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in corpo idrico

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Academic year: 2021

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1.1 Premessa... 1

1.2 Articolazione dello studio ... 2

1.3 Quadro normativo italiano su trattamento e riuso delle acque reflue ... 3

2 PRINCIPALI TIPOLOGIE DI REFLUI... 12

2.1 Reflui enologici ... 12

2.2 Reflui da industria olearia... 14

2.3 Reflui da industria lattiero-casearia... 18

2.4 Reflui da industria agrumaria ... 22

2.5 Reflui zootecnici... 25

3 TECNOLOGIE PER IL TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE AGRO- INDUSTRIALI ... 27

3.1 Fanghi attivi ... 27

3.2 Microbioflottazione e bioflottazione ... 30

3.3 Processi di filtrazione con letti percolatori e dischi biologici ... 32

3.3.1 Letti percolatori... 32

3.3.2 Dischi biologici... 33

4 SISTEMI DEPURATIVI NATURALI... 35

4.1 Lagunaggio... 36

4.1.1 Lagune aerate ... 37

4.1.2 Lagune non aerate... 40

4.1.3 Principi di funzionamento ... 41

4.2 Fitodepurazione... 47

4.2.1 Generalità dei sistemi di fitodepurazione... 47

4.2.2 Sistemi a flusso superficiale (Free Water Surface – FWS)... 52

4.2.3 Sistemi a flusso sub-superficiale (Sub-Surface Flow systems - SSF). ... 57

4.2.4 Meccanismi di rimozione degli inquinanti ed efficienza depurativa ... 62

5 CASI STUDIO ... 78

5.1 Industria enologica... 78

5.1.1 Casa Vinicola Luigi Cecchi e figli (Siena) – (Masi et al., 2002)... 78

5.1.2 Azienda Vitivinicola Tenuta dell’Ornellaia – (Masi et al., 2002)... 83

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5.3 Industria lattiero-casearia ... 89 5.3.1 Caseificio “Salto Santa Lucia” – (Mantovi, 2008) ... 89 5.4 Industria agrumaria... 91

5.4.1 Industria di trasformazione agrumaria di Caltagirone – (Bombino et al., 2009) ... 91 5.5 Trattamento reflui zootecnici ... 94 5.5.1 Allevamento suinicolo di Carmignano del Brenta (PD) - (Borin et al., 2012). 94 5.5.2 Zona di mungitura allevamento bovino di Casina (RE) – (Mantovi et al., 2006) ... 97 6 CONCLUSIONI ... 100

BIBLIOGRAFIA ... 102

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1 INTRODUZIONE

1.1 Premessa

La tematica della depurazione delle acque reflue è di indubbio interesse, sia per le ripercussioni inerenti la problematica dell’inquinamento dei corsi d’acqua superficiali, che per l’eventuale ed auspicabile riutilizzo dei reflui per uso civile, agricolo, industriale, ricreativo.

La necessità di conciliare esigenze strettamente produttive con la salvaguardia dell’ecosistema, ha esitato nello sviluppo di una serie di sistemi artificiali di depurazione e trattamento delle acque (Kadlec e Knight, 1996), il cui funzionamento si basa su fenomeni fisici (come la sedimentazione per forza di gravità) o su processi biologici mediati da organismi viventi.

In natura, le zone umide, in qualità di aree di transizione tra l’ambiente terrestre ed acquatico, sono valutate tra gli ecosistemi biologicamente più produttivi, in grado di ospitare una moltitudine di specie animali non riscontrabile altrove (Kadlec e Knight, 1996). Inoltre, sono in grado di ricevere, trattenere e riciclare le sostanze provenienti dai bacini di drenaggio, utilizzandole come nutrienti per la crescita di vegetazione acquatica e innescando processi di conversione dei composti inorganici in materia organica (Hammer, 1989).

L’attività depurativa è caratterizzata da complesse interazioni tra processi di tipo chimico, fisico e biologico che si originano da un’azione combinata tra substrato, piante, refluo e microrganismi presenti (Vismara et al., 2000).

D’altra parte, i sistemi di depurazione naturale rappresentarono una delle prime soluzioni adottate per lo smaltimento delle acque reflue urbane. L’uso fertirriguo delle acque di scolo, in grandi città come Parigi, Berlino, Milano, fu una pratica attiva sino agli inizi del 1.900 (Vismara et al., 2000).

Il termine “sistema naturale di depurazione” implicherebbe pertanto, nell’accezione più rigorosa del termine, l’assenza di apparecchiature meccaniche e di apporto di energia esterna, elementi fondamentali di funzionamento dei sistemi di depurazione convenzionali.

In realtà, i sistemi naturali prevedono l’utilizzo di pompe e tubazioni. Ciò non ne compromette il meccanismo di funzionamento, che rimane ad ogni modo naturale ed indipendente da fonti esterne di energia per il suo funzionamento.

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Per ciò che concerne la voce di spesa, si rilevano costi di realizzazione e soprattutto di gestione molto più contenuti di quelli necessari ad impianti di depurazione convenzionali.

Con il concetto di “sistema naturale di depurazione”, ci si riferisce, più o meno propriamente, alle seguenti pratiche:

- subirrigazione;

- fertirrigazione (soprattutto per scorrimento superficiale e più raramente a goccia o ad adacquamento);

- lagunaggio biologico (aerobico, anaerobico, facoltativo);

- fitodepurazione, in tutte le sue varianti.

La gran parte delle realizzazioni è oggi limitata al trattamento di reflui civili. Ciò nondimeno vanno emergendo opportune ed interessanti applicazioni anche a reflui provenienti da attività industriali, agricole ed estrattive (EPA, 2000).

1.2 Articolazione dello studio

Lo studio ha previsto un’articolata ricerca bibliografica finalizzata:

- alla definizione degli aspetti normativi nazionali relativi alla depurazione e al riutilizzo delle acque reflue con riferimento al settore agro-industriale (capitolo 1);

- alla descrizione delle principali caratteristiche quali-quantitative dei reflui di origine agro-industriale con particolare riferimento a quelli prodotti nell’industria enologica, olearia, lattiero-casearia, agrumaria e negli allevamenti zootecnici (capitolo 2);

- all’individuazione delle principali tecnologie di trattamento convenzionale dei reflui di origine agro-industriale (capitolo 3);

- alla descrizione dei sistemi di trattamento naturale, lagunaggio e fitodepurazione, e dei loro principi di funzionamento (capitolo 4);

- all’analisi di casi studio nazionali ed internazionali di applicazione di sistemi di trattamento naturale a reflui di origine agro-industriale (capitolo 5).

Le considerazioni conclusive sull’intera attività di ricerca bibliografica sono espresse nel capitolo 6.

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1.3 Quadro normativo italiano su trattamento e riuso delle acque reflue

Qualsiasi uso delle acque deve essere effettuato salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale. Gli usi delle acque devono essere indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici. La legislazione italiana è arrivata solo gradualmente alle disposizioni di tutela di cui sopra.

Il Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 “Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici”, consentiva, difatti, un uso indiscriminato delle acque superficiali e sotterranee naturali, e non prevedeva forme di tutela relativamente alla qualità e disponibilità delle risorse idriche.

I primi tentativi legislativi di regolamentazione risalgono alla Legge Merli (legge n.319 del 1976), ma si limitano ad un accenno alla possibilità di riuso agricolo (allegato n. 5).

È la Legge Galli (legge n. 36 del 1994) a rovesciare la filosofia della legislazione italiana.

