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IL SISTEMA COMUNE D’ASILO EUROPEO

ALLA PROVA DELL’EMERGENZA: UN’ARABA FENICE?

Gracy Pelacani

SOMMARIO: 1. Introduzione.Ripartire dalle parole. 2. L’evoluzione del si-

stema europeo comune d’asilo. Quando è iniziata l’emergenza? 2.1. Una com- plessa evoluzione. 2.2. La prima generazione del sistema europeo comune d’asilo. 2.3. La seconda generazione del sistema europeo comune d’asilo. 3. Le reazioni all’emergenza. 4. La crisi del sistema. 5. Riflessioni conclusive.

Post fata resurgo.

1. Introduzione. Ripartire dalle parole

A fronte del continuo avvicendarsi di tentativi disordinati volti, se non a risolvere, almeno a indirizzare la c.d. “emergenza immigrazione” in atto nel continente europeo, si sente in primo luogo la necessità di fare ordine. Questo comporta tornare al significato delle parole con cui le attuali forme del fenomeno migratorio sono descritte, e interrogarsi sulle ragioni, ove esistenti, che giustificano il loro utilizzo. L’obiettivo consiste nel provare a dare una lettura del quadro europeo in materia d’asilo capace di emanciparsi, per quanto possibile, dalle narrative sem- plicistiche dominanti, nel tentativo di fornire chiavi di lettura per una migliore comprensione di un fenomeno e di un quadro che sono com- plessi e compositi.

Il perno di questa riflessione non può che prendere le mosse dal bi- nomio emergenza/crisi. Se la prima parola descrive una circostanza im- prevista, non pianificata e passibile di produrre danni, la seconda indica un momento di passaggio alla cui conclusione la situazione di partenza risulterà inevitabilmente cambiata, necessitando di nuovi equilibri e di

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un nuovo assetto1. Nell’attuale contesto, la qualificazione di emergenza

viene associata alle conseguenze degli arrivi di flussi misti di migranti negli Stati europei in numeri non previsti2, ai quali occorre affiancare il

numero delle persone decedute o disperse durante il percorso migrato- rio3. Dall’altro, si identifica come crisi la situazione attuale in cui versa

il sistema europeo comune d’asilo (a seguire, SECA), dimostratosi in- capace di fornire strumenti efficaci per gestire la così nominata emer- genza. Pertanto, l’emergenza riguarda il fenomeno, la crisi il sistema per gestirlo.

Occorrerà, quindi, nel tentativo di tracciare il quadro europeo, pro- cedere lungo questo doppio binario. Da un lato, assodata l’emergenza, indagarne le reazioni da parte delle istituzioni dell’Unione europea, e come queste si sono riflesse sul sistema predisposto per la sua gestione. Dall’altro, data per certa anche la crisi, sarà necessario interrogarsi sulle sue conseguenze, ossia sulla direzione intrapresa per una sua risoluzio- ne. La domanda di fondo, quindi, è: sopravvivrà il sistema attraverso la correzione delle sue più manifeste inefficienze? O, al contrario, assiste- remo al suo inevitabile perimento e conseguente sostituzione con nuove regole capaci di far fronte alle mutate condizioni?

1 Cfr. Emergenza, in Lo Zingarelli 2016, Bologna, 2016; Ib., Crisi.

2 Secondo dati EUROSTAT si sono registrate, nel corso del 2015, 1.255.600 richie-

ste di protezione internazionale in prima istanza negli Stati membri dell’Unione euro- pea più Norvegia e Svizzera, a fronte delle 562.680 richieste registrate nel 2014. Il 29% dei richiedenti è di nazionalità siriana, il 14% di nazionalità afghana, il 10% di naziona- lità irachena. Il 35% delle richieste è stato registrato in Germania, il 14% in Ungheria, il 12% in Svezia e il 7% in Italia e Austria. A fronte di 563.000 decisioni assunte nel 2015, il 52% delle quali ha avuto esito positivo ossia ha garantito un qualche tipo di protezione, 922.800 istanze risultavano ancora pendenti a fine 2015. Secondo l’orga- nizzazione mondiale per le migrazioni (IOM), gli arrivi in Europa registrati nell’anno in corso, aggiornati ad aprile 2016, sono 184.599, di cui 180.254 via mare, e i restanti via terra. Cfr. Eurostat News Release, 44/2016, 4 Marzo 2016; Eurostat, Asylum statistics, http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Asylum_statistics; International Organization on Migration (IOM), http://migration.iom.int/europe/.

