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Acquoreità della parola indoeuropea

L’acquoreità condivisa da Sirene e Apsaras, figure innegabilmente connesse alla parola poetica, consente di avviare l’analisi della seconda area semantica, alla quale si intende guardare in quanto la si ritiene particolarmente pertinente al manifestarsi della parola nel mondo indoeuropeo, ossia quella dell’acquoreo, che parrebbe efficacemente delineata dall’attualizzarsi delle basi *(h1)ers-/(h1)res- (propria di ár‚ati e rása) e *sreu-

(propria di ·šw e ·uqmÒj).

Anche per l’attualizzarsi di tali basi, come già si è fatto per *seh2-/sh2-, si intende

guardare a indizi sia testuali che lessicali, onde dimostrare la presenza di quella che si è voluta dire la componente acquorea della parola indoeuropea, in particolare testimoniata dalla base *(h1)ers-/(h1)res- nel mondo vedico e *sreu- nel mondo greco, basi in grado

di sottolineare l’interferenza reciproca, nella ‘realtà’ indoeuropea, delle aree semantiche dell’acquoreità e della verbalizzazione.

1 Indizi testuali e lessicali

Fra gli indizi testuali si possono individuare sia semplici accenni ad una possibile acquoreità della parola, sia quelle che si possono considerare vere e proprie dichiarazioni e celebrazioni della parola acquorea.

Suggestiva è la formula che si legge in AV XVII, 1, 29:

mā́ mā prā́pat pāpmā́ mótá mr̥tyúr antár dadhe 'háṃ saliléna vācáḥ //

«Non mi colpisca né il maligno né la morte. Io vi interpongo l’oceano della parola».

Si può considerare anche il primo pada di RV X, 177, dal quale si desume che «il perišcon da cui proviene ai poeti la poesia è nella loro interiorità: nella “distesa d’acqua” del cuore»144.

Più articolata la connessione che si istituisce fra area semantica della verbalizzazione e dell’acquoreo in RV X, 125, 7:

144

Cfr. D. Maggi, Individuazione ed evento: per un’interpretazione del mondo vedico, in Bandhu. Scritti

in onore di Carlo Della Casa, vol. 1, Torino 1997, pp. 207-226, in particolare p. 213, e Maggi, op. cit.

(nota 98), in particolare p. 109. Il testo è pataµgám aktám ásurasya måyáyå h®dâ paçyanti mánaså vipaçcítaª / samudré ant᪠kaváyo ví cak‚ate már⁄c⁄nåm padám ichanti vedhásaª «Lui che va con le ali,

unto dalla magia del dio, col cuore vedono e con la mente gli ispirati; entro il fluire delle acque i saggi lo scorgono, e quelli che lo adorano vi cercano la traccia delle faville», la traduzione è di Ambrosini, op. cit. (nota 1).

aháṃ suve pitáram asya mūrdhán máma yónir apsv àntáḥ samudré / táto ví tiṣṭhe bhúvanā́nu víśvotā́mū́ṃ dyā́ṃ varṣmáṇópa spr̥śāmi //

«Io genero il padre alla sommità di questo mondo. La mia origine è nelle Acque in mezzo all’oceano. Da lì mi diffondo su tutti gli esseri e con la mia sommità tocco il cielo lassù»145.

A sottolineare l'acquoreità quale tratto intrinseco alla parola è Våc stessa che in quello stesso pada, in cui si autocelebra quale partoriente «il padre all'origine di questo mondo», connotandosi inequivocabilmente di 'primigenio', colloca la propria origine nel primordiale fluire dell'insieme delle acque. Tale sottolineatura dell'afferire di Våc alla fluente dimensione acquorea difficilmente può trascurarsi, essendo attribuita alla parola nonché collocandosi in un inno che proprio sulla parola è incentrato.

