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L’ACCETTARE L’ALTRO DIVERSO DA NOI, SENZA COMMENTI E GIUDIZI.

Gli strumenti della ricerca: l’intervista dialogica e l’osservazione partecipante.

L’ACCETTARE L’ALTRO DIVERSO DA NOI, SENZA COMMENTI E GIUDIZI.

La visione del lavoro da parte di Ersilio è quella di far coinvolgere i ragazzi il più possibile nei lavori di allevamento degli asini, come i recinti mobili che vengono costruiti in primavera e smantellati a fine estate, la pulizia delle deiezioni, essere accompagnatori nelle passeggiate. I ragazzi che hanno avuto in borsa lavoro sono stati due, uno seguito dal SIL con problemi di apprendimento, l’altro proveniente dal dipartimento di salute mentale.

Avendo un mezzo di trasporto cercano di portare “l’asino a scuola”, anche negli asili e negli asili nido, coinvolgendo i genitori, con pranzo al sacco, valorizzando il territorio limitrofo, garantendo la massima sicurezza. Se si fermano tutto il giorno i bambini a turno portano a due a due gli asini a passeggiare. L’asino risulta così un veicolo per la comunicazione anche tra di loro in quanto si devono mettere d’accordo sul semplice movimento di girare a destra o a sinistra.

Non hanno mai avuto esperienza con migranti ma non escludono nulla in quanto loro parlano di SVANTAGGIO SOCIALE nei loro progetti. Invece hanno avuto esperienza di progetti con allevatori che avevano minori che venivano mandati dal Tribunale dei minori di Trieste. Per quanto riguarda l’utente anziano, essi risultano restii a venire da loro e quindi sono loro che vanno nelle case di riposo (perfino nelle loro stanze, naturalmente coi tempi dell’asino!).

Hanno cercato di proporre a strutture con problematiche psichiche la possibilità di tenere nei loro spazi alcuni asini al fine che qualcuno trovasse beneficio nel lavoro di cura con la sua supervisione, un modo diverso per aprirsi anche alla cittadinanza. Per Ersilio sarebbe importante sollecitare i vertici di queste strutture all’uso di tali pratiche per il beneficio comune. Le iniziative proposte fin d’ora sono tutte provenienti dagli operatori non dai vertici. Evidenzio allora come effettivamente poco si sappia delle necessità dei “colletti bianchi” e che solo coinvolgendoli in queste iniziative forse si potrebbe innescare una controtendenza appassionandoli a tali tematiche, gli propongo di progettare un corso di avvicinamento

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all’asino per manager! Una delle cose che viene temuta dai vertici è l’eliminazione dei farmaci somministrati alle persone con disagio per effetto dell’inserimento in esperienze di agricoltura sociale e conseguente minaccia del loro sapere. L’affiancamento farmaco/esperienza AS con un adeguato monitoraggio e valutazione dei risultati potrebbe portare ad una diminuzione del farmaco in uso con conseguente risparmio, il quale poi potrebbe essere reinvestito in altre esperienze di carattere sociale, migliorando quindi gli effetti della farmacologia. Mi viene segnalata l’esperienza sanitaria di un luminare psichiatra che evidenziava come l’inserimento in attività simili portava ad un risparmio sui farmaci del 40%, risparmio che veniva poi reinvestito in altri progetti.

Tante sono state le esperienze significative che ha vissuto Ersilio. Decide di parlarmi di un bambino fortemente autistico, nipote di una fisioterapista che ha creduto nel beneficio della terapia con l’asino. Con questo bimbo di sette anni, hanno dovuto all’inizio cambiare due asini poi hanno ricavato un ambiente in cui non avesse distrazioni se non l’asino e due spazzole, sotto la visione di Ersilio. Le prime due volte il bambino non ha mai sfiorato l’asino anzi gridava il suo disagio e si spostava in tutti gli angoli dell’area ricavata, dalla terza volta in poi c’è stato un progredire di relazione tra lui e l’asina Melody che andava vicino a lui annusandolo. Così l’esperienza progredì fino a portarla a passeggio fuori, tutto questo in dieci – dodici sedute di circa un’ora. Penso al nome dell’asina Melody e a come lei era riuscita a creare una melodia unica col bambino!

Ersilio è un grande sostenitore della riforma sulla legge in pet therapy, ora il rispetto delle norme burocratiche sono superiori rispetto alle competenze da riconoscere agli operatori che vivono con l’animale ogni giorno, incidendo molto sul costo che l’utente deve sostenere per fruire di questa metodologia.