Con essa diviene prioritaria l’esigenza del risparmio della risorsa e si impongono usi più razionali della stessa; vengono introdotti i concetti di uso plurimo e di riuso della risorsa:

“Gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora…” (art. 6, comma 1).

Il Decreto Legislativo n. 152 dell’11 maggio 1999, muta integralmente il concetto di risanamento delle acque, puntando alla prevenzione e alla riduzione dell’inquinamento, al risanamento dei corpi idrici inquinati e fissando i parametri di qualità ambientale riferiti alle caratteristiche idromorfologiche, biologiche e fisico-chimiche dei corpi idrici. In tale decreto vengono fissati limiti di emissione differenziati in funzione dell’origine del refluo (civile o industriale), del recapito finale (fognatura, suolo, corpo idrico superficiale) e dell’area di recapito (non sensibile o sensibile). Inoltre, il legislatore specifica le tipologie di trattamento considerate “minime” per il raggiungimento dei suddetti limiti.

Il D.Lgs 152/99 è stato abrogato dal Decreto Legislativo del 3 Aprile 2006 “Norme in materia ambientale” (cd. “Testo Unico dell’Ambiente”) che nella sua parte terza “la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche” ha mantenuto, quasi totalmente, struttura e contenuti del decreto abrogato che, a suo tempo, aveva recepito una lunga serie di direttive comunitarie in materia di acque tra cui la direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue

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urbane e la direttiva 91/626/CEE sulla protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole.

Nel D.lgs. 152/2006 così come nel D.Lgs. 152/1999 vengono definite le tipologie di trattamento e tra queste figura il “trattamento appropriato”, definito, all’articolo 74 comma 1 lett. ii, come “il trattamento delle acque reflue urbane mediante un processo ovvero un sistema di smaltimento che dopo lo scarico garantisca la conformità dei corpi idrici recettori ai relativi obiettivi di qualità ovvero sia conforme alle disposizioni del presente decreto”. I trattamenti appropriati devono essere applicati agli scarichi di acque reflue provenienti da agglomerati urbani con meno di 2.000 abitanti equivalenti (A.E.) recapitanti in acque interne e agli scarichi di agglomerati con meno di 10.000 A.E. recapitanti in acque costiere. Secondo l’allegato 5 del suddetto decreto, “i trattamenti appropriati devono essere individuati con l’obiettivo di: a) rendere semplice la manutenzione e la gestione; b) essere in grado di sopportare adeguatamente forti variazioni orarie del carico idraulico e organico;

c) minimizzare i costi gestionali”. Tali obiettivi sono compatibili con le caratteristiche dei sistemi di fitodepurazione, tant’è che, nel medesimo allegato, viene consigliata l’adozione di alcune tecnologie di trattamento naturale quali il lagunaggio o la fitodepurazione per:

- “gli agglomerati con popolazione equivalente compresa tra 50 e 2.000 abitanti”;

- “gli agglomerati in cui la popolazione equivalente fluttuante è superiore al 30%

della popolazione residente e laddove le caratteristiche territoriali e climatiche lo consentano”;

- “gli agglomerati di maggiori dimensioni con popolazione equivalente compresa tra i 2.000 e i 25.000 abitanti, anche in soluzioni integrate con impianti a fanghi attivi o a biomassa adesa, a valle del trattamento, con funzione di affinamento”.

Per le acque reflue domestiche, derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche (per le quali non è prevista l’autorizzazione allo scarico nella rete fognaria), vengono imposti limiti di emissione in corpi idrici superficiali (Tabella 1.1) in funzione della popolazione e dell’area di recapito (sensibile o non sensibile).

Le acque reflue industriali comprendono quei reflui scaricati da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni (artigianali od industriali), che non abbiano, però, natura di acque reflue domestiche e con l’ulteriore eccezione che non si tratti di acque meteoriche di dilavamento. L’inserimento dell’espressione “impianti” è stata operata per la prima volta dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (decreto di riforma del summenzionato Testo Unico Ambientale), e ha comportato l’estensione dell’applicazione della normativa sugli scarichi industriali a tutte quelle attività commerciali o di produzione di beni che non si svolgono necessariamente nell’ambito di un edificio ma che possono

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essere costituite, altresì, da impianti che operano esclusivamente su aree esterne. La definizione normale di acque reflue industriali prevede, quindi, che:

- le acque reflue siano scaricate da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, indipendentemente dal ciclo di produzione e dalla loro natura inquinante (rientrano nella nozione, pertanto, le acque di processo, le acque di raffreddamento, di lavaggio e quelle similari);

- le acque reflue siano diverse dalle acque reflue domestiche (sono cioè escluse dalla nozione, le acque reflue aventi le caratteristiche di equivalenza qualitativa di cui alla lettera e, comma 7, dell’art. 101, D.Lgs. n. 152/2006);

- le acque reflue siano diverse dalle acque meteoriche di dilavamento.

Tabella 1.1 – Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane che recapitano in corpi idrici superficiali (All. 5 – Tab. 5, D.Lgs. n. 152/2006)

Popolazione Aree non sensibili Aree sensibili

< 2.000 AE Trattamento appropriato Trattamento secondario o equivalente

Valore Efficienza % Valore Efficienza % BOD5 < 25 mg/L 70-90 BOD5 < 25 mg/L 70-90 COD < 125 mg/L 75 COD < 125 mg/L 75 2.000-10.000 AE

SST < 35 mg/L 90 SST < 35 mg/L 90 Trattamento secondario o

equivalente Trattamento avanzato

Valore Efficienza % Valore Efficienza % BOD5 < 25 mg/L 80 BOD5 < 25 mg/L 80

COD < 125 mg/L 75 SST < 35 mg/L 90 COD < 125 mg/L 75

Ntot < 15 mg/L 70-80 10.000-100.000 AE

SST < 35 mg/L 90 Ptot < 2 mg/L 80 Trattamento secondario o

equivalente

Trattamento avanzato

Valore Efficienza % Valore Efficienza % BOD5 < 25 mg/L 80 BOD5 < 25 mg/L 80

COD < 125 mg/L 75 SST < 35 mg/L 90 COD < 125 mg/L 75

Ntot < 10 mg/L 70-80

> 100.000 AE

SST < 35 mg/L 90 Ptot < 1 mg/L 80

Per lo scarico di acque reflue industriali in acque superficiali o in fognatura la Tabella 3 dell’allegato 5 della parte terza del Testo Unico Ambientale pone limiti di emissione per ben 51 parametri (fisici, chimici, biologici).

