• Non ci sono risultati.

Capitolo 2 L’evoluzione normativa dei fondi pensione in Italia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 2 L’evoluzione normativa dei fondi pensione in Italia"

Copied!
34
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 2

L’evoluzione normativa dei fondi pensione in Italia

1 Introduzione

In questo capitolo si analizza l’evoluzione della normativa nell’ambito della previdenza obbligatoria e complementare in Italia, con particolare riguardo ai seguenti riferimenti normativi:

- D. Lgs n. 503 del 30 dicembre 1992 - D. Lgs. n. 124 del 21 aprile 1993 - Legge n. 335 dello 08 agosto 1995 - D. Lgs. N. 47 del 18 febbraio 2000 - Legge N.243 del 21 settembre 2004 - D. Lgs n. 252 dello 05 dicembre 2005

L’inizio degli anni Novanta è caratterizzato da un grande deficit pubblico, trascinato da un importante debito previdenziale tanto che il sistema pubblico a ripartizione non è più in grado di assicurare le prestazioni alle giovani generazioni. A partire dai primi anni novanta si susseguono una serie di riforme per ripristinare la stabilità del sistema.

La prima importante riforma del 1992, che si muove nella direzione di portare ordine al sistema previdenziale, è seguita da un decreto che cerca di far fronte alla crisi della finanza pubblica e del sistema previdenziale pubblico con la realizzazione di un sistema di previdenza complementare.

La seguente riforma Dini, del 1995, modifica radicalmente il sistema in quanto prevede l’abbandono del sistema retributivo e l’adozione del metodo contributivo, generando un basso livello di copertura previdenziale obbligatoria.

I successivi interventi sono volti al contenimento della spesa pensionistica e al ripristino dell’equilibrio, sempre più precario a causa dell’arrivo all’età pensionabile da parte di generazioni consistenti (la generazione del baby boom) e della grave crisi demografica.

(2)

Nel 2004 il Governo inizia a discutere un progetto incentrato sullo sviluppo della previdenza integrativa, arrivando ad approvare il decreto legislativo del 2005; questa riforma chiave del sistema previdenziale aumenta l’entità dei flussi destinati alle forme pensionistiche complementari attraverso una favorevole disciplina fiscale, la tutela degli iscritti, ma soprattutto mediante il dirottamento automatico del TFR alla previdenza complementare, pur prevedendo il principio della “libertà di scelta”.

L’analisi che segue descrive in dettaglio le riforme del sistema previdenziale in Italia a partire dal 1992.

2 La riforma Amato de1 1992

La riforma Amato - decreto legislativo 30 dicembre 1992, n° 503- è la prima delle riforme previdenziali degli anni Novanta: rappresenta il primo intervento organico con le finalità di garantire l’equità intra e inter generazionale e la riduzione della spesa previdenziale.

Il primo intervento della riforma riguarda le pensioni di anzianità1: il legislatore ne ha prevista l’erogazione con il raggiungimento di 35 anni di contribuzione unitamente ad almeno di 57 anni di età e il loro blocco negli anni 1992 e 1994 (cfr. Ciocca, 2005).

La riforma Amato è inoltre intervenuta per ristabilire un legame tra contributi e pensione: tale mancata corrispondenza insieme all’aumento delle pensioni costituiscono due cause che hanno favorito il fenomeno del pensionamento anticipato e che hanno alimentato la crisi finanziaria del sistema previdenziale.

Per quanto riguarda le pensioni di vecchiaia il requisito contributivo per il calcolo della pensione viene fissato agli ultimi 10 anni per i lavoratori dipendenti, agli ultimi 15 anni per gli autonomi, mentre per i lavoratori con meno di 15 anni di contribuzione la riforma ha previsto che la pensione venga calcolata sull’intera vita lavorativa.

L’età pensionabile viene elevata gradualmente: a partire dal 1° gennaio del 2000 l’età richiesta per il pensionamento di vecchiaia per le donne è 60 anni2, e per gli uomini 65 anni.

1 Le pensioni di anzianità prima del 1992 erano erogate a coloro che hanno 35 anni di contribuzione e

sono ritenute responsabili della crisi finanziaria degli enti previdenziali.

(3)

Per diminuire la spesa pensionistica il decreto legislativo in esame ha imposto il divieto parziale di cumulo tra pensione e lavoro autonomo e ha fissato la rivalutazione con cadenza annuale -non più semestrale- delle pensioni all’indice dei prezzi al consumo calcolato dall’ISTAT.

Lo schema seguente riporta in sintesi le principali novità introdotte dalla riforma Amato del 1992 per contenere la spesa pensionistica.

Riforma Amato 1992

PENSIONI

Rivalutazione delle pensioni all’indice ISTAT dei prezzi al consumo e non più alla dinamica salariale

Rivalutazione delle pensioni con cadenza annuale e non più semestrale

Blocco delle pensioni di anzianità nel 1992 e poi nel 1994

NUOVI REQUISITI

Requisiti per la pensione di anzianità sono 35 anni di contribuzione e raggiungimento di 57 anni di età.

Innalzamento dell’età pensionabile (60 anni per le donne e 65 per gli uomini)

Aumenta il periodo di riferimento per il calcolo della pensione (ultimi 10 anni di retribuzione)

Aumenta il requisito contributivo da 15 a 20 anni per le pensioni di vecchiaia.

Per i lavoratori con meno di 15 anni di contribuzione la pensione è calcolata sull’intera vita lavorativa

(4)

3 Il D. Lgs 124/1993

3.1 Istituzione dei fondi pensione

A distanza di poco tempo, durante il governo Amato, è stata varata la prima legge sulla previdenza complementare in quanto la previdenza pubblica doveva necessariamente ridimensionarsi per riequilibrare i conti pubblici e rispettare i principi stabiliti dal trattato di Maastricht. Le crescenti preoccupazioni riguardanti la minore copertura delle pensioni erogate dal sistema pubblico hanno portato il governo a prevedere “più elevati livelli di copertura previdenziale” mediante l’istituzione del secondo pilastro, ovvero i fondi pensione che rappresentano forme di investimento collettivo di risorse finanziarie finalizzate a erogare una pensione aggiuntiva e complementare a quella elargita dagli Istituti di previdenza obbligatoria (cfr. Candian 1998).

Analizziamo adesso nel dettaglio le novità apportate dalla riforma che disciplina la contribuzione, la gestione, la vigilanza delle forme di previdenza complementari e l’erogazione delle prestazioni, con attenzione particolare alla tassazione della previdenza complementare.

Il decreto legislativo n. 124 del 28 aprile 1993 ha istituito i fondi pensione su base collettiva a cui i lavoratori possono iscriversi facoltativamente: tale decreto è stato emanato in attuazione della Legge Delega n. 421 del 23/10/1992 con la finalità di “integrare” il sistema previdenziale pubblico di base a ripartizione con un sistema pensionistico complementare a capitalizzazione (cfr. Brambilla 2007).

Il meccanismo della capitalizzazione prevede che i contributi versati dal lavoratore sono investiti nei mercati finanziari; in ogni periodo il capitale viene aumentato degli interessi maturati in modo che anche questi producano interessi nei periodi seguenti: il montante degli investimenti fornisce le risorse per il pagamento delle prestazioni a partire dalla data di pensionamento.

Un fondo pensione è quindi da un lato uno strumento previdenziale e dall’altro uno strumento finanziario (cfr. Liera 2005). L’articolo 3 del D. Lgs 124 istituisce i fondi chiusi 3 e indica come loro fonti istitutive i contratti e gli accordi collettivi.

3 I fondi chiusi possono essere costituiti solamente nella forma di associazione riconosciuta o non

(5)

Nella riforma si distingue tra vecchi e nuovi lavoratori, sulla base della data di assunzione precedente e seguente il 28 aprile 1993. Per i vecchi lavoratori l’adesione volontaria ad un fondo pensione riguarda solo una quota del TFR maturando, stabilita nel contratto di lavoro; la rimanente quota resta in azienda. I nuovi lavoratori invece devono versare tutto il TFR maturando al fondo.