Funzionale a confermare il legame che intercorre fra acquoreità e parola è anche la figura di Indra. Questi risulta innegabilmente connesso all’immagine del libero fluire delle acque, in mitologica contrapposizione a V®tra, intrappolatore delle acque146, come emerge da RV I, 32, 1 e 11:

índrasya nú vīryā̀ṇi prá vocaṃ yā́ni cakā́ra prathamā́ni vajrī́ / áhann áhim ánv apás tatarda prá vakṣáṇā abhinat párvatānām //

«Ora voglio celebrare le imprese eroiche di Indra, quelle che l’armato di

vajra ha compiuto ai primordi: abbattè il serpente, liberò le Acque, squarciò

i ventri delle montagne».

dāsápatnīr áhigopā atiṣṭhan níruddhā ā́paḥ paṇíneva gā́vaḥ / apā́m bílam ápihitaṃ yád ā́sīd vr̥tráṃ jaghanvā́m̐ ápa tád vavāra //

«Prima le Acque stavano ferme, avendo un selvaggio come sposo, un serpente come guardiano, come le vacche imprigionate dai Paṇi. Ma, avendo abbattuto Vr̥tra, Indra spalancò la cavità delle Acque che era bloccata».

Interessanti, quindi, i passi nei quali Indra figura ora quale Wortführer (RV I, 76, 4,

váhnir āsā́)147, ora quale «Kenner des erbaulichen Wortes» (RV VII, 29, 2, bráhman

vīra bráhmakr̥tiṃ), considerando anche il fatto che non di rado si accompagna ai

cantori148.

145

Sani, op. cit. (nota 1).

146

Si possono considerare anche i passi: RV I, 52, 2, 6; I, 54, 10; II, 19, 2; III, 32, 6.

147 Cfr. anche RV I, 129, 5 e VI, 22, 2. Similmente, per la figura del cantore, cfr. RV I, 184, 1; III, 20, 1;

VIII, 12, 13.

Anche i Marut, che si delineano essi stessi quali cantori149, non disdegnano il contatto con la dimensione dell’acquoreo: con il fluviale scorrere e con le acque in genere (RV I, 85, 10):

ūrdhváṃ nunudre 'vatáṃ tá ójasā dādr̥hāṇáṃ cid bibhidur ví párvatam / «Con la forza spinsero in alto la cavità che conteneva le Acque: spaccarono la montagna per quanto salda»150.

In RV I, 38, 11 si esplicita il fisiologico rapporto con l’acqua pluviale: máruto vīḷupāṇíbhiś citrā́ ródhasvatīr ánu /

yātém ákhidrayāmabhiḥ //

«O Marut, con i vostri cavalli dai solidi zoccoli, instancabili nella corsa, andate lungo i fiumi cangianti dalle rive scoscese»151.

Ora i Marut portano le acque (I, 85, 11):

jihmáṃ nunudre 'vatáṃ táyā diśā́siñcann útsaṃ gótamāya tr̥ṣṇáje /

«Spinsero di traverso la cavità che conteneva le Acque in questa direzione: fecero versare la fonte per Gotama assetato»152,

ora le lasciano scorrere (RV VIII, 7, 28): yā́nti śubhrā́ riṇánn apáḥ //

«Coprendosi con ornamenti lucenti, lasciano scorrere le acque», ora con esse si confrontano (RV V, 54, 2)153:

… sváranty ā́po 'vánā párijrayaḥ //

«… Corrono le Acque in velocità, facendo a gara con i Marut».

Appurato che i Marut sono acquorei portatori di pioggia e, soprattutto, ai fini della presente analisi, cantori, il loro legame con l’acquoreità pare consolidarsi se si considera anche che ai Marut si ispira esplicitamente il nome di un fiume, Marudhv®dhå, presente in RV X, 75, 5. In tal modo risulta nuovamente confermato il connotarsi di acquoreo della dimensione verbale vedica.

Sarasvati aiuta a rafforzare ulteriormente la connessione fra verbalizzazione e acquoreità nel mondo indiano: è un fiume, nome di una poetessa nonché dea dell’eloquenza. Sarasvati già nel ¸gveda assume una fisionomia che prelude a tale suo

149 Cfr. nota 5.

150 Sani, op. cit. (nota 1). Cfr. RV V, 53, 9; VII, 96, 2; VIII, 7, 5 e 22. 151

Sani, op. cit. (nota 1).