3 Secondo i dati del “Missing Migrants Project” dell’organizzazione mondiale per le

migrazioni, le persone morte o che risultano disperse ad aprile 2016 sono 1.232, mentre nel 2015 sono risultate essere 3.770, e 3.279 nel 2014. Cfr. http://missingmigrants.iom. int/mediterranean.

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L’analisi delle reazioni all’emergenza e la risposta alle domande ap- pena poste non possono però prescindere dalla necessaria collocazione del SECA all’interno del quadro più ampio di cui fa parte. Questo è composto dalle politiche e normative adottate dall’Unione europea (UE) per, in senso ampio, governare l’ingresso e il movimento delle persone attraverso i suoi confini esterni e interni4.

Più che di quadro, però, è più utile parlare di un puzzle nel quale di- versi pezzi – il SECA e le norme che disciplinano l’area Schengen – paiono non incastrarsi più con le rimanenti come, invece, accadeva in origine. La metafora aiuta a comprendere come ogni analisi e critica rivolta alla gestione dell’emergenza e alla crisi non possa prescindere dal considerare la stretta relazione che esiste tra, lato sensu, le politiche migratorie dell’UE, e, pertanto, le reazioni a catena che la crisi e le so- luzioni proposte hanno sulle parti connesse5.

In secondo luogo è bene ricordare che le varie parti di questo puzzle hanno età molto diverse, i cui contenuti vanno relazionati con il mo- mento dell’integrazione europea in cui sono sorte e si sono sviluppate, e con le fasi dell’allargamento che nel frattempo si sono succedute. Infat- ti, occorre tenere a mente nel riflettere sulle ragioni a origine della crisi che, sebbene il SECA si proponga di fissare standard comuni tra gli Stati membri che ne fanno parte, le medesime norme trovano poi appli- cazione all’interno di sistemi nazionali ampiamente disomogenei. Que- sto rileva in relazione quello che è l’obiettivo ultimo nella fissazione di standard comuni: rendere irrilevante lo Stato membro in cui il richie- dente fa domanda di protezione internazionale o che la prende in cari- co6. L’esito della stessa, infatti, derivando (si presume) dall’applicazio-

ne del medesimo corpus normativo, dovrebbe essere identico a prescin- dere dal luogo in cui termina la procedura. La disorganicità, invece,

4 E.G

UILD, The Europeanisation of Europe’s Asylum Policy, in International Jour-

nal of Refugee Law, 1, 2006, p. 642-645.

5 A.T

RIANDAFYLLIDOU,A.DIMITRIADI, Deterrence and Protection in the EU’s Mi-

gration Policy, in The International Spectator, 4, 2014, p. 146-162.

6 Secondo quanto previsto dal protocollo n. 24 del TFUE, gli Stati membri “si con-

siderano reciprocamente paesi d’origine sicuri a tutti i fini giuridici e pratici connessi a questioni inerenti l’asilo”. Cfr. Protocollo n. 24, Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, GU C 326, 26.10.2012.

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osservata ha tra le sue cause le ampie divergenze riguardo l’evoluzione nel tempo dei sistemi d’asilo nazionali7, dal momento che in alcuni Sta-

ti membri si può dire che questo fosse quasi assente prima che la sua creazione venisse imposta dall’appartenenza all’Unione europea. Per- tanto, se in alcuni Stati membri, con una tradizione umanitaria di lungo corso, sono presenti sistemi nazionali d’asilo pienamente funzionanti, in altri questo è alle sue prime fasi di sviluppo, con tutte le conseguenze che questo ha per un’efficace gestione degli arrivi e delle domande di protezione8.

Da ultimo, non può tacersi la fondamentale influenza che il fattore geografico ha sugli equilibri del sistema. Osservando l’emergenza e la crisi nel contesto geopolitico più ampio in cui hanno origine, risulta evidente come il disequilibrio negli arrivi via mare e via terra faccia sì che le reazioni a livello nazionale all’emergenza e alla crisi siano a loro volta disomogenee e scoordinate, minando così in origine ogni minima possibilità di efficacia delle soluzioni proposte a livello sovranazionale. Quest’ultima osservazione va, quindi, ricordata per discernere quelle che sono le soluzioni comuni proposte dalle istituzioni dell’UE dal loro grado di effettiva implementazione da parte degli Stati membri (e non) a diverso titolo e grado coinvolti nell’emergenza. Sarebbe quindi cor- retto chiedersi a margine di ogni riflessione su questo tema, per chi questa è un’emergenza: per quali individui, e per quali Stati membri.

