedentemente (caso di Isola di Migliarino) come segni convenzionali la cui funzione si esauriva all’interno del ciclo produttivo (probabilmente segni di riconoscimento). Sono confrontabili con altri contrassegni presenti su materiali rinvenuti in località Santo Stefano ai Lupi e a Quercianella55: in quest’ultima località sono state rinvenute tombe di età romana costruite tramite l’utilizzo di embrici e tegole su cui vi è impresso un marchio di fabbrica di forma

51 MENCHELLI 1986, p. 125.

52 E’ stata rinvenuta ceramica a vernice nera databile al I secolo a.C., ceramica a vernice rossa interna datata all’età augustea- III secolo d.C. ; vasi a pareti sottili con un ampio spettro cronologico (età augustea – III secolo d.C.), terra sigillata italica e tardo italica fino alle importazioni di ceramica africana (III-V secolo d.C.).

53 MAZZANTI 1986, pp. 118 – 180.

54 Guardare le tabelle in MENCHELLI 1986, p. 129.

55 MANTOVANI 1884, p. 342; BANTI 1943, p. 101.

(26)

ellittica; lo stesso si ritrova sugli embrici messi in opera nei sepolcri di Santo Stefano ai Lupi.

La suddivisione più significativa è quella effettuata in base alle paste ceramiche; dalle analisi petrografiche si è potuto stabilire che tutte hanno in comune la presenza di quarzo, plagioclasi56, biotite57, areniti, siltiti ma in particolare si evidenziano nel primo e nel nono gruppo frammenti di diabase. Le paste del secondo e dell’ottavo gruppo contengono tracce di rocce micacee, litotipo localizzato nella formazione della Verruca.

Il terzo, quarto, quinto e sesto, e decimo gruppo vengono differenziati in base alla dimensione degli inclusi di sabbia ma non sono stati rintracciati elementi più caratterizzanti. Nelle paste del settimo si è rilevata una grossa presenza di feldspati, in quantità maggiore rispetto al quarzo. L’undicesimo gruppo contiene feldspati e plagioclasi, mentre il dodicesimo oltre quarzo e plagioclasi presenta frammenti litici arenacei foraminiferi. Tutti i gruppi provengono dallo stesso bacino di approvvigionamento, l’Arno.

Fig. 37 - Materiali edilizi rinvenuti a Coltano (MENCHELLI 1986, p. 127).

Stesse dinamiche di sviluppo e di produzione si riscontrano in quello che un tempo era la parte dell’Ager Pisanus meridionale: qui sono state individuate numerose officine ceramiche di età romana58, attive tra il II secolo a.C. e il II – III secolo d.C. Esse producevano tegole, coppi, bipedales, mattoni per opus spicatum, mattoni a quarto di cerchio per colonne in laterizi, tubuli a sezione circolare e quadrata59. La zona in cui s’installarono le figlinae disponeva delle materie prime necessarie alla conduzione dell’attività, ovvero acqua, argilla e legname; inoltre le attigue arterie stradali, l’Aurelia e

56 Contenuto nei feldspati.

57 La biotite, insieme alla muscovite è il minerale più importante del gruppo delle miche. Quest’ultime appartengono ai fillosilicati (CUOMO DI CAPRIO 2007, pp. 85 – 86).

58 Le informazioni di cui oggi si dispone sono frutto di sistematiche ricerche di superficie, dirette da M. Pasquinucci, combinate alle analisi minero-petrografiche effettuate da T. Mannoni e C. Capelli.

59 CHERUBINI – DEL RIO 1995 a), pp. 217-223; CHERUBINI – DEL RIO 1997, pp. 133-141.

(27)

l’Aemilia Scauri assicuravano il rapido trasporto di mezzi e prodotti all’interno del territorio (vd. paragrafo “Organizzazione dei centri produttivi”).

(28)

4.7. Materiali edili bollati di produzione pisana

Come già detto in precedenza, a partire dalla fondazione della colonia pisana ci furono dei cambiamenti strutturali all’interno delle figlinae. I materiali edilizi furono marchiati con bolli recanti il nome del proprietario del fundus, in alcuni casi dell’officinator e dello schiavo direttamente legato alla manifattura.

Dai casi riportati nella letteratura archeologica si ricava che la forma più diffusa è quella del bollo che riporta il nome del proprietario e dell’officinator. In nessun caso si trovano bolli circolari e i signa tipici della produzione urbana.