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Tabella 1.2 – Limiti di emissione in acque superficiali e in fognatura applicati agli scarichi industriali (All. 5 – Tab. 3, D.Lgs. n. 152/2006)

Parametro U.M. Scarico in acque superficiali

Scarico in rete fognaria

pH 5,5-9,5 5,5-9,5

Temperatura °C [1] [1]

Colore non percettibile con diluizione 1:20

non percettibile con diluizione 1:40

Odore non deve essere causa di molestie

non deve essere causa di molestie Materiali grossolani assenti assenti Solidi speciali totali [2] mg/L <80 <200 BOD5 (come O2) [2] mg/L <40 <250 COD (come O2) [2] mg/L <160 <500

Alluminio mg/L ≤1 ≤2,0

Arsenico mg/L ≤0,5 ≤0,5

Bario mg/L ≤20 -

Boro mg/L ≤2 ≤4

Cadmio mg/L ≤0,02 ≤0,02

Cromo totale mg/L ≤2 ≤4

Cromo VI mg/L ≤0,2 ≤0,20

Ferro mg/L ≤2 ≤4

Manganese mg/L ≤2 ≤4

Mercurio mg/L ≤0,005 ≤0,005

Nichel mg/L ≤2 ≤4

Piombo mg/L ≤0,2 ≤0,3

Rame mg/L ≤0,1 ≤0,4

Selenio mg/L ≤0,03 ≤0,03

Stagno mg/L ≤10

Zinco mg/L ≤0,5 ≤1,0

Cianuri Totali (come CN) mg/L ≤0,5 ≤1,0 Cloro attivo libero mg/L ≤0,2 ≤0,3

Solfuri come H2S mg/L ≤1 ≤2

Solfiti (come SO3) mg/L ≤1 ≤2

Solfati(come SO4) [3] mg/L ≤1000 ≤1000

Cloruri [3] mg/L ≤1200 ≤1200

Fluoruri mg/L ≤6 ≤12

Fosforo totale (come P) [2] mg/L ≤10 ≤10 Azoto ammoniacale (come

NH4)

mg/L ≤15 ≤30

Azoto nitroso (come N) [2] mg/L ≤0,6 ≤0,6 Azoto nitrico (come N) [2] mg/L ≤20 ≤30 Grassi e olii

animali/vegetali

mg/L ≤20 ≤40

Idrocarburi totali mg/L ≤5 ≤10

Fenoli mg/L ≤0,5 ≤1

Aldeidi mg/L ≤1 ≤2

Solventi organici aromatici mg/L ≤0,2 ≤0,4 Solventi organici azotati [4] mg/L ≤0,1 ≤0,2

Tensioattivi totali mg/L ≤2 ≤4

Pesticidi fosforati mg/L ≤0,10 ≤0,10 Pesticidi totali (esclusi i mg/L ≤0,05 ≤0,05

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aldrin mg/L ≤0,01 ≤0,01

dieldrin mg/L ≤0,01 ≤0,01

endrin mg/L ≤0,002 ≤0,002

isodrin mg/L ≤0,002 ≤0,002

Solventi clorurati [5] mg/L ≤1 ≤1

Escherichia coli [4] UFC/100mL

Saggio di tossicità acuta [5] il campione non é accettabile quando dopo 24

ore il numero degli organismi immobili uguale

o maggiore del 50% del totale

il campione non e accettabile quando dopo 24 ore il numero

degli organismi immobili è uguale o maggiore: è del 80%

del totale

(*) I limiti per lo scarico in rete fognaria sono obbligatori in assenza di limiti stabiliti dall'autorità competente o in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i limiti di emissione dello scarico finale. Limiti diversi devono essere resi conformi a quanto indicato alla nota 2 della tabella 5 relativa a sostanze pericolose.

(1) Per i corsi d'acqua la variazione massima tra temperature medie di qualsiasi sezione del corso d'acqua a monte e a valle del punto di immissione non deve superare i 3 °C. Su almeno metà di qualsiasi sezione a valle tale variazione non deve superare 1 °C. Per i laghi la temperatura dello scarico non deve superare i 30°C e l'incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 °C oltre 50 metri di distanza dal punto di immissione. Per i canali artificiali, il massimo valore medio della temperatura dell'acqua di qualsiasi sezione non deve superere i 35 °C, la condizione suddetta è subordinata all'assenso del soggetto che gestisce il canale. Per il mare e per le zone di foce di corsi d'acqua non significativi, la temperatura dello scarico non deve superare i 35 °C e l'incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 °C oltre i 1000 metri di distanza dal punto di immissione. Deve inoltre essere assicurata la compatibilità ambientale dello scarico con il corpo recipiente ed evitata la formazione di barriere termiche alla foce dei fiumi.

(2) Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane valgono i limiti indicali in tabella 1 e, per le zone sensibili anche quelli di tabella 2. Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali recapitanti in zone sensibili la concentrazione di fosforo totale e di azoto totale deve essere rispettivamente di 1 e 10 mg/L.

(3) Tali limiti non valgono per lo scarico in mare, in tal senso le zone di foce sono equiparate alle acque marine costiere purché almeno sulla meta di una qualsiasi sezione a valle dello scarico non vengono disturbate le naturali variazioni della concentrazione di solfati o di cloruri.

(4) In sede di autorizzazione allo scarico dell'impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell'autorità competente andrà fissato il limite più opportuno in relazione alla situazione ambientale e igienico sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti. Si consiglia un limite non superiore ai 5000 UFC/100 mL.

(5) Il saggio di tossicità è obbligatorio. Oltre al saggio su Daphnia magna, possono essere eseguiti saggi di tossicità acuta su Ceriodaphnia dubia, Selenastrum capricornutum, batteri bioluminescenti o organismi quali Artemia salina, per scarichi di acqua salata o altri organismi tra quelli che saranno indicati ai sensi del punto 4 del presente allegato. In caso di esecuzione di più test di tossicità si consideri il risultato peggiore. Il risultato positivo della prova di tossicità non determina l'applicazione diretta delle sanzioni di cui al titolo V, determina altresì l'obbligo di approfondimento delle indagini analitiche, la ricerca delle cause di tossicità e la loro rimozione.

Per quanto concerne i nutrienti P e N, se lo sversamento di acque reflue industriali avviene in zone sensibili, valgono comunque i limiti previsti per gli impianti di acque reflue urbane con potenzialità superiore ai 100.000 A.E., pari a 1 e 10 mg/L rispettivamente per P ed N. Oltre ai limiti di emissione in concentrazione, sono previste specifiche prescrizioni per gli scarichi contenenti sostanze pericolose quali Cd, Hg e diverse sostanze organiche clorurate. In questo caso i limiti di emissione sono calcolati in massa di inquinante per unità di prodotto o di materia prima lavorata.

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Dalla summenzionata definizione di reflui industriali appare evidente il principio secondo il quale per l’individuazione delle acque reflue industriali non è sufficiente verificarne solo la provenienza di scarico (da edifici od impianti in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni) ma è anche necessario valutarne le caratteristiche qualitative in relazione alla presenza, nello scarico, delle sostanze inquinanti che ne stabiliscano la natura (lavorazioni industriali). Questa nuova interpretazione legislativa ben si concilia con la necessità di verificare preventivamente l’eventuale assimilabilità dello scarico alle acque reflue domestiche e di accertare che non si tratti di acque meteoriche di dilavamento.

L’articolo 74 del D.lgs. 152/06 ha previsto al comma 7, lettera e), che, ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue:

- provenienti da imprese dedite esclusivamente alla coltivazione del fondo o alla silvicoltura;

- provenienti da imprese di allevamento di bestiame;

- provenienti da imprese dedite alle attività di cui ai punti precedenti che esercitano anche attività di trasformazione o di valorizzazione della produzione agricola, inserita con carattere di normalità e complementarietà funzionale nel ciclo produttivo aziendale e con materia prima lavorata proveniente in misura prevalente dall’attività di coltivazione dei terreni di cui si abbia a qualunque titolo la disponibilità;

- provenienti da acquacoltura e piscicoltura con densità di allevamento minore o uguale a 1 kg/m2 e con portata di acqua utilizzata minore o uguale a 50 L/s;

- aventi caratteristiche qualitative equivalenti a quelle domestiche e indicate dalla normativa regionale;

- provenienti da attività termali fatte salve le discipline regionali.