Dati così alcuni spunti sul contesto in cui collocare il SECA, il pre- sente contributo si declinerà come segue. Al fine di dare conto della fase corrente in cui si trova il sistema d’asilo europeo, si considereran-

7 Sono in corso nove procedure di infrazione a carico di sette Stati membri (Germa-

nia (due procedimenti), Estonia, Slovenia (due procedimenti), Grecia, Francia, Italia e Lettonia) riguardanti il mancato recepimento di direttive che compongono il SECA. Cfr. Sistema europeo comune di asilo: la Commissione porta avanti 9 procedimenti di infrazione, Bruxelles 10 febbraio 2016.

8 Le evidenti inefficienze dei sistemi d’asilo italiano e greco sono paradigmatiche in

questo senso. Sulle difficoltà incontrate nella fase di pre-accessione all’Unione europea dei dieci paesi che ne sarebbero divenuti membri con l’allargamento nel 2004 vedi A. SUBHAN, Migration and Asylumin Central and Eastern Europe, Working Paper, European Parliament, Civil Liberties Series, LIBE 104 EN, 1998; v. anche R.BYRNE ET AL., New Asylum Countries? Migration Control and Refugee Protection in an Enlarged

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no le sue fasi di sviluppo e le sue relazioni con la dimensione interna ed esterna delle politiche migratorie dell’UE. Descritto il contesto, si pas- serà ad analizzare quelle che sono state le più immediate reazioni al- l’emergenza, ossia la creazione dei c.d. “punti di crisi” e del meccani- smo di ricollocazione a favore di Italia e Grecia. Dall’emergenza si pas- serà, quindi, alla gamma di soluzioni adottate per (tentare di) fare fronte alla crisi, come l’esternalizzazione dell’emergenza, tramite l’accordo con la Turchia, e le proposte di riforma del sistema adottate dalla Com- missione. A conclusione, si tenterà di rispondere alla domanda prece- dente posta: resisteranno le fondamenta del sistema alla sua crisi, o as- sisteremo all’elaborazione di un nuovo sistema europeo comune d’asi- lo?

2. L’evoluzione del sistema europeo comune d’asilo. Quando è iniziata l’emergenza?

Allo scopo di comprendere i modi in cui le istituzioni dell’UE hanno reagito all’emergenza, è necessario, da un lato, fissare nel tempo il momento in cui la stessa ha avuto inizio, dall’altro, delineare lo stato di sviluppo e i contenuti del SECA fino a quell’istante. Di questo si occu- perà il seguente paragrafo.

Ai fini del presente contributo, la data di inizio della reazione al- l’emergenza verrà fissata al 13 maggio 2015, giorno in cui la Commis- sione europea adotta l’Agenda europea sulla migrazione9. Sebbene la

datazione non possa che essere arbitraria, questa comunicazione è il più recente atto di sistema adottato dall’inizio dell’emergenza sulla base dei numeri, che torna a tracciare le linee di sviluppo per gli anni a seguire della politica migratoria dell’Unione nel suo complesso. Questa comu- nicazione fa, infatti, seguito al programma di Stoccolma conclusosi nel 201410, e alla precedente comunicazione Un’Europa aperta e sicura:

come realizzarla del marzo 2014. Questa anticipava gli orientamenti

che il Consiglio avrebbe adottato nel giugno dello stesso anno per l’ul-

9 Agenda europea sulla migrazione, COM(2015) 240 final, Bruxelles, 13.5.2015. 10 Programma di Stoccolma, Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei

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teriore sviluppo dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia11. Tuttavia,

la prima parte dell’Agenda è dedicata a descrivere una serie di, così definite, azioni immediate che l’Unione adotterà al fine di “agire rapi- damente e con determinazione di fronte alla tragedia umana che si con- suma in tutto il Mediterraneo”.

È interessante notare, in primo luogo che, al momento dell’adozione dell’Agenda, la rotta balcanica non aveva ancora acquisito il rilievo al- l’interno della configurazione dell’emergenza che ha, al contrario, ora12. In secondo luogo, si rileva che si identificano tali azioni come ri-

sposta modello da utilizzare nell’evenienza di simili crisi future13.

Così giustificata la datazione dell’inizio dell’emergenza, per com- prenderla occorre delineare la struttura del sistema che fino a quel mo- mento si era andato costruendo.

