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La confisca senza condanna a carico dell ente nel diritto penal-tributario

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752 Direttore responsabile: Antonio Zama

La confisca senza condanna a carico dell’ente nel diritto penal-tributario

Confiscation against the legal entity without conviction in criminal tax law

03 Febbraio 2022 Giulia Raona

Abstract

I confini dell’istituto della confisca sono in continua espansione: essa non ha una unica ratio, ma viene plasmata dal legislatore e dalla giurisprudenza a seconda dell’ambito in cui interviene. Pertanto, tenuto conto anche della portata che può avere in concreto l’applicazione dell’ablazione patrimoniale in assenza di condanna, è necessario dotarsi di una inevitabile flessibilità di vedute, affrontando la disciplina normativa, gli orientamenti della giurisprudenza e analizzando le problematiche tutt’oggi in parte ancora irrisolte.

Date le molteplici forme che può assumere l’istituto, alla domanda “è legittima la confisca nei confronti dell’ente in assenza di condanna?” la risposta non può che essere “dipende”. La funzione assolta di volta in volta dalla confisca gioca ai nostri fini un ruolo fondamentale e, dunque, il discrimen è costituito dallo scopo perseguito dall’ablazione. Infatti, nei casi in cui possa escludersi con certezza la ratio sanzionatoria e il provvedimento ablatorio abbia una funzione ripristinatoria dello status quo ante e compensativa, non vi è motivo di considerare illegittima la confisca, laddove non voglia punire, ma riequilibrare la situazione patrimoniale. Al contrario, però, nelle ipotesi in cui la confisca abbia una evidente ratio afflittiva, sarebbe del tutto contraddittorio, in assenza di condanna, prevedere ugualmente l’applicazione di una misura che in concreto ha la stessa funzione di una pena.

The boundaries of the institution of confiscation are expanding: it does not have a unique ratio but, on the contrary, it is shaped by Legislator and Case Law according to the field in which it intervenes. Thus, taken into account the scale it may have concretely the application of the confiscation in absence of conviction, it is necessary to acquire an inevitable flexibility of viewpoints, dealing with the regulatory regime, the guidelines of Case Law and analyzing the issues partially unresolved to this day.

Given the manifold forms that the institution can assume, to the question “is the confiscation legit towards of the entity in the absence of conviction?” the answer cannot be anything else but “it depends”. The function fulfilled on a case-by-case basis by the confiscation plays to our ends a crucial role and, therefore, the discrimination is constituted by the aim pursued by the ablation. Indeed, in the cases in which the sanctioning function can be conclusively excluded and the measure has a restoring ratio of the status quo ante and compensatory, there is no reason to consider the confiscation illegitimate, whenever the purpose is not punishing, but rather rebalance the financial circumstances. On the contrary though, in the event that confiscation has an obvious punitive ratio, it would be totally contradictory, in the case of absence of criminal conviction to provide anyway the application of a measure which concretely has the same function of a punishment.

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Sommario

1. Introduzione e quadro normativo di riferimento 2. Le funzioni della confisca e i risvolti applicativi

3. Gli orientamenti giurisprudenziali nel diritto penal-tributario

3.1 I principi affermati dalla Suprema Corte con la sentenza n. 53 del 2020

3.2 La confisca per un reato tributario quale “reato-fine” di un’associazione criminale 4. La confisca senza condanna a carico dell’ente nel diritto della CEDU

5. Conclusioni

Summary

1. Introduction and regulatory framework 2. Confiscation functions and implications 3. Case-law interpretations in criminal tax law

3.1 The principles affirmed by the Supreme Court with the sentence n. 53 of 2020 3.2 Confiscation for a tax offence as a “fine-crime” of a criminal association 4. Confiscation against the legal entity without conviction in ECHR Law 5. Conclusions

Scritto sottoposto a referaggio esterno con il sistema del doppio cieco secondo le regole della rivista e valutato positivamente

1. Introduzione e quadro normativo di riferimento

La rilevanza del tema oggetto di analisi si esplica in termini di attualità: da un lato, infatti, la materia penal- tributaria è stata oggetto di recenti riforme normative e di evoluzioni interpretative; dall’altro lato, invece, il polimorfismo1 dell’istituto ablatorio rende la questione giuridica che si tratta particolarmente delicata.

La disciplina penale contenuta nel D. Lgs. 74/2000 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della Legge 25 giugno 1999, n. 205) svolge la funzione di repressione di fenomeni di evasione fiscale. Le fattispecie criminose di cui di cui al citato testo normativo sono state poi più volte modificate: in particolar modo, si ricordano, oltre alla significativa riforma effettuata nel 2015, con il D. Lgs. 158/2015, attuativo della Legge Delega 23/2014, le recentissime modifiche disposte con D. L. 124/2019, convertito, con modificazioni, in L. 157/2019)2, i cui interventi possono essere raggruppati nel modo che segue3:

in primo luogo, nell’ottica di un inasprimento della politica sanzionatoria, sono stati modificati i trattamenti sanzionatori dei reati tributari disciplinati dal D. Lgs. 74/2000;

in secondo luogo, è stata introdotta la confisca allargata ai sensi dell’art. 12-ter D. Lgs. 74/2000;

infine, la riforma del dicembre del 2019 ha avuto un importante impatto sulla disciplina della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D. Lgs. 231/2001, con la previsione dell’art. 25-quinquiesdecies che ha introdotto alcune fattispecie tributarie – ritenute più gravi – all’interno dell’elenco dei reati presupposto.

In relazione a tale ultimo punto, si sottolinea che, mentre il D. L. 124/2019 ha previsto l’introduzione nel novero dei reati presupposto del solo art. 2 del D. Lgs. 74/2000 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), la legge di conversione ha ampliato la portata della riforma prevedendo anche i reati di cui agli artt. 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), 8

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(Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), 10 (Occultamento o distruzione di documenti contabili) e 11 (Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte) del D. Lgs. 74/2000. Infine, con il D. Lgs. 75/20204, ulteriori fattispecie sono entrate a far parte dell’art. 25-quinquiesdecies del D. Lgs.

231/2001: in particolare, gli artt. 4 (Dichiarazione infedele), 5 (Omessa dichiarazione) e 10-quater (Indebita compensazione) del D. Lgs. 74/2000.

Sul punto, si sottolinea che leggi menzionate rendono necessario un aggiornamento dei modelli di organizzazione e gestione – e una preliminare mappatura del rischio reato – con la conseguente previsione di specifici presidi e procedure5, in particolar modo ma non solo, per ciò che concerne la gestione dei i rapporti con i fornitori di beni e servizi e la gestione dei rapporti infragruppo. Questo importante e urgente intervento sui Modelli si aggiunge, ovviamente, all’onere che le imprese hanno già in parte affrontato e certamente continueranno a sostenere in merito all’aggiornamento dei presidi e delle procedure per ridurre il rischio di contagio da Covid-19.

La confisca, nell’ambito della responsabilità da reato degli enti ex D. Lgs. 231/2001 (anche “Decreto”), si caratterizza per la eterogeneità di rationes e si colloca al termine di quel processo che ha visto l’istituto ablatorio trasformarsi, acquisendo una sempre più marcata funzione afflittiva. La giurisprudenza di legittimità6 ha individuato quattro forme di confisca all’interno del Decreto.

Mentre vede la sua genesi nel codice penale come misura di sicurezza patrimoniale7, la confisca entra nella disciplina della responsabilità da reato degli enti, in primo luogo, sotto forma di “sanzione”, ex art. 9 c. 1 lett. c) del Decreto, ed è regolata dall’art. 19, come confisca obbligatoria8; in secondo luogo, il Decreto contempla al c. 2 dell’art. 23 (Inosservanza delle sanzioni interdittive) la confisca del profitto, rinviando alla disciplina predisposta dall’art. 19 del D. Lgs. 231/2001. Nel contesto degli artt. 19 e 23, la ratio sottesa all’ablazione è particolarmente evidente: classificata come “sanzione”, la confisca – in tali casi – svolge una funzione afflittiva9; in quanto tale, l’istituto ablatorio – come acutamente rilevato dalla dottrina – comporta una serie di conseguenze10: innanzitutto, infatti, richiede come presupposto la sentenza di condanna; inoltre, si applicano ad esso le cause estintive tanto del reato presupposto, quanto dell’illecito amministrativo. Ulteriore ipotesi è quella regolata dall’art. 15 c. 4, nell’ambito del commissariamento, sanzione sostitutiva alla misura interdittiva, predisposta per esigenze di tutela dei terzi11; per cui è prevista l’ablazione del profitto ottenuto dalla prosecuzione dell’attività – che con la pena interdittiva sarebbe stata interrotta.