I reflui prodotti in cicli produttivi agro-industriali di ridotte dimensioni, generalmente, possono essere assimilati a reflui domestici e conseguentemente, nel caso di scarico in corpo idrico superficiale, rispettare i limiti previsti dalla tabella 5, allegato 5 del D.Lgs. 152/06. Al contrario, con l’aumento delle dimensioni del ciclo produttivo si producono reflui con caratteristiche sostanzialmente diverse dai reflui domestici (es. elevate concentrazioni di sostanza organica) che impongono il rispetto dei limiti riportati nella tabella 3, allegato 5 del D.Lgs. 152/06.

Si evidenzia, inoltre, che così come nel D.Lgs. 152/1999 anche nel D.Lgs. n. 152/2006 sono contenuti importanti riferimenti al riutilizzo delle acque reflue, in particolare nei seguenti articoli:

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- art. 73, comma 2, dove, tra gli strumenti indicati per perseguire la tutela delle acque dall’inquinamento, viene inclusa l’individuazione di misure tese alla conservazione, al risparmio, al riutilizzo e al riciclo delle risorse idriche;

- art. 96, comma 3, che regola le concessioni idriche, ove si invita a tenere conto delle possibilità di utilizzo delle acque reflue depurate;

- art. 99, comma 2, dove si fa riferimento ad un ulteriore decreto che definisca le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue;

- art. 146, commi 1 e 2, in cui si sancisce l’obbligo da parte di chi gestisce o utilizza la risorsa idrica all’adozione di misure volte all’incremento del riciclo e del riutilizzo, con l’adozione di reti duali e contatori differenziati;

- art. 154, comma 3, dove si fa riferimento ad un ulteriore decreto che definisca i canoni di concessione per l’utenza di acqua pubblica prevedendo riduzioni del canone nell’ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle acque reimpiegando le acque risultanti a valle del processo produttivo o di una parte dello stesso;

- art. 155, comma 6, che incentiva nelle utenze industriali, attraverso una riduzione della tariffa, il riutilizzo delle acque reflue o già usate nel ciclo produttivo.

Il settore del riuso delle acque reflue è disciplinato dal Decreto Ministeriale n. 185 del 12 giugno 2003 “Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue in attuazione dell’articolo 26, comma 2, del D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152” che stabilisce le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue domestiche, urbane ed industriali attraverso la regolamentazione delle destinazioni d’uso e dei relativi requisiti di qualità, ai fini della tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche, limitando il prelievo delle acque superficiali e sotterranee, riducendo l’impatto degli scarichi sui corpi idrici recettori e favorendo il risparmio idrico mediante l’utilizzo multiplo delle acque reflue.

Il D.M. 185/2003 autorizza l’impiego delle acque reflue recuperate per i seguenti usi:

- irriguo: irrigazione di colture destinate alla produzione di alimenti per il consumo umano e animale; aree destinate a verde o ad attività ricreative o sportive;

- civile: lavaggio delle strade dei centri urbani; alimentazione dei sistemi di raffreddamento e riscaldamento; alimentazione di reti duali, separate da quelle delle acque potabili, con esclusione dell’uso diretto di tale acqua negli edifici civili, ad eccezione dell’uso per gli scarichi dei servizi igienici;

- industriale: alimentazione impianti antincendio; processi di lavaggio e cicli termici dei processi industriali, con l’esclusione degli usi che comportano contatto con alimenti o prodotti farmaceutici e cosmetici.

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All’art. 10 del medesimo decreto vengono esplicitate le modalità di recupero delle acque reflue, di seguito schematicamente riportate:

- nel caso di riutilizzo irriguo, esso deve essere realizzato con modalità che assicurino il risparmio idrico e non può comunque superare il fabbisogno delle colture e delle aree verdi, anche in relazione al metodo di distribuzione impiegato. Esso è inoltre subordinato al rispetto del codice di buona pratica agricola di cui al decreto del Ministro per le Politiche Agricole e Forestali 19 aprile 1999, n. 86. Gli apporti di azoto derivanti dal riutilizzo di acque reflue concorrono al raggiungimento dei carichi massimi ammissibili, ove stabiliti dalla vigente normativa nazionale e regionale, e alla determinazione dell’equilibrio tra il fabbisogno di azoto delle colture e l’apporto di azoto proveniente dal terreno e dalla fertilizzazione;

- nel caso di riutilizzi multipli, ossia usi diversi quali quelli irrigui, civili e industriali come definiti dall’articolo 3, o con utenti multipli, il titolare della distribuzione delle acque reflue recuperate deve curare la corretta informazione degli utenti sulle modalità d’impiego, sui vincoli da rispettare e sui rischi connessi a riutilizzi impropri.

Per quanto attiene alla destinazione d’uso industriale, il regolamento non disciplina il riutilizzo delle acque reflue presso il medesimo stabilimento o consorzio industriale che le ha prodotte; le parti possono concordare limiti specifici purché questi rientrino nei valori previsti per lo scarico in acque superficiali dal D.Lgs. 152/2006.

All’uscita dell’impianto di depurazione, le caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche delle acque reflue recuperate, destinate al riutilizzo irriguo o civile, non devono superare i valori limite riportati nella seguente tabelle 1.2.

Tabella 1.2: Valori limite di alcuni parametri per il riutilizzo delle acque reflue all’uscita dell’impianto di depurazione (D.M. n. 185/2003)

Parametro U.M. Valore Limite

pH 6-9,5

SAR 10

materiali grossolani Assenti

Solidi sospesi totali mg/L 10

BOD5 mg /L 20

COD mg /L 100

Fosforo totale* mg /L 2

Azoto totale* mg /L 15

Azoto ammoniacale mg /L 2

Conducibilità Elettrica dS/m 3

Alluminio mg /L 1

Arsenico mg /L 0,02

Bario mg /L 10

Berillio mg /L 0,1

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Cadmio mg /L 0,005

Cobalto mg /L 0,05

Cromo totale mg /L 0,1

Cromo VI mg /L 0,005

Ferro mg /L 2

Manganese mg /L 0,2

Mercurio mg /L 0,001

Nichel mg /L 0,2

Piombo mg /L 0,1

Rame mg /L 1

Selenio mg /L 0,01

Stagno mg /L 3

Zinco mg /L 0,5

Cianuri Totali (come CN) mg /L 0,05

Solfuri mg /L 0,5

Solfiti mg /L 0,5

Solfati mg /L 500

Cloro attivo mg /L 0,2

Cloruri mg /L 250

Fluoruri mg /L 1,5

Grassi e oli animali/vegetali mg /L 10

Oli minerali mg /L 0,05

Fenoli totali mg/L 0,1

Tensioattivi totali mg/L 0,5

10 (80% dei campioni)

Escherichia coli** UFC/100mL

100 (valore max) Salmonella UFC/100mL assente (100% dei campioni)

* Per il riuso irriguo i limiti riportati per fosforo ed azoto possono essere elevati rispettivamente a 10 mg/L e 35 mg/L;

** Per le acque reflue recuperate provenienti da lagunaggio o fitodepurazione valgono i limiti di 50 UFC/100 mL (80% dei campioni) e 200 UFC/100 mL (valore puntuale massimo).