152

Sani, op. cit. (nota 1). Cfr. RV V, 54, 8; V, 58, 3; VII, 56, 16.

successivo delinearsi: figura, infatti, quale Flüssgöttin connessa alla poesia (RV I, 3, 12)154:

mahó árṇaḥ sárasvatī prá cetayati ketúnā / dhíyo víśvā ví rājati //

«Con il suo segnale Sarasvati libera il grande fluire delle sue acque: lei fa scorrere tutti i pensieri»,

risulta divinità del discorso sacrale (RV I, 3, 10-11): pāvakā́ naḥ sárasvatī vā́jebhir vājínīvatī / yajñáṃ vaṣṭu dhiyā́vasuḥ //

codayitrī́ sūnŕ̥tānāṃ cétantī sumatīnā́m / yajñáṃ dadhe sárasvatī //

«Sarasvati, dalla voce risonante, ricca di ricompense, deve corrispondere al nostro sacrificio le ricchezze che le derivano dalla sapienza.

Promuovendo doni, memore di benevolenza, Sarasvati ha accolto il nostro sacrificio»,

legata al canto di lode (RV VI, 61, 4)155:

prá ṇo devī́ sárasvatī vā́jebhir vājínīvatī / dhīnā́m avitry àvatu //

«A noi deve la dea Sarasvati, ricca di doni, offrire il suo favore, lei protettrice dei canti»,

connessa ai Marut (RV II, 30, 8)156:

sárasvati tvám asmā́m̐ aviḍḍhi marútvatī dhr̥ṣatī́ jeṣi śátrūn /

«Sarasvati, resta con noi, ai Marut legata, coraggiosamente sconfiggi i nemici!»

e in grado di proteggere il cantore (RV VI, 49, 7)157:

pā́vīravī kanyā̀ citrā́yuḥ sárasvatī vīrápatnī dhíyaṃ dhāt /

gnā́bhir áchidraṃ śaraṇáṃ sajóṣā durādhárṣaṃ gr̥ṇaté śárma yaṃsat // «Figlia di Paviru, fanciulla dalla splendida forza vitale, che ha eroi come mariti, Sarasvati può concedere buoni pensieri. Insieme con le dee lei offre protezione, ombra fitta impenetrabile, al cantore».

Similmente la figura di Dhi‚ana si connette sia alle acque (RV I, 96, 1): 154 Cfr. RV II, 3, 8. 155 Cfr. RV V, 43, 11. 156 Cfr. RV VII, 96, 2. 157 Cfr. RV VII, 95, 5.

ā́paś ca mitráṃ dhiṣáṇā,

«Amicizia intercorre fra le Acque e Dhi‚ana», (X, 30, 6):

sáṃ jānate mánasā sáṃ cikitre 'dhvaryávo dhiṣáṇā́paś ca devī́ḥ //

«Essi sono concordi negli animi, essi predispongono insieme: gli Adhvaryu, Dhi‚ana e le divine Acque»,

sia all’ispirazione divina (RV VI, 11, 3)158, donde discende la poesia dei ®‚i: dhányā cid dhí tvé dhiṣáṇā váṣṭi prá devā́ñ jánma gr̥ṇaté yájadhyai / vépiṣṭho áṅgirasāṃ yád dha vípro mádhu chandó bhánati rebhá iṣṭaú // «Anche Dhi‚ana, ricca di doni, desidera sacrificare in te (Agni) alla stirpe degli dei per il cantore, quando il più eloquente oratore degli Aṅgiras, cantori di lode, fa risuonare in voto agli dei il suo dolce canto».

Interessante anche l’immagine di RV X, 11, 2, dove si ha la presenza di una ápyā

yóṣaṇā, Wasserfrau159 volta a custodire la mente del poeta:

rápad gandharvī́r ápyā ca yóṣaṇā nadásya nādé pári pātu me mánaḥ /

«Quando Gandharvi, acquorea fanciulla, sussurra, dovrebbe preservare la mia mente dal ruggito del ruggente».