Per favorire la diffusione di questi strumenti la riforma ha:

- incentivato fiscalmente al risparmio destinato ai fini previdenziali;

- uniformato il trattamento tra i possibili gestori dei patrimoni dei fondi pensione, e quindi garantito una maggiore concorrenza tra gli stessi gestori. Il trattamento fiscale più favorevole per i fondi pensione trova giustificazione anche nel fatto che essi rappresentano una forma di risparmio vincolato a lungo termine. (cfr. Trimarchi 1998). La normativa, però, pur apportando un importante contributo alla previdenza complementare, non è stata in grado di far decollare il secondo pilastro principalmente per tre motivi:

- il decreto ha bloccato qualsiasi ulteriore iscrizione a forme pensionistiche preesistenti;

- la tassazione iniziale del 15% sui contributi versati

- il legame tra fondi pensione e TFR4: il TFR è trasferito ai fondi pensione per integrare la prestazione di base e al termine del rapporto di lavoro il lavoratore non può più usufruirne (cfr. Ciocca 2005).

4

Il Trattamento di fine rapporto (TFR) è una forma di retribuzione differita, corrisposta dal datore di lavoro al lavoratore al momento in cui cessa il rapporto di lavoro: è definita come la somma, calcolata sommando per ciascun anno di lavoro una quota pari al 6,91 % della retribuzione lorda, rivalutata al 31 dicembre di ogni anno con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo Istat.

(6)

3.2 I principali aspetti della tassazione dei fondi pensione (D. Lgs 124 del 1993)

La tassazione della previdenza complementare è articolata in tre fasi:

1. La fase della contribuzione, ovvero il regime tributario applicabile ai contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori che confluiscono ai fondi pensione (tassazione dei contributi);

2. La fase di gestione, ovvero la fase dell’accumulo di ricchezza in capo al fondo in seguito alla gestione dei contributi, durante il periodo di contribuzione e quello di erogazione delle prestazioni (tassazione dei redditi da capitale);

3. La fase dell’erogazione delle prestazioni previdenziali, che possono assumere la forma di capitale o di rendita annuale (tassazione delle prestazioni); Le suddette fasi devono essere considerate congiuntamente per valutare il grado di agevolazione dei fondi pensione stabilito dalla riforma rispetto alle altre forme di impiego del risparmio (cfr. Giannini e Guerra, 2003).

Fase di accumulazione

Il limite massimo di contribuzione, che comprende il TFR, i versamenti dei lavoratori e del datore di lavoro, è fissato al 10% della retribuzione.5

Il D. Lgs 124/93 ha previsto un’imposta pari al 15% sui contributi versati con relativo credito d’imposta sulle prestazioni: tale misura, sebbene sia neutrale sotto il profilo temporale, viene percepita come un aggravio di imposta.

Il regime tributario è differente a seconda se il contributo è a carico dell’azienda o del lavoratore: per i contributi versati dal lavoratore è prevista una detrazione dall’imposta pari al 27% fino a 3 milioni di Lire (incluse le polizze individuali) se almeno 500 mila Lire sono versate ai fondi, mentre i contributi del datore di lavoro sono deducibili nel limite del 50% del TFR utilizzato e comunque non oltre il 10% della retribuzione (limite massimo di contribuzione). La detrazione rispetto alla piena deducibilità ha avuto come obiettivo quello di contenere le perdite di gettito e di non discriminare i lavoratori in ragione della loro aliquota marginale.

5

(7)

Fase di gestione

È prevista la tassazione in capo al fondo pari allo 0,25% del patrimonio.

Fase di erogazione

La normativa fiscale distingue tra prestazione erogata sotto forma di capitale e quella erogata sotto forma di rendita.

La pensione erogata sotto forma di capitale è soggetta a tassazione separata con un credito d’imposta pari ai 15/85 dei contributi. Per le rendite è prevista una tassazione ordinaria con relativo credito d’imposta pari ai 15/85 dei contributi (Art 13, comma 7).

Al momento del pensionamento il lavoratore può ottenere la liquidazione di una quota del capitale maturato non superiore al 50% sotto forma di capitale e la parte rimanente sotto forma di rendita.

Riassumendo:

D. LGS. 124/1993

Il contratto o l’accordo collettivo come fonte istitutiva dei fondi chiusi

La libera adesione al fondo del lavoratore (anche se esiste un fondo di categoria o in azienda il lavoratore deve manifestare il proprio consenso) e conferimento obbligatorio del TFR per i nuovi assunti

Limite massimo di contribuzione fissato al 10% della retribuzione un’imposta preliminare pari al 15% sui contributi versati con relativo credito d’imposta

una detrazione dall’imposta del 27% fino a 3 milioni di lire (incluse le polizze individuali) se almeno 500 mila lire sono versati ai fondi pensione

imposta sul fondo pari allo 0,25% sul patrimonio

Le prestazioni sotto forma di capitale sono soggette a tassazione separata, mentre quelle sotto forma di rendita a tassazione ordinaria con relativo credito di imposta pari ai 15/85 dei contributi

Al momento del pensionamento il lavoratore può ottenere la liquidazione di una quota del capitale maturato non superiore al 50%

(8)

Il D. Lgs 124 del 1993 contiene gravi lacune che, di fatto, hanno impedito la costituzione dei fondi pensione: da un lato la riforma non tutela i diritti degli iscritti6, e la concorrenza tra gli intermediari dei gestori dei fondi, dall’altro lato il regime tributario dei fondi pensione è fortemente penalizzante. Ai fondi pensione sono state preferite altre forme di previdenza complementare, come assicurazioni private, anch’esse avvantaggiante dalla detrazione fiscale prevista dalla normativa.

La legge n. 335 del 1995 ha cercato di porre rimedio alle mancanze della riforma del 1993 prevedendo la titolarità delle risorse e degli obblighi in capo ai fondi pensione, la concorrenza tra gli intermediari e la razionalizzazione della tassazione dei fondi pensione (cfr. Santececca 1998).

4 La riforma Dini del 1995

La legge quadro di riforma del sistema previdenziale obbligatorio del 1995, conosciuta come riforma Dini7, ha apportato numerose innovazioni tra cui la flessibilità e l’innalzamento dell’età pensionabile che è unificata per gli uomini e le donne: infatti, il lavoratore può scegliere di andare in pensione tra i 57 e i 65 anni. La pensione di anzianità è assorbita dalla pensione di vecchiaia contributiva, a cui è possibile accedere con almeno 40 anni di anzianità contributiva (cfr. Peterlini 2003).

Ma il primo importante cambiamento storico riguarda l’introduzione di un nuovo sistema per il calcolo delle prestazioni pubbliche che non si basa più sul vecchio sistema retributivo, ma bensì sui contributi versati durante tutta la vita lavorativa. A partire dal primo gennaio 1996, infatti, sulla base del numero di anni di contributi già versati dai vari lavoratori italiani all’INPS si distinguono tre sistemi di calcolo: retributivo, misto e contributivo.

Il sistema retributivo interessa i lavoratori che al 31 dicembre 1995 hanno maturato almeno 18 anni di anzianità contributiva. Nel momento in cui questi soggetti hanno raggiunto i requisiti, anagrafici o contributivi, per l’ottenimento della prestazione pensionistica l’importo di questa sarà calcolato con la seguente formula:

6 In quanto non prevedeva la responsabilità in capo ai fondi pensione per l’utilizzo delle risorse. 7

(9)

rivalutata media ne retribuzio 2% one contribuzi di anni Pensione = × ×

La retribuzione media è calcolata come media delle retribuzioni degli ultimi 5 anni rivalutate con l’indice ISTAT del costo della vita (cfr. Cesari, 2007).

Il sistema contributivo per il calcolo dell’importo delle prestazioni pensionistiche, invece, riguarda coloro che hanno cominciato a lavorare dallo 01/01/1996.

L’aliquota contributiva è per i lavoratori dipendenti del 33% mentre per quelli autonomi è del 20%; i contributi versati sono capitalizzati al tasso di crescita medio del PIL nominale degli ultimi 5 anni.