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2 PRINCIPALI TIPOLOGIE DI REFLUI

2.1 Reflui enologici

Il comparto enologico occupa una posizione preminente nel panorama dell’industria agro- alimentare italiana rappresentando, di fatto, il settore più importante all’interno dell’industria delle bevande. Tale comparto si caratterizza per una sostanziale coincidenza tra produzione e prima trasformazione. I produttori di uva, infatti, si occupano solitamente anche della vinificazione, direttamente o attraverso le cantine sociali (APAT, 2007). La produzione nazionale di vino nel 2011 si è attestata sui 42,7 milioni di hL; inferiore del 9% al dato del 2010 e dell’11% a quello della media 2000-2010, come riportata storicamente da ISTAT (www.istat.it). Se si considera che il processo di vinificazione genera volumi di residui liquidi tali da essere anche superiori a quelli di vino finito prodotto in un anno, la produzione annuale di reflui enologici ammontano, a livello nazionale, ad alcuni milioni di metri cubi.

Emerge quindi la necessità di rendere questi scarichi compatibili con l’ambiente, in quanto, se immessi nell’ambiente in modo incontrollato, pur essendo costituiti da inquinanti organici non tossici, possono avere un impatto negativo sugli ecosistemi naturali, con una conseguente alterazione dell’equilibrio degli stessi (Sangiorgi e Balsari, 1995).

La produzione di reflui nell’industria enologica ha un forte carattere di stagionalità e deriva, sostanzialmente, dalle operazioni di lavaggio delle attrezzature (pigiatrici, diraspatrici, torchi, ecc.), dei contenitori (vasche di raccolta, tini di fermentazione e di riempimento, ecc.) e dei locali (pavimenti, piazzali, ecc.) che vengono operate durante le fasi di: vendemmia- ammostatura (generalmente tra agosto ed ottobre), travaso (generalmente tra maggio e giugno) ed imbottigliamento (generalmente nei periodi febbraio-aprile e ottobre-dicembre).

Una stima effettuata da Sangiorgi e Balsari (1995) ha evidenziato che la produzione totale annua di reflui è ascrivibile per il 47% alla vendemmia, per il 22% alla fase dei travasi e per il 31% all’imbottigliamento (Figura 2.1).

La determinazione della consistenza dei reflui enologici non risulta agevole poiché le operazioni di cantina implicano l’impiego di quantità molto variabili in relazione alla tecnologia adottata, alle dimensioni degli impianti di produzione, alla tipologia di vino prodotto e, non ultimo, all’abilità del vinificatore. Generalmente, i consumi idrici per unità di uva lavorata risultano inversamente proporzionali alle dimensioni della cantina ed alla capacità lavorativa. La complessità della valutazione dei quantitativi di reflui enologici prodotti viene fornita da diverse fonti bibliografiche che documentano consumi idrici, negli stabilimenti enologici, estremamente variabile, compresi tra 43 e 729 L per ciascun ettolitro

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Figura 2.1 – Stima dei volumi di acque reflue prodotte in una cantina in funzione delle diverse operazioni di lavorazione (Fonte: Sangiorgi e Balsari, 1995)

Anche le caratteristiche chimico-fisiche dei reflui di cantina, così come quelle quantitative, presentano un elevato grado di variabilità, legata al livello di risparmio o di spreco dell’acqua utilizzata, nonché al tipo di vino prodotto ed alle modalità di lavorazione adottate.

Il pH presenta valori compresi tra 6,5 e 7,0: è tendenzialmente acido nelle acque provenienti dalle attività di lavorazione proprio per i processi di fermentazione mentre, al contrario, risulta significativamente alcalino nelle acque derivanti dal lavaggio di attrezzature e bottiglie. Il contenuto di SST può raggiungere i 7.300 mg L-1 ed è costituito da residui di foglie, bucce degli acini, semi e raspi, prodotti residui dei vari stadi di vinificazione, resti di sostanze che intervengono nella lavorazione del vino, soluzioni alcaline e tensioattivi impiegati nei lavaggi. Generalmente, il rapporto BOD5/COD per gli scarichi enologici si attesta su valori compresi tra 0,4÷0,7 indicando, pertanto, una buona degradabilità dei composti organici. In studi condotti da diversi ricercatori sono state documentate valori di BOD5 e COD compresi, rispettivamente, tra 1.000÷6.000 mg L-1 e tra 500÷30.000 mg L-1 (Tabella 2.1).

Tabella 2.1: Confronto tra valori di BOD5 e COD riscontrati da diversi autori nei reflui di cantina.

BOD5 COD

(mg/L) (mg/L) BOD5/COD Fonte

1.000-3.000 1.700-6.000 0,5-0,6 Farolfi, 1995 1.200-6.000 2.000-9.000 0,6-0,7 Fumi et al., 1995b

- 7.000-7.500 - Daffonchio et al., 1995 - 500-30.000 - Fumi et al., 1995a

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Studi dettagliati sulla composizione organica (Sheperd et al., 2001) indicano che l’etanolo e gli zuccheri (fruttosio e glucosio) rappresentano più del 90 per cento del carico organico totale. In aggiunta, includono anche bassi quantitativi (circa 0,1-5 % del COD totale) di composti quali polifenoli e lignina, che vengono degradati con difficoltà, in ragione della loro struttura chimica e dell’elevato peso molecolare. Il contenuto in nutrienti (N, P2O5, K2O) risulta ridotto, con bassi rapporti N/C e P/C. Inoltre, si segnala anche la presenza di molecole complesse (polifenoli, detergenti, disinfettanti), con valori di polifenoli da 10 a 200 mg L-1 (De Lucas et al., 2006).

Tra il 2007 e il 2009 è stato condotto il progetto CIPE denominato“Gestione sostenibile dei reflui di cantina”, che ha riguardato in particolar modo l’area a vocazione vitivinicola della provincia di Asti e che ha visto coinvolti oltre al Dipartimento DEIAFA della Facoltà di Agraria dell’Università di Torino anche il Dipartimento di Coltivazioni Arboree della medesima Facoltà (APAT, 2007). Uno degli obiettivi del progetto è stato quello di valutare la possibilità di impiego agronomico dei reflui enologici, dopo averli stabilizzati con uno stoccaggio sperimentale condotto in condizioni di anaerobiosi. La soluzione proposta ha riguardato il riutilizzo agronomico del refluo enologico attraverso due modalità: l’irrigazione di soccorso del vigneto e/o la veicolazione dei prodotti fitoiatrici, previo stoccaggio anaerobico, del prodotto stesso. La sperimentazione in campo non ha messo in luce problemi di pericolosità legati alla fertirrigazione, né problemi di fitotossicità o frequenza degli attacchi fungini e peronosporici, legati ai trattamenti fitoiatrici. Va, però, ricordato che con la distribuzione sul terreno di tali reflui (fertirrigazione) vengono apportati anche sali, polifenoli e altre sostanze che potrebbero potenzialmente essere nocive, se distribuite in quantità eccessive. L’utilizzazione dei reflui come fase disperdente dei prodotti fitoiatrici, potrebbe porre un problema concernente l’eventuale reazione delle sostanze in essi contenute con quelle contenute nei prodotti fitoiatrici. Inoltre, è necessario che in tale liquido non siano presenti solidi che possano otturare gli ugelli degli atomizzatori. I risultati ottenuti dalla sperimentazione sono risultati incoraggianti, tuttavia solo da una sperimentazione poliennale effettuata con differenti principi attivi e differenti vitigni si potrebbero trarre conclusioni difinitive.