Da ultimo, l’art. 6 c. 5 del D. Lgs. 231/2001 prevede la confisca del profitto anche nei casi in cui l’ente non sia ritenuto responsabile, quindi non sia condannato, qualora il reato venga commesso dal vertice. La prima forma di confisca in assenza di condanna è, pertanto, normativamente prevista e questo – lo si vedrà infra – risulta possibile solo nell’ottica di un istituto volto a riequilibrare e ripristinare la situazione antecedente alla commissione del delitto12, tanto che – in considerazione di ciò – alcuni commentatori hanno ritenuto che l’oggetto della confisca (e cioè, il profitto) debba ricomprendere qualsiasi utile ricavato dall’ente stesso, in ragione del dato letterale per cui l’ablazione patrimoniale debba avere ad oggetto il “profitto che l’ente ha tratto dal reato”; formula quest’ultima che si distingue da quella che caratterizza la disposizione di cui all’art. 19 del D. Lgs. 231/2001, in forza della quale il provvedimento riguarda il prezzo o il profitto “ del reato”13.

2. Le funzioni della confisca e i risvolti applicativi

Attraverso l’analisi – anche diacronica, dalle origini alle applicazioni più recenti, oltre che per ambiti di applicazione – dell’istituto della confisca, la dottrina ne ha rinvenuto la diversa funzione cui essa può

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assolvere a seconda delle ipotesi e della tipologia di beni sui quali interviene. In particolare, l’ablazione patrimoniale può astrattamente realizzare i seguenti fini14. In primis, plurime volte emerge la ratio compensativo/ripristinatoria, che – nell’ambito penal-tributario – assume rilevanza primaria: per ciò che interessa in questa sede, con riguardo ai reati commessi dal legale rappresentante a vantaggio dell’ente, per i quali la finalità ultima della misura è quella di ristabilire lo status quo ante alla commissione dell’illecito, il c.d. riequilibrio patrimoniale. Risalta, poi, in altri casi, la ratio specialpreventiva (evidente in particolar modo nella confisca-misura di sicurezza) che si sostanzia attraverso l’ablazione dei beni utilizzabili per la commissione di ulteriori illeciti e mira alla neutralizzazione della pericolosità di tali res. Ulteriore funzione della confisca è, infine, quella generalpreventiva o sanzionatoria, con efficacia deterrente e a carattere afflittivo, applicata generalmente a seguito della commissione di un reato al termine dell’accertamento della responsabilità con procedimento penale.

Quanto fin qui osservato, ha risvolti applicativi di particolare rilievo, con specifico riferimento a due tematiche. Innanzitutto, deve ritenersi esclusa l’applicazione retroattiva della confisca con funzione sanzionatoria (in particolare, della confisca per equivalente), tesi avallata anche dal Giudice delle leggi15, secondo cui non può applicarsi l’istituto, pur in presenza di sentenza di condanna o comunque nei casi di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per i reati commessi prima dell’entrata in vigore delle norme che lo prevedono, tenuto conto del suo carattere afflittivo. Con specifico riferimento alla materia penal-tributaria e alla confisca di cui all’art. 12-bis del D. Lgs 74/2000, parte della dottrina, inoltre, ritiene che anche in relazione alla confisca diretta (dunque, non solo con riguardo alla confisca di valore) viga il principio di irretroattività, considerato che l’art. 12-bis ha esteso l’ambito di operatività della confisca a fattispecie per cui in precedenza l’ablazione del prezzo e del profitto non era prevista16. Al medesimo epilogo è giunta anche la giurisprudenza che ha affrontato il tema di cui all’art.

19 del D. Lgs. 231/2001: pertanto, l’art. 19 non può operare qualora il fatto illecito sia stato commesso prima dell’introduzione della fattispecie nel novero dei reati presupposto17. Alla medesima conclusione si arriva, per giunta, se si considera che il reato commesso dalla persona fisica è presupposto della stessa condanna dell’ente18.

In secondo luogo, cruciale è anche la definizione dei confini dell’oggetto della confisca nell’ambito della responsabilità da reato degli enti, tenuto conto che la confisca del profitto costituisce uno degli strumenti primari di repressione della criminalità economica19. La dottrina ha, infatti, fondato la distinzione tra le due diverse interpretazioni della nozione di profitto sulla base della differenza sussistente tra la confisca- sanzione e la confisca-sanzione sostitutiva ex art. 15 del D. Lgs. 231/2001. Dunque, per la confisca- sanzione sostitutiva è prevista l’ablazione patrimoniale del profitto in termine di utile netto, mentre per la confisca-sanzione, interpretando a contrario – non potendo valere le medesime esigenze e necessità della confisca ai sensi dell’art. 15 e, a maggior ragione, trattandosi di sanzione non di misura di sicurezza – rileva il cd. profitto lordo20. Ciononostante, la giurisprudenza risulta oscillante, dal momento che, in primo luogo, identifica diverse nozioni di profitto all’interno del D. Lgs. 231/2001, precisando, che il profitto ai sensi dell’art. 19 è cosa diversa tanto da quello ex art. 6 e dall’art. 15, quanto dal “profitto di rilevante entità” previsto dall’art. 1321 e dal profitto di cui all’art. 17. In relazione alla disciplina dei reati tributari, poi, la giurisprudenza di legittimità ha operato una ulteriore dilatazione: la Corte di Cassazione, infatti, ne ha esteso la nozione, ricomprendendo qualsiasi vantaggio patrimoniale derivante dalla consumazione dell’illecito, inclusi i risparmi di spesa. Tale definizione, quindi – puntualizza la Suprema Corte – tiene conto anche di interessi e sanzioni22.

È, tuttavia, necessario sottolineare come talvolta in concreto sia particolarmente complicato individuare la ratio

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dell’istituto, considerato che non sempre è specificata in modo esplicito a livello normativo: difatti, nella materia penal-tributaria, la confisca assume una duplice forma, a seconda dei casi e quindi – di conseguenza – una duplice ratio. Dunque, da un lato, nella più generale ipotesi di confisca a carico di colui che ha commesso l’illecito, la funzione emergente dal testo normativo è primariamente a carattere afflittivo anche in considerazione della dilatazione del concetto di profitto del reato. Dall’altro lato, però, con riferimento ai reati commessi dal legale rappresentante a vantaggio dell’ente, in mancanza, fino a dicembre 2019, di una specifica previsione che includesse gli illeciti di cui al D. Lgs. 74/2000 nell’elenco dei reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti, la giurisprudenza ha a lungo dibattuto con riguardo alla confiscabilità del profitto in capo all’ente (effettivo beneficiario del fatto delittuoso commesso dalla persona fisica) per illeciti fiscali commessi dal legale rappresentante a suo vantaggio. Infatti, questa ipotesi ricade chiaramente (o almeno ricadeva) al di fuori dell’ambito di applicazione del D. Lgs.

231/2001: dunque, inapplicabili risultano – per i fatti commessi fino all’entrata in vigore delle nuove disposizioni – sia la previsione di cui all’art. 19 sia il disposto dell’art. 6.

Proprio alla luce della funzione compensativo/ripristinatoria a cui questo specifico istituto della confisca tende, la giurisprudenza di legittimità ha, infine, ammesso la confiscabilità del profitto in capo all’ente quantomeno in via diretta, specificando – anche – che di confisca diretta si tratta nei casi di confisca del denaro o di altri beni fungibili23.

3. Gli orientamenti giurisprudenziali nel diritto penal-tributario

In relazione al tema della confisca del profitto per reati tributari in capo alla persona giuridica (effettiva beneficiaria dell’illecito), in particolar modo, la Sentenza Gubert (Cass. sez. un., 30 gennaio 2014, n.

10561) ha costituito – da un lato – un punto di arrivo, ponendo fine ad un dibattito basato su due opposti orientamenti interpretativi, e – dall’altro lato – un punto di partenza, che ha condotto ad ulteriori evoluzioni tanto giurisprudenziali quanto normative, da ultimo con l’introduzione dei reati tributari nel D. Lgs.

231/2001, all’art. 25-quinquiesdecies. Pertanto, a parere di chi scrive, sembra di primaria importanza offrire una disamina degli argomenti24 e dei temi trattati dalla Suprema Corte, ripercorrendo al contempo anche quegli orientamenti che sono stati alla base delle interpretazioni offerte dai giudici, tanto di legittimità quanto di merito, nel corso degli anni.