Si ottiene così il montante contributivo individuale: questo viene poi moltiplicato per un coefficiente di trasformazione variabile in base all’età pensionabile per ottenere la rendita pensionistica annua.

Il sistema misto riguarda i lavoratori che alla data del 31/12/1995 hanno maturato meno di 18 anni di anzianità contributiva e la loro pensione pubblica sarà determinata pro rata, utilizzando entrambi i criteri: la pensione si ottiene sommando la componente pensionistica calcolata secondo il sistema a ripartizione per l’anzianità contributiva esistente fino a fine 1995, e quella a capitalizzazione per l’anzianità contributiva acquisita dopo il 1995.

La riforma Dini che ha armonizzato il regime speciale e generale, mantenendo comunque il pluralismo degli enti previdenziali può essere così sintetizzata.

RIFORMA DINI DEL 1995

Passaggio da un sistema retributivo ad un sistema contributivo, che considera i contributivi dell’intera vita lavorativa

Parificazione dei requisiti per le pensioni del settore pubblico e privato Flessibilità e innalzamento dell’età pensionabile

Pensioni di anzianità assorbite in quelle di vecchiaia contributiva

4.1Le novità apportate dalla legge 335 del 1995 sui fondi pensione

La legge 335 del 1995 ha introdotto novità non solo relativamente al regime tributario: infatti, ha individuato nei soci e nei lavoratori delle cooperative, che nelle

(10)

riforme precedenti non erano menzionati, nuovi soggetti che possono aderire ai fondi pensione e ha ampliato i soggetti abilitati alla gestione (per esempio le assicurazioni sono equiparate agli altri gestori).

Vengono introdotti i fondi aperti in cui, a differenza degli altri tipi di fondi pensione, l’attività costitutiva e organizzativa non è separata dalla gestione del patrimonio del fondo: questi ricoprono una funzione residuale in quanto vi possono aderire, anche collettivamente, quei lavoratori per i quali non esistono fondi chiusi.

La riforma Dini ha istituito la COVIP per una corretta e trasparente amministrazione e gestione dei fondi pensione: la riforma all’articolo 16 è chiara nel definire la COVIP come un’autorità autonoma ed indipendente8.

Un obiettivo della riforma oltre al contenimento della spesa pubblica è quello di agevolare le forme pensionistiche complementari, obiettivo che viene raggiunto attraverso la disciplina fiscale, che esamineremo tra breve, e con l’introduzione della “portabilità”, che consente di trasferire l’intera posizione individuale ad un altro fondo pensione in caso di modificazione dell’attività lavorativa e dopo un periodo di tre anni di permanenza9.

La precedente riforma, come abbiamo detto nei paragrafi precedenti, non era riuscita a far decollare la previdenza complementare anche a causa del regime fiscale; la riforma Dini pertanto ha modificato profondamente il trattamento fiscale dei fondi pensione.

Per semplificare si considerano divise le fasi di accumulazione, di gestione e di erogazione.

Fase di accumulazione

Per analizzare la disciplina fiscale relativa ai contributi si deve distinguere tra contributi versati dal lavoratore e quelli a carico del datore di lavoro, avendo riguardo alle diverse disposizioni per i vecchi e i nuovi iscritti (sono nuovi iscritti quelli che hanno aderito al fondo dopo il 28 aprile 1993).

La legge in esame ha modificato in modo radicale le disposizioni stabilite dal decreto 124 del 1993: il sistema fiscale della detrazione è sostituito dalla deduzione

8 Viene così modificata la precedente dicitura secondo la quale la commissione di vigilanza è un organo

del Ministero del lavoro.

(11)

anche per i contributi del lavoratore -cosicché l’imponibile della retribuzione viene diminuito di un importo pari al contributo versato dal lavoratore dipendente- con una piccola differenza tra vecchi iscritti e nuovi iscritti.

I contributi versati dai nuovi iscritti sono sottoposti ad una limitazione (che non interessa i “vecchi” iscritti) in quanto non concorrono alla formazione del reddito imponibile fino al 2% della retribuzione, con un limite massimo di 2,5 milioni di lire.

È importante sottolineare che la deducibilità è subordinata al “dirottamento della quota di TFR al fondo” ovvero a condizione che le fonti istitutive del fondo “prevedano la destinazione alle forme pensionistiche complementari di quote di TFR almeno pari all’ammontare del contributo erogato”.

I contributi a carico del datore di lavoro per i vecchi iscritti rappresentano una componente di costo deducibile mentre quelli a favore dei nuovi iscritti sono deducibili per un importo non superiore al 2% della retribuzione annua complessiva e comunque per un importo non maggiore di 2,5 milioni di Lire.

Per i lavoratori dipendenti i contributi a proprio carico e a carico dell’azienda non possono superare il 2% della retribuzione annua, e l’importo di 2,5 milioni ciascuno10.

Il legame tra fondo pensione e TFR è mantenuto dalla legge 124 del 1993: lo smobilizzo completo del trattamento di fine rapporto è obbligatorio (6,91% della retribuzione) per i nuovi assunti e non è assoggettabile a imposizione.

Fase di gestione

L’imposta sostitutiva, fissata inizialmente allo 0,25% sul patrimonio del fondo11 è sostituita da un’imposta fissa di 10 milioni di lire annui (5 milioni per i primi 5 anni di vita del fondo) (cfr. Candian 1998).

Questa novità grava pesantemente sui fondi piccoli in quanto la tassazione è fissa e non una quota del patrimonio del fondo.

Le ritenute fiscali sui redditi da capitale sono a titolo di imposta: in particolare l’aliquota applicata alle cedole dei titoli obbligazionari è del 12,5% mentre quella sui dividendi azionari è del 15%.

10 I contributi sia del lavoratore sia del datore di lavoro, oltre al TFR, sono deducibili ciascuno fino al 2%

del reddito con limite massimo di 2,5 milioni di lire.

(12)

Fase di erogazione

L’esenzione prevista in fase di accumulazione è in questa fase recuperata.

Nel caso di prestazioni in forma di capitale le somme corrisposte rappresentano per il beneficiario un reddito da lavoro e sono assoggettate a tassazione separata; la base imponibile per i vecchi iscritti è data dal montante maturato al netto dei contributi a carico del lavoratore fino al 4% annuo della retribuzione.

Per i nuovi iscritti è prevista un’ulteriore riduzione di 500.000 lire.

Nel caso invece di prestazioni in forma di rendita il legislatore non ha distinto tra nuovi e vecchi iscritti ed ha previsto che solo l’87,5% del reddito concorre a determinare l’imponibile del percettore soggetto a imposta progressiva (IRPEF), per tener conto della componente derivante da proventi finanziari sui contributi versati e già assoggettati a tassazione nella fase di accumulazione.

In sintesi la riforma ha previsto quanto segue:

Fondi pensione-legge 335 del 1995

I contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro sono deducibili con limite fissato al 2% del reddito e comunque per un importo non superiore ai 2,5 milioni di lire ciascuno

I contributi non sono devono essere superiori al 10,91% della retribuzione, comprensivi del TFR, e del contributo del lavoratore (massimo 2% del reddito) e del datore di lavoro (massimo 2% del reddito)

Deducibilità dei contributi dei lavoratori e dei datori di lavoro subordinata al trasferimento del TFR al fondo

Imposta fissa sul patrimonio di 10 milioni di lire all’anno

Le prestazioni in forma di rendita costituiscono reddito imponibile per l’87,5%

5 Il D. Lgs n. 47 del 18 febbraio 2000

Tra il 1995 e il 2000 si susseguono una serie di riforme con differenti finalità. La prima è il decreto legislativo 30 giugno 1994, che riguarda la riforma degli Enti previdenziali pubblici: nel 1994, infatti, viene istituito l’INPDAP, l’Istituto nazionale di

(13)

previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica, che assorbe tutti gli enti preesistenti con le finalità di semplificare la gestione, migliorare l’efficacia del sistema e ridurre i costi.

Il Decreto legislativo n. 47 del 18 febbraio del 200012 ha come finalità quella di garantire la neutralità del regime tributario, affinché il risparmiatore sia indifferente su quale forma di previdenza complementare prediligere. Per fare ciò la riforma ha previsto un unico regime fiscale per tutte le forme che può assumere la previdenza complementare13.