2.2 Reflui da industria olearia

Le tecnologie estrattive utilizzate influenzano tutti i prodotti dell’industria olivaria, rivestendo particolare importanza proprio nella caratterizzazione sia quantitativa che

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naturalmente all’olio, due tipologie di sottoprodotto distinguibili in ordine alla rispettiva fase fisica: le sanse vergini, di consistenza più o meno solida derivanti dalla polpa delle olive, e le acque di vegetazione, di formulazione liquida, costituite essenzialmente dalle acque di lavaggio e da quelle di processo, oltre che dalla frazione acquosa dei succhi della drupa. In particolare, alla produzione delle acque di vegetazione contribuiscono:

- acque di costituzione: naturalmente presenti nel succo della polpa della drupa (corrispondono al 40–50% del peso della drupa);

- acque di lavaggio delle olive (corrispondono al 5% circa del peso delle olive lavorate);

- acque di lavaggio degli impianti (corrispondono al 5-10% del peso delle olive lavorate);

- acque di diluizione delle paste usate negli impianti continui (oscillano tra il 90 ed il 120% del peso delle olive lavorate);

- acque di lavaggio delle cisterne e degli impianti di estrazione (corrispondono al 5- 10% del peso delle olive lavorate).

I quantitativi di reflui prodotti in un’industria olearia risultano strettamente connessi alle tecnologie di estrazione dell’olio adottate. In particolare (Amirante, 1999):

- nella tecnica tradizionale, discontinua o per pressatura, in cui la separazione delle due fasi, solida e liquida, avviene per mezzo di presse verticali che, grazie alla notevole pressione applicata e all’utilizzo di speciali dischi (fiscoli), favoriscono la fuoriuscita del mosto oleoso, i consumi idrici variano da 40 e 60 litri per quintale di olive molite (ANPA-ONR, 2001);

- in impianti a sepazione continua o centrifuga, nei quali si ricorre ad una centrifuga orizzontale, il decanter, che consente la separazione del mosto oleoso dalla sansa in relazione alla diversa densità dei due materiali i consumi idrici possono aumentare fino a 110 litri per quintale di olive molite.

Le acque di vegetazione presentano una colorazione scura che può arrivare sino al nero e sono caratterizzate da un odore tipico, piuttosto intenso, che ricorda quello della drupa da cui derivano. Sono costituite sostanzialmente da una soluzione acquosa di sostanze organiche (in particolare da zuccheri riduttori, ma anche da acidi organici, polialcoli) e minerali (potassio, fosforo, calcio) e possono contenere, in sospensione, materiale solido vegetale sfuggito alla fase di separazione del mosto oleoso. Le acque di lavaggio, che contribuiscono alla formazione delle acque di vegetazione, rivelano composizioni molto variabili, tanto da non riconoscere chiare relazioni con le relative realtà produttive. In particolare, la maggior parte dei frantoi è dotata di lavatrici, ma il consumo di acqua è da mettere in relazione allo stato di pulizia dei frutti conferiti che, a sua volta, dipende dai metodi di raccolta e dalle condizioni

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meteorologiche del momento. Tali acque sono principalmente inquinate da solidi sospesi e solidi sedimentabili.

La progressiva sostituzione dei frantoi tradizionali a pressione con i nuovi sistemi a estrazione centrifuga, ha determinato delle modifiche nelle caratteristiche dei sottoprodotti, la più macroscopica delle quali riguarda l’incremento dell’umidità delle sanse ed una maggiore diluizione (fino a quattro volte superiore) della componente solida presente nelle acque di vegetazione. Nella Tabella 2.2 vengono riportati i valori dei parametri chimico- fisici tipici delle acque di vegetazione in relazione ai diversi processi di estrazione (Di Giovacchino et al., 1988). I dati sono in linea con quelli riferiti dalla letteratura sull’argomento.

Come anzidetto, le acque di vegetazione residuate dal sistema a centrifugazione possiedono, rispetto a quelle derivanti dal sistema alternativo, un più basso residuo secco per unità di volume, nonché un quantitativo di olio maggiore. Infatti, esse contengono, in sospensione, una certa quantità di minuti frammenti vegetali di polpa di olive che, durante il processo di frangitura, il decanter trasferisce dalla sansa al refluo liquido.

Le acque di vegetazione, a causa del contenuto di acidi organici presenti nelle olive (in particolare, acido malico e citrico), hanno una reazione da sub-acida ad acida e presentano valori di pH compresi tra 4,5 e 5,9. Tali oscillazioni sono da attribuire alla varietà, al periodo di maturazione ed alla durata dello stoccaggio delle olive, mentre in generale il pH risulta scarsamente influenzato dal sistema di estrazione prescelto.

Per ciò che concerne il contenuto in zuccheri riduttori, in letteratura vengono riferiti dati estremamente variabili, poiché il parametro è influenzato da diversi fattori, tra cui: il grado di maturazione delle olive; lo stato sanitario e le condizioni di stoccaggio; la varietà; la diversa tecnologia estrattiva. Gli zuccheri riduttori presenti sono costituiti essenzialmente da glucosio (90% c.a.) e fruttosio (10% c.a.).

Anche il tenore di sostanze fenoliche è funzione della varietà, dello stato di maturazione, dello stoccaggio e del degrado che le olive possono aver subito fra la raccolta e la spremitura. Esso risulta comunque particolarmente influenzato dalla tecnologia estrattiva e, per quanto fortemente variabile, il valore medio del contenuto in polifenoli totali appare dell’ordine dei 6 g L-1 per le acque di pressione e di circa la metà per quelle da centrifugazione.

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Il contenuto medio in ceneri varia, in valore percentuale, dallo 0,6 al 2%, rispettivamente per le acque da impianti a centrifugazione e a pressione. Le diverse indagini svolte evidenziano, unanimemente, che il potassio è l’elemento minerale maggiormente presente (con valori medi di oltre 2.000 mg L-1 per impianti a pressione e di circa la metà per quelli a centrifugazione), seguito dall’azoto (544-404 mg L-1), dal fosforo (485-185 mg L-1) e da altri microelementi con concentrazioni più modeste.

I valori del COD (Chemical Oxigen Demand), così come pure quelli del BOD5 (Biological Oxigen Demand), risultano comunque molto elevati, anche se decisamente maggiori per le acque di vegetazione residuate dagli impianti tradizionali (150 grammi O2 L-1 il COD e 90 grammi O2 L-1 il BOD5, contro 90 grammi O2 L-1 il COD e 30 grammi O2 L-1 il BOD5 delle acque originate da impianti centrifughi).

Bisogna tenere presente che, durante lo stoccaggio nelle vasche di raccolta, ove il refluo sosta per tempi più o meno lunghi prima dello spargimento, la concentrazione di alcuni componenti organici facilmente fermentescibili può diminuire anche notevolmente, per l’azione dei microrganismi aerobi ed anaerobi in grado di decomporli. Il pH generalmente aumenta, mentre il BOD5 diminuisce, così come la quantità di solidi sospesi (che tendono a sedimentare) e l’estratto etereo, se si provvede al recupero delle sostanze grasse (olio) affioranti.

Tabella 2.2: Caratteristiche fisico-chimiche delle acque di vegetazione provenienti dai due processi di estrazione dell’olio (Fonte: Di Giovacchino et al., 1988)

Sistema di estrazione Parametro

Pressione Centrifugazione

pH 5,27 5,23

Estratto secco (g L-1) 129,7 61,1

Peso specifico 1,049 1,020

Olio (g L-1) 2,26 5,78

Zuccheri riduttori (g L-1) 35,8 15,9

Polifenoli totali (g L-1) 6,2 2,7

Ceneri (g L-1) 20,1 6,4

COD (g O2 L-1) 146 85,7

BOD5 (g O2 L-1) 90,2 28,7

Poche informazioni sono invece reperibili circa la caratterizzazione microbiologica dei reflui oleari. Dalle analisi sinora eseguite su acque di vegetazione di diversa provenienza, emerge che la popolazione microbica è prevalentemente costituita da batteri; tra questi, i più numerosi sono i celluloso litici, mentre risultano assenti i nitrificanti. Anche se in numero minore, sono presenti lieviti e funghi, molti dei quali pectinolitici, mentre risultano assenti gli attinomiceti.

