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Prospettive di cambiamento culturale per affrontare il gender gap: pregiudizi e stereotipi da sradicare nei contesti lavorativi e

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3.3 Prospettive di cambiamento culturale per affrontare il gender

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mondiale, che raggiunge il 30%235. La costante presenza degli stereotipi fonda le sue radici fin dalla prima infanzia degli individui. La famiglia è l’ambiente primario dove si acquisiscono e si apprendono i primi ideali che poi si alimentano attraverso la scolarizzazione e la socializzazione nel corso di tutta la vita.

Dati dell’Istat dimostrano come gli stereotipi di genere in Italia siano tuttora radicati nella nostra cultura (ISTAT, 2019), e insieme agli atteggiamenti verso comportamenti di tipo violento, dimostrano come la società possa giustificare e comprendere relazioni violente in un determinato contesto culturale. Si riscontra che gli stereotipi di genere più comuni sono:

• “Per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro” (32,5%);

• “Gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche”

(31,5%);

• “E’ l’uomo che deve provvedere alle necessità economiche della famiglia”

(27,9%);

• “In condizioni di scarsità di lavoro, i datori di lavoro dovrebbero dare la precedenza agli uomini rispetto alle donne” (16,1%);

• “Spetta all’uomo prendere le decisioni più importanti riguardanti la famiglia” (8,8%).

235www2.deloitte.com/content/dam/Deloitte/it/Documents/aboutdeloitte/OsservatorioFondazioneDeloitte _RigenerationSTEM.pdf

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La maggiore diffusione degli stereotipi di genere è radicata tra persone con età più avanzata (65,7% nella fascia 60-74 anni), nelle regioni del Mezzogiorno, in particolare in Campania dove il 71,6% è d’accordo con uno degli stereotipi comuni, ed infine tra le persone meno istruite (79,6 % coloro che risultano senza titolo di studio).

FONTE: ISTAT, 2019.

La Figura 12presenta le differenze tra uomini e donne rispetto agli stereotipi di genere che risultano minime sul territorio nazionale (27,3% degli uomini contro il 23,5% delle donne). Per alcune regioni invece - Veneto, Friuli-Venezia-Giulia, Emilia-Romagna, Valle d’Aosta - il genere femminile presenta una percentuale maggiore di accettabilità della presenza di stereotipi di genere rispetto al genere maschile (ISTAT, 2019). Le disuguaglianze di genere e la presenza di stereotipi diminuiscono al crescere del livello di istruzione, ma è «un cammino lento e tortuoso dato che il vantaggio di possedere uno studio non basta a proteggere le donne dalla condizione di vulnerabilità nel lavoro.236»

236 M. BROLLO, L’inclusione della diversità di genere negli organi sociali: dalle norme agli strumenti, 2016.

Figura 12: Persone di 18-74 anni che ritengono accettabile la violenza nella coppia almeno in alcune circostanze per regione e sesso. (Anno 2018, per 100 persone della stessa regione e

sesso).

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Il libro “Parità in pillole” di Irene Facheris dà una chiara interpretazione del perché esiste da sempre la violenza di genere237. Innanzitutto, quando parliamo di violenza e molestie non si tratta solamente di una questione di genere ma quasi interamente di una questione di potere. Quando una persona ne molesta un’altra sta esercitando il suo potere su quest’ultima. Un potere che può essere relazionale, sociale, economico, politico. Ed ecco perché la percentuale di uomini accusati di violenza è esponenzialmente più alta rispetto alla percentuale di donne accusate dello stesso reato. Statisticamente vi sono molti più uomini che esercitano una posizione di potere, sia in ambito famigliare ma anche a livello lavorativo238. Per quanto riguarda il tema della violenza, resiste la posizione di chi reputa la donna responsabile per la violenza domestica o sessuale subita. Il 77.7 % della popolazione intervistata (ISTAT, 2019) considera tra le cause più comuni della violenza domestica il fatto che la donna, venga considerata come un oggetto di proprietà. Seguono poi le cause legate all’abuso di sostanze stupefacenti; il bisogno degli uomini violenti a sentirsi superiori alla propria moglie e altri motivi, di natura religiosa. Gli stereotipi più comuni riguardo la violenza sessuale sono quelli che attribuiscono una qualche colpevolezza alla donna quando la subisce. Il 39,3% degli intervistati dichiarano di essere d’accordo con l’affermazione “Le donne che non vogliono un rapporto sessuale riescono ad evitarlo”. Elevata è anche la percentuale di popolazione che pensa che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire (23,9%). A seguire troviamo le affermazioni “Se una donna subisce una violenza sessuale quando è ubriaca o è sotto l’effetto di droghe è almeno in parte responsabile” (15,1%), “Spesso le accuse di violenza sessuale sono false” (10,3%),