I contributi sono deducibili fino al 12% del reddito e per un importo non superiore a 5164,57 euro: il limite fissato al 12% vincola la capacità contributiva di chi ha redditi bassi.

Accanto ad una tassazione più favorevole (11%) sul risultato netto di gestione14, si affianca la tassazione delle prestazioni al netto dei rendimenti finanziari già tassati in capo al fondo nella fase di accumulazione.

La fase dell’erogazione delle prestazioni è penalizzata fiscalmente: per le prestazioni sotto forma di capitale è prevista una tassazione separata con aliquota calcolata come media degli ultimi 5 anni, a condizione che sia prelevato il 30% del montante finale; la parte restante e la prestazione sotto forma di rendita sono soggette a tassazione ordinaria.

I rendimenti che maturano nella fase di erogazione delle prestazioni sono tassati con aliquota del 12,5%.

Il decreto in esame consente anche ai soggetti non titolari di reddito di lavoro e a soggetti a carico del lavoratore di aderire alla previdenza complementare; inoltre, se da un lato ha introdotto i “piani di previdenza individuali”, ai quali può aderire il lavoratore dipendente con un massimo di 10 milioni e comunque con una somma non superiore al

12

In attuazione della delega contenuta nella legge 133 del 1999.

13 Il regime tributario privilegiato è subordinato al riconoscimento della natura previdenziale della forma

di risparmio.

14 Il fondo non è più tassato con un’imposta fissa come previsto dalla legge 335 del 1995, mentre la

deducibilità dei contributi diventa più generosa. La tassazione della plusvalenza con aliquota dell’11% ha generato una fuga d’investimenti dai fondi italiani a quelli esteri, dove lo schema di tassazione è EET.

(14)

12% del reddito, dall’altro ha di fatto penalizzato gravemente il terzo pilastro15 con l’eliminazione della detraibilità fiscale delle polizze vita. (cfr. Brambilla, 2007)

Infine la legge ha generato una divisione nel mondo della previdenza: da una parte i piani individuali previdenziali sono controllati dall’ISVAP e dall’altra i fondi pensione negoziali e aperti sono controllati dalla COVIP.

6 La legge 243 del 2004

Per limitare la spesa pensionistica, vista la grave crisi demografica, la legislazione è intervenuta aumentando i requisiti per l’accesso alle prestazioni, e introducendo i cosiddetti “bonus” per incentivare la permanenza al lavoro e la certificazione dei diritti pensionistici affinché a parità di contributi corrisponda un’uguale prestazione. Ma procediamo con ordine.

La legge 243 del 2004 ha stabilito che a partire dal 1 gennaio 2008 la pensione di vecchiaia16 calcolata secondo il metodo contributo è erogata con:

- 60 anni per le donne e 65 per gli uomini

- 40 anni di contribuzione a prescindere dall’età.

Per la pensione di anzianità è previsto il famoso “scalone”.

A partire dal 2008 aumenta il requisito anagrafico: per i lavoratori dipendenti (art.1 comma 6) sono previsti negli anni 2008-2009 35 anni di contributi e 60 anni di età; per gli anni 2010- 2013 sono previsti invece 35 anni di contributi e 61 anni di età e nel 2014 35 anni di contributi e 62 anni17. È comunque previsto che si possa ottenere la prestazione con 40 anni di contribuzione a prescindere dall’età.

15

Il terzo pilastro è rappresentato dalle polizze vita e dai fondi comuni per l’integrazione previdenziale individuale.

16 Per chi matura i requisiti per l’erogazione della pensione di vecchiaia entro il 31 dicembre 2007 il

sistema di calcolo adottato è quello vigente prima dell’entrata in vigore della nuova legge. Tali requisiti per i lavoratori dipendenti sono 35 anni di contribuzione unitamente a 57 anni di età, o 39 anni di anzianità contributiva. Per i lavoratori autonomi il requisito concernente l’età anagrafica è aumentato di 1 anno.

17

(15)

Il bonus di cui abbiamo parlato poco sopra consente di proseguire il rapporto di lavoro oltre l’età prevista per la pensione di anzianità solo in caso di assenso del datore all’anno 2007: chi sceglie di proseguire l’attività lavorativa non paga i contributi e riceve nella busta paga un aumento pari alla contribuzione (32,7 dello stipendio lordo).

È prevista inoltre la Totalizzazione, attraverso la quale vengono sommate le varie quote versate nei diversi fondi previdenziali (per periodi superiori ai 6 anni) cosicché il lavoratore riceve così un’unica pensione. La riforma è diretta a chi ha versato i contributi in più fondi e non raggiunge il diritto alla pensione in nessun di essi; può usufruire di questa norma chi ha superato i 65 anni di età unitamente ad almeno 20 anni di contribuzione o chi ha un’anzianità contributiva di almeno 40 anni.

La riforma del 2004 istituisce il “Casellario centrale delle posizioni previdenziali attive” per la raccolta, la conservazione e la gestione dei dati e di altre informazioni relative ai lavoratori iscritti alla previdenziale obbligatoria.

Infine per sostenere e favorire lo sviluppo di forme pensionistiche complementari è prevista la parificazione tra le varie forme di risparmio previdenziale ed è eliminato gradualmente il divieto di cumulo tra pensione e redditi di lavoro.

7 Il decreto legislativo n. 252 del 2005

La vigente disciplina è contenuta nel D. Lgs n. 252/2005, che ha attuato la legge delega n. 243 del 2004; successivamente il decreto legge n. 279 del 2006 ha anticipato l’entrata in vigore della riforma al primo gennaio 2007, inizialmente prevista per il primo gennaio 2008. Il D. Lgs n. 252/2005, come si evince dall’art.1, ha come obiettivo quello di ridefinire la disciplina fiscale e di aumentare l’entità dei flussi di finanziamento alle forme pensionistiche complementari, mediante l’adesione ad un fondo pensione (ed un’eventuale sottoscrizione di una polizza pensionistica) per assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale a seguito del ridimensionamento del sistema pensionistico obbligatorio. È previsto che la quota di TFR maturando possa essere versata nei fondi pensione, insieme con eventuali contributi a carico del lavoratore o del datore di lavoro; la riforma interessa solo le quote maturande, mentre gli accantonamenti già presenti in azienda restano in essa e continuano a seguire la disciplina all'art. 2120 del codice civile.

(16)

L’adesione a forme pensionistiche integrative è libera e volontaria: questa è un’importante differenza tra il primo ed il secondo pilastro della previdenza. Il decreto ha stabilito che il lavoratore può lasciare il TFR in azienda o destinarlo ad un fondo negoziale o ad un fondo collettivo aperto; è prevista anche l’adesione ad un PIP (o piano individuale pensionistico gestito da banche o assicurazioni). Per i lavoratori di aziende con più di 50 dipendenti, il TFR maturando è trasferito ad uno specifico fondo dello Stato gestito dall’INPS. È necessario manifestare espressamente il rifiuto per evitare la destinazione del TFR alla previdenza complementare: la libertà è garantita proprio dalla possibilità non aderire ai fondi pensione.

Il lavoratore, per aderire alle forme pensionistiche complementari, ha 6 mesi dal 1° gennaio 2007 se già assunto a quella data, altrimenti ha sei mesi a partire dalla data di assunzione. Se il lavoratore non esprime la propria volontà il TFR viene automaticamente destinato alla previdenza complementare (principio del silenzio-assenso) alla forma pensionistica prevista dagli accordi collettivi o alla forma con il maggior numero di adesioni di lavoratori dell’azienda.

In caso di mancanza di un fondo previsto da accordi collettivi, il TFR passa ad un fondo istituito presso l'INPS (FondInps).

Gli accordi collettivi e aziendali spesso prevedono che il lavoratore e l'azienda versino al fondo pensione un contributo in aggiunta al TFR (dell'1% o del 2% della retribuzione); in caso di adesione tacita non è possibile avvalersi di tale beneficio.