2.1. Una complessa evoluzione

La storia del SECA è comunemente descritta come l’avvicendarsi di due generazioni, corrispondenti ognuna all’adozione e poi alla revisione degli strumenti normativi e finanziari che attualmente lo compongono. Questa ha ufficialmente inizio con l’entrata in vigore il trattato di Am- sterdam nel 1999, il quale attribuiva all’UE competenze in materia di immigrazione e asilo. Questi sono stati spostati dal (terzo) pilastro in- tergovernativo al (primo) pilastro comunitario, e l’acquis di Schengen è stato integrato all’interno del diritto dell’UE. Tuttavia, proprio questo primo passaggio ci dà l’occasione di ricordare come, però, in forma embrionale, il SECA avesse già cominciato a prendere forma nel 1990

11 Un’Europa aperta e sicura: come realizzarla, COM(2014) 154 final Strasburgo,

11.3.2014.

12 Il 25 ottobre 2015 i leader dei paesi facenti parte della rotta balcanica hanno con-

cordato con il presidente della Commissione europea J. C. Junker un piano d’azione congiunto di diciassette punti, che pone particolare attenzione sulla necessità di un maggiore scambio di informazioni, di una gestione coordinata delle frontiere e sulla creazione di ulteriori posti in accoglienza lungo la rotta stessa. L’implementazione del- l’accordo viene settimanalmente monitorata. Il testo della dichiarazione è disponibile su http://ec.europa.eu/news/2015/docs/leader_statement_final.pdf.

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quando la convenzione14 di applicazione dell’accordo di Schengen

(1985) e la convenzione di Dublino15 sono state adottate.

Entrambe nascevano dalla necessità di regolare le conseguenze che sarebbero derivate dall’abolizione dei controlli interni alle frontiere per il governo dell’immigrazione, la libera circolazione delle persone e per la speculare allocazione della responsabilità per l’esame delle domande di richiesta d’asilo16. La convenzione di Dublino, nello specifico, stabi-

liva criteri per l’allocazione della responsabilità per l’esame delle do- mande d’asilo fatte nel territorio di uno Stato membro, e stabiliva ob- blighi di riammissione a carico dello Stato responsabile17. Gli obiettivi

principali erano velocizzare le procedure d’esame e, soprattutto, evitare che non vi fosse nessuno Stato responsabile per l’esame di una doman- da, evenienza che dava origine ai c.d. richiedenti in orbita. La conven- zione, nelle intenzioni, avrebbe contribuito anche a porre fine al c.d. fenomeno dell’asylum shopping, ossia la presentazione di più domande d’asilo in vari Stati membri, e la (supposta conseguente) scelta da parte del richiedente di fare domanda nello Stato membro dove considerava di poter avere maggiori opportunità di ottenere il riconoscimento18.

14 Come noto, la Convenzione entrerà poi in vigore l’1 settembre 1993, ma espli-

cherà i suoi effetti solo a partire dal 26 marzo 1996 per i paesi firmatari dell’accordo di Schengen del 1985. Per i restanti Stati membri dell’Unione gli effetti si esplicheranno gradualmente a partire dall’adesione e dal necessario rispetto dei requisiti legali e tecni- ci.

15 Convenzione sulla determinazione dello stato competente per l’esame di una do-

manda di asilo presentata in uno degli stati membri delle Comunità Europee, firmata il 15 giugno del 1990, entrerà in vigore per i primi dodici stati firmatari l’1 settembre 1997, e verrà inclusa dal trattato di Amsterdam all’interno del diritto dell’Unione.

16 Si ricorda, infatti, che il criterio per l’allocazione della responsabilità tra gli Stati

firmatari riguardava, all’epoca, solo le richieste per il riconoscimento dello status di rifugiato.

17 È interessante notare come all’art. 17. 2 della convenzione si prevedeva la possi-

bilità per il c.d. “Comitato art. 18”, di sospendere con una maggioranza di due terzi l’applicazione della convenzione ove uno Stato parte ne avesse fatto richiesta a fronte delle mutate condizioni in relazione a quelle in cui la stessa convenzione era stata ratifi- cata. Cfr. art. 17. 2 Convenzione di Dublino, v. supra nota 15.