È suggestivo guardare anche al mondo germanico160, nel quale la poesia è considerata comparabile a idromele (SnE, I, pp. 216, 218, 222, Háleygjatal, 1), sangue (SnE, I, pp. 250-252, Vellekla, 1), birra (SnE, I, p. 252, Háleygjatal, 1) in virtù della sua componente di acquoreità. Che, d’altronde, la poesia germanica conservi tratti tipicamente indoeuropei in connessione alla dimensione del verbale emerge anche dal configurarsi del poeta quale ‘svelatore’ (Bragi Boddason), immagine rapportabile all’opposizione vedica fra acikitvan e cikitvan161 nonché a RV X, 71, 1-3:

bŕ̥haspate prathamáṃ vācó ágraṃ yát praírata nāmadhéyaṃ dádhānāḥ / yád eṣāṃ śréṣṭhaṃ yád ariprám ā́sīt preṇā́ tád eṣāṃ níhitaṃ gúhāvíḥ // sáktum iva títaünā punánto yátra dhī́rā mánasā vā́cam ákrata /

átrā sákhāyaḥ sakhyā́ni jānate bhadraíṣāṃ lakṣmī́r níhitā́dhi vācí // yajñéna vācáḥ padavī́yam āyan tā́m ánv avindann ŕ̥ṣiṣu práviṣṭām / 158 Cfr. RV III, 32, 14. 159 Cfr. RV X, 10, 4. 160

Cfr. M. Battaglia, Calliope iperborea: tecnica scaldica, brágr e dán díreach, «Studi Nordici» XIV (2007), pp. 23-48; M. Battaglia, L’arte degli scaldi. Potere della poesia o poesia di potere?, in M. Arcangeli, C. Marcato (a cura di), Lingue e culture fra identità e potere, Atti del Convegno ‘Lingua,

cultura e potere’, Cagliari 9-14 marzo 2006, Roma 2007, pp. 493-508. 161 Cfr. Lazzeroni, op. cit. (nota 76).

tā́m ābhŕ̥tyā vy àdadhuḥ purutrā́ tā́ṃ saptá rebhā́ abhí sáṃ navante //

«O divinità che domini la formula, il primo inizio della parola fu quando si mossero per porre la denominazione: cio che di loro c’era di più luminoso, ciò che era senza impurità né frode, tutto questo, che era riposto in profondo segreto, per il loro amore divenne evidente.

Quando i saggi col pensiero crearono la parola, quasi nettando la farina col vaglio, allora i colleghi conobbero il loro collegio: il loro luminoso segno distintivo era stato riposto nella parola.

Col sacrificio essi erano andati sulla traccia della parola: di lei trovarono che era penetrata nei poeti, portandola fuori, la diffusero in molti luoghi. E lei i sette metri acclamano insieme»162.

L’immagine rinvia, infine, ai riferimenti vedici alle parole arcane note ai poeti, portatori di una misteriosa lingua (RV X 53, 3 e 10):

sādhvī́m akar devávītiṃ no adyá yajñásya jihvā́m avidāma gúhyām /

«Egli che ha fatto sì che il pranzo che, oggi, offriamo agli dei, avesse felice riuscita: abbiamo scoperto la lingua misteriosa del sacrificio».

sató nūnáṃ kavayaḥ sáṃ śiśīta vā́śībhir yā́bhir amŕ̥tāya tákṣatha / vidvā́ṃsaḥ padā́ gúhyāni kartana yéna devā́so amr̥tatvám ānaśúḥ //

«Ora, egualmente, o saggi cantori, affilate le asce con le quali costruite per l’immortalità! Voi che ora le conoscete, adoperate le parole arcane, con le quali gli dei hanno raggiunto l’immortalità!»163.

Non trascurabile è anche la connessione riscontrabile nel mondo germanico fra poesia e odissiaca mÁtij (SnE, I, p. 224) presente anche nel mondo vedico, ad esempio in RV X, 53, 9:

tváṣṭā māyā́ ved apásām apástamo bíbhrat pā́trā devapā́nāni śáṃtamā / «Il dio creatore che è esperto di astuzie, lui, il più abile degli dei, porta le tazze salutari in cui bevano gli dei»164.