Pur affermando che l’estensione dell’art. 322-ter c.p. alle fattispecie tributarie comporta l’applicabilità ad esse anche della confisca per tantundem, indipendentemente dalla sussistenza di un nesso di pertinenzialità tra l’illecito e i beni oggetto di confisca, la Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, rilevando un contrasto giurisprudenziale, ha rimesso alle Sezioni Unite la questione così formulata: “se sia possibile o meno aggredire direttamente i beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della stessa”.

Storicamente, un primo orientamento giurisprudenziale ha affermato “l’applicabilità del sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente sui beni della persona giuridica anche al di fuori dei casi in cui la sua creazione sia finalizzata a farvi confluire i profitti degli illeciti fiscali quale «società schermo»“25, sul presupposto per cui, pur essendo la violazione tributaria addebitabile alla persona fisica, le conseguenze patrimoniali (e il relativo vantaggio economico) ricadono sull’ente, a meno che non venga dimostrata la rottura del rapporto di immedesimazione organica, ritenendo che la società – in siffatte ipotesi – non possa ritenersi estranea al reato in quanto diretta beneficiaria della condotta posta in essere dal legale rappresentante26. La Terza Sezione, che è stata plurime volte chiamata a pronunciarsi sul tema, ha evidenziato che la legge ammette la confisca diretta del profitto a prescindere dalla qualifica di concorrente

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del soggetto nel cui patrimonio il profitto è confluito27 e che, invece, ai fini dell’applicazione dell’istituto della confisca per equivalente (oltre alla definizione dell’esatto quantum da confiscare e all’impossibilità di procedere all’ablazione dei beni costituenti profitto, perché non rinvenuti nel patrimonio dell’autore dell’illecito) è necessario che i beni oggetto del provvedimento ablatorio non appartengano a terzi. Dunque, su tale ultimo punto, il dibattito della giurisprudenza di legittimità è stato particolarmente delicato, in quanto le pronunce che hanno sostenuto la possibilità di procedere a sequestro funzionale alla confisca per equivalente nei confronti di enti, per violazioni tributarie commesse (a loro vantaggio) dai legali rappresentanti, hanno di fatti ritenuto la non estraneità della persona giuridica, nella misura in cui è su di essa che sono ricaduti i benefici della condotta illecita tenuta dagli amministratori28.

Allora, però, alcune considerazioni appaiono necessarie. In primo luogo, come già rilevato, autorevoli commentatori hanno evidenziato la natura sanzionatoria della confisca per equivalente e la sua funzione generalpreventiva, puntualizzandone tanto le differenze rispetto alle misure di sicurezza quanto il carattere afflittivo29. Difatti, a voler ritenere la correttezza di una interpretazione simile, si arriverebbe ad applicare un provvedimento ablatorio di marcato carattere afflittivo, con funzione sanzionatoria e generalpreventiva (al pari di una pena pecuniaria), ad un soggetto la cui responsabilità non è stata accertata con sentenza di condanna e, in ogni caso, al di fuori dei confini del dettato normativo. È un’interpretazione, dunque, che si pone in palese antitesi con le garanzie che l’ordinamento italiano – nel suo complesso – e il sistema penale – più specificamente – offrono e, in particolare, degli artt. 25 e 27 della Carta Costituzionale30.

In base ad un secondo diverso orientamento giurisprudenziale, sarebbe inapplicabile il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente all’ente a beneficio del quale la violazione finanziaria sia stata commessa dal legale rappresentante. La giurisprudenza in questo senso ha rinvenuto un’unica eccezione a tale principio costituita dall’ipotesi in cui “la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti, tanto che ogni cosa fittiziamente intestata alla società sia immediatamente riconducibile alla disponibilità dell’autore del reato”31.

In relazione al secondo motivo di ricorso, considerato dalla Terza Sezione origine di contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite hanno offerto una sistematica analisi della disciplina della confisca del profitto di reato nell’ambito del diritto penal-tributario. Tuttavia, ai nostri fini, rileva il tema relativo alla natura della confisca del denaro o di beni fungibili: in effetti, i giudici hanno affermato che – qualora il profitto sia costituito da denaro o altri beni fungibili – la confisca di essi è confisca diretta e non per equivalente. Pertanto, potendo essere la citata utilità anche conseguita in via indiretta, la trasformazione del denaro costituente profitto in beni di altra natura non è – sottolinea la Corte – di ostacolo al sequestro preventivo che potrà avere ad oggetto il bene di investimento così acquisito, trattandosi anche in questa ipotesi di confisca di proprietà32.

Su una tale premessa, la Corte ha infine concluso per l’applicabilità della confisca diretta del profitto anche nei confronti di una persona giuridica per le violazioni fiscali commesse dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica, quando il profitto sia rimasto nella disponibilità della stessa: il principio di immedesimazione organica, infatti, non permette l’estensione dell’applicabilità della confisca per equivalente, che può avvenire esclusivamente sulla base di disposizioni normative, e – inoltre – il principio della responsabilità correale, cui si è fatto ricorso in alcune pronunce, presuppone comunque che debba essere dimostrato che la società sia concorrente nel reato: ma la società non sarebbe mai potuta essere autore o concorrente del reato – a maggior ragione – non esistendo (all’epoca dei fatti che hanno interessato il Caso Gubert) una responsabilità penale degli enti.

Del tutto condivisibile l’interpretazione delle Sezioni Unite, anche tenendo in considerazione la disciplina

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di cui l’art. 6 c.5 del D. Lgs. 231/2001, che prevede che sia confiscabile il profitto che l’ente ha tratto dal reato – anche nella forma per equivalente – pur nelle ipotesi di “irresponsabilità” dell’ente stesso. Ciò risulta pienamente coerente con la ratio che permea l’istituto della confisca ai sensi dell’art. 6 c. 5 D. Lgs.

231/2001, cioè una ratio riequilibratrice e compensativa, di “ripristino dell’ordine economico perturbato dal reato”, indipendentemente dalla pericolosità del bene oggetto del provvedimento ablatorio. Manca, perciò, in tale caso la funzione generalpreventiva e afflittiva dell’ablazione, trattandosi – invece – di un istituto che mira a riequilibrare la situazione economica alterata dalla commissione dell’illecito, dal quale l’ente ha comunque tratto beneficio.

All’argomento per il quale, la confisca per equivalente dei beni dell’ente sarebbe ammissibile poiché l’autore del reato ne ha la disponibilità in quanto amministratore, le Sezioni Unite hanno contrapposto una precisazione: la disponibilità di tali beni è nell’esclusivo interesse sociale e non della persona fisica, essendo il patrimonio della persona giuridica distinto da quello degli amministratori33.

Considerando, poi, che la confisca per equivalente ai sensi dell’art. 322-ter c.p. si applica all’autore del reato e che l’ente, come già rilevato, non può essere considerato tale, la Corte ha, infine, escluso l’interpretazione analogica dell’istituto normativamente previsto, anche perché si tratterebbe di analogia in malam partem.

Ciononostante, come la scrivente ha già puntualizzato, la pronuncia oggetto di analisi, ha rappresentato sì un punto di arrivo in ambito interpretativo, ma ancor più un punto di partenza, in quanto i giudici della Suprema Corte, hanno rilevato le irrazionalità che caratterizzavano il sistema all’epoca dei fatti e, in particolare, la mancata introduzione delle fattispecie tributarie nell’elenco dei reati presupposto ex D. Lgs.

231/2001.

Dalla pronuncia, alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, la Corte ha ricavato i seguenti principi di diritto:

“Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio”;

“Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona (compresa quella giuridica) non estranea al reato”;

“La impossibilità del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transitoria, senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato”.

Posta la complessità della questione giuridica della confisca in assenza di condanna, merita attenzione la c.d. Sentenza Lucci34, che fornisce argomentazioni che permettono da una parte di delimitare l’oggetto della confisca e in secondo luogo, focalizzarne l’attenzione sulla natura.

La Corte d’Appello, nel 22 marzo 2013, riformando la sentenza del Tribunale di Roma, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato di cui agli artt. 110, 81 cpv. e 319 c.p., cosi? riqualificata la originaria imputazione di concussione, perché estinto per prescrizione.

Contestualmente, i giudici disponevano, ai sensi dell’art. 240 c.p., comma 2, n.1, e art. 322-ter c.p., la confisca delle somme sottoposte a sequestro preventivo. Nel caso di specie, l’imputato, assieme ad altri due soggetti, aveva costretto il titolare della ditta Euroterm, a consegnargli somme di denaro, con la minaccia che, in mancanza di pagamento, non avrebbe più svolto l’attività di manutenzione degli immobili

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comunali. Essendo, però, il rapporto corruttivo cessato nel gennaio 2004, la Corte d’Appello aveva ritenuto estinto delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, di cui all’art. 319 c.p. per intervenuta prescrizione alla data del 30 giugno 2012.

