Sono qui di seguito riportate le interviste che hanno costituito la base del presente lavoro
REALIZZATA IL 21-08-’98 NOME: EMILIA ROSSI
ETA’: 83 ANNI
PROFESSIONE: PENSIONATA RESIDENZA: CAMERANO (AN)
Domanda - Come si chiama?
Risposta - Rossi Emilia.
D - Quando è nata?
R - 11 aprile del ’15.
D - Dove?
R - A Camerano.
D - Che professione ha svolto nella sua vita?
R - La terza elementare e poi ho lavorato sempre in campagna.
D - Quando è scoppiata la guerra, dove si trovava?
R - Eh, è stato proprio il momento che mi sono sposata, il ’39, il ’39 mi sono sposata e il ’40 mio marito è partito per la guerra.
D - Dove abitavate?
R - Sempre in campagna, sempre in campagna. Avevamo il terreno picco-lo. Dopo siamo andati in un terreno più grande e allora ho lavorato sempre nel terreno.
D - E quando è partito suo marito, che cambiamenti nel lavoro ci sono stati?
R - Eh, a lavorare con l’aratro non ero abituata. Io prima facevo tutto…si falciava, si zappava, si vangava, si faceva tutto. Ma però le bestie, che ti alzavi al-la mattina presto alle 2,00-2,30, era sempre l’uomo che lo faceva e dopo, inve-ce toccava a me, perché c’avevo mia suoinve-cera e mia cognata, più ragazza di me e dopo io ero quella che era più…c’avevo avuto un aborto, quindi non c’avevo nemmeno i figli.
D - Da chi era formata la sua famiglia, al momento dello scoppio della guer-ra?R - Eravamo cinque persone: erano quattro loro, dopo c’ero io, eravamo in cinque. Ma il fratello suo (del marito, nda) stava a garzone, stava in un’altra fa-miglia a lavorare, ché non riuscivano a fare il terreno e allora quello portava a ca-sa magari un soldarello. Dopo mia cognata si è spoca-sata in tempo di guerra, nel
’42, si è sposata.
D - Avete ospitato delle persone sfollate dalla città?
R - Sì, sì, sì.
D - Si ricorda in che anno?
R - Nel ’43, a novembre.
D - Da dove venivano?
R - Sono venuti da Ancona. Lui si chiamava Remo…te guarda, non mi vie-ne il cognome…ce l’ho sulla lingua…che ci siamo voluti tanto bevie-ne…Remo C.!
Lui c’aveva la moglie, due figli e il padre.
D - Erano vostri coetanei?
R - Eh, marito e moglie sì, più o meno l’età nostra, un po’ più grandicelli, ma poco.
D - Come sono stati i vostri rapporti, vi siete trovati bene insieme?
R - Sì, tanto bene, tanto, tanto, ci siamo voluti tanto bene, che fino alla mor-te. Perfino, le dirò, gli ho telefonato una sera, dico “Voglio sapere come stanno.”
Dice “Emilia”, la moglie fa “Emilia, ma perché m’ha telefonato?”. Dico “Eh, co-sì, per sapere…”. Dice “Ma Remo è morto!”. Sono rimasta proprio di gelo, per-ché ci volevamo tanto bene.
D - Quanto tempo sono rimasti da voi?
R - Qua ci sono rimasti da novembre fino a agosto, ché dopo…I primi di agosto si è battuto, d’agosto perché non avevamo il posto dove mettere il grano.
D - Che attività svolgevano ad Ancona queste persone?
R - Loro facevano le scarpe, avevano un calzaturificio.
D - E da voi cosa facevano?
R - Qui non facevano niente.
D - Non vi davano una mano nel lavoro?
R - No, si mangiava insieme, abbiamo imparato a fare tante cose, ché qui in campagna non si sa fare tante cose, ma questa qui diceva “Mangiamo insieme, io metto…facciamo i cappelletti, facciamo i ravioli, facciamo la polenta…”.
D - Quindi davano una mano così…
R - No, no, in campagna no. Anzi, l’aiutavo io, le dico la verità, perché loro erano tanto buoni. Perché l’acqua si andava a prendere con la brocca, qua distan-te, l’acqua gliela portavamo. La mattina mio marito si alzava verso le 5,00, per la stalla, per governare le bestie; dopo, quando aveva fatto, andava su e gli accende-va la stufa. Perché, le dico la verità, ci voleaccende-vamo bene. In più, quando sono andati via, 5.000 lire c’avevano regalato, perché ci siamo voluti bene davvero.
D - Durante questa convivenza, avete imparato abitudini che non conosce-vate o, viceversa, loro hanno appreso qualcosa da voi?
R - Beh, loro forse da noialtri non l’hanno prese, perché non erano abituati a lavorare. Ma noialtri tante cose in cucina, l’ho imparate da lei.
D - Come considerò la guerra, quando scoppiò?
R - Beh, è stata un po’ dura, perché mio marito è andato via, dopo c’era mio cognato in casa; in più c’era una famiglia quaggiù, poveretta, è morta, quella po-vera donna e aveva lasciato due figlie che c’avevano una tre anni, una cinque e
allora mia suocera è stata sempre in quella famiglia laggiù e qui eravamo noi tre:
io, mia cognata e mio cognato. Quindi era dura per il lavoro e per tutto. Dopo io dovevo pensare sempre a cucinare.
D - Avete avuto delle privazioni riguardo al cibo?