La relazione, la comunicazione tra lui e l’operatore socio-sanitario la ritiene scarsa, vorrebbe un coinvolgimento più effettivo non solo di compilazione di modulistica. Mi viene riportato il caso della borsa lavoro di un ragazzo che per sue problematiche non ricordava bene cosa doveva fare, aveva bisogno di un tutor costante. L’imprenditore non può prendersi l’onere di osservarlo 24 ore su 24 sempre, servirebbe un gruppo più numeroso di utenti in cui si individua un coordinatore all’interno che possa aiutarlo.

Ci sono momenti di riunione in cui si fa il punto della situazione. Importante la concertazione e l’armonizzazione che deve esserci nei progetti tra l’attività che andrà a svolgere l’utente e le problematiche dell’utente stesso, affinché quest’ultimo si realizzi ed abbia una sua gratificazione. La progettazione avviene in modo biunivoco sia

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dall’imprenditore verso le strutture di assistenza sanitaria/sociale sia da queste ultime verso l’imprenditore agricolo.

Nel futuro Ersilio ha un progetto, quello di coinvolgere i suoi due figli, la figlia che al momento è disoccupata e il figlio la cui formazione di base è quella di agrotecnico, ampliando così l’attività dell’azienda in produzione di prodotti orticoli biologici e biodinamici. La figlia dopo un’adeguata formazione prenderà le redini dell’azienda ed amplieranno anche la superficie coltiva. Vorrebbero inoltre proporre attività di agrinido, di centri vacanza con un’offerta basata sulla natura e sullo stare in natura – es. “La scuola nel bosco” in Emilia Romagna38. Fare quindi qualcosa che a loro piaccia e che li contraddistingua.

I proprietari credono molto nello sviluppo di una rete tra imprese sociali che lavorano nel contesto dell’agricoltura sociale come welfare innovativo.

Nota di campo 5 – ore 11.50

- Il recinto di asini dell’az.agricola Vasulmus di Mels (UD).

Terminata l’intervista in sede, Ersilio mi porta nel limitrofo recinto degli asini per un’esperienza in prima persona (Fig.24). Devo essere sincera che l’idea di avvicinarvi per la prima volta in assoluto ad un asino senza alcuna barriera mi spaventava un po’, forse perché in dolce attesa, forse per l’assenza di esperienza. L’esperienza però si è rivelata positiva, mi sono divertita a grattare la pelle dell’asino!

Il recinto molto pulito ospitava due asini, mamma e figlio di un anno e mezzo. Ersilio racconta come questa asinella sia molto legata al suo piccolo anche perché nella precedente maternità il suo piccolo morì dopo il parto in una notte di forte temporale.

38 http://lascuolanelbosco.fondazionevillaghigi.it

http://www.regione.emilia-romagna.it/infeas/documenti/progetti/infanzia_natura/bosco - La scuola nel bosco è una particolare e innovativa forma di scuola dell’infanzia dove non esiste un vero e proprio edificio: i bambini e le bambine sono infatti sempre all’aperto, anche pranzo e merenda, giocano con il bello e il brutto tempo, esplorano, leggono storie, disegnano, fabbricano oggetti con gli elementi del bosco. http://www.corriere.it/scuola/primaria/15_marzo_31/vieni-c-scuola-bosco-cosi-bambini-imparano-all-aperto-5578e926-d787-11e4- 82ff-02a5d56630ca.shtml In Europa le scuole nel bosco sono più di mille: nate negli ultimi decenni nei Paesi nordici, ora i primi esperimenti iniziano a fare capolino anche in Italia, con risultati interessanti. Si attende infatti che la commissione Istruzione della Camera inizi l’esame del ddl sulla riforma che dovrebbe innovare la scuola italiana, per fare il punto sulle forest school e mettere a confronto le diverse esperienze all’università di Roma Tre. Il 31.03.2015 si è tenuto un convegno sul tema, dal titolo: «L’Asilo nel Bosco nella pedagogia contemporanea», dove sono state presentate le storie del Waldkindergarten di Flensburg, uno degli asili nella foresta riconosciuti dallo stato tedesco, e della Bosquescuela di Madrid, e i casi italiani dell’asilo nel bosco di Ostia e della promozione dell’educazione all’aria aperta in Emilia Romagna. l bosco insegna. Gli ambienti chiusi offrono poche suggestioni, mentre gli spazi aperti educano il bambino alla spontaneità, alla creatività e alla libertà. La natura non viene più vissuta come un pericolo. Anche se la nascita delle scuole nel bosco è avvenuta negli ultimi decenni, il percorso che ha portato a queste esperienze è iniziato più di un secolo fa: le scuole nuove della fine dell’800 avevano già aperto porte e finestre alla campagna, ambiente nel quale i bambini dovevano poter vivere la propria esperienza di crescita individuale e collettiva, secondo le leggi dello sviluppo biopsicofisico e sociale. Nel primo Novecento in Italia fu aperta la prima scuola rurale dell’Agro Pontino e a Milano Giuseppina Pizzigoni diede vita alla sperimentazione della scuola all’aperto. Poi c’è stata Ella Flatau, che haispirato anche gli educatori di Ostia: la mamma danese negli anni Cinquanta trasformò la sua esperienza di gioco nel bosco con i figli in una vera e propria scuola pedagogica, poi ripresa anche in altri Paesi europei.

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Ersilio mi evidenzia che per le passeggiate con gli utenti vengono usati solo asini con almeno 4 anni di vita in quanto nel precedente periodo risultano più invadenti per la loro curiosità. Infatti il piccolo, a differenza della madre, durante la mia permanenza nel recinto, ha continuato ad annusare il mio cappotto, cercandomi continuamente in quanto gradiva molto le mie “grattatine”.

Fig.24. Recinto Az.Agricola VASULMUS.

Nota di campo 6 – ore 12.15

- L’allevamento di asini dell’az.agricola Vasulmus (UD).

Con le macchine ci spostiamo alla zona dell’allevamento, un bel campo curato in cui sono presenti la maggior parte degli asini. Il terreno è ottimale, ciottoloso, questo permette che non si producano malattie sotto lo zoccolo dell’asino che risultano molto dolorose quando si manifestano.

Il gruppo gli asini (Fig.25), come precedentemente mi era stato spiegato, mi punta e si avvicina dolcemente. Accarezzo il muso di alcuni porgendo la mia mano.

Ersilio me li presenta come se fossero suoi figli. Prima di tutto TOTO’ a cui si deve il nome dell’associazione, poi Melody, Mosè, fino ad arrivare a Sara e Beniamino, fratelli di latte, la cui storia è molto toccante. Beniamino, asinello di pochi mesi tutto pelle ed ossa, arrivò presso la loro azienda con la madre. Entrambi provenivano da una malga, il loro padrone vedendo che l’asina non riusciva ad allattare il piccolo aveva chiesto ospitalità per una notte al fine di portare il piccolo alla macellazione. Ersilio e sua moglie però decisero di salvarlo, andarono a prendere in bassa friulana il latte in polvere ed iniziarono a nutrilo impedendo al loro amico di portarlo alla macellazione nell’indomani.

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Fig.25. Allevamento VASULMUS.

Con grande gioia il piccolo cominciò, nell’arco di alcune settimane, a prendere peso, anche se ancora oggi la sua forma scheletrica porta il peso della malnutrizione di quel periodo, e la madre, rilassatasi dallo stress del gregge di malga, ricominciò a nutrilo dandogli il suo latte. Poco tempo dopo i coniugi furono chiamati da un loro amico di Vicenza il quale si trovava con una asinella di quattro mesi rimasta orfana, Sally. Sally era molto vivace e per le sue doti di saltatrice fu ribattezzata Sara come Sara Simeoni.

Sara venne messa vicino alla mamma di Beniamino che allattò anche lei, i due asini Sara e Beniamino divennero così “fratelli di latte” ed ancora oggi si grattano con affetto reciprocamente come nella foto sotto riportata (Fig.26)!

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Nota di campo 8 – 10.11.2015 ore 10.00

- Intervista dialogica presso l’Azienda Agricola “La contrada dell’Oca”di Fanna (PN)

La visita all’Azienda “La Contrada dell’Oca” di Fanna (PN) è stata un’esperienza unica dal punto di vista relazionale ed emozionale, ma anche di grande apertura mentale verso la ricerca dell’innovazione e dell’unicità e nel coniugare l’agricoltura sociale con l’arte e la cultura. Infatti questa azienda ha, all’interno dei suoi confini, un grande gioco dell’oca all’aperto, con tanto di stazioni le cui immagini sono quadri dipinti da diversi pittori.