Ciononostante, i giudici procedevano a confisca avente ad oggetto le somme in precedenza sequestrate, poiché ritenute il prezzo del reato di corruzione e perciò confiscabile obbligatoriamente ai sensi del combinato disposto dell’art. 322-ter c.p. e dell’art. 240 c. 2, n. 1 c.p. anche in caso di estinzione del reato per prescrizione35.

Avverso la sentenza d’appello, proponeva ricorso il difensore dell’imputato, articolando quattro motivi. Ai nostri fini, rileva in particolare l’ultimo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente censurava la sentenza impugnata nella parte in cui disponeva la confisca delle somme sequestrate ai sensi degli artt. 240 c. 2. n. 1 c.p. e 322-ter c.p., in quanto – a parere della difesa – non sarebbe stata ammissibile la confisca del profitto o del prezzo del reato al di fuori dei casi di condanna o applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p.; dunque, la dichiarazione di estinzione del reato per avvenuta prescrizione non avrebbe consentito ai giudici di applicare il provvedimento ablatorio definitivo.

La Corte di Cassazione, Sesta Sezione, rilevando contrasti di giurisprudenza ha rimesso due questioni alle Sezioni Unite, delle quali la seconda è connessa alla prima:

se sia possibile disporre la confisca del prezzo del reato malgrado questo sia dichiarato prescritto, ovvero quando manchi una sentenza di condanna o di applicazione concordata della pena;

inoltre, in tema di confisca di somme di denaro, costituenti il prezzo del reato, depositate sul conto corrente, se debba disporsi la confisca per equivalente ovvero quella diretta e – in quest’ultimo caso – se debba o meno ricercarsi e in che limiti il nesso pertinenziale tra denaro e reato.

La Sesta Sezione della Suprema Corte, nel ritenere confiscabile obbligatoriamente ai sensi del combinato disposto dell’art. 322-ter c.p. e dell’art. 240 c. 2 n. 1, c.p. – anche in caso di estinzione del reato per prescrizione – il prezzo del reato di corruzione, ha richiamato un orientamento di legittimità, secondo il quale, il riferimento alla condanna “non evoca la categoria del giudicato formale, ma implica unicamente la necessita? di un accertamento incidentale, equivalente rispetto all’accertamento definitivo del reato, della responsabilità e del nesso pertinenziale che i beni oggetto di confisca devono presentare rispetto al reato stesso, a prescindere dalla formula con la quale il giudizio viene ad essere formalmente definito”36.

Cionondimeno, ha puntualizzato che la confisca ammissibile sarebbe esclusivamente quella di proprietà – intesa quale misura di sicurezza – e non quella per equivalente, dal marcato contenuto afflittivo e funzione sanzionatoria.

In merito a quest’ultima, la Sezione rimettente ha richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità e le sentenze della Corte Costituzionale che argomentano per la funzione sanzionatoria – esposto anche in questa sede, nei paragrafi precedenti – evidenziando come la confisca di valore sia applicabile, al pari delle sanzioni penali, solo a seguito dell’accertamento della responsabilità dell’autore del reato.

Al contrario, è in merito alla confisca diretta che si è rilevato un contrasto giurisprudenziale. Infatti, secondo un primo orientamento, la confisca quale misura di sicurezza patrimoniale presuppone necessariamente la condanna, in quanto è dall’accertamento della responsabilità che deriva anche l’accertamento del collegamento sussistente tra le cose che costituiscono il prezzo del reato ed il reato stesso37.

Secondo una diversa interpretazione, che si basa sul combinato disposto degli artt. 210 e 236 c.p. – il quale, in tema di confisca, sancisce una deroga al principio stabilito dall’art. 210 c.p. – l’estinzione del reato non impedirebbe l’adozione del provvedimento ablatorio. Tale orientamento si fonda sul presupposto per cui la

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confisca avrebbe una duplice finalità: quindi, da un lato, mirerebbe a “colpire il soggetto che ha acquistato i beni illecitamente”; dall’altro lato, assolverebbe allo scopo di “eliminare in maniera definitiva dal mondo giuridico e dai traffici commerciali valori patrimoniali la cui origine risale all’attività criminosa posta in essere, essendo il provvedimento ablativo correlato ad una precisa connotazione obiettiva di illiceità che investe la res determinandone la pericolosità in sé”38.

Oltre a ciò, la Corte ha aggiunto che anche la dichiarazione di estinzione del reato potrebbe essere preceduta da una pronuncia di condanna che riconosca la sussistenza del reato cui la confisca è collegata, richiamando alcune pronunce della Corte di legittimità, secondo le quali, il concetto di condanna cui si fa riferimento nel dettato normativo non rinvierebbe ad una nozione evocativa del giudicato formale; si tratterebbe, invece, di un termine avente valore di equivalenza rispetto all’accertamento definitivo del reato, della responsabilità e del nesso di pertinenzialità che i beni oggetto di confisca devono presentare rispetto al reato stesso e ciò indipendentemente dalla formula che definisce il giudizio39.

L’ulteriore questione rimessa alle Sezioni Unite attiene, invece, alla confisca del denaro – costituente il prezzo del reato – sequestrato sul conto corrente e alle relative modalità e limiti.

Secondo una prima tesi interpretativa, avallata anche dalla sentenza delle Sezioni Unite Gubert, qualora il prezzo o il profitto tratti da uno dei reati indicati dall’art. 322-ter c.p. sia costituito da denaro, la relativa confisca è confisca diretta – ai sensi dell’art. 322-ter c. 1 prima parte c.p. – e non per equivalente40. Il percorso argomentativo sul quale tale interpretazione si erge si basa primariamente sulla fungibilità del denaro, per cui, diventerebbe irrilevante l’accertamento della pertinenzialità in concreto, essendo sufficiente che il denaro oggetto di ablazione sia equivalente per valore al profitto o al prezzo del reato.

Orientamento più risalente, invece, proclamava la necessità di una diretta derivazione causale del prezzo profitto del reato con la condotta illecita, proprio al fine di scongiurare una indiscriminata estensione dell’oggetto del provvedimento ablatorio a qualsiasi vantaggio patrimoniale, indiretto o mediato, che possa derivare da un reato41.

Quanto alla prima questione rimessa alle Sezioni Unite, la Corte ha ritenuto ammissibile la confisca ai sensi dell’art. 240 c.2 n.1 c.p., purché si tratti di confisca diretta e vi sia stata una precedente pronuncia di condanna: qualora, dunque, il giudizio di merito permanga nel senso di un accertamento della responsabilità dell’imputato, della sussistenza del fatto di reato e all’identificazione dei beni costituenti prezzo o profitto di tale reato. Tale soluzione è stata, poi, recepita anche a livello legislativo con la previsione di cui all’art. 578-bis c.p.p., inserito dall’art. 6 del D. Lgs. 21/2018.

Ai nostri fini, rileva, poi, la conclusione cui le Sezioni Unite giungono in relazione alla seconda questione rimessa, in quanto la tesi avallata in parte differisce da quanto statuito dalla Corte nel caso Gubert. Infatti, là dove il profitto o il prezzo siano costituiti da una somma di denaro, essa prescinde dal vincolo di derivazione con il reato contestato poiché “perde qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica”42. È ammessa, pertanto, la confisca diretta nella misura in cui le disponibilità economiche si siano accresciute di quella somma. Inoltre, solo nel caso in cui sia impossibile la confisca del denaro nei termini ora esposti, può procedersi alla confisca di valore degli altri beni dell’imputato per un valore corrispondente al prezzo o al profitto.

3.1 I principi affermati dalla Suprema Corte con la sentenza n. 53 del 2020

In relazione alla delicata questione dell’applicabilità della confisca in assenza di condanna, è necessario infine rilevare che, con una recente sentenza43, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata sull’estensione dell’ambito di applicazione dei principi espressi dalla Sentenza Lucci, elaborati

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in relazione alla confisca obbligatoria del prezzo del reato ex art. 240 c. 2 n. 1 c.p. e del prezzo e del profitto del reato ex art. 322-ter c.p.: in particolare, la Suprema Corte ha osservato che non è applicabile (e se applicata non può essere mantenuta) la confisca facoltativa diretta del profitto del reato di cui all’art. 240 c.1 c.p. al verificarsi di una pronuncia di estinzione del reato per prescrizione, anche a seguito di una condanna in primo grado.