18 Cfr. “Asilo (Movimento secondario del richiedente)”, in C

OMMISSIONE EUROPEA,

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Come noto, il c.d. sistema Dublino, che ha origine nella convenzio- ne omonima, ha attraversato tutta la storia del SECA fin dalla sua crea- zione e rimane ad oggi uno dei suoi perni. Rileva, quindi, enunciarne qui i principi rettori. La convenzione stabiliva una serie di criteri, gerar- chicamente ordinati, in base ai quali stabilire la responsabilità di uno Stato membro per la presa in carico della domanda d’asilo. Pertanto, la presenza di legami familiari con persone già riconosciute rifugiate e legalmente risiedenti in altro Stato membro, il rilascio di un permesso di residenza o entrata da parte di uno Stato, l’entrata irregolare nel terri- torio di uno Stato, la responsabilità di uno Stato del controllo dell’entra- ta di richiedenti asilo nel proprio territorio, e, infine, il primo Stato in cui la domanda era stata presentata (in via residuale), erano i criteri che stabilivano la responsabilità certa per l’esame della domanda in capo a un preciso Stato parte della Convenzione. In breve, lo Stato che avesse in un qualche modo riconosciuto la presenza del richiedente sul proprio territorio, assumeva la responsabilità per la determinazione del suo sta- tus. Si connetteva, quindi, il controllo delle frontiere all’assunzione di responsabilità. Si aggiungevano poi ai criteri appena annunciati la c.d. clausola di sovranità, la quale permetteva a uno Stato di avocare a sé la responsabilità quandanche i suddetti criteri identificassero un altro Sta- to come responsabile. E, infine, la c.d. clausola umanitaria, permetteva d’esaminare la domanda avocando a sé la responsabilità per ragioni umanitarie19.

Il sistema era concepito in modo che gli Stati membri responsabili per le domande d’asilo fossero incentivati a prevenire movimenti se- condari da parte dei richiedenti a fronte degli obblighi di riammissione nel proprio territorio ove riconosciuti responsabili in seguito. Inoltre, con lo stesso obiettivo di prevenzione, si mirava a far sì che gli Stati portassero a termine le operazioni di ritorno nei paesi di origine dei ri- chiedenti la cui domanda era stata rigettata il più rapidamente possibile. Secondo quanto esposto, si nota come già in questa fase embrionale il sistema d’asilo avesse al suo interno clausole flessibili, ipotesi di so- spensione per mutate condizioni, ma anche le cause stesse della sua

EU Acquis, Extraterritorial Protection and the Common Market of Deflection, Leiden, 2000, p. 185-187.

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inefficienza. Queste, come vedremo in seguito, sono di poco mutate nell’attuale crisi, a fronte di un incremento nel numero degli arrivi, in- vece, ora di molto cambiato.

Proprio a fronte delle evidenti carenze del sistema, poco dopo la sua entrata in vigore, Stati membri e istituzioni dell’Unione misero in atto il processo per la sua riforma. Secondo quanto stabilito dal trattato di Amsterdam all’art. 63.1, in un periodo di cinque anni dall’entrata in vigore del trattato, l’Unione si comprometteva ad adottare criteri e meccanismi per determinare lo Stato responsabile per l’esame di una domanda d’asilo.

Nel marzo del 2000, la Commissione esponeva all’interno di un

working paper le maggiori deficienze della convezione emerse fino a

quel momento, proponendosi di gettare le basi per l’adozione di una serie di atti normativi di diritto dell’UE in materia20. Queste le carenze

più rilevanti emerse: l’eccessiva durata delle procedure, il cui termine viene fissato a un mese, mentre la media tra gli Stati parte è di novanta giorni, e la convezione permetteva una durata massima di nove mesi21.

Le conseguenze si riflettono sulla percentuale di domande reiterate in più Stati membri, sui movimenti secondari connessi dei richiedenti e sulle condizioni in cui permangono gli stessi mentre sono in attesa di una decisione. In secondo luogo, si riporta lo scarso utilizzo del mecca- nismo di allocazione della responsabilità predisposto dalla convenzione a causa delle difficoltà nel reperimento di sufficienti informazioni per determinare lo Stato responsabile22. Successivamente, si sottolinea il

20 Commission staff working paper. Revisiting the Dublin Convention: developing

Community legislation for determining which Member State is responsible for consid- ering an application for asylum submitted in one of the Member States, SEC (2000) 522, Bruxelles 21.3.2000.

21 Cfr. artt. 4. 1, Decisione 1/97 e art. 11. 4 della Convezione. Cfr. Decisione 1/97

del 9 settembre 1997 relativa a talune disposizioni della convenzione, GU L 281, 14.10.1997, p. 1-25; supra nota 15.

22 La Commissione rileva la difficoltà nel determinare l’efficacia reale della con-

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