Arrivata sul luogo chiedo informazioni ad un’operatrice, che poi scoprirò essere la compagna del proprietario. Non essendo informata del mio arrivo, la signora contatta telefonicamente il proprietario che al momento si trovava fuori sede. Così un piccolo imprevisto si trasforma in un momento utile per scambiare alcune informazioni e pareri. L’operatrice infatti mi intrattiene sotto un porticato all’aria aperta illustrandomi l’azienda. Immediata è stata la schiettezza della donna nel dialogare spaziando dall’inquadramento aziendale alle problematiche che si celano dietro la formazione di operatori. La sua espressione “Una volta che si inizia non si torna indietro”, evidenzia sia il grande sacrificio economico per realizzare un luogo consono ad essere definito fattoria sociale, ma anche la volontà nel proseguire in questo lavoro, non certamente per fare business ma essere continuamente d’aiuto a quelle persone svantaggiate portatrici di un “qualcosa” che riplasma anche l’operatore stesso. Un continuo trasformarsi per il bene altrui. L’azienda stessa si è trasformata varie volte per accogliere al meglio le persone inserite nei diversi laboratori proposti, un compito per niente semplice. Mi evidenzia come sia necessaria più formazione negli operatori, non solo teorica: chi si avvicina a questa realtà deve aver fatto prima un’esperienza forte di volontariato, altrimenti a chi viene concesso di inserirsi in tirocini o stage per imparare, le persone svantaggiate risultano come “un acquario di pesci da analizzare”. Metafora forte ma efficace che racchiude in sè la difficoltà del lavorare in tale settore. La relazione quanto mai alla pari con le persone da seguire è importante e ancor di più, come in questo contesto, se le persone svantaggiate sono uomini e donne di circa 30-40 anni con disabilità psichica e fisica e destinate all’ospizio se non avessero questa alternativa.

La serietà con cui mi viene evidenziato tale problema mi lascia senza parole a tal punto che mi concentro solo nell’ascoltare “l’esperienza che parla”, io seduta, lei in piedi davanti a me.

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Dieci minuti più tardi arriva il proprietario, il Sig.Paolo. Mi accorgo che ha una importante difficoltà nel deambulare, ma ciò, come ho potuto vedere nel proseguo della visita, non lo ha certamente fermato nella sua vita.

Dopo esserci presentati e salutati, Paolo prende la sua bicicletta elettrica e mi propone di fare il giro del “Gioco dell’oca”39

, realizzato interamente all’aperto (Fig.27).

Volgo il mio sguardo verso un’oca con il suo piccolo da poco nato, pensando così nuovamente al mio status di gravidanza, uno status che si lega a doppio filo rosso con le esperienze che sto vivendo, di trasformazione non solo fisica ma soprattutto interiore!

Penso così al libro di La Mendola “Centrato e aperto” e mi butto in questa danza tra intervista-attore e narra-attore cercando di conoscere, con-naître, come “nascere insieme”40.

39 http:// www.lacontradadelloca.org - In questo apparente passatempo si cela un sapiente e complesso gioco di simboli. Innanzitutto, la scelta del volatile non è casuale: l’oca, infatti, è simbolo della Madre Generatrice, sacra compagna di Giunone, e della inesausta Potenza d’Amore essendo l’alato destriero di Venere. Nata dall’uovo primordiale formatosi nel vasto grembo della Notte, l’oca selvaggia è simbolo del Sole e, nell’antico Egitto, fu simbolo dell’anima del faraone nella sua ascesa verso Ra. Messaggera dell’Altro Mondo, come lo era il cigno, era considerata sacra dai Celti e i Bretoni rifiutavano di cibarsi delle sue carni. In Cina, la migrazione dell’oca selvaggia era

metafora del viaggio verso la conoscenza, denso d’insidie: mille archi puntano al cielo e poche migratrici giungeranno in salvo al loro