Dallo studio dei nomi riportati nei bolli si è potuto stabilire che parte delle figlinae erano legate ai fundi di proprietà dell’aristocrazia (Venuleii), borghesia pisana, per quanto riguarda invece i materiali più tardivi essi erano prodotti da importanti artigiani legati alla produzione di terra sigillata tardo italica (Rasinii, Nonii).

(29)

4.7.1. Figlina dei Petillii

Nella località Pian dei Pinoli, presso Rio delle Basse, è stato individuato un insediamento romano di vaste dimensioni: il sito ha restituito ben quattro reperti bollati, tre prodotti dalla stessa figlina e uno che si differenzia dal resto. La tegola riporta all’interno del cartiglio un testo disposto su un’unica riga composto da lettere rilevate60, Dini C Pet.

Fig. 38 - Bollo rinvenuto a Pian dei Pinoli (MENCHELLI 2001, pp. 197 – 198).

Il corpo ceramico è rosa, abbastanza compatto, con numerosi inclusi di varia grandezza (da minuti a grandi) rosso-bruni e grigi. La superficie superiore, perfettamente lisciata a stecca, presenta uno schiarimento di cottura biancastro. L’impressione del cartiglio è abbastanza profonda e nitida. Le lettere, impresse capovolte, hanno un’altezza pari a 2,4- 2,5 e sono racchiuse nel cartiglio che ha un’altezza pari a 3 cm (la lunghezza massima conservata è di 13 cm).

Pur avendo numerose attestazioni di Dinius come gentilizio in questo caso deve essere considerato come cognomen servile, espresso al genitivo, mentre l’abbreviazione Pet, impressa capovolta, è stata sciolta nel nome Pet(illius).

Tale nome gentilizio apparteneva ad una delle famiglie pisane che viene menzionata nei Decreta Pisana (vd. cap. succ.).

Non si hanno ulteriori testimonianze di rinvenimenti riferibili alla figlina dei Petillii, il suo range di attività si stabilisce tramite lo studio del contesto archeologico di Pian dei Pinoli e tramite la testimonianza epigrafica CIL XI, 1, 1420 – 21.

60 MENCHELLI 2001, p. 184.

(30)

Fig. 39 - Individuazione della località di rinvenimento dei materiali edili.

(31)

4.7.2.Figlinae di M.Appius

I successivi tre reperti, trovati sempre in località Pian dei Pinoli, presso Rio delle Basse (vd.

figura precedente) hanno come comune denominatore l’officinator Euhemer(us): si tratta di tegole con caratteristiche fisiche e tecniche simili61.

1)

2)

3)

Fig. 40 - Bolli laterizi appartenenti alla produzione di Euhemerus provenienti dal sito Pian dei Pinoli (MENCHELLI 2001, p. 198).

1) Euhemer(us) M() A( ) S(ervus) / f(ecit) Salvius 2) Euhemer(us) S(ervus) / f(ecit) Epa(phr)a 3) [---]M()A(ppius) S(ervus) / [f(ecit) Epaph]ra

Ulteriori ritrovamenti sono stati effettuati nelle immediate vicinanze di Rio delle Basse, in località Salviano. Il contesto archeologico costituito da un’area molto ampia ad alta diffusione di materiali ceramici (interpretata come villa) ha restituito un laterizio prodotto

61 MENCHELLI 2001, p. 183 e p. 186.

(32)

nella figlina di Euhemerus. Nonostante il pezzo sia molto lacunoso è chiaramente leggibile il nome del servus Salvius.

Fig. 41 - Bollo laterizio attribuibile alla figlina di Euhemerus rinvenuto in località Salviano. Su di esso si legge [---]r[f(ecit)] Salvius (MENCHELLI 2001, p. 198).

Fig. 42 - Localizzazione del sito di rinvenimento del materiale edile prodotto dal servus Salvius.

Le quattro tegole recano un cartiglio di forma rettangolare a lettere rilevate con il testo disposto su due righe. L’impressione dei caratteri è profonda e netta, segno dell’ottimo stato del punzone, ad eccezione di 2) in cui il testo è pressappoco percepibile. La pasta ceramica si presenta di colore arancione con inclusi rossastri di varia misura (da minuti a grandi). L’ottimo livello di produzione si nota dall’accuratezza del trattamento della superficie sottoposta ad uno schiarimento di cottura biancastro o giallastro (4) e alla lisciatura a stecca.