Inizialmente, la Corte di legittimità, dunque, ha annullato la sentenza della Corte d’assise d’appello impugnata – che dichiarava il non doversi procedere per il reato di associazione per delinquere ex art. 416 c.p., mantenendo, però, l’istituto ablatorio – e ha rinviato per un nuovo giudizio. L’orientamento della Corte, sul punto, è stato nel senso di ritenere come fondamentale quantomeno l’identificazione della tipologia di confisca applicata, nella specie se obbligatoria o facoltativa.

La Corte di merito, investita nuovamente della questione, quindi, ha ricondotto l’ipotesi di confisca all’istituto di cui all’art 240 c.1 c.p. e – estendendo il principio di diritto raggiunto con la Sentenza Lucci – ha mantenuto in vita la misura.

A seguito di un ulteriore ricorso dell’imputato, la Quinta Sezione della Suprema Corte ha ritenuto di dover investire della questione le Sezioni Unite, chiedendo se fosse necessaria una condanna formale al fine dell’applicazione dell’ablazione patrimoniale. Tuttavia, le Sezioni Unite hanno restituito gli atti alla Sezione rimettente, sul presupposto per cui il contrasto fosse attinente non alla validità dei principi giurisprudenziali raggiunti con la Sentenza Lucci, ma all’estensione del loro ambito di applicazione.

Pertanto, la Quinta Sezione è stata chiamata a pronunciarsi e – offrendo una dettagliata disamina delle evoluzioni interpretative (trattate anche precedentemente) – ha osservato che, alla luce del principio di legalità, non è ammissibile – nel caso specifico della confisca prevista all’art. 240 c.1 c.p. – una interpretazione estensiva del concetto di condanna.

Nell’ottica della insuperabilità del principio costituzionale di cui all’art. 25 Cost., la giurisprudenza ha sottolineato che nei casi in cui una norma di legge ritenga necessaria – ai fini dell’adozione di un provvedimento ablativo – una pronuncia di condanna, l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione non consente di mantenere in vita la confisca, anche nei casi in cui faccia seguito ad una condanna in un precedente grado di giudizio.

3.2 La confisca per un reato tributario quale “reato-fine” di un’associazione criminale

Vale ulteriormente la pena di soffermarsi sul tema della rilevanza penale dei reati fine di un reato associativo nell’ambito della responsabilità da reato degli enti, tema che in parte coinvolge anche le violazioni tributarie.

La questione, infatti, attiene – per i fini che ci riguardano – all’istituto della confisca: la Corte di legittimità, in una pronuncia ormai non più recente, ha ammesso la possibilità di disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca o al commissariamento giudiziale, non in relazione ai reati di cui all’art. 24-ter del D. Lgs. 231/2001, ma con riguardo ai reati fine cui il sodalizio criminale mira, estranei al novero dei “reati 231”, tra cui gli illeciti tributari e ambientali44, prima della loro introduzione45. Approdo giurisprudenziale che – a parere di chi scrive – eluderebbe il sistema normativo, facendo rientrare nell’ambito di applicazione della disciplina 231 ciò che il legislatore, sancendo la tassatività dei reati presupposto, ha inteso escludere46.

Difatti, sul tema della rilevanza penale ai fini del D. Lgs. 231/2001 delle condotte costituenti reati fine del reato associativo, previsto dall’art. 24-ter, un importante punto d’arrivo è costituto dalla pronuncia della Cassazione con riguardo al caso ILVA47. A parere della Sesta Sezione, infatti, non è possibile recuperare

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la rilevanza penale dei reati fine esclusivamente sulla base della funzione svolta dal sodalizio criminoso (ex se fonte di responsabilità degli enti) con riguardo a tali illeciti.

In realtà, tale principio, esposto in modo chiaro nella sentenza citata, è stato successivamente aggirato da giurisprudenza posteriore, alla luce di una considerazione. La Corte, infatti, ha ritenuto comunque applicabile il sequestro preventivo, individuando quale oggetto della misura cautelare il profitto del reato associativo. In concreto, però, esso è stato individuato nel profitto dei reati scopo, poiché conseguenza diretta di essi48.

4. La confisca senza condanna a carico dell’ente nel diritto della CEDU

È utile procedere, altresì, ad una breve disamina di una ulteriore ipotesi di confisca senza condanna in capo all’ente: la confisca urbanistica di cui all’art. 44 c. 2 D.P.R. 380/2001; sul punto la giurisprudenza della Corte di Strasburgo – a più riprese49 – si è espressa, orientando – o tentando di orientare – le interpretazioni dei giudici interni50, soprattutto alla luce della concreta afflittività dell’istituto. I giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo hanno considerato, innanzitutto, il fatto che la misura ablatoria in questione fosse ordinata a seguito della commissione di un fatto classificato come reato, puntualizzando poi come la confisca urbanistica sia collocata tra le sanzioni penali e abbia una funzione punitiva, riconosciuta anche dalla Corte di Cassazione e rinvenuta pure nel mancato accertamento di qualsivoglia pregiudizio per l’ambiente.

Di certo, non si può non tener conto del grado di gravità e pervasività di tale misura, dal momento che riguarda il complesso dei terreni oggetto di lottizzazione. Sulla base di tali considerazioni, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che la confisca urbanistica abbia natura di sanzione penale. Pertanto, a prescindere dall’etichetta – e cioè dalla classificazione formale di una data misura come sanzione penale ovvero come sanzione amministrativa – se, sulla base dei criteri stabiliti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tale misura ha natura sostanzialmente penale, devono rispettarsi tutte le garanzie poste a tutela della materia penale e, quindi, anche e soprattutto quelle derivanti dal dettato dell’art. 7 della Convenzione e, quindi, dal principio di legalità.

Nel c.d. Caso GIEM, la Grande Camera si è espressa a favore della compatibilità con la disposizione di cui all’art. 7 della Convenzione della confisca urbanistica nel caso di decorso del termine prescrizionale, concludendo per la necessità di un accertamento “sostanziale”, che presenti i caratteri della condanna51.

Sempre in relazione all’art. 7 della Convenzione, la Corte ha affrontato anche una ulteriore questione giuridica e cioè la possibilità o meno di disporre la misura ablatoria di cui all’art. 44 c. 2 D.P.R. 380/2001 nei confronti della persona giuridica che non ha preso parte al procedimento di accertamento della responsabilità, considerato i reati urbanistici – e in particolare il reato di lottizzazione abusiva – non rientrano nel novero dei reati presupposto di cui al D. Lgs. 231/2001. Sulla base della constatazione per cui ente e esponente apicale sono soggetti distinti con distinta personalità, la Grande Camera ha dichiarato l’incompatibilità con l’art. 7 della Convenzione della confisca urbanistica disposta nei confronti della società che non abbia preso parte al procedimento.

5. Conclusioni

In conclusione, a parere della scrivente, nella disamina della questione relativa all’applicabilità della confisca all’ente in assenza di condanna, l’unico approccio in grado di fornire una risposta nel pieno

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rispetto dei principi posti dall’ordinamento, è quello finalistico, che muove da un’analisi della confisca – o degli istituti della confisca – in una visione puramente sostanzialistica.

Posto il pilastro del “nullum crimen, nulla poena sine lege”, al fine di poter adottare legittimamente un provvedimento ablatorio pur in assenza di condanna, è necessario escludere che l’obiettivo della ablazione patrimoniale – nel singolo caso concreto – sia di tipo punitivo; ciò tanto con specifico riferimento agli illeciti tributari, quanto a qualsiasi altro ambito del diritto penale, risultandone – altrimenti – un grave pregiudizio per i principi e per le garanzie tipiche del processo penale: l’applicazione della confisca a carico dell’ente, pur in assenza di una formale condanna, è quindi legittima purché volta a ripristinare l’ordine economico antecedente al reato, cioè solo nei casi in cui il profitto del reato sia effettivamente confluito nelle casse sociali.

1 Cfr. A. Alessandri, Criminalità economica e confisca del profitto, in E. Dolcini, C.E. Paliero, Studi in onore di Giorgio Marinucci, Milano, 2006, pp. 2107 ss.; cfr. anche V. Mongillo, Confisca (per equivalente) e risparmi di spesa: dall’incerto statuto alla violazione dei principi, in Riv. it. dir. e proc. pen.

, fasc. 2, 2015, p. 716, secondo cui “?…? nell’istituto della confisca, ad onta del constante effetto giuridico della sottrazione di beni in forza dell’autorità pubblica, la polifunzionalità si frantuma in un vero e proprio caleidoscopio di conformazioni e funzioni. Conseguentemente, nessun altro strumento coercitivo statale ha dato vita a ricostruzioni giuridiche e dommatiche tanto variegate: a seconda dei casi all’attenzione dell’interprete, si è parlato di pena (principale o accessoria), misura di sicurezza, sanzione amministrativa punitiva, misura di prevenzione ante delictum conseguenza accessoria dell’illecito, misura ripristinatoria para-civilistica, misura civile in rem, ecc.”. Accanto all’ipotesi contemplata dal codice penale, il legislatore ha previsto nel corso del tempo numerosi casi di confisca, che si distinguono dalla prima per la diversa finalità perseguita: sul punto, cfr. A. Macchia, Le diverse forme di confisca: personaggi ancora in cerca di autore, in Cassazione Penale, fasc.07-08, 2016, pag. 2719B. Cfr. anche S. Furfaro, La confisca, in Dig. pen . aggiorn. 2005, Torino, 2005, p. 201, secondo cui “soltanto ove si accantoni l’occasione e si consideri puramente l’effetto, la confisca appare un istituto unitario”. In giurisprudenza, cfr. Cass. pen. Sez. I, 21 dicembre 2010, n. 2737, in CED Cass. rv. 249178.

2 In realtà, l’evoluzione che ha interessato la disciplina dei reati tributari di cui al D. Lgs. 74/2000 ha visto plurime tappe intermedie, tra cui: la L. 311/2004; il D. L. 233/2006, convertito in L. 248/2006; il D. L.

78/2010, convertito in L. 122/2010; il D. L. 138/2011, convertito in L. 148/2011; il menzionato D. Lgs.

158/2015; il D. L. 50/2017, convertito in L. 96/2017 e, da ultimo, il D.L. 124/2019, convertito in L.

157/2019.

3 Sulle novità apportate dalla L. 157/2019, cfr. S. Finocchiaro, In vigore la “riforma fiscale”: osservazioni a prima lettura della legge 157/2019 in materia di reati tributari, confisca allargata e responsabilità degli enti, in Sistemapenale.it; A.M. Dell’Osso, Corsi e ricorsi nel diritto penal-tributario: spunti (critici) sul c.d. decreto fiscale, in Dir. Pen. e Processo, 2020, 3, p. 318; G. Flora, Dalla “spazza corrotti” alla

“spazza evasori”. Brevi note critiche sulle recenti innovazioni legislative in materia di reati tributari, in Rass. Tributaria, 2020, 1, p. 252; G. Varraso, Decreto fiscale e riforma dei reati tributari. Le implicazioni processuali, in Dir. Pen. e Processo, 2020, 3, p. 332; M. Conigliaro, Dei delitti e delle pene tributarie:

sarà vera deterrenza?, in Fisco, 2020, 6, p. 545.

4 Si tratta della legge di attuazione della direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale, la c.d. Direttiva PIF.

5 Sul punto, cfr. G.M. Garegnani, L. Troyer, G. Galli, Giurisprudenza e attualità in materia di diritto penale d’impresa le nuove norme in tema di reati tributari ed il loro impatto sulla responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/2001

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, in Rivista dei Dottori Commercialisti, fasc. 1, 1° febbraio 2020, p. 107; R. Razzante, A. De Vivo, L’inclusione dei reati tributari nel «catalogo 231» e l’aggiornamento del modello: fattispecie, risk assessment e individuazione dei presidi di controllo, in Rivista231; R. Bartoli, Responsabilità degli enti e reati tributari: una riforma affetta da sistematica irragionevolezza, in Sistema Penale, n. 3/2020; F.

Piergallini, La riforma dei reati tributari tra responsabilità della persona fisica e responsabilità dell’ente, in Sistema Penale, 4 giugno 2020.

6 Cfr. Cass. Sez. Un., 2 luglio 2008, n. 26654, in CED Cass. rv. 239926.

7 Si rileva che anche lo stesso codice penale contempla una forma di confisca per equivalente qualificata come sanzione, all’art. 322-ter c.p. (istituto introdotto con l’art. 3 della L. 300/2000), applicabile – tra l’altro – per il rinvio disposto dall’art. 1 c. 143 l. 244/2007 (finanziaria 2008) ad una serie di reati tributari tassativamente elencati.

8 Anche per tantundem: infatti, Cass. pen. Sez. Un., 25 settembre 2014, n. 11170, Curatela Uniland, in DeJure Banca Dati Online, ha specificato che anche la confisca per equivalente integra un’ipotesi di confisca obbligatoria nonostante la lettera dell’art. 19 d. lgs. 231/2001 preveda il termine “può”, termine che è da riferirsi esclusivamente alla “volontà di vincolare il dovere del giudice di procedervi alla previa verifica dell’impossibilità di provvedere alla confisca diretta del profitto del reato e dell’effettiva corrispondenza del valore dei beni oggetto di ablazione al valore di detto profitto”.

9 Ciononostante, parte della dottrina si astiene dal ricomprendere la confisca all’interno delle pene, per due ordini di ragioni: in primo luogo, l’ablazione attiene esclusivamente al profitto; in secondo luogo, è “ estranea al processo di commisurazione della pena”, pertanto, non sarebbe compatibile con il principio di legalità in quanto non conoscibile a priori, cfr. M. Romano in F. Sbisà, E. Spinelli, Studio Legale BonelliErede (a cura di), Responsabilità amministrativa degli enti (d. lgs. 231/2001), IPSOA, 2020, p. 151.

10 Cfr. E. Fusco, La sanzione della confisca in applicazione del d.lgs. 231/2001, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, n. 1-2007, Rivista231.it.

11 Nello specifico, ai sensi dell’art. 15 (Commissario giudiziale), il giudice “dispone la prosecuzione dell’attività dell’ente da parte di un commissario per un periodo pari alla durata della pena interdittiva che sarebbe stata applicata, quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:

l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività;

l’interruzione dell’attività dell’ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull’occupazione”

12 Cfr. in dottrina, M. Ceresa-Gastaldo, Procedura penale delle società, Giappichelli, Torino, 2017, pp. 35- 36, il quale, proprio al fine di giustificare la previsione di cui all’art. 6 c. 5 D. Lgs. 231/2001, puntualizza:

“?…? si è sostenuto che la confisca del profitto costituirebbe, in questi casi, non già una sanzione, ma uno strumento volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell’ente. Rivivrebbe in quest’ottica, la funzione di misura di sicurezza della confisca, fondata sulla presunzione legale di pericolosità del bene quale risultato dell’attività penalmente illecita”. In giurisprudenza, ancora una volta, cfr. Cass. Sez. Un., 2 luglio 2008, n. 26654, cit.

13 Il suddetto dato letterale tiene fortemente conto del dato letterale per cui l’ablazione patrimoniale debba avere ad oggetto il “profitto che l’ente ha tratto dal reato”, formula quest’ultima che si distingue da quella che caratterizza la disposizione di cui all’art. 19 del D. Lgs. 231/2001, in forza della quale il provvedimento riguarda il prezzo o il profitto “del reato”. In dottrina, tra gli altri, cfr. M. Montesano, La nozione del profitto del reato alla luce delle ultime pronunce giurisprudenziali e del contributo dottrinale: punti di vista differenti

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, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, n. 2-2008, Rivista231, secondo cui, infatti, “ Nel primo caso, si parla di profitto che l’ente ha conseguito dal reato, mentre nel secondo di profitto del reato.

La distinzione sembra essere non solo formale dal momento che la confisca di cui all’art. 6, comma 5, opera pur quando l’ente dimostra la sua estraneità nel reato commesso dall’esponente apicale.

L’istituto non ha finalità punitive (non è ipotizzabile in questo caso il sequestro preventivo ex art. 53) ed è rivolto al ristoro dell’equilibrio economico alterato.

Il concetto di profitto corrisponderebbe (il condizionale non è casuale) ad una nozione più allargata a qualsiasi utile derivato all’ente stesso.”

14 Classificazione ad opera di G.E. Degani, La confisca del profitto nei reati tributari, n. 5/2020, in Giurisprudenzapenale.it.

15 Cfr. C. Cost., 2 aprile 2009, n. 97, in Giur. cost., 2009, p. 898; C. Cost., 20 novembre 2009, n. 301, in Giur. cost., 2009, p. 4591.