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Uno dei metodi di riutilizzo delle acque di vegetazione consiste nello spandimento controllato e limitato del refluo sui terreni agricoli. Tali acque, infatti,contengono sostanze naturali vegetali biodegradabili che apportano al suolo materia organica ed elementi minerali fertilizzanti. Tuttavia, al fine dell’impiego agronomico di tali acque, si deve tener conto delle caratteristiche pedogeomorfologiche, idrologiche ed agroambientali del sito di spandimento, salvaguardando le acque superficiali e di falda, limitando le esalazioni maleodoranti e nel rispetto delle norme igienico sanitarie, di tutela ambientale ed urbanistiche vigenti. Tra i principali effetti su colture e suolo si evidenziano:

- apporto di nutrienti, umificazione della sostanza organica ed incremento delle attività microbiche, che vengono esaltate dopo un primo breve periodo di sofferenza. Le colture possono trarre giovamento dall’apporto dei reflui oleari, purché questi vengano distribuiti in pre-impianto, almeno 60-90 giorni prima della semina; tale periodo è necessario per eliminare l’effetto fitotossico legato alla presenza di agenti inibenti; le colture, che in particolare possono trarne beneficio, sono l’olivo e la vite;

- miglioramento della struttura del suolo;

- si riscontra, talvolta, un incremento della salinità ed un abbassamento del pH, ma tali eventi hanno carattere transitorio;

- anche se i dati relativi sono scarsi, i reflui di frantoio sembrano avere un effetto inibente su alcuni patogeni del suolo.

2.3 Reflui da industria lattiero-casearia

Un aspetto che viene spesso sottovalutato, quando si parla di innovazione tecnologica nel comparto lattiero-caseario, è quello della destinazione finale degli scarti e dei reflui di lavorazione. Di norma, per ogni 100 kg di latte, vengono prodotti 10-20 kg di formaggio e 80-90 kg di siero. A fine lavorazione, il siero contiene un basso contenuto in solidi e un tasso elevato di lattosio. Se da una parte sembrerebbe possibile un ulteriore utilizzo del siero, dall’altra un normale smaltimento non è attuabile se non con un costoso intervento di depurazione. A tutt’oggi si stima che il 40-50% del siero prodotto venga smaltito come refluo. Lo smaltimento dello stesso come rifiuto (rifiuto speciale non pericoloso), comporta che l’azienda si attenga alle disposizioni dettate dal D.lgs 22/1997 (Decreto Ronchi), le quali prevedono un deposito temporaneo in serbatoi refrigerati, un modello unico di dichiarazione ambientale (MUD), registri di carico e scarico, formulari etc. Il siero, può inoltre essere conferito, esclusivamente, a ditte autorizzate al trasporto, recupero e smaltimento dello stesso, ai sensi degli articoli 27, 28 e 30, D.lgs 22/1997.

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Un frequente utilizzo del siero, che non richiede particolari tecnologie di conservazione o di trattamento, è quello di impiegarlo come ingrediente per la formulazione di mangimi per animali di allevamento.

In alternativa, è possibile valorizzare i reflui caseari (soprattutto siero e scotta), procedendo all’estrazione dei componenti ad alto valore aggiunto. Ciò consente di ridurre la quantità di reflui prodotti, abbatte i costi legati allo smaltimento e rappresenta un esempio di trasformazione di uno scarto in risorsa economica. Sin dagli anni ‘80 sono disponibili tecnologie per l’utilizzo del siero come materia prima per la produzione di etanolo.

Attualmente, ad esempio, i gruppi lattiero-caseario tedeschi, utilizzano il siero come materia prima per produrre biocombustibili a costi molto bassi.

Un trattamento di frazionamento e concentrazione (con tecniche chimico-fisiche, termiche o a membrana) per il recupero di sieroproteine, potrebbe essere la soluzione ottimale per una corretta gestione del siero. Le tecnologie di separazione a membrana (microfiltrazione, ultrafiltrazione, nanofiltrazione ed osmosi inversa) sono particolarmente indicate per la separazione dei diversi componenti del siero di latte, in quanto operano a basse temperature (20-60°C) e in condizioni isoterme.

A seconda della tecnologia adottata, il siero prodotto può risultare dolce (cioè a bassa acidità) con pH>5,6, oppure acido con pH<5,1. Nel nostro Paese la stragrande maggioranza di siero prodotto è di tipo dolce, ma questo va spontaneamente incontro ad una rapida acidificazione (per azione dei batteri lattici) e raggiunge in ogni caso, nel giro di poche ore, valori di pH inferiori a 4 (Paris, 1998). La composizione del siero presenta ampie variazioni in conseguenza della tecnologia di caseificazione impiegata. In particolare, le variazioni sono da imputare al sistema impiegato per la coagulazione della caseina e al livello raggiunto dalla fermentazione del lattosio. Il tenore di calcio e fosforo nel siero dipende, ad esempio, dal tipo di coagulazione del latte. Il processo di caseificazione influenza anche il tenore di grasso e di acido lattico; inoltre, il siero è più ricco di questi elementi se proveniente da lavorazioni da latte intero, specialmente se a cottura molto spinta. Nella sottostante Tabella 2.3 sono riportate alcune delle principali caratteristiche chimiche del siero di latte vaccino intero non scremato.

Risulta quindi evidente che il trattamento del siero e degli altri reflui caseari rappresenta uno dei maggiori problemi dei caseifici. La tipologia di trattamento da adottare non può essere univoca e va vagliata tenendo conto di molteplici fattori: dimensioni del caseificio, collocazione territoriale, scelta di produzione in base alle richieste di mercato, ecc. Per ciò che concerne i volumi di acqua impiegati presso gli stabilimenti lattiero-caseari, la letteratura

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riferisce dati molto variabili, evidenziando l’esistenza di differenze tutt’altro che trascurabili.

Tale eterogeneità è da riferirsi, in primo luogo, ai diversi tipi di impianto ed alla conseguente capacità di recupero di acque e soluzioni di lavaggio; secondariamente, alla maggiore o minore disponibilità di acqua e alle abitudini del personale. La variabilità dei consumi idrici risulta evidente analizzando i dati riportati nella Tabella 2.4 nella quale vengono stimati i consumi di acqua in relazione a diversi prodotti ottenuti (Sanna, 1982). Secondo lo stesso autore, comunque, il rapporto tra consumi idrici e latte lavorato nei diversi stabilimenti varia tra 4:1 e 2:1, con i valori più bassi in quelli più piccoli. Un’altra indagine condotta da Ferrari e Piccinini (1989) su 281 caseifici medio-piccoli nella provincia di Reggio-Emilia ha evidenziato i risultati riportati in Tabella 2.5. Tali risultati risultano comparabili a quelli evidenziati da Sanna (1982) e confermano l’esterma variabilità produttiva di reflui durante il processo di caseificazione.

Tabella2.3. Caratteristiche chimiche del siero di latte vaccino intero non scremato secondo diversi Autori.