“Le donne serie non vengono violentate” (7,2%) e “Di fronte a una proposta sessuale le donne spesso dicono no ma in realtà intendono si” (6,2%) (ISTAT, 2019). La presenza di violenza di genere è un fenomeno radicato nella società, e in quanto tale risulta essere in larga misura ancora un fenomeno sommerso. La relazione presentata il 20 novembre 2019, al Senato della Repubblica, dalla Dottoressa Linda Laura Sabbadini, Direttrice dell’Istat: “Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere”, approfondisce il

237 Facheris I., Parità in pillole. Impara a combattere le piccole e grandi discriminazioni quotidiane, 2020

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fenomeno sommerso della violenza di genere. Da un lato si evidenziano tutti i miglioramenti che anno dopo anno l’Istat, grazie all’accordo istituzionale con il Dipartimento delle Pari Opportunità (DPO)239, è riuscito ad ottenere, portando in luce una grande quantità di dati e informazioni celate dietro al genere femminile intervistato; dall’altro lato invece, si va a sottolineare come il fenomeno della violenza di genere sia ancora una sfida non conclusa, una sfida avente ancora dei grossi ostacoli da affrontare in termini di divulgazione, sensibilizzazione, consapevolezza ed uscita dalla violenza. Il fenomeno del sommerso ostacola tutt’oggi la raccolta dei dati riguardo le violenze. Infatti, quando un insieme di donne, viene intervistato anche in modalità del tutto anonima, si scopre che la maggioranza di esse non ha subito alcuna violenza. Tra queste però vi è una parte che la violenza fisica o psicologica l’ha subita, ma a causa di impedimenti sociali o culturali non li denuncia. Si innesca un meccanismo mentale per il quale la vittima non racconta la realtà dei fatti. Questo può avvenire sia per la paura del soggetto che le ha volto questa violenza ma anche per la paura di non essere capita e creduta. Attraverso i dati raccolti dalle indagini di vittimizzazione240 emerge che solo il 34,7% dei reati rilevati viene denunciato alle forze dell’ordine, e questa percentuale varia a seconda del reato subito. I dati delle statistiche giudiziarie e le denunce alle forze dell’ordine non ci aiutano a capire e rilevare la violenza di genere nel modo più corretto. Questo è il motivo che ha portato l’Istat a condurre delle indagini ad hoc su questi fenomeni, proprio per cercare di rilevare il sommerso. Inoltre, si è ritenuto necessario approfondire la ricerca di dati su chi ha subito la violenza e sulla relazione, attraverso l’Indagine sulla Sicurezza delle donne241. L’attitudine alla violenza verso

239 Accordo di collaborazione tra Istat e Dipartimento delle Pari Opportunità è stato sottoscritto nel Novembre 2016 per la costruzione e la gestione di un sistema integrato di raccolta ed elaborazione dati sulla violenza di genere. Il documento dà conto di ciò, laddove possibile anticipandone alcuni risultati, soffermandosi sulle sfide ed ostacoli che ancora rimangono da superare per andare a conoscere il fenomeno in modo approfondito, con lo scopo di progettare delle politiche adeguate a proteggere e anticiparne le conseguenze.

240 In Italia, l’ISTAT dal 1997 conduce con cadenza quinquennale un’indagine di vittimizzazione, condotta con tecnica telefonica assistita da computer, svolta su un campione casuale di 60 mila famiglie, al cui interno è selezionato, sempre casualmente, un individuo col quale condurre l’intervista. Una sezione particolare del questionario, riguardante le molestie e le violenze sessuali, è invece rivolta alle sole donne (14-65). Le stime dell’indagine sono rappresentate fino a livello regionale.