La formula onomastica utilizzata in questi frammenti laterizi è quella più comunemente impiegata in età tardo repubblicana ed augustea:

servus (al nominativo) + patronus (al genitivo) + servus (al nominativo) La frammentarietà dei pezzi e l’eccessiva abbreviazione dei nomi provoca l’insorgere di numerosi dubbi di lettura. Allo stato attuale degli studi esistono due ipotesi sul nome del patronus. La Dottoressa Simonetta Menchelli scioglie l’abbreviazione in Pamphili(enus).

(33)

Mentre il Dottor Marco Firmati e il Professore Daniele Manacorda vedono nella stessa abbreviazione la sigla di Marcus Appius omonimo o forse lo stesso patronus della figlina retta da Barae(us). Tra le due aste oblique della M si vede un’asta di piccole dimensioni che potrebbe essere letta come una I nana: tale soluzione conduce a sciogliere la sigla nel prenomen Appi e nomen M(arci). Anche per l’identità di un servus esistono dubbi d’interpretazione: la Menchelli sostiene che la versione integrale sia Epaphra, mentre Firmati Epagathus62 nome grecanico maggiormente diffuso.

Il nome Euhemer(us) compare anche su alcuni laterizi rinvenuti tra le rovine di una villa maritima che sorge sulla punta nordorientale dell’Isola d’Elba, sul promontorio di Capo Castello63. Lo scavo, effettuato nel 1999 dalla Soprintendenza Archeologica della Toscana, ha restituito una porzione di tegola con bollo frammentario64; il testo è distribuito su un’unica riga ed è racchiuso in un cartiglio rettangolare che misura 2,6 x 9,2 cm ca. ; le lettere hanno un’altezza pari a 1,9 cm. Il testo è stato integrato dal Firmati nel modo seguente: [Euhem]er(us)/M(arci)Appi s(ervus).

Fig. 43 - Il bollo di Euhemerus rinvenuto durante lo scavo della villa romana di Capo Castello all'isola d'Elba (FIRMATI 2004).

Questa testimonianza archeologica si va ad unire alle fonti documentarie del XIX secolo relative alle scoperte di Capo Castello da cui provenivano numerosi laterizi bollati: di alcuni rimangono i disegni lasciati dal Mellini e dal Jervis. Tramite uno degli schizzi dell’ultimo si conosce la forma integrale del laterizio precedente:

62 FIRMATI 2004, p. 180.

63 FIRMATI 2004, pp. 171-185.

64 FORCELLINI 1865.

(34)

Fig. 44 - Disegno di bollo recante il nome dell’officinator Euhemerus rinvenuto nell’isola di Capo Castello ( FIRMATI 2004, p. 184).

Come si può notare dalla figura 42 si ripetono le caratteristiche già riscontrate negli esemplari di Livorno, ovvero il cartiglio rettangolare, le legature che interessano il nome del dominus e le lettere V H E e M E, l’unica variazione è la mancata esplicitazione del nome del servus.

La villa di Capo Castello ha fornito maggiori informazioni concernenti lo sviluppo interno dell’officina di Euhemerus. Grazie ai disegni di Jervis si perviene alla notizia di un terzo lavoratore. Il suo nome è Carsimarus: il suffisso induce ad ipotizzare che l’uomo sia d’origine celtica65.

Fig. 45 - Disegno di bollo su tegola, in cui compaiono i nomi di Euhemerus e del servus Carsimarus (FIRMATI 2002, p. 179).

La formula del bollo è identica a quella dei laterizi provenienti dai dintorni di Livorno: esso riporta il nome del conductor seguito dal nomen e praenomen del dominus al primo rigo, mentre sul secondo l’espressione del verbo abbreviata precede il nome servile dell’officinator.

Il Firmati nell’articolo del 2004 fa riferimento ad ulteriori ritrovamenti di bolli recanti il nome dell’officinator Carsimarus nell’agro lucense rimandando all’articolo ANDREOTTI–

CIAMPOLTRINI 1990–1991. Si nota una netta incongruenza poiché nell’articolo citato si fa menzione esclusivamente dei bolli con i nomi di Salvius e Epaphra (o Epagatus). Ancora Firmati aggiunge un’altra attestazione con il nome Carsimarus presente su un bollo rinvenuto a Sarzana (CIL XI 6689, 95). In esso sono leggibili le prime tre lettere della prima riga e distintamente le prime tre della seconda. Ne viene fatta la seguente lettura:

Euh[emer(us) M(arci) Appi s(ervus)]finx(it) [Carsimarus]66.

65 FIRMATI 2004, p. 179.

66 Nel CIL le lettere CAR vengono sciolte in Caralibus, inteso come nome di un luogo.

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