Indicativa anche la connessione fra poesia e sacrificio (componimento di Egill Skallagrímsson) voluta nel mondo vedico, ad esempio, in RV X, 90, 9:

tásmād yajñā́t sarvahúta ŕ̥caḥ sā́māni jajñire / chándāṃsi jajñire tásmād yájus tásmād ajāyata //

162

Ambrosini, op. cit. (nota 1).

163

Ambrosini, op. cit. (nota 1).

«Da quel sacrificio completamente offerto nacquero il ¸gveda e il Såmaveda; da quello nacque lo Yajurveda»165.

Tornando all’ambito esclusivamente vedico, in merito alle Apsaras, si sottolinea come in RV X, 95, 6 fra i loro nomi sia possibile individuare un accenno sia all’acquoreo, sia alla dinamica della creazione vedica, evidenti anche nell’analisi e nella traduzione del passo di Maggi166, che delinea la schiera di ninfe quale «compagnia dotata di fiamma luminosa, amica in occasione della recita dell’inno, che conosce i legami (del comporre in poesia) come colui il cui occhio è rivolto verso il (mondo interiore simile a) lago (ingrossato dai fiumicelli di soma)»167. Delle ninfe, il cui fluviale esistere già le connette di necessità all’acquoreo, è inoltre possibile cogliere una loro prossimità ai Marut, dei quali la philia per la dimensione verbale è innegabile. Ritornando, per un istante, agli indizi testuali, si può, poi, coniugare in particolare la figura di Urvaç⁄ sia alla dimensione verbale, come emerge dall’analisi di RV X 95, sia alla sfera dell’acquoreo, come è rilevabile, ad esempio, da RV V, 41, 19:

abhí na íḷā yūthásya mātā́ smán nadī́bhir urváśī vā gr̥ṇātu /

«Ci accolgano Iḷā, madre del gregge, o Urváśī insieme con i flutti».

Il coniugarsi di fluvialità e verbalizzazione pare, inoltre, essere adombrato in RV X, 46, 8 e RV I, 80, 12 passi nei quali la connessione fra acquoreo e dimensione verbale vedica sarebbe lessicalizzata nel lessema vépas168 che Geldner169 rende con

Wortschwall:

prá jihváyā bharate vépo agníḥ prá vayúnāni cétasā pr̥thivyā́ḥ /

«Con la lingua Agni porta il suo fiotto di parole (Wortschwall), con il suo vedere conosce le vie della terra».

ná vépasā ná tanyaténdraṃ vr̥tró ví bībhayat /

«Vr̥tra non spaventò Indra né con il suo fiotto di parole (Wortschwall), né con il suo ruggito di tuono».

Al confine fra indizio testuale e lessicale della contiguità fra acquoreità e dimensione verbale si pone la vicenda che vede protagonista il ®‚i Viçvåmitra. Significativamente

165

Sani, op. cit. (nota 1).

166 Op. cit. (nota 4). 167

Nella sesta stanza, per quanto, dalla maggior parte degli autori, gli epiteti siano letti quali nomi propri (cfr. K.F. Geldner, Der Rig-Veda aus dem Sanskrit ins Deutsche übersetzt und mit laufenden Kommentar

versehen, vol. 3, Cambridge (Mass.) 1957, p. 301), si accoglie, nel presente lavoro, la posizione di

Maggi, op. cit. (nota 4), che è seguita anche da Ambrosini, op. cit. (nota 1), p. 99.

168 Presente anche in RV IV, 11, 2. 169

K.F. Geldner, Der Rig-Veda aus dem Sanskrit ins Deutsche übersetzt und mit laufenden Kommentar

questi condivide il proprio nome con un fiume del Vi‚~u Purå~a170, da cui si ha il coincidere del nome del ®‚i, portatore di parola poetica, con un idronimo, che rinvia all’acquoreità. Si tratta, peraltro, di quello stesso ®‚i Viçvåmitra autore di RV III, 33, inno volto a due fiumi171, nel quale, alla terza strofe, si legge che Viçvåmitra pronuncia le seguenti parole:

áchā síndhum mātŕ̥tamām ayāsaṃ

«Ecco io sono arrivato al fiume che è la migliore tra le madri»172.