241 L’indagine sulla Sicurezza delle Donne viene condotta dall’Istat in collaborazione con il DPO a partire dal 2006, con gli obiettivi di conoscere il fenomeno della violenza contro le donne in Italia, in termini di prevalenza ed incidenza, ed in particolare la violenza domestica; le caratteristiche di coloro che ne sono coinvolte e le conseguenze per le vittime.

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la donna esiste da sempre, e il silenzio verso la violenza da parte delle vittime è una conseguenza al fatto che il contesto culturale che ci ha sempre circondato può portare ad interpretare la denuncia come un gesto esagerato, o addirittura ritenere la vittima in parte consapevole della violenza subita. Questo crea una grave conseguenza, il silenzio: una donna che non si sente capita ma colpevolizzata prenderà la decisione di non denunciare. Dati dell’Istat dimostrano che nel 2019 le vittime di violenza fisica o sessuale sono quasi 7 milioni, e solo 44 mila di queste donne si sono rivolte ad un Centro Antiviolenza.

Le politiche di prevenzione e di sensibilizzazione sono fondamentali: viene individuato infatti che un fattore di rischio della violenza risulta la trasmissione intergenerazionale. Un uomo che da bambino ha assistito a scene di violenza o le ha vissute direttamente ha molte più probabilità di diventare un uomo che fa della violenza; allo stesso modo, una donna che da bambina ha assistito o ha subito violenza da grande sarà più tollerante ad azioni violente da parte del proprio partner o di altri soggetti(ISTAT, 2019). I dati infatti evidenziano che i maschi che nella loro infanzia hanno subito o assistito a violenza sono a loro volta violenti per il 21,9% dei casi (contro un tasso medio del 5,2%), mentre per le donne che subiscono violenza in età adulta ed hanno assistito a violenza anche da bambine l’incidenza arriva al 58,4% (contro il tasso medio del 31,5%).

Strumento essenziale, soprattutto in questo anno pandemico, sono le chiamate al numero antiviolenza e stalking 1522. È un numero verde gratuito messo a disposizione dal Dipartimento delle Pari Opportunità per offrire un aiuto ed un sostegno alle vittime di violenza fisica o sessuale. Questo strumento di assistenza permette di raccogliere dati e informazioni ulteriori riguardanti il fenomeno sommerso della violenza. Nell’ultimo anno, in periodo di pandemia, vi è stato un aumento delle chiamate pari al 73% rispetto allo stesso periodo del 2019. Le vittime che hanno chiesto aiuto tramite questo servizio sono più di duemila: l’incremento non è attribuito solamente ad un aumento degli episodi di violenza ma, in particolare ad una maggiore consapevolezza e alla campagna di sensibilizzazione. Questo, si può dire, è un passo molto importante verso un miglioramento progressista e verso l’abbandono di valori culturali che pongono la donna in una sfera di inferiorità che le costringe in qualche modo a subire e tacere. È necessario creare dei presupposti

