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L’adattamento della favola in Kuprin

Le storie di animali di Aleksandr Ivanovič non sono delle favole vere e proprie: queste infatti devono rispettare delle regole stilistiche ben precise, che sono rimaste invariate nel corso dei secoli.

In primo luogo si narra un singolo avvenimento in maniera semplice e concisa, e la struttura del racconto è fissa: dopo una breve introduzione sui prota- gonisti e sulla situazione iniziale, nella quale solitamente ci troviamo in una circostanza difficile o di fronte a un pericolo, c’è il corpo centrale, dove viene descritto brevemente il susseguirsi degli avvenimenti. Successivamente si trova sempre la conclusione, ossia la morale, un commento che trasmette al lettore un insegnamento utile per la vita di tutti i giorni.

Scritta in prosa o in versi, la favola mette in scena pochi personaggi, che come abbiamo già avuto modo di vedere sono per lo più animali umanizzati. Non ci sono specifiche indicazioni di tempo e spazio: espressioni come “una volta”, “un tempo”, “un giorno”, “in una foresta”, “in un ruscello”, “in una stalla”, etc. non determinano con precisione dove e quando è avvenuto l’episodio che viene narrato.

Lo stile è asciutto e diretto, il linguaggio semplice e quotidiano. I tempi ver- bali scelti non esprimono indeterminatezza, ma sempre certezza, per questo si fa grande uso del modo indicativo. I dialoghi sono frequenti, e si incontrano diversi aggettivi qualificativi, spesso in contrasto tra loro, per descrivere i pro- tagonisti delle favole in antitesi l’uno con l’altro: basti pensare al mite agnello con il prepotente lupo, e alla laboriosa formica con la pigra cicala. Queste ca- ratteristiche non le troviamo mai tutte assieme in un unico racconto di Kuprin, ciascuno infatti presenta solamente alcuni dei precedenti tratti riconducibili al- la tradizione della favola; l’unico elemento che non manca mai è il ruolo da protagonista affidato ad un animale. Inoltre, mentre le favole delle tradizione classica sono brevi, a volte brevissime, i racconti di Kuprin si sviluppano su diverse pagine.

In Balto l’eroe è l’omonimo cane che salva la città di Nome: alla fine del rac- conto troviamo un chiaro messaggio di tipo educativo, nel quale si confrontano la semplicità d’animo e l’umiltà degli animali con le manie di grandezza del- l’uomo e il suo egoismo. Kuprin termina la storia in maniera semplice, concisa e allo stesso tempo significativa: “Мне Бальт милее.”6

Il tempo della narrazione non è precisato, poiché nonostante si parli di uno o due anni fa, “Год, может быть, два назад” non viene specificato a quale data far riferimento. La narrazione è lineare, e viene usato sempre il passato, ad eccezione dei dialoghi in cui si trova il presente: è comunque il modo indicativo a dominare.

Di nuovo un cane, questa volta di nome Ral’f, è il protagonista di un altro racconto di Aleksandr Ivanovič. Anche lui, come Balto, è estremamente intel- ligente, e viene descritto con tratti e comportamenti tipici dell’uomo. L’uma- nizzazione degli animali fece parte fin dall’inizio della tradizione della favola, e la troviamo spesso in Kuprin. Ral’f infatti sarebbe stato in grado di contare, riconoscere parecchi colori e andare a fare la spesa nelle botteghe della città. Nel racconto si fa addirittura riferimento alle leggi che i cani rispettano l’u- no nei confronti dell’altro, tra queste: “Quando un uomo lavora assieme a te, ritienilo un onore e aiutalo tanto quanto le tue forze te lo permettono, e non

disturbare mai un cane all’opera”.

In Ral’f vi sono dei dialoghi, e alcuni avvengono proprio tra il cane e il suo pa- drone: Kuprin non fa parlare l’animale in maniera diretta, come avevano fatto in origine Esopo e Fedro, ma lo rende in grado di comunicare con gli occhi, con i diversi movimenti della coda e di tutto il corpo. Incredibilmente acuto e perspicace risulta anche il gatto Yu-yu, che dà nome ad un altro racconto. In Yu-yu lo scrittore utilizza la trovata narrativa della storia dentro la storia: la nonna recita alla nipotina Nika le avventure del felino, e queste vanno a costituire gli avvenimenti veri e propri della narrazione.

Ancora una volta non ci sono riferimenti temporali, e a differenza dei preceden- ti racconti, qui manca anche un minimo riferimento spaziale. È interessante leggere in Yu-yu l’opinione di Kuprin, espressa tramite le parole della nonna, riguardo diversi animali, che accompagna la critica contro i pregiudizi che gli uomini hanno nei loro confronti. Per primo Aleksandr Ivanovič difende l’asi- no, da sempre considerato testardo e cocciuto: si tratta invece di una creatura “ubbidiente, cordiale e a cui piace far fatica”7. Anche l’oca, sinonimo di stu- pidità, è invece dotata di incredibile acume: “Non c’è uccello più intelligente sulla terra. L’oca riconosce i padroni dall’andatura.”

Che dire poi dei maiali, erroneamente considerati le creature più sporche di tutte? Spesso la colpa sta proprio nell’incapacità dell’uomo di capire gli ani- mali: si pensi al cavallo, accusato di essere iroso e ribelle, e tale in realtà solo per la disattenzione del padrone, che non pensa ad abbeverarlo e a farlo ripo- sare ogni tanto, ma solo a cavalcarlo, domarlo, e farsi bello in groppa sua. In questo Kuprin si distanzia dalla tradizione classica della favola: non sem- brano esserci specie “positive”, come la formica, il topo, l’agnello, e specie “negative”, come la volpe, il lupo, la cicala: nei suoi racconti ogni animale ha qualcosa da insegnare all’uomo, avendo mantenuto la purezza interiore, cor- rotta invece negli adulti dalla società moderna.

Yu-yu infine è ricchissimo di dialoghi, e il linguaggio utilizzato è quello della quotidianità, con espressioni semplici e termini colloquiali.

Pesik, Nasino nero rappresenta invece un’eccezione: i protagonisti del raccon- to sono Raja, una bambina in grado di comunicare con gli animali e di stare in sintonia con loro, e un cucciolo trovatello, che lei stessa porta a casa e a cui dà il nome di Pesik, Nasino nero. Quest’ultimo però non incarna l’ideale di amico dell’uomo a quattro zampe, tutt’altro: è un cane iroso, violento e vigliacco, a cui piace uccidere le galline nel pollaio, rovistare nelle immondizie, rubare il cibo agli operai e abbaiare inutilmente in modo terribile. È scortese anche con

Raja, a cui ubbidisce solo per la ricompensa che gli spetta in caso di buona condotta.

La negatività di questo racconto, composto e pubblicato nel 1921, che termina con l’uccisione di Pesik da parte del fratello della padronicina, è riconducibile alla crisi che l’autore stava attraversando in quel periodo: dopo lo scoppio del- la Guerra Civile Kuprin aveva passato dei brutti momenti lontano dalla sua famiglia, nella piena consapevolezza che l’unica soluzione possibile per lui e i suoi cari sarebbe stata quella di abbandonare la Russia una volta per tutte. L’arrivo nel 1920 a Parigi era stato così doloroso, che le opere scritte subito dopo questa data portano i segni della sua tristezza, e questo è proprio il caso di Pesik, Nasino nero.

Dal punto di vista della composizione comunque anche questa storia rispet- ta i canoni della fiaba: dalla semplicità stilistica al linguaggio della quoti- dianità, dalla centralità della figura dell’animale all’assenza di un’indicazione temporale.