Parametro U.M. ANPA-ONR, 2001

Sciancalepore, 1998

Corradini, 1995

Robbins et al., 1996

Radford, 1986

Sharrat et al., 1959 Residuo secco (%) 6-7 6,3-6,5 6,83-7,82 8,0 5,87 -

Grassi (%) 0,2-10,0 0,4-0,5 0,15-0,7 - - -

Azoto totale mg Kg-1 1.065-1.460 7.000-8.000 - 900-2.200 1.400 1.200-1.500 Azoto proteico mg Kg-1 6.800-9.300 - 8.200-9.000 - - - Azoto non

proteico

(N*6,38) 1.800-2.300 - - - - -

Lattosio g Kg-1 38,2-46,6 42-48 43-55,3 - 39,4 - Acido lattico mg Kg-1 100-12.000 1.000-4.000 - - - - Sali minerali mg Kg-1 4.500-7.500 7.000-8.000 - - - -

Fosforo mg Kg-1 600-950 - 400-700 300-600 390 400-500 Sodio mg Kg-1 600-700 - - 360-1.900 560 280-800 Cloruri mg Kg-1 1.100-1.300 - - - - - Calcio mg Kg-1 480-1.400 - 400-900 430-1.100 470 300-350

Ferro mg Kg-1 0,05-0,09 - - - - -

Piombo mg Kg-1 0,08-0,12 - - - - -

Rame mg Kg-1 0,17-0,33 - - - - -

Iodio mg Kg-1 0,4-0,5 - - - - -

Potassio mg Kg-1 - - - 1.000-1.400 1.480 1.600-1.800

Magnesio mg Kg-1 - - - 90-120 90 50-60

Ceneri mg Kg-1 - - 5.000-19.600 - 8.100

Per ciò che concerne gli effluenti e la loro composizione, i principali inquinanti sono rappresentati dai residui del latte e dei suoi sottoprodotti, da eventuali sostanze impiegate nelle lavorazioni, dai prodotti utilizzati nel lavaggio e nella disinfezione degli ambienti, delle attrezzature e nei servizi complementari. Relativamente alla composizione dei reflui, va segnalato un elevato carico organico. Al contempo, risultano sostanzialmente assenti sostanze pericolose (agenti patogeni, metalli pesanti, virus, ecc.). Ove se ne potesse prevedere una corretta distribuzione su terreno agrario, si distribuirebbe una sostanza organica con un buon contenuto di composti organici (zuccheri, grassi, acidi organici, ecc.) e

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Tabella 2.4. Stima delle quantità di effluenti prodotte e loro caratteristiche in relazione alla quantità di latte lavorato e per differenti utilizzazioni (Fonte: Sanna, 1982).

Carico volumetrico

m3/t latte lavorato BOD5 COD Operazione e prodotti

minimo massimo medio mq L-1 mq L-1 pH Imbottigliamento latte 0,1 5,4 3,3 1.300 - -

Formaggi* 0,8 12,4 6,0 5.700 4450 -

Gelati 0,8 5,6 2,8 2.100 - -

Caseina/polvere** 1,8 1,8 1,8 15.000 - 5,0

Burro 0,8 6,5 1,9 300 460 -

Polvere - - 2,8 3.200 - -

Miscelatore (polvere, burro, ecc.) 0,8 6,8 2,2 910 2.400 7,8

* effluente contenente siero, **effluente non contenente siero

Tabella2.5. Produzione di effluenti e loro caratteristiche (Fonte: Ferrari e Piccinini, 1989).

Minimo Massimo Medio

Consumi idrici (m3/q latte lavorato) 0,12 0,25 0,18

COD (mg L-1) 650 3.000 1.500

BOD5 (mg L-1) 300 1.400 700

Tabella 2.6. Range di composizione e composizione media della acque reflue dei caseifici australiani (Fonte:

EPA Victoria – Australia, 1997).

Parametro Range di concentrazione mg L-1

SST 24-5.700 BOD5 450-4.790

N 15-180 P 11-160 Na 60-807

Cl 48-469 Ca 57-112 Mg 25-49 K 11-160 pH 4-12

La letteratura (ANPA-ONR, 2001), riguardo l’utilizzo agronomico del siero e degli effluenti, riferisce incrementi produttivi su numerose colture erbacee di pieno campo, quali cereali autunno-vernini, mais e colture da foraggio; ciò grazie al significativo apporto di elementi nutritivi che la distribuzione dei reflui comporta. Relativamente al valore fertilizzante dei reflui caseari, è possibile stimare la quantità di elementi apportabili supponendo di utilizzare siero, scotta ed effluenti sono risultate molto elevate ipotizzando di distribuire una dose di acque consistente (300 m3/ha), mentre sono risultate più modeste con la dose più contenuta (50 m3/ha). È da osservare, comunque, che le elevate quantità distribuite non debbono destare eccessive preoccupazioni in merito ai rischi di dispersione ambientale, poiché gli elementi nutritivi sono per la maggior parte presenti in forma organica e quindi poco soggetti ai fenomeni di dispersione.

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Sotto il profilo agro ambientale, tuttavia, alcuni parametri qualitativi possono porre dei limiti, in termini di compatibilità ambientale, allo spargimento diretto su terreno agrario dei reflui di cui in argomento. Questi fattori sono rappresentati dal pH, dalla salinità e dalla concentrazione di alcuni elementi che, pur non raggiungendo valori tali da impedirne l’utilizzo diretto sul terreno agrario, sicuramente suggeriscono l’adozione di alcune precauzioni in relazione alle condizioni pedoclimatiche ed alle colture interessate (Woodard et al., 2002; Johnson et al., 2004).

L’impiego dei reflui caseari in agricoltura, anche se poco diffuso e conosciuto, sembra poter schiudere interessanti prospettive. L’elevato contenuto di elementi fertilizzanti e di carico organico delle acque di risulta, infatti, costituisce una caratteristica preziosa da un punto di vista agronomico. La contemporanea presenza di elementi indesiderati deve, però, suggerire cautela rispetto a comportamenti troppo disinvolti od improvvisati. Tra i parametri analitici che possono risultare critici e che quindi richiedono particolare attenzione citiamo la salinità, il SAR e la concentrazione di tensioattivi, di sodio, di cloro e di rame.

2.4 Reflui da industria agrumaria

Le acque reflue agrumarie sono essenzialmente costituite dalle acque di lavaggio dei frutti, degli impianti, delle attrezzature e dei pavimenti, dalle acque di raffreddamento delle macchine, nonché dalle acque prodotte dalle linee di estrazione degli olii essenziali e di lavorazione delle scorze. Tali reflui contengono solidi sospesi (come residui di polpe e scorze), sostanze solubili organiche e inorganiche (principalmente zuccheri, acidi, soda caustica) e sostanze organiche volatili (come gli oli essenziali della buccia, costituiti principalmente da d-limonene) (Kimball, 1999).

La produzione di acque reflue agrumarie dipende principalmente dal consumo idrico per unità di frutta trasformata, che varia sensibilmente secondo la tecnologia di processo (Di Giacomo e Calvarano, 1987; Iasm-Breda, 1991), e dalla quantità di frutta trasformata, caratterizzata da una rilevante variabilità inter-annuale, stagionale (oltre il 70% della produzione di acque reflue è concentrata tra febbraio e aprile) e settimanale (dovuta all’inattività degli impianti durante la notte e nei weekend) (Tamburino et al., 2004; 2007).

I processi depurativi delle acque reflue agrumarie risentono notevolmente di questa caratteristica variabilità qualitativa, imputabile a numerosi fattori, tra i quali:

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