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diversi, che facciano emergere i problemi e dar vita a delle possibili soluzioni. In precedenza, è stato detto che la famiglia è il primo ambiente dove si costruiscono le basi della creazione degli stereotipi di genere, i quali si consolidano attraverso educazione, socializzazione e scolarizzazione. La principale soluzione è quella di iniziare un processo di sensibilizzazione e istruzione fin dalla scuola dell’obbligo, in quanto viene riconosciuta come agenzia di socializzazione primaria dell’individuo. Bisogna educare fin da piccoli, dalla scuola primaria, creando i presupposti per una nuova società che sia in grado di riconoscere l’ingiustificata presenza di questi stereotipi, e che attraverso gli strumenti adatti, sia in grado di colmare sempre di più questo divario di genere. Questa battaglia si sta già portando avanti da alcuni anni, promulgando una differente offerta di libri di testo, sia per l’infanzia sia per i più grandi, in modo da contribuire fin da subito al riconoscimento dei generi e una loro pari rappresentazione al fine di eliminare gli stereotipi. Anche dal punto di vista legislativo, sono stati introdotti, come visto in precedenza, diversi strumenti che cercano di proseguire per questa strada. Lo scopo è quello di riuscire a sensibilizzare, anche attraverso la politica, mettendo a disposizione degli strumenti atti a combattere il persistere di stereotipi di genere. Mediante l’“Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”, si cerca di promuovere il superamento degli stereotipi di genere e il rispetto delle pari opportunità, attraverso un’educazione lungo tutte le fasi dell’apprendimento scolastico delle nuove generazioni. All’interno di esso vi sono sei articoli, dove vengono sancite le modalità e le linee guida per l’educazione di genere, garantendo una formazione ed un aggiornamento continuo dei docenti, e l’adozione di libri di testo che siano corredati di autodichiarazione, emanata da parte delle case editrici, che attesti il rispetto al progetto POLITE (Pari Opportunità nei Libri di Testo).242 Se da un lato il processo di scolarizzazione e la legislazione vengono considerati gli strumenti fondamentali e primari per consentire un reset culturale che permetta di

242 POLITE, progetto promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri tra il 1999 e il 2001, nell'ambito del Quarto programma di azione a medio termine per la parità di opportunità tra le donne e gli uomini (1996-2000), volto a garantire che i nuovi libri di testo e i materiali didattici fossero realizzati in modo da favorire lo sviluppo dell'identità di genere e da rimuovere gli stereotipi presenti in tali strumenti di formazione.

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creare una società priva di stereotipi, pregiudizi e discriminazione, dall’altro vi è la necessità di lavorare e migliorare tutti quegli strumenti maggiormente innovativi, appartenenti al mondo del digitale, che risultano oggigiorno di fondamentale rilievo nei contesti lavorativi per i processi di selezione del personale. In particolare, il riferimento è ai big data, ossia a dati – prodotti in quantità notevoli – differenti per volume, tipologia, fonti, dimensioni e velocità, combinabili e analizzabili attraverso l’uso di sofisticati algoritmi243 per ottenere risultati, partendo da dati e informazioni accurate, tali da rappresentare la realtà, in modo da evitare bias tra i dati raccolti e le decisioni prese.

Il gender gap può essere visto anche come una conseguenza della mancanza di dati di genere, che conduce a una rappresentazione errata dell’intera umanità, poiché identificato soltanto con quella parte i cui dati sono percettibili, ovvero la parte maschile. Più precisamente, come riporta Caroline Criado Perez in Invisibili (2020)244, sussiste un vuoto incolmabile di dati di genere (gender data gap) che ha generato, in modo involontario, una umanità improntata al maschile, con disuguaglianze importanti in molti ambiti. In altre parole, nella storia dell’umanità si delinea un enorme vuoto, corrispondente «al posto che avrebbero occupato le donne se il potere – qualsiasi forma di potere – avesse lasciato loro il diritto di farlo»245. Ora, l’assenza di dati completi dovuto al gender data gap può avere conseguenze su diversi piani e, soprattutto, sullo sviluppo della società che, quindi, viene portato avanti attraverso politiche che non rispecchiano la realtà246.

Il fenomeno del gender data gap, o “sessismo dei dati”, conduce a una duplice problematica: da un lato, non vengono raccolti dati e informazioni che concernono il genere femminile; dall’altro, quando questi vengono raccolti, nella maggior parte dei casi non vengono disaggregati, producendo così un output comune al genere maschile, il quale risulta sempre e comunque predominante. A tal riguardo, si

243 E. Dagnino, People Analytics: lavoro e tutele al tempo del management tramite big data, in Labour &

Law Issues, vol. 3, n, 1, 2017, p. 5.

244 C. Criado Perez, Invisibili. Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano, Einaudi, Torino, 2020.

245C. Consoli, “Invisibili” di Caroline Criado Perez: l’assenza delle donne nell’assenza dei dati di genere, in Critica Letteraria, 2021, https://www.criticaletteraria.org/2021/01/invisibili-caroline- criado-perez.html.