R - Embè, non era facile, perché era tutto tesserato. Il sapone te ne davano un tantino, lo zucchero pure. Era tutto tesserato…dovevi andare avanti…Anche che dovevi fare un vestito, c’erano i punti, era un po’…
D - Voi lavoravate a mezzadria?
R - A mezzadria, sì, sì.
D - Rispetto a prima della guerra era diminuito il cibo?
R - Embè, il mangiare forse un po’ c’è mancato, perché dopo ha sposato mia cognata, nel ’42, abbiamo tenuto un ragazzetto. Mia suocera al padrone gli ha detto: “Lei se mi dà due quintali di grano, io glielo pago.” Ha detto “Se la sposa c’ha il bambino, dal bambino mangiate voialtri.” Non ce l’ha dato. Abbiamo do-vuto macinare col macinino del caffè, quello mangiavamo, mangiavamo semola e tutto. Certo che in tempo di guerra si è lottato…la fatica e tutto.
D - Quali sono i ricordi più forti di quel periodo?
R - I ricordi sono tanti, ma soprattutto dopo il novembre del ’42, anzi, otto-bre, mi sembra. Mio marito era venuto in licenza…come si chiamava? In licen-za agricola, per seminare. Invece non ha piovuto mai, non ha potuto seminare, è dovuto andare via, è andato in Russia. Diciassette giorni ha scritto sempre una cartolina, ogni giorno era in un posto e diceva “Il viaggio prosegue.” Diciassette giorni ha camminato sempre. Sa, si stava sempre in pensiero. Dopo è passato ’sto tempo e poi non abbiamo saputo più niente. Siamo stati 56 giorni senza sapere niente. E dopo è venuta una cartolina, che lui era in ospedale a Bologna e dice
“Mi vieni a trovare?”, m’ha detto. Io parto, vado da mio padre che stava a Can-dia, ci volevano due ore di strada e lui dice “Sì”, dice, “andiamo.” Dopo, invece, ha pensato che io gli avevo scritto, l’ultima lettera che gli avevo scritto: “Io c’ho un po’ di giorni di ritardo”, ma c’avevamo anche ’sto ragazzino, non volevo fare sapere a tutti, perché la lettera la leggevamo tutti insieme, non è che io le tene-vo nascoste. Allora lui ha riflettuto, dice, chissà in che condizioni è, dice, quassù nell’ospedale c’erano tutte le sorte…uno già ne avevo perso di bambino. Allora lui mi scrive subito, dice “Non ti stare a muovere”. Allora vado da babbo a dire che non ci vado più. Dopo mi ha scritto la crocerossina, dice “State tranquilli che è in buone mani, sta bene.”, lui era ferito in un piede. Dopo è stato…mica mi ricordo quanto è stato in ospedale. Dopo è venuto subito a casa, dopo, fini-ta la licenza, si è dovuto presenfini-tare un’altra volfini-ta, che era già settembre, si è pre-sentato in Ancona. C’aveva 39 di febbre, c’aveva un braccio così, è partito, non sapevamo dov’era. Scrivere, non ha scritto. Non veniva la posta, lui ha scritto, ma non arrivava la posta, noi non sapevamo dov’era. Dopo è venuto l’armistizio
e noi non sapevamo che fine aveva fatto. Invece dopo è venuto qui a casa perché lui era in Ancona, era stato sempre in Ancona! E dopo è venuto a casa e dopo non è andato via più. Dopo il ’43 lui è stato sempre a casa.
D - Dopo l’armistizio sono passati per la vostra casa soldati allo sbando che cercavano un aiuto?
R - No, no. Magari passavano, domandavano, volevano le galline, volevano le uova. Uno, un giorno, quello m’ha messo paura veramente, aveva un bastone, ha dato una bastonata sul murello delle scale, io ero su per le scale, sono fuggita.
D - Tedeschi, invece, ne sono passati?
R - Sì, però non c’ha fatto brutto a noi. Una mattina eravamo in cucina, c’era ancora mio cognato, facevamo colazione e io tagliavo il prosciutto, vedo alzare la tenda, c’era la tenda lì. Alza la tenda, una bomba a mano e una rivoltella. Io so-no rimasta…so-non mi è andato giù il coltello, soso-no rimasta sospesa così. Dopo ci guardano, dicono: “Uno, due e tre, venire con me!”. Uno era ’sto sfollato, che le mani si vedeva che non era un uomo che aveva lavorato; un altro era mio marito, che io mi sono messa a piangere come una matta, che dopo gli ho portato i do-cumenti che avevamo, che lui era stato ricoverato in ospedale; e poi mio cognato.
E ha portato via a mio cognato. L’ha portato quaggiù a fare le buche.
D - Morti ammazzati ne ha visti, durante la guerra?
R - No, no, quello io non ho visto niente.
D - Avete avuto un’attività politica durante la guerra, per esempio parteci-pando alla Resistenza?
R - No, no, niente.
D - Come ricevevate le notizie sullo svolgimento della guerra?
R - Notizie niente, perché non c’avevamo la radio, non avevamo niente. E quindi non sapevamo niente. Quando dopo passava…verso Marcelli, che bom-bardavano, ci passavano sopra gli aerei e sparavano qui sotto a Varano e allora a noi ci passavano sopra e qualcuna ne cascava, ma qui da noi non ci sono sta-ti danni.
D - Siete mai stati in un rifugio?
R - Sì, i rifugi li abbiamo fatti.
D - Dove?
R - Abbiamo fatto una buca, quassù dietro casa e stavamo lì.
D - Con chi vi ci nascondevate?
R - La famiglia nostra e quella di sfