pe-dina inconsapevole nelle mani di una regia, essa sì, spietata e col-pevole. Oltre agli episodi già ricordati del “tedesco buono” che si commuove di fronte alla maternità esibita da alcune donne, è im-portante ricordarne altri, in cui addirittura si stabilisce un rappor-to di reciproca comprensione e collaborazione (non cerrappor-to collabo-razionismo).
“I fascisti sono sempre peggiori dei tedeschi e se si dichiara l’o-dio per i tedeschi la memoria rinvia poco dopo una scena al centro della quale c’è il ragazzino tedesco in fuga, pieno di paura, ‘che ha negli occhi la morte’...” (M. G. Camilletti, 1994, pag. 39).
“E poi dopo c’era anche ’sti tedeschi che abitavano lì attorno e quelli che stava lì vicino a, da un contadino lì vicino che tene-va ’sti tedeschi, no tenetene-va, loro era andati dentro e quelli andatene-va fuori nelle case, andava per tutte ’ste campagne, portava via le gal-line, portava via le mucche, i cavalli. Quelli che era lì vicino a noi, erano buoni, capito?... quando erano vicino a noi erano buoni po-retti, erano ragazzini, soldati, che ti facevano anche pena, non te
fregava che era tedeschi, che era... capito? Era figlioli, guarda, te faceva pena, porini. ’Sti soldati (tedeschi in ritirata, nda), porini è passati... c’era l’aia davanti alla casa, s’è levati le scarpe, c’aveva le piaghe così. ’Sta nonna mia ha preso i lenzuoli, perché lei pure c’aveva i figlioli soldati (vedi il capitolo precedente quando si trat-ta del ‘maternage di massa’, nda)... ha fasciato tutte ’ste gambe...”
(Dina Magliani, 11)
“Dopo c’era anche... una volta un tedesco aveva disertato, al-lora era venuto lì a nascondersi. Lì c’è stata una paura, quella not-te!... Allora avevamo messo tutti i cuscini, così, per traverso, con
’sti materassi per terra e sotto i cuscini avevamo nascosto ’sto te-desco, perché piangeva e s’era stancato a fare la guerra... Avevamo salvato a ’sto tedesco, che non voleva fare più la guerra, perché aveva paura:” (Luisa Galeazzi, 2)
“No, no, s’è comportati bene (i tedeschi, nda). Tanto è vero che ci faceva tanta pena, porini, che noi di sotterfugio gli davamo la pasta. E mi ricordo che loro la prendeva, ma di nascosto, per-ché aveva paura che mentre noialtri si dava da mangia’, si fosse avvicinato qualche capo, qualcuno... la mangiava e ce riportava il piatto. Ma sa, te faceva pena, tutti ragazzini era. C’era uno, il più piccolo, c’aveva 16 anni e l’ha strappato proprio dalla madre, ci raccontava. E quanto c’aveva la nostalgia della madre! Mi raccon-tava della madre, piangeva... Ma però era tutti comandati da loro quei ragazzi... Eh, c’ha fatto tanto brutto, porini. Sarà perché poi già si conosceva. Non ci potevamo parla’ perché... noialtri non ca-pivamo a loro e loro non capivano a noi. Ma però, sa, ti fa brutto vedere quei ragazzi così...” (Ida Osmani, 7)
“... quando venivo su dal contadino, lì in campagna, ho visto passare una lunghissima fila di soldati tedeschi a piedi. Ragazzini, però, gli ultimi erano tutti ragazzini... io penso che erano ragaz-zi che ci potevano avere 17, 18 anni, proprio figlioli... Non lo so quanta strada avranno fatto, poretti... mi facevano compassione, veramente.” (Irma Vignini, 5)
4. Il fronte e le nuove ondate di sfollamento
In tutte le testimonianze si avverte un netto cambio di registro non appena l’intervistato comincia a raccontare il momento del passaggio del fronte, vera linea di demarcazione tra un prima so-stanzialmente pacifico e un dopo caratterizzato da più o meno aspri combattimenti ed episodi di violenza. Nelle parole di tutti si coglie netta la sensazione che il fronte, più che una linea lungo la quale si fronteggiano eserciti nemici, sia un’entità animata, reale e paurosa, con un’esistenza propria al di là del conflitto esistente. Questo con-tinuo riferirsi al “fronte che avanza”, al “fronte che si ferma”, quasi dovesse riposarsi, senza accennare alle persone che ne sono gli attori e agiscono “al suo interno”, denota la caratterizzazione fortemente connotativa ad esso attribuita.