È irreversibile la scelta di destinare il TFR a una forma di previdenza integrativa mentre è in qualsiasi momento reversibile la scelta di mantenere il TFR in azienda.

(17)

SCELTA ESPLICITA18 ENTRO 6 MESI IL LAVORATORE

ESPRIME LA SCELTA DI

SCELTA TACITA SE TRASCORSI I 6 MESI, IL LAVORATORE NON ESPRIME LA SUA

VOLONTÀ, IL DATORE DI LAVORO TRAFSERISCE IL TFR MATURANDO A

Conferire l’intero TFR a un fondo pensione (negoziale, regionale, aziendale, aperto), o ad un’altra forma di previdenza complementare (PIP), diretti dalla Covip.

Se in aggiunta il lavoratore partecipa con il minimo di contribuzione prevista dall’accordo collettivo ha diritto anche al contributo del datore di lavoro.

Lasciare il TFR maturando in azienda:  Se questa ha meno di 50 dipendenti19  Se l’azienda ha più di 50 addetti, il TFR confluisce al fondo statale gestito dall’INPS.

Fondo pensione previsto da accordi collettivi, salvo diverso accordo aziendale.

Forma pensionistica con il maggiore numero di adesioni di lavoratori dell’azienda, salvo diverso accordo aziendale.

Nel fondo residuale costituito presso l’INPS (FondInps), in caso di mancanza di una qualsiasi forma pensionistica complementare o in assenza di un accordo tra le parti.

18 Nel caso di lavoratori già iscritti prima del 28 aprile 1993 vale il meccanismo del “silenzio-assenso”

descritto poco sopra con la differenza che la scelta esplicata di mantenere il TFR in azienda qualora l’impresa abbia più di 50 addetti comporta la possibilità di trasferire il TFR maturando al fondo al quale era precedentemente iscritto.

19

(18)

7.1 La tassazione dei fondi pensione

I contributi (volontari o meno) versati dal lavoratore e dal datore di lavoro alle forme di previdenza complementare sono deducibili dal reddito dichiarato ai fini Irpef con un limite massimo di 5164,57 euro. La parte dei contributi per i quali il lavoratore non ha potuto beneficiare della deducibilità non sono tassati al momento dell’erogazione delle prestazioni pensionistiche20.

Nella fase di accumulazione non si trovano modifiche rispetto alla legge 47 del 2000. In capo ai fondi pensione grava quindi un’imposta sostitutiva con aliquota dell’11%. Per i fondi pensione che detengono immobili l’aliquota è dello 0,5% del patrimonio relativo agli immobili.

Dal primo gennaio 2007 viene erogata la pensione complementare a chi ha i requisiti previsti dalla normativa vigente, congiuntamente ad almeno 5 anni di permanenza al fondo.

Le pensioni sono erogate per un massimo del 50% del montante accumulato sotto forma di capitale, la rimanente parte sotto forma di rendita.

Il decreto ha scelto di abbattere drasticamente la tassazione delle prestazioni in forma di capitale e di rendita: è prevista una tassazione (a titolo di imposta) con aliquota del 15%, ridotta dello 0,30% per ogni anno eccedente il quindicesimo di iscrizione alle forme pensionistiche complementari, con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali. In tal modo viene abbandonato il principio della neutralità fiscale che aveva guidato la riforma del 2000.

7.2 Le anticipazioni sui fondi pensione

Nel caso in cui il TFR è trasferito ad una forma di previdenza complementare, pur conservando alcune funzioni (come quella dell'anticipazione per spese mediche o per l'acquisto della casa), viene finalizzato all'erogazione di una pensione aggiuntiva a quella di base.

Durante la vita lavorativa è possibile richiedere anticipazioni della propria posizione per un importo non superiore al 75% per spese sanitarie a seguito di gravissime

20

(19)

situazioni del lavoratore, del coniuge e dei figli.

Possono essere richieste anticipazioni non superiori al 75% anche per l’acquisto della prima casa per sé o per i figli: in questo caso solo dopo che siano decorsi 8 anni dalla data di iscrizione. Tali anticipazioni possono essere reintegrate in qualsiasi momento a scelta dell’aderente mediante contribuzioni eccedenti il limite di 5.167,57 euro. La reintegrazione può avvenire in un’unica soluzione o attraverso contribuzioni periodiche.

Il decreto legislativo stabilisce poi che le anticipazioni possono essere fatte anche per un importo non superiore al 30% per ulteriori esigenze degli aderenti, decorsi 8 anni di iscrizione. Le anticipazioni sono soggette ad imposta sostitutiva: per le anticipazioni per spese sanitarie la ritenuta a titolo di imposta è pari al 15%. Sono previste delle riduzioni di 0,30% per ogni anno di partecipazione superiore al quindicesimo anno, con un limite massimo di riduzione del 6%.

Per le anticipazioni richieste per l’acquisto di un’abitazione o per la ristrutturazione della medesima è applicata una ritenuta a titolo di imposta del 23%.

Il trasferimento della propria posizione ad un’altra forma pensionistica complementare è prevista dopo un periodo di permanenza di almeno due anni al fondo.

7.3 Le forme pensionistiche complementari

Il legislatore nel testo del decreto definisce ed equipara le varie forme pensionistiche complementari, che possono essere alimentate anche con quote di TFR purché il fondo abbia ottenuto l’autorizzazione all’esercizio dell’attività dal COVIP, organo che opera una vigilanza sull’attività dei fondi21.

Sono forme pensionistiche complementari: - i fondi pensione negoziali; - i fondi pensione aperti;

- i piani individuali pensionistici;

- i fondi pensione preesistenti, istituiti anteriormente al novembre 1992;

21 Le forme pensionistiche complementari sono autorizzate e sottoposte alla vigilanza di un’Autorità

(20)

Le forme pensionistiche integrative si distinguono anche in base alle modalità istitutive, in forme collettive e forme individuali. Nelle prime la partecipazione viene contrattata a livello collettivo ed è riservata a gruppi di lavoratori che appartengono ad una determinata azienda o gruppo di aziende, ad un determinato comparto o settore produttivo.

Rientrano nelle forme collettive:

- i fondi negoziali, destinati principalmente ai lavoratori dipendenti, istituiti per effetto di un contratto o accordo collettivo, anche aziendale, stipulato tra le rappresentanze dei lavoratori e dei datori di lavoro (i cosiddetti “fondi chiusi”); in altri casi sono istituiti da regolamenti di enti o aziende .

- i fondi aperti che ricevono adesioni collettive; - i fondi preesistenti.

- i fondi istituiti o promossi dalle regioni (sulla base dell’appartenenza ad un determinato territorio).

- I fondi istituiti dalle casse professionali privatizzate.

Nelle forme individuali l’adesione non è vincolata al tipo di attività lavorativa svolta: queste forme individuali sono attuate mediante adesione individuale a fondi pensione aperti o mediante piani pensionistici individuali (PIP), cioè assicurazioni personali sulla vita.

Il fondo pensione negoziale è un soggetto giuridico autonomo dotato di organi propri (assemblea, organi di amministrazione e controllo).

L’attività svolta da questo fondo consiste essenzialmente nella raccolta delle adesioni e dei contributi dei lavoratori che presentano un requisito comune, l’appartenenza ad una stessa azienda o ad una stessa categoria, nell’individuazione della politica di investimento delle risorse, nella loro gestione finanziaria (investimento in mercati finanziari) e nell’erogazione delle prestazioni.

I fondi aperti, ad adesione collettiva e individuale, sono quelli istituiti direttamente da banche, società di intermediazione mobiliare, compagnie di assicurazione, società di gestione del risparmio.

La gestione finanziaria del fondo aperto è svolta generalmente dalla stessa società che lo ha istituito ma il patrimonio del fondo è separato ed autonomo da quello della società che li gestisce.

(21)

I fondi pensione preesistenti sono forme pensionistiche complementari già istituite alla data del 15 novembre 1992 con caratteristiche particolari rispetto ai fondi istituiti successivamente (ad esempio la possibilità di gestire direttamente le risorse senza ricorrere a intermediari specializzati).