destino. Oltre al simbolo rappresentato dal nome del gioco, dalle 14 figure delle oche che scandiscono le tappe del gioco e dalla mèta finale, il “Giardino dell’Oca”, il percorso del gioco è anch’esso simbolico. Volgendosi a spirale verso sinistra, cioè in senso opposto a quello delle lancette dell’orologio, esprime il ritorno verso l’Origine. Sommando le due cifre che formano il numero delle 63 caselle che scandiscono il percorso del gioco, si ottiene il 9: numero cosmico, simbolo di compimento e vittoria. Se invece lo considera come prodotto di 7x9, il 63 esprime il periodo della vita umana suddiviso, secondo gli antichi criteri astrologici, in 7 cicli di 9 anni ciascuno, ossia gli “anni climaterici” che si concludono con il “grande climaterio” corrispondente al 63° anno di vita. L’ultima casella numerata del percorso immette in una casella priva di numero, l’ultima in senso assoluto, corrispondente al numero 64 che, considerato secondo in criteri della cabala numerica, equivale a 1 (6+4=10; 1+0=1). Questa casella, infatti, è simbolo dell’Unità e del compimento del percorso interpretato come ritorno supremo all’Unità espressa, nel gioco, come “Castello”, o “Giardino dell’oca”. Qui l’umano e il divino si ricongiungono e il tempo cessa d’esistere. Disponendo le 63 caselle in sette cicli di nove caselle ciascuno, quelle contrassegnate dalla figura dell’oca occupano, in ognuno dei cicli, la posizione corrispondente al 5 e al 9 dal momento che ciascuno dei cicli inizia dal numero 1. Il secondo, infatti, inizia da 10 (1+0=1); il terzo da 19 (1+9=10; 1+0=1); il quarto da 28=1; il quinto da 37=1; il sesto da 46=1; il settimo da 55=1. Le figure delle oche corrispondono tutte al numero 5 e al 9. Così nel primo ciclo; a 14 (1+4=5) e 18 (1+8=9) nel secondo; a 23=5 e 27=9 nel terzo; a 32=5 e 36=9 nel quarto; a 41=5 e 45=9 nel quinto; a 50=5 e 54=9 nel sesto; a 59 (5+9=14; 1+4)=5 e 63 =9 nel settimo. Giungere alla casella contrassegnata dall’oca permette di raddoppiare il valore del numero ottenuto dal lancio dei dadi: simbolo fausto, dunque, da interpretare come una periodica assunzione di forza spirituale che permette di accelerare i tempi in vista del ricongiungimento finale, traguardo del percorso. Ognuno dei cicli, inoltre, è governato da un pianeta: il primo dalla Luna il secondo da Mercurio; il terzo da Venere; il quarto dal Sole; il quinto da Marte; il sesto da Giove; il settimo da Saturno. Allo stesso modo, ognuno dei nove anni di cui ciascun ciclo si compone corrisponde a uno dei sette pianeti nella medesima disposizione escludendo il 5° e il 9° anno di ciascun ciclo governati dall’oca. In questo schema, ognuna delle caselle corrisponde alla congiunzione di due pianeti e, dunque, risente delle rispettive influenze. Delle caselle contrassegnate da un simbolo: la sesta corrisponde al “Ponte”, chi vi giunge, pagando pedaggio, può passare alla 12a in quanto il ponte unisce tra loro le due caselle corrispondenti ai pianeti Marte-Luna e a Venere-Mercurio: l’impulso, purché purificato da componenti passionali (il pagamento del pedaggio) può permettere un salto di qualità in direzione di una sapienza feconda. La 19a casella corrisponde alla “Osteria del Tempo Perduto” posta sotto il segno della Luna e di Venere ad esprimere, nel cammino spirituale, l’ostacolo costituito dai vizi (l’osteria luogo di bagordi) e da un carattere passivo e incapace di opporsi alla loro tirannia: chi giunge a questa casella deve pagare pegno ed è costretto a fermarsi per uno o due turni (il “tempo perduto”). Allo stesso tempo, però, la sosta forzata può avere una valenza positiva se interpretata come pausa di riflessione, occasione propizia a ritemprare le forze e liberare l’anima dall’eccessiva “umidità” o “femminilità”: nel mito greco, per sfuggire alla prigione del labirinto Icaro deve volare tenendosi lontano dal mare onde evitare che la troppa umidità gli appesantisca le ali. Il “Pozzo” della 31a casella, ubicato alla metà del percorso, esprime il pericolo costituito da un errore che impedisce di proseguire oltre: chi giunge a questa casella, oltre a pagare un pegno, può muoversi solo se un altro giunga a liberarlo o, secondo un’altra regola del gioco, dal “Pozzo” passa direttamente alla 52a casella corrispondente alla “Prigione”. Il liberatore, a sua volta, resta nel pozzo sicché dentro c’è sempre qualcuno. Il “Pozzo”, posto sotto il doppio segno del Sole, esprime il pericolo dell’orgoglio che rende ciechi per la troppa luce: Icaro, fuggendo dall’oscurità del labirinto, nell’ebbrezza del volo si avvicinò troppo al Sole le cui fiamme

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