246 F. Barca, Le diseguaglianze di genere nei settori culturali e creativi. Una fotografia europea di stereotipi, buone pratiche e possibili strategie, in Economia della Cultura, n. 4, 2019, p. 492.

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sottolinea che «in diverse aree del mondo non si riesce a quantificare il peso economico della popolazione femminile»247. Ritornando ai Big Data, la forza delle macchine è esponenziale in quanto riesce a proporre un output sulla base di una molteplicità di input che raccoglie da varie informazioni248. Allo stesso tempo però, quello che l'IA non può fare è interpretare i dati legando i raw data ad un contesto, condizione normale per l'essere umano, il quale è guidato dall'istinto249. Questo perché l'IA opera mediante correlazione e associazione di un gruppo di riferimento ad una "regola" predeterminata sulla base di dati storici, non legati al contesto. Se dunque i dati del genere femminile non vengono disaggregati, i bias e le discriminazioni saranno inevitabili.

Ultimamente le grandi aziende stanno utilizzando nuove tecnologie basate sull’intelligenza artificiale e si sono resi conto infatti che, queste tecnologie, le quali si basano sugli algoritmi, replicano gli errori umani, e quindi replicano anche la discriminazione presente al loro interno. In merito a ciò, di particolare rilievo, è la presenza di pregiudizi nei processi di selezione personale negli algoritmi. Nel 2018, Amazon ha trascorso anni lavorando su un sistema per automatizzare il processo di reclutamento250. L'idea era che questo sistema basato sull'intelligenza artificiale fosse in grado di guardare una raccolta di curriculum e nominare i migliori candidati. Per raggiungere questo obiettivo, Amazon ha alimentato il sistema per decenni di curriculum da parte di persone che si candidavano per le posizioni presenti in Amazon. L'industria tecnologica come già confermato, presenta una concentrazione per di più maschile e, di conseguenza, la maggior parte di questi curriculum proveniva da uomini. Quindi, addestrato su quella selezione di informazioni, il sistema di reclutamento ha iniziato a favorire gli uomini rispetto alle donne251. I dati dovrebbero evolversi, per incarnare la cultura e il contesto presente;

invece, l'algoritmo rimane congelato ad un determinato periodo in quanto è

247 M. Gritti, Lo spietato sessismo dei dati, in Agi. Agenzia Italia, 2019, https://www.agi.it/economia/sessismo_dati_big_data-5153329/news/2019-03-16/.

248 The Fourth Revolution: How the Infosphere is Reshaping Human Reality". Oxford: Oxford University Press, 2014.

249 Ivi.

250 Amazon scraps secret AI recruiting tool that showed bias against women | Reuters

251 David Meyer, “Amazon Reportedly Killed an AI Recruitment System Because It Couldn’t Stop the Tool from Discriminating against Women,” Fortune, October 10, 2018, https://fortune.com/2018/10/10/amazon-ai-recruitment-bias-women-sexist/

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programmato con lo scopo di funzionare erga omnes. Per cui gli stessi errori che possono essere fatti un essere umano che svolge un colloquio di lavoro, vengono replicati dalle macchine. E questo perché nella programmazione di queste tecnologie le donne sono sottorappresentate, e quindi essendoci una disparità di fondo, che parte dalla mancanza di dati in alcuni ambiti occupazionali, soprattutto nelle posizioni apicali, si ripercuote sullo strumento dei big data il quale si riversa nella realtà aziendale. Per aumentare la probabilità che l'algoritmo funzioni meglio bisogna cercare di evitare di classificare una persona ad un gruppo solo perché possiede determinate caratteristiche. Questo avviene disattivando gli algoritmi in tutte quelle situazioni per permettere la variazione e variabilità che verrebbe esclusa dai bias dell’algoritmo stesso252.

Perfezionare lo strumento dei big data è essenziale per stimolare «un ulteriore passo in avanti nella direzione del merito e della trasparenza» e volto ad «agevolare l’incontro di domanda e offerta di professionalità femminili»253.

252 Tambe Cappelli Yakubovich, “Artificial Intelligence in Human Resources Management”, 2019.

253 M. BROLLO, L’inclusione della diversità di genere negli organi sociali: dalle norme agli strumenti, 2016.

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