Con il primo versamento si apre in capo a ciascun iscritto una posizione individuale che raccoglie tutti i contributi versati e i rendimenti (risultato della gestione finanziaria delle risorse).

I lavoratori dipendenti possono aderire ai fondi pensione chiusi, aperti o ai PIP mediante il versamento di contributi a loro carico e/o a carico del datore di lavoro. È prevista la possibilità di finanziare, mediante versamento di contributi, non solo la propria posizione previdenziale ma anche quella di persone fiscalmente a carico.

Con la riforma hanno diritto alla pensione complementare coloro che hanno raggiunto i requisiti di accesso alla pensione obbligatoria e che sono iscritti da almeno cinque anni ad una forma di previdenza complementare.

I soggetti destinatari della riforma sono individuati dal decreto n. 252/2005 all’art 2: - tutti i lavoratori dipendenti del settore sia privato che pubblico

- i soci lavoratori di cooperative

- i soggetti che svolgono lavori di cura non retribuiti

- i lavoratori assunti in base alle tipologie contrattuali previste dalla legge Biagi (Decreto legislativo n. 276 del 2003), vale a dire, contratto di lavoro in somministrazione, intermittente, ripartito, a tempo parziale, apprendistato, inserimento, a progetto, occasionale

- i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.

Inoltre l’adesione alle forme pensionistiche di carattere individuale è possibile anche per persone diverse da quelle sopra elencate, e che non hanno un reddito da lavoro.

Possano iscriversi ad un fondo pensione di natura negoziale anche le persone fiscalmente a carico purché sia espressamente previsto dallo statuto del fondo pensione.

(22)

D. LGS 252 DEL 2005

Trattamento fiscale favorevole

I contributi versati sono deducibili dal reddito per un importo non superiore a 5164,57 euro

I rendimenti sono soggetti ad un’imposta sostitutiva dell’11% Le prestazioni, così come gli anticipi per spese sanitarie, al netto delle componenti già tassate, scontano un’aliquota del 15% che si riduce dello 0,3% per ogni anno di adesione dopo il 15° anno

Le anticipazioni sono soggette a ritenuta a titolo di imposta del 23% ad eccezione di quelle per spese sanitarie dell’iscritto ( o del coniuge o del figlio) le quali sono tassate con aliquota del 15%

8 Le misure compensative

Nell’ultima parte di questo capitolo si mettono in luce le misure compensative previste dalla riforma (D.Lgs. 252 del 2005 e dalla Legge finanziaria del 2007) per le aziende interessate dallo smobilizzo del TFR e la loro adeguatezza, servendoci di alcuni esempi.

8.1 Quali sono le misure compensative per le imprese

Il TFR è una retribuzione differita di grande utilità sia per le aziende, le quali possono rimandare alcune richieste di integrazione salariale, che per i lavoratori, in caso di interruzione del rapporto di lavorativo.

Non meno importante è la funzione di fonte finanziaria di medio lungo termine ricoperta nelle piccole e medie imprese tale per cui lo smobilizzo del TFR dall’azienda diminuisce l’autofinanziamento.

(23)

L’impresa sostiene quindi il costo certo del dirottamento del TFR ai fondi pensione, per l’intera durata del rapporto di lavoro per ciascun lavoratore dipendente, il costo di rimpiazzo del TFR (attraverso il ricorso al prestito), e il costo riguardante gli oneri amministrativi aggiuntivi.

Il D. Lgs 252 del 2005, (art 10)22, modificato dalla Legge finanziaria del 2007, per attenuare questo effetto negativo sull’azienda ha previsto una serie di agevolazioni che adesso andremo a vedere in dettaglio.

La prima forma di compensazione riguarda l’innalzamento delle deduzioni fiscali dal reddito di impresa, per le quote di TFR versate effettivamente ai fondi pensione, al 4% per le imprese con più di 50 addetti 23 e al 6% per le altre.24

Un’altra misura compensativa consiste nell’esonero parziale dei contributi versati alla Gestione prestazioni temporanee dell’INPS, (con l’esclusione dello 0,30% destinato alla formazione continua): si tratta di una riduzione degli oneri impropri, (cioè i contributi sociali per prestazioni temporanee, come gli assegni familiari, di maternità, di disoccupazione e di malattia), correlata con il flusso di TFR conferito alla previdenza complementare e in proporzione prestabilita e crescente nel tempo25.

L’articolo 10 prevede inoltre che il datore di lavoro è esonerato dal finanziamento del fondo di garanzia, pari allo 0,2% della retribuzione lorda, per la parte di TFR conferita alla previdenza complementare.26

La legge finanziaria 2007 ha eliminato il Fondo di garanzia per l’accesso automatico al credito delle aziende previsto dal decreto legislativo 252 del 2005, in particolare per le piccole e medie imprese.

22 L’art 10 del D. Lgs 252 del 2005 è stato modificato dall’art 1 comma 764 della legge 296 del 2006. 23 Per addetti si intendono i lavoratori dipendenti per i quali trova applicazione la disciplina del TFR. 24 La normativa precedente aveva stabilito insieme alla deducibilità dei contributi (fino al 12% del reddito con limite massimo di 5.164,57 euro) una deduzione dal reddito d’impresa pari al 3% del flusso di TFR versato alle forme complementari.

25 La riduzione degli oneri impropri ha decorrenza 2008, mentre le altre misure decorrono dal 2007. Questo sgravio contributivo varia nel tempo secondo le seguenti proporzioni: anno 2008 = 0,19%; anno 2009 = 0,21%; anno 2010 = 0,23%; anno 2011 = 0,25%; anno 2012 = 0,26%; anno 2013 = 0,27%; anni 2014 e seguenti = 0,28%.

26 Il Fondo di garanzia del TFR è stato istituito per garantire il pagamento del trattamento di fine rapporto in caso di insolvenza del datore di lavoro.

(24)

Se è vero che la devoluzione del TFR ai fondi pensione riduce le fonti di autofinanziamento per le imprese è però fondamentale ricordare che ciò determina una misura compensativa indiretta, data dal mancato onere di rivalutazione del TFR.

8.2 Una stima delle misure compensative in presenza del contributo datoriale

Con il seguente esempio si vuole far emergere che le misure compensative non fanno aumentare i costi per l’azienda a condizione che non sia previsto il contributo datoriale.

Si ipotizzi un’impresa medio - piccola che nel 2008 ha 15 dipendenti, di cui solo 10 decidono di trasferire il TFR ai fondi pensione ed un utile di 40000 €.

Il monte retributivo totale è di 315.000 euro e quello relativo ai 10 dipendenti che aderiscono ai FP è di 210.000 euro.

Il TFR accantonato nel 2008 è nel totale di 23.333 euro, in particolare di 15.555 euro per i lavoratori che trasferiscono al fondo il 100% del TFR ai fondi pensione.

Misure compensative

Deduzione aggiuntiva del 6%27

Esonero versamento dei Contributi al fondo di garanzia del TFR

Esonero dai contributi Alla Gestione Prestazioni Temporanee dell’INPS

Totali

354,65 € 420 € 399 € 1173,65 €

Esempio tratto da Enzo De Fusco (2006), Guida al Lavoro, Il Sole 24-Ore.

La somma delle suddette misure compensative, di importo pari a 1.173,65 euro, rappresenta il vantaggio economico annuo che l’impresa dell’esempio ottiene trasferendo il TFR maturando ai fondi pensione.

L’impresa sostiene anche il costo della rivalutazione del TFR dei 5 lavoratori che non trasferiscono il TFR ai fondi pensione e che è pari a:

27

(25)

Costi del TFR

2,7928%*(23.333-15.555) €=217 €

Il datore di lavoro può finanziarsi al tasso agevolato del 4,16% per compensare il dirottamento di euro 15.555 ai fondi pensione, sostenendo un costo di 647,88 euro.

Il costo per il ricorso al prestito bancario

4,16%*15.555 €=647,88 €

Nel caso in cui tutto il TFR maturando fosse rimasto in azienda il costo della rivalutazione sarebbe stato di 650,99 €.