16 Sul punto cfr. P. Veneziani, La confisca obbligatoria nel settore penale tributario - Mandatory Forfeiture in the Criminal Tax Field, in Cass. Pen., fasc. 4, 2017, p. 1694B, secondo cui, infatti: “ Tali principi valgono ovviamente anche per quanto concerne l’applicazione della confisca ai sensi dell’art.

12-bis d.lgs. n. 74/2000, laddove esso estende l’operatività di norme sfavorevoli a fattispecie di reato in precedenza non contemplate nell’elenco tassativo di cui all’art. 1, comma 143, l. fin. 2008, cit. (oltretutto con non trascurabile vizio di eccesso di delega): di certo per quanto riguarda la confisca per equivalente, ma con ogni probabilità anche in tema di obbligatorietà della confisca diretta, visto che la dilatazione dell’istituto nel diritto vivente porta con sé analoghe colorazioni sanzionatorie”.

17 Tra gli altri, cfr. Cass. Sez. VI, 24 gennaio 2014, n. 3635, Riva FI.R.E., in DeJure Banca Dati Online.

18 In relazione all’applicabilità della confisca nei casi di delitto tentato ai sensi dell’art. 26 D. Lgs.

231/2001, parte della dottrina ha dato risposta affermativa sul presupposto per cui anche la responsabilità accertata per uno dei reati presupposto commessi solo in forma tentata dà luogo ad una sentenza di condanna; sul punto, cfr. A. Bassi – T. E. Epidendio in F. Sbisà, E. Spinelli, Studio Legale BonelliErede (a cura di), Responsabilità amministrativa degli enti (d. lgs. 231/2001), cit., p. 155.

19 In particolare, sul tema, cfr. Cass. pen. sez. un. 24 aprile 2014, n. 38343, Thyssenkrupp, in DeJure Banca Dati Online, secondo cui il profitto oggetto di confisca diretta ai sensi dell’art. 19 del D. Lgs.

231/2001 si identifica tanto con i beni appresi per effetto diretto ed immediato dell’illecito, quanto con ogni altra utilità che ne consegua anche in via indiretta o mediata dall’attività illecita. In particolare, nella sentenza si legge: “Si è affermato che nel concetto di profitto o provento di reato devono essere compresi non soltanto i beni che l’autore del reato ‘apprende’ alla sua disponibilità per effetto diretto ed immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità che questi realizza come effetto anche mediato ed indiretto della sua attività criminosa; qualsiasi trasformazione che il danaro illecitamente conseguito subisca per effetto del suo investimento deve essere considerata, secondo la Corte, profitto del reato nel caso in cui tale trasformazione sia collegabile causalmente al reato stesso e al profitto immediato e sia soggettivamente attribuibile all’autore. In breve, rientra nell’idea di profitto ogni altra utilità che il reo realizzi anche come effetto mediato ed indiretto della sua attività criminosa.

Il principio è stato ripreso affermando che il profitto costituisce un vantaggio economico che si ritrae, sia pure in forma indiretta e mediata, come conseguenza della attività criminosa alla stessa riferibile (Sez. 2, n. 45389 del 06/11/2008, Perino, Rv. 241973)”

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20 Cfr. in tal senso E. Fusco, La sanzione della confisca in applicazione del d.lgs. 231/2001, cit.

21 Cfr. tra gli altri, Cass. pen. Sez. V, 2 ottobre 2006, n. 32627, in DeJure Banca Dati Online.

22 Cfr. Cass., Sez. Un., 31 gennaio 2013, n. 18374, in DeJure Banca Dati Online. Analogamente, cfr.

Cass. pen. Sez. III, 27 marzo 2013, n. 29093, in De Jure Banca Dati Online; Cass., Sez. III, 4 luglio 2012, n. 11836, in DeJure Banca Dati Online; Cass. pen. Sez. V, 10 novembre 2011, n. 1843, in DeJure Banca Dati Online; Cass. pen. Sez. III, 2 dicembre 2011, n. 1199, in De Jure Banca Dati Online. Anche nel caso Gubert, la Corte ha – tra gli altri – ribadito una interpretazione di profitto estensiva, comprensiva dei risparmi di spesa. Si rileva, però, che la dottrina si è mostrata fortemente critica sul punto: cfr. F.

Mucciarelli, C. E. Paliero, Le Sezioni Unite e il profitto confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneutiche, in Diritto Penale Contemporaneo, n. 4/2015.

23 Cfr. Cass. Sez. Un., 30 gennaio 2014, n. 10561, CED Cass. rv. 258646., secondo cui: “Va anzitutto sottolineato che la confisca diretta del profitto di reato e? istituto ben distinto dalla confisca per equivalente.

Deve essere tenuto ben presente che la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non e? confisca per equivalente, ma confisca diretta”.

24 Per una analisi sistematica degli argomenti affrontati dalla Corte di legittimità nel caso Gubert, cfr. T.

Trinchera, La sentenza delle sezioni unite in tema di confisca di beni societari e reati fiscali, 12 marzo 2014, in Penalecontemporaneo.it.

25 Cfr. Cass., Sez. III, 30 ottobre 2013, n. 2013, con scheda di T. Trinchera, Confisca per equivalente di beni appartenenti alla società e reati tributari: la parola passa alle Sezioni Unite, 12 dicembre 2013, in Penalecontemporaneo.it; cfr. anche nota di L. Della Ragione, La confiscabilità per equivalente dei beni dell’ente per i reati tributari commessi dal legale rappresentante: in attesa delle Sezioni Unite, 27 gennaio 2014, in Penalecontemporaneo.it.

26 Cfr. Cass. Sez. III, 7 giugno 2011, n. 28731, in De Jure Banca Dati Online, con nota di G. Colla, Osservazioni a Cass. Pen., 7 giugno 2011, sez. III, n. 28731, in Cass. pen., fasc. 3, 2012, pp. 1096 ss.; cfr., inoltre, L. Della Ragione, La Suprema Corte ammette il sequestro preventivo funzionale alla successiva confisca per equivalente dei beni della persona giuridica per i reati tributari commessi nel suo interesse dal legale rappresentante - Nota a Cass. pen., sez. III, 7 giugno 2011 (dep. 19 luglio 2011), n. 28731, Pres.

Ferrua, Est. Squassoni, 29 settembre 2011, in Penalecontemporaneo.it. Si vedano anche Cass. Pen. Sez.

III, 6 luglio 2011, n. 26389, in DeJure Banca Dati Online; Cass. Pen. Sez. III, 10 maggio 2012, n. 17485, in DeJure Banca Dati Online.

27 Cfr., tra gli altri, Cass. Pen. Sez. III, 4 ottobre 2012, n. 38740, in DeJure Banca Dati Online.

28 Cfr. T. Trinchera, La sentenza delle sezioni unite in tema di confisca di beni societari e reati fiscali, cit., che, nella disamina degli argomenti a sostegno di tale tesi, specifica: “Nel caso in cui il reato sia stato commesso dall’amministratore della società e il profitto sia rimasto nelle casse della società medesima, questa non potrebbe considerarsi terzo estraneo al reato perché partecipa all’utilizzazione degli incrementi economici che ne sono derivati, a prescindere dalla previsione o meno della responsabilità amministrativa dell’ente.”

29 Cfr. G. E. Degani, La confisca del profitto nei reati tributari, n. 5/2020, cit.; C. Santoriello, Confisca per equivalente nei reati tributari, in Il Fisco, n. 7/2011, p. 1104; L. Puccetti, La confisca per equivalente, in M. Montagna (a cura di), Sequestro e confisca, Parte IV, Giappichelli, Torino, 2017, p. 418. In giurisprudenza, cfr. Cass. Pen. Sez. V, 16 gennaio 2004, Napolitano, in Foro it., 2004. Inoltre, con riferimento al tema in esame, si veda Cass. Pen. Sez. III, 14 giugno 2012, n. 25774, in DeJure Banca Dati

(16)

Online che, sostenendo l’orientamento opposto a quello ora trattato (e che sarà di seguito analizzato), ribadisce: “Tale misura ablatoria, pertanto, si connota per il carattere afflittivo e fa consequenzialità con l’illecito proprie della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione, che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza”.

30 Tra gli altri, G. Colla, Osservazioni a Cass. Pen., 7 giugno 2011, sez. III, n. 28731, cit., che rileva, inoltre, come l’art. 27 Cost. e i principi in esso sanciti non possono essere superati con il ricorso al principio di immedesimazione organica. Inoltre, cfr. O. Mazza, La confisca per equivalente fra reati tributari e responsabilità dell’ente (in margine al caso Unicredit) - Nota a Tribunale Milano, Sez. del Riesame, 28 novembre 2011 - 15 dicembre 2011, Pres. Micara, Est. Tacconi, 23 gennaio 2012, in Penalecontemporaneo.it.