Da qui si ha la possibilità di affermare il materno scaturire della lingua del poeta, la Lingua Madre, quella stessa lingua dalla quale discenderebbe il suo ‘fluviale’ nome, non inscrivibile, dunque, nel Nome del Padre. Significativamente, anche nel mondo greco, Odisseo, che non di rado si delinea quale portatore di parola poetica, rigetterà il Nome del Padre, volendosi Outij/Utus, nome forse riconducibile ad un idronimo, come si cercherà di valutare nel paragrafo seguente.

2 Ulteriori indizi lessicali

2.1 Odisseo/Outij

Fra gli indizi lessicali si prende ora in considerazione proprio una possibile lettura del dirsi Outij173 di Odisseo.

170

Per l’idronimo si può guardare a Vi‚~u Purå~a, Sanskrit Text and English Translation according to

H.H. Wilson, Delhi 2002, libro II Topographical lists, p. 155, mentre per Viçvåmitra quale ®‚i cfr. libro

III, cap. 1, p. 224; libro IV, cap. 3, p. 318. È possibile considerare anche il sito http://www.sacred- texts.com/hin/vp/index.html.

171

Per un’analisi dell’inno cfr. P. Kwella, Flussüberschreitung im Rigveda. RV III, 33 und Verwandtes, Wiesbaden 1973.

172

La traduzione è di Sani, op. cit. (nota 1).

173

Si sceglie di non apporre segni diacritici in concomitanza con la parola Outij, dal momento che l’accentazione risale ad età alessandrina e selezionare accento circonflesso per il nome proprio, accento acuto per il pronome scaturirebbe da un’aprioristica convinzione di una dicotomia nella ricezione del termine da parte, ora, di Polifemo, ora, dei Ciclopi. L’affermazione di tale dicotomia vorrebbe, invece, essere un punto d’arrivo dell’argomentazione.

Se l’Ônoma ™pènumon Odisseo ha determinato problemi174, problemi ancor più consistenti li offre il dirsi Outij da parte dell’Itacese.

174

Per l’etimologia di Odisseo ci si limita ad accennare ad alcune posizioni, cfr. E. Wüst, in Pauly- Wissowa, Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, XVII, Stuttgart 1937, coll. 1906- 1996, s.v. «Odysseus»; H. Frisk, Griechisches etymologisches Wörterbuch, Band II, Heidelberg 1970, pp. 351-352. Eloquente P. Chantraine, Dictionnaire Étymologique de la Langue Grecque, Tome III, Paris 1974, pp. 775-776: «L’étymologie véritable est ignorée». Cfr. anche S. West, in Omero, Odissea, Vol. I (Libri I-IV), A. Heubeck, S. West (a cura di), G.A. Privitera (trad.), Fond. Lorenzo Valla, Milano 19935 (I

ed. 1981), p. 197, che, riferendosi ad 'OdusseÚj, conclude si tratti di «nome non greco e probabilmente non indoeuropeo». Sullo Streben etimologizzante di Omero ampia è la bibliografia di riferimento che consta sia di monografie, sia di articoli, che, per quanto più circoscritti, non sono, comunque, da trascurarsi. Volendo scegliere alcuni contributi si può considerare M. Sulzberger, ”Onoma™pènumon. Les noms propres chez Homère et dans la mythologie grecque, «Revue des Études Grecques» 39 (1926), pp.