Se tutto il TFR fosse rimasto in azienda

2,79%*23.333 €=650.99 €

Dai risultati ottenuti sopra emerge che sicuramente le misure compensative non fanno aumentare i costi in azienda.

Se all’esempio precedente aggiungiamo il contributo datoriale dell’1,2% la situazione fronteggiata dall’impresa varia in modo significativo.

A sfavore dell’impresa dobbiamo, infatti, aggiungere il contributo del datore di lavoro e il contributo di solidarietà, pari al 10% del contributo del datoriale, rispettivamente di euro 2520 e 252. Riassumendo: Contributo datoriale Contributo di solidarietà Misure compensative tot Rivalutazione annua TFR non dovuta (3%) Aggravio per l’azienda 2520 € 252 € 1173,65 € 450 € 1356,35 € 28

(26)

8.3 Differente impatto delle misure compensative in base alla dimensione dell’impresa

Negli esempi che seguono, viene messo in luce che le imprese medio - piccole hanno convenienza ad incentivare l’adesione ai fondi pensione.

Consideriamo un’impresa medio - piccola che nel 2008 ha 10 dipendenti, con un monte retributivo di 210.000 € ed un utile di 40000 €: analizziamo i seguenti casi:

a. Tutti e dieci dirottano il proprio TFR maturando ai fondi pensione; b. Solo 5 dipendenti aderiscono alle forme di previdenza complementare;

Caso a.

L’importo trasferito ai FP è 14.511 €, cioè il 6,91% di 210.000 euro. Ma consideriamo adesso le misure compensative.

La deducibilità dal reddito di impresa (pari al 6% del TFR) è 870,66 euro. L’utile di 40.000 euro si colloca nello scaglione che prevede un’aliquota del 38%, pertanto il beneficio fiscale è di 330,85 euro (cioè il 38% di 870,66).

La riduzione degli oneri impropri in percentuale, dello 0,19% nel 2008, genera un’ulteriore misura compensativa di 0,19%* (210.000) cioè 399 €.

L’eliminazione del finanziamento del fondo di garanzia pari allo 0,2% della retribuzione lorda garantisce un beneficio di 420 €, per cui sommando tutte le voci si ottiene un beneficio totale di 1149,85 €.

Negli anni successivi le misure compensative aumentano grazie al mancato onere di rivalutazione del TFR e alla riduzione degli oneri impropri.

L’impresa sostiene anche un costo relativo al prestito bancario necessario per compensare il mancato cash flow del TFR di importo pari a 1088,325 € che è determinato TFR dirottato ai fondi pensione, pari a 14.511 €, moltiplicato per 7,5 %, ovvero Euribor a 6 mesi più 3,5 punti percentuali.

Nella tabella seguente sono riassunti i vari casi ( per il caso b si procede in modo analogo al caso a).

(27)

Adesioni Montante Retributivo TFR ai FP Deducibilità fiscale Riduzione oneri impropri Eliminazione Fondo garanzia Costo finanziamento Saldo 10 210.000 14.511 330,85 399 420 1088,325 61,525 5 210.000 7.255,5 165,42 199,5 210 544,1625 30,575

Da questa analisi emerge che le medio–piccole imprese hanno convenienza ad incentivare i propri lavoratori ad aderire ai fondi pensione.

Si deve tener presente che il confronto è però tra grandezze con un diverso grado di variabilità: il beneficio dovuto alla mancata rivalutazione del TFR dipende dal tasso di inflazione, mentre il costo generato dallo smobilizzo del trattamento di fine rapporto dipende dall’andamento dell’Euribor a 6 mesi (che a sua volta ingloba anche la dinamica del tasso di inflazione), e dalla possibile ricontrattazione delle caratteristiche del prestito bancario.

Operiamo in maniera analoga all’esempio sopra, questa volta analizzando un’azienda con 100 dipendenti.

Si osservi la seguente tabella:

Adesioni Montante Retributivo TFR ai FP Deducibilità fiscale Riduzione oneri impropri Eliminazione Fondo garanzia Costo finanziamento Saldo 100 2.100.000 145.110 2205,672 3990 4200 1083,25 -482,578 50 2.100.000 72.555 1102,836 1995 2100 5441,62 -243,789

A differenza delle medio - piccole imprese, le grandi imprese non sembrano avere incentivi economici a destinare il TFR ai fondi pensione. Sono però elevati i benefici indiretti derivanti dal fatto che sono proprio le imprese grandi a beneficiare dell’ispessimento dei mercati finanziari, derivante dallo sviluppo dei fondi pensione.

(28)

8.4 Una stima dei costi per le imprese

Confrontiamo adesso il costo del mantenimento del TFR29 in azienda, CLR, e il costo del dirottamento del TFR ai fondi pensione, CLV, per verificare anche l’adeguatezza delle misure compensative.

Gli indici LR e LV indicano rispettivamente i lavoratori che non aderiscono ai fondi pensione, e coloro che dirottano il TFR alle forme di previdenza complementare.

In particolare:

[

LR LV

]

TFR LR r FlussoAnnuo FlussoAnnuo C = × + LR

C rappresenta il costo per l’impresa in caso di mantenimento di tutto il TFR accantonato all’interno: tale costo è generato dalla rivalutazione del TFR sulla base dell’indice di rivalutazione ISTAT rTFR.

Il costo sostenuto dall’impresa in caso di adesione ai FP è il seguente:

LV LV

MK LR TFR

LV r FlussoAnnuo r FlussoAnnuo DeduzioniFiscali Monte tributivo

C = × + × − +1,2%× Re

La prima componente di costo è dovuta alla rivalutazione del TFR tenuto in azienda al tassorTFR; la seconda componente, rMKFlussoAnnuoLV, rappresenta invece il costo del ricorso al prestito bancario per compensare la diminuzione dell’autofinanziamento.

L’impresa come sappiamo beneficia delle misure compensative -le deduzioni fiscali- ma ha un aggravio determinato dal contributo datoriale 1,2% della retribuzione solo se il lavoratore versa il contributo a proprio carico ai fondi pensione.

Le deduzioni fiscali sono costituite da:

29 L’ammontare del Tfr spettante al lavoratore è uguale alla somma, per ciascun anno di servizio, della retribuzione annua divisa per 13,5. Il Tfr, eccetto la quota maturata nell’anno, deve essere rivalutato alla fine di ciascun anno ad un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. Dalla quota di competenza dell’anno viene detratto un contributo a favore del Fondo pensione per i lavoratori dipendenti pari allo 0,50%.

(29)

• La deduzione IRES-IRAP del 6%30 dell’accantonamento smobilizzato per le PMI, ovvero:

LV tributivo Monte Re 0691 , 0 % 5 , 27 % 6 × ×

• L’esonero dal versamento del contributo di garanzia del TFR quantificato come segue: LV tributivo Monte Re 002 , 0 ×

• L’esonero dai contributi alla Gestione Prestazioni Temporanee dell’INPS: LV tributivo Monte Re % 28 , 0 ×

La differenza dei due costi, CLV-CLR, è così espressa:

LV LR

LV C DeduzioniFiscali Monte tributivo

C − =(rTFR-rMK)FlussoAnnuoLV− +1,2% Re

Sviluppando l’equazione sopra e considerando le deduzioni fiscali descritte in precedenza otteniamo quanto segue:

(

)

[

]

{

6% 27,5% 0,0691 0,0048 1,2%

}

Re × − − × × − + = − LR LV MK TFR LV C Monte tributivo r r C

Si ottiene un aggravio per l’impresa di circa 0,9 % del monte retributivo dei lavoratori che aderiscono ai fondi pensione31.

L’impresa ha invece un vantaggio in caso di mancanza del contributo datoriale, di entità pari allo 0,3% del monte retributivo dei lavoratori che trasferiscono il TFR ai fondi pensione.

30

Questa deduzione fiscale riguarda solo le imprese in utile. L’aliquota del 27,5% è relativa all’imposta Ires-Irap.