31 Testualmente Cass. Pen. Sez. III, 30 ottobre 2013, n. 2013, cit.; tale interpretazione è stata adottata anche da Cass. Pen. Sez. III, 4 luglio 2012, n. 25774, in DeJure Banca Dati Online; Cass. Pen. Sez. III, 28 febbraio 2013, n. 9576, in De Jure Banca Dati Online, con nota di G.F. Capitani, L’amministratore evade milioni in tasse. La confisca per equivalente non si estende al patrimonio della società, in Diritto e Giustizia online, fasc. 0, 2013, p. 241; Cass. Sez. III, 19 settembre 2013, n. 1256, in De Jure Banca Dati Online, con nota di O. Mazza, Il caso Unicredit al vaglio della Cassazione: il patrimonio dell’ente non è confiscabile per equivalente in caso di reati tributari commessi dagli amministratori a vantaggio della società, 25 gennaio 2013, in Penalecontemporaneo.it.

32 Nella motivazione della Corte, si legge, infatti: “Le Sezioni Unite avevano, del resto, ritenuto che, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca prevista dall’art. 322-ter cod. pen., costituisce

«profitto» del reato anche il bene immobile acquistato con somme di danaro illecitamente conseguite, quando l’impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all’autore di quest’ultimo”.

33 In particolare, la Corte ha anche rilevato che l’eventuale appropriazione indebita di beni della persona giuridica da parte di un amministratore può integrare il reato di cui all’art. 646 c.p., aggravato ai sensi dell’art. 61 c.p. n. 11, quindi, perseguibile d’ufficio.

34 Cfr. Cass. Pen. Sez. Un., 26 giugno 2015, n. 31617, in DeJure Banca Dati Online.; cfr. nota di S.

Treglia, Brevi osservazioni su un istituto ancora alle prese con una inversa logica triadica ferma all’«antitesi»: la confisca “senza condanna”, in Archiviopenale.it, n. 2/2016; cfr. nota di G. Civello, Le Sezioni Unite “Lucci” sulla confisca del prezzo e del profitto di reato prescritto: l’inedito istituto della

“condanna in senso sostanziale”, in Archiviopenale.it, n. 2/2015; cfr. di A. Keller, Confisca diretta del denaro e prova dell’assenza di pertinenzialità: la recente giurisprudenza di legittimità erige i primi fragili argini alle sentenze Gubert e Lucci, in Penalecontemporaneo.it, 6/2019.

35 Cfr. Cass., Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39765, in De Jure Banca Dati Online; conf. Cass., Sez. V, 23 ottobre 2012, n. 48680, in De Jure Banca Dati Online.

36 Cfr. Cass., Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39765, cit.; Cass., Sez. V, 23 ottobre 2012, n. 48680, cit.

37 Cfr. in particolare Cass. pen. Sez. Un., 10 luglio 2008, n. 38834, in DeJure Banca Dati Online.

38 Cfr. testualmente Cass. pen. Sez. Un., 26 giugno 2015, n. 31617, cit., riporta Cass. pen. Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39765, cit.; Cass. pen. sez. V, 23 ottobre 2012, n. 48680, cit.

39 Cfr. Cass. pen. Sez. II, 5 ottobre 2011, n. 39765, cit.; Cass. pen. Sez. V, 23 ottobre 2012, n. 48680, cit.

40 Cfr., tra gli altri, Cass. pen. Sez. VII, 12 novembre 2014, n. 50482, in DeJure Banca Dati Online.

41 Cfr. Cass. pen. Sez. Un., 24 maggio 2004, n. 29951, in DeJure Banca Dati Online.

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42 Testualmente, Cass. pen. Sez. Un., 26 giugno 2015, n. 31617, cit.

43 Cfr. Cass. Pen. Sez. V, 15.10.2020, n. 52, in DeJure Banca Dati Online.

44 Oggi annoverati tra i reati presupposto dall’art. 25-undecies del D. Lgs. 231/2001.

45 La pronuncia in questione è la sentenza emessa da Cass. pen. Sez. III, 20 aprile 2011, n. 15657, cit.

46 Cfr., sul punto, M. Scoletta, Responsabilità dell’ente per associazione a delinquere e sequestro del profitto dei reati fine, in Le società, 2013, p. 1260, che muove un’aspra critica a Cass. Pen. 15657/2011, sul presupposto per cui il catalogo dei reati presupposto sarebbe stato privato della sua natura tassativa.

47 Cfr. Cass. Sez. VI, 24 gennaio 2014, n. 3635, cit., secondo cui: “Occorre esaminare, anzitutto, una serie di questioni prioritarie sul piano logico-giuridico e di comune incidenza sulle posizioni di entrambe le società ricorrenti, rilevando come l’impostazione ricostruttiva seguita dal provvedimento impugnato sia inficiata da un vizio di fondo, laddove si è ritenuto di valorizzare, ai fini della responsabilità amministrativa delle società ricorrenti, una serie di fattispecie di reato (ossia, quelle normativamente descritte negli artt. 434, 437 e 439 c.p. e direttamente richiamate nelle imputazioni sub B), C), D) ed I)) del tutto estranee al tassativo catalogo dei reati-presupposto dell’illecito dell’ente collettivo e come tali oggettivamente inidonee, ex D. Lgs. n. 231 del 2001, artt. 2, 5 e 24 ss., a fondarne la stessa imputazione di responsabilità.

Né la rilevanza di quelle fattispecie può essere indirettamente recuperata, ai fini della individuazione del profitto confiscabile, nella diversa prospettiva di una loro imputazione quali delitti-scopo del reato associativo contestato sub A), poiché in tal modo la norma incriminatrice di cui all’art. 416 c.p. - essa, sì, inserita nell’elenco dei reati-presupposto ex cit. D. Lgs., art. 24 ter, a seguito della modifica apportata dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 2 - si trasformerebbe, in violazione del principio di tassatività del sistema sanzionatorio contemplato dal D. Lgs. n. 231 del 2001, in una disposizione “aperta”, dal contenuto elastico, potenzialmente idoneo a ricomprendere nel novero dei reati-presupposto qualsiasi fattispecie di reato, con il pericolo di un’ingiustificata dilatazione dell’area di potenziale responsabilità dell’ente collettivo, i cui organi direttivi, peraltro, verrebbero in tal modo costretti ad adottare su basi di assoluta incertezza, e nella totale assenza di oggettivi criteri di riferimento, i modelli di organizzazione e di gestione previsti dal citato D. Lgs., art. 6, scomparendone di fatto ogni efficacia in relazione agli auspicati fini di prevenzione”.

48 Tra gli altri, cfr. Cass., Sez. III, 23 novembre 2015, n. 46162, in De Jure Banca Dati Online, con nota di A.A. Salemme, Profili di responsabilità tributaria degli enti, in Iltributario.it, fasc., 26 gennaio 2016. In senso contrario, cfr. Cass., Sez. I, 20 febbraio 2015, n. 7860, in De Jure Banca Dati Online, sul presupposto per cui la mera associazione non implica ex se la produzione di illecita ricchezza.

49 Cfr. Cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. II, Causa Sud Fondi s.r.l. e altre 2 contro Italia, Ricorso n. 75909/2001, sentenza del 20 gennaio 2009, in Ministero della Giustizia, www.giustizia.it.; Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sez. II, Causa Varvara contro Italia, Ricorso n. 17475/09, sentenza del 29 ottobre 2013, in Ministero della Giustizia, www.giustizia.it, con nota di F. Mazzacuva, La confisca disposta in assenza di condanna viola l’art. 7 CEDU, in Dir. Pen. Cont., 5 novembre 2013. Da ultimo, cfr.

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Camera, Causa G.I.E.M. s.r.l. e altri c. Italia, Ricorsi nn.

1828/06 e altri 2, sentenza del 28 giugno 2018, in Ministero della Giustizia, www.giustizia.it.

50 La Corte di Cassazione – a partire dagli anni Novanta – si è espressa nel senso di ritenere la confisca urbanistica una sanzione amministrativa, obbligatoria e indipendente dalla pronuncia di condanna e, soprattutto, che prescinde dall’elemento soggettivo del soggetto agente, rilevando esclusivamente una situazione di materiale abusività; sul punto, cfr. Cass., Sez. III, 12 novembre 1990, n. 16483, in CED Cass.

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