381-447; U.D. Woodhead, Etymologizing in Greek Literature from Homer to Philo Iudaeus, diss. Toronto 1928; L.Ph. Rank, Etymologiseering en verwante Verschijnselen bij Homerus, Assen 1951; H.J. Lingohr,

Die Bedeutung der etymologischen Namenserklärungen in den Gedichten Homers und Hesiods und in den homerischen Hymnen, diss. Berlin 1954. Ad un confronto fra Omero ed Esiodo è dedicato anche lo

studio di E. Risch, Namensdeutungen und Worterklärungen bei den ältesten griechischen Dichtern, in

Eumusia, Festgabe für E. Howald, Erlenbach-Zürich 1947, pp. 72-91. Per il verbo *ÑdÚs(s)omai cfr.H. Frisk, Griechisches etymologisches Wörterbuch, Band II, Heidelberg 1970, p. 351, e P. Chantraine,

Dictionnaire Étymologique de la Langue Grecque, Tome III, Paris 1974, p. 775. G.C. Papanastasiou, Compléments au Dictionnaire du Grec Ancien de P. Chantraine, Théssalonique 1994, p. 38, riporta

l’ipotesi di E. de Laroche, Études de linguistique anatolienne, «Revue hittite et asianique» 76 (1966), pp. 33-54, in particolare pp. 41-42, che guarda all’itt. idalu- e al luv. adduwali- quali rappresentanti di un sostantivo astratto *edwal, che potrebbe chiamare in causa la teoria laringalista, dalla quale risulterebbe che l’*od- deriverebbe da *h3ed-. A proposito, poi, della connessione fra l’itt. idalu- e il lat. odium cfr. J.

Puhvel, op. cit. (nota 106), p. 493. Per l’ipotesi, invece, di una connessione fra ÑdÚs(s)asqai e l’ittita

hatuk- cfr. J. Puhvel, Hittite Etymological Dictionary, vol. 3: Words beginning with H, Berlin-New York

1991, pp. 274-277. Non si tratta, tuttavia, dell’unica ipotesi prospettabile, più probabile è, infatti, la connessione di hatuk- e ¢tÚzomai, che potrebbero cogliersi sia quale esempio d’esistenza di «relitti di una tradizione indoeuropea altrove perduta», sia quale esito di una tradizione interlinguistica, dal momento che, «oltre un certo limite temporale, non è più riconoscibile la differenza fra voci di prestito e voci ereditarie la cui classificazione dipende dalla prospettiva cronologica da cui le si considera», cfr. R. Lazzeroni, Stratificazioni nella lingua poetica greca, in Studi linguistici in onore di Vittore Pisani, vol. II, Brescia 1969, pp. 619-634. Secondo V. Georgiev, Hethitische Etymologien, «Linguistique balkanique» XXIII (1980), pp. 49-52, le due ipotesi non si escludono a vicenda: ¢tÚzomai sarebbe la variante pelasgica, ÑdÚs(s)omai la variante di «genuine Greek» del medesimo hatuk-. Cfr. anche H. Frisk,

Griechisches etymologisches Wörterbuch, Band I, Heidelberg 1960, p. 183. Quanto ad una connessione

fra mondo greco e mondo ittita per quanto concerne la vicenda odissiaca cfr. V.L. Tsymbursky, Hetho-

Homerica (naming of Odysseus and naming of the evil brother in the Hittite tale of Appu and his sons),

«Vestnik drevnej istorii» 2 (2005), pp. 14-26.

L’Ônoma ™pènumon Odisseo ha determinato problemi fin dall’esigenza di stabilire il senso attivo o passivo del verbo *ÑdÚs(s)omai, dal quale la philia paretimologizzante vorrebbe discendesse il nome proprio dell’Itacese. La lettura di Odisseo passa, ad esempio da «the much-suffering man», secondo le parole di W.B. Stanford, The homeric etymology of the name Odysseus, «Classical Philology» XLVII (1952), pp. 209-213, nel momento in cui asseconda la propensione degli scôli e di Eustazio, ad un Odisseo prima quale «dem die Götter zürnen», poi quale «Zürner», in base alla prospettiva di Lingohr,

op. cit., p. 94. Similmente G.E. Dimock, The Name of Odysseus, «The Hudson Review» 9 (1956), pp. 52-

70, in seguito, pure N. Austin, Name Magic in the Odyssey, «California Studies in Classical Antiquity» 5

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