31

(30)

9 La situazione dei fondi pensione in Italia

Dagli ultimi dati resi noti dal Ministero dell’Economia emerge che le pensioni pubbliche sono sempre meno adeguate, e che il tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra l’ultimo stipendio percepito e la prima rata di pensione, passerà dall’80 % al 60% nell’arco di quarant’anni: in questo contesto assumono sempre più importanza i fondi pensione (e altre forme di previdenza complementare) per salvaguardare l’adeguatezza delle pensioni.

Ma il numero delle adesioni a forme pensionistiche complementari in Italia, secondo i dati contenuti nel monitoraggio periodico della COVIP, aggiornati al 30 settembre 2009, cresce ad un ritmo contenuto.

Il numero delle adesioni è cresciuto del 3% rispetto al 200832.

Sett 2009 Dic 2008 Dic 2007 Var %

Set09/Dic08 Fondi negoziali 2.045.238 2.043.509 1.988.639 0,1 Fondi aperti 810.864 798.007 747.264 1,6 Fondi preesistenti 677.000 677.453 680.746 PIP “nuovi” 818.498 701.819 486.017 16,6 PIP “vecchi” 674.000 674.332 703.400 Totale iscritti 4.997.539 4.853.605 4.560.164 3

Fonte: Covip. La previdenza complementare in Italia. Dati di fine periodo provvisori per il 2009.

Il confronto tra rendimenti del TFR e dei fondi pensione mette in luce come il secondo supera il primo a condizione che gli individui abbiano un’aspettativa lavorativa superiore agli 8-10 anni; questa motivazione spiega l’alta adesione dei giovani (cfr. Spataro 2009).

32

Le adesioni alle forme pensionistiche complementari passano da quota 4.853.605 a quota 4.997.539. Quasi 3,7 milioni sono lavoratori dipendenti del settore privato.

(31)

La grave crisi finanziaria, insieme alla scarsa fiducia nei mercati finanziari, sono due possibili cause della bassa adesione alle forme pensionistiche complementari.

Un altro fattore che può incidere negativamente sull’adesione è inoltre la paura di indebolire l’azienda per cui si è impiegati e di perdere il posto di lavoro a causa del mancato autofinanziamento.

Le possibilità di scelta per i lavoratori sono inoltre limitate dalla mancanza della piena portabilità dei diritti previdenziali e inoltre, per i dipendenti delle aziende medio – piccole, dall’irreversibilità della scelta di dirottare il TFR ai fondi pensione. Il lavoratore può ritenere conveniente tenere tutto presso l’azienda, sperando di poter poi scegliere in modo più attento e consapevole in futuro, quando si avrà un quadro più preciso dell’offerta disponibile (cfr. Brugiavini 2006).

Recentemente si è cominciato a pensare di rilanciare la previdenza integrativa per i lavoratori del pubblico impiego, toccati parzialmente dalla riforma del 2005.

10 Conclusioni

In questo capitolo abbiamo analizzato l’evoluzione della normativa dal 1992 ai nostri giorni nell’ambito della previdenza obbligatoria e complementare.

A partire dai primi anni novanta si sono susseguiti una serie di riforme per ripristinare la stabilità del sistema pensionistico pubblico a ripartizione non più in grado di assicurare le prestazioni alle giovani generazioni.

La prima importante riforma del 1992, che si è mossa nella direzione di portare ordine al sistema previdenziale, fino allora fin troppo generoso, è seguita un anno dopo da un decreto che ha realizzato un sistema di previdenza complementare per contenere la crisi della finanza pubblica e del sistema previdenziale pubblico e per aumentare i livelli di copertura previdenziale.

La riforma Dini (1995) ha modificato radicalmente la struttura del sistema pensionistico ormai non più sostenibile, visti il mutamento demografico e gli squilibri derivanti dal metodo di calcolo basato sulle ultime retribuzioni: viene così abbandonato il sistema retributivo per adottare il metodo contributivo.

Nel 2004 il Governo ha iniziato a discutere un progetto per far decollare il secondo pilastro, arrivando ad approvare il decreto legislativo del 2005; questa riforma chiave del sistema previdenziale ha aumentato l’entità dei flussi destinati alle forme

(32)

pensionistiche complementari attraverso una favorevole disciplina fiscale e mediante il dirottamento automatico del TFR alla previdenza complementare, pur prevedendo il principio della “libertà di scelta”.

(33)

Bibliografia

Agenzia delle entrate (2008), I vantaggi fiscali della previdenza complementare; Brambilla A. (2007), Capire i fondi pensione, Il Sole 24 ORE, Milano;

Brambilla A. (1998), Prospettive e mercato della previdenza complementare in La gestione dei fondi pensione, Bancaria Editrice, Roma;

Brugiavini A.(2006), Il nuovo TFR: trasferimento forzoso di risparmio, articolo di Lavoce.info;

Brugiavini A.(2005), Riflessioni sulla riforma del TFR appena approvata, Businessonline.it;

Aurelio Donato Candian (1998), I fondi pensione, IPSOA, Milano; Caputo W. (2009), Paghe e contributi, Esselibri-Simone, Napoli; Cesari R. (2007), TFR e fondi pensione, Il Mulino;

Ciocca G. (2005), Il sistema pensionistico nell’evoluzione del welfare in A qualunque costo, P.Olivelli, M. Mezzaznzanica, Edizioni Angelo Guerrini e Associati;

Chiorazzo V. e Milani C. (2007), Imprese ben compensate, articolo di Lavoce.info; COVIP (Ottobre 2009), La previdenza complementare. Principali dati statistici; Da Tanno T. (2001), I fondi pensione. L’evoluzione del sistema fiscale, in Il pilastro debole a cura di M. Mirabili e L. Pennacchi, ediesse, Roma ;

De Fusco E. (2007), Le misure compensative per le imprese, in Previdenza complementare e TFR, Guida al lavoro del Sole 24 ORE, 2007, Milano;

Giannini S. e Guerra M. C. (2003), Alla ricerca di una disciplina fiscale per la previdenza complementare, 2003;

Liera M. (2005), I fondi pensione, Il Sole 24 ORE, Milano;

Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (2008), Riforma della previdenza complementare;

Pammolli F. e Salerno N. C. (2006), Le imprese e il finanziamento del pilastro previdenziale italiano, CERM;

Pammolli F. e Salerno N. C. (2006), Quei due fondi tra il TFR e la previdenza privata, articolo di Lavoce.info;

Peterlini O. (2003), Le Nuove pensioni. Esperienze strategiche per uscire dalla crisi previdenziale, Franco Angeli, Milano;

(34)

Santececca D. (1998), Introduzione. Lo stato della normativa in La gestione dei fondi pensione, Bancaria Editrice, Roma;

Spataro L. (2009), L’economia dei fondi pensione. Teorie ed applicazione al caso italiano in Il trattamento di fine rapporto e i fondi pensione Edizioni università di Macerata;

Trimarchi A. (1998), Aspetti fiscali legati all’operatività dei fondi pensione in La gestione dei fondi pensione, Bancaria Editrice, Roma;

Riferimenti

Documenti correlati

d) integrazione in denaro da parte del socio della differenza rimasta scoperta. E’ chiaro che di queste quattro alternative, soltanto le prime tre comportano la riduzione

L'art. consente, esclusivamente alle società per azioni sottoposte all'obbligo della revisione del bilancio "da parte di società di revisione iscritte all’albo speciale”, la

209/2005 (rectius codice delle assicurazioni private), recanti le regole da osservare sulla materia degli investimenti, nonché quelle dell’art. 252/2005 ai fini della disciplina

• Lo strumento può essere fornito nella sua forma integrale o essere proposto come modello affinché l’allievo ne costruisca uno personalizzato, inserendo immagini familiari in

[r]

Corte di Cassazione - copia non ufficiale.. tutti i compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta anche sotto forma di partecipazione agli utili in dipendenza

917 (TUIR), il comma 2-bis, ai sensi del quale le somme restituite al soggetto erogatore, “se assoggettate a ritenuta, sono restituite al netto della ritenuta subita e non

In relazione allo svolgimento della revisione del bilancio della nostra società per l’esercizio chiuso al 31/12/20XX, Vi preghiamo di fornire per iscritto le seguenti informazioni,