“Siamo stati altra settimana lì, dieci giorni lì, non ricordo be-ne e be-nel frattempo il fronte si è allontanato. Si è allontanato ’sto fronte (notare la personificazione di un’entità astratta, nda), però di morti ce n’è stati tanti.” (Luisa Fabietti, 4)
“E poi è stato molto brutto, proprio brutto, il passaggio del fronte, perché il passaggio del fronte, qui, che venivano dalle col-line, noi eravamo da questa parte, loro arrivavano da là, bombar-davano.” (Irma Vignini, 5)
“Dopo passato il fronte.. non s’è trovato più niente. Dopo passato il fronte abbiamo sofferto, perché passando il fronte ha fatto razzia tutto. Dopo, il fronte è stato brutto, è stato brutto un bel po’ (moltissimo, nda), dopo, il fronte...E c’era anche tan-ti ebrei quando è passato il fronte, che l’ha portatan-ti via...Il fronte non veniva su, era fermo a Pescara, c’è stato tanto tempo laggiù...
Mio fratello l’ha preso (ha preso il fronte, nda) a Bari e è venuto su col fronte che è stato fermo non so quanto a Pescara, perché lì è stato duro il fronte, capito?...A luglio è arrivato il fronte, lì, il 17 luglio...passato il fronte, uscito il fronte, già, perché dopo è stato fermo un’altra volta a Rimini.” (Velia Di Nardo, 12)
Il fronte “fa razzia”, il fronte “è brutto”, il fronte “si porta via gli ebrei” (e non sono i tedeschi che lo fanno!), il fronte “è fermo”, il fratello della signora “prende” il fronte come se si trattasse di un tre-no, un temporale o un raffreddore. Il fronte come spartiacque tra la tranquillità e la paura, tra la relativa abbondanza e le privazioni alimentari.
“Era un paese che s’è trovato tutto fino al passaggio del fronte...È stato brutto, dopo il fronte; prima del fronte stavamo tutti bene lassù” (Velia Di Nardo, 12)
“No, restrizioni, no. Più dopo le abbiamo avute, perché dopo, col passaggio del fronte, quindi molti cavalletti...so’ andati a fuoco...c’era più restrizioni in quel periodo che prima.” (Angelo Seri, 13)
“(Ci sono stati dei combattimenti a Passatempo?) Niente, quando ha saltato il ponte solo, se no dopo passava il fronte, ma tutti dentro salvati si stava. Si è visti passare i carri armati” (Ida Osmani, 7)
In quest’ultimo caso, addirittura, il passaggio del fronte viene identificato con un momento di stasi nel conflitto, nettamente scis-so dall’esplosione del ponte, narrata in precedenza, che fa invece ovviamente parte dei combattimenti in atto durante la ritirata te-desca e l’avanzata alleata. Ancora una volta il fronte è considerato un soggetto dotato di un’esistenza autonoma e un soggetto, per di più, che colpisce notevolmente il ricordo e la fantasia degli intervi-stati. Degno di nota è anche il fatto che, a volte, gli intervistati (che possiedono una memoria cronologica assai precaria) utilizzino co-me coordinata temporale di riferico-mento non una data o un episo-dio della propria vita personale, ma una sorta di datazione relativa fondata su un “Ante Frontem” (“A.F.”) e un “Post Frontem” (“P.F.”), per coniare due neologismi.
“... avevamo fatto una tavolata quel giorno, con un’ami-ca mia... facciamo ’sti gnocchi... solo farina e sale. Dice ‘Senti
quant’è...’, era passato il fronte (P.F.), dice ‘Tanto bono ’sto sugo, sente ’sti gnocchi’...” (Velia Di Nardo, 12)
“Poi, dopo, quando siamo ritornati, dopo il passaggio del fron-te (P.F.), perché la guerra ha continuato e dopo, lo sfron-tesso, c’è stato sempre, però, il pensiero di procurare il mangiare e mi ricordo, appunto, che continuavo, come ho detto, con la bicicletta, anda-vo sempre... da questi contadini a comprare... quello, insomma, che potevo trovare.” (Irma Vignini, 5)
“Durante la guerra, magari, prima che arrivasse il fronte degli americani (A.F.), allora si vedevano questi tedeschi... però non c’era la paura, perché tanto si faceva da un contadino all’altro, capito? Se te non davi fastidio a nessuno, non ti dava fastidio nessuno” (Palmi-na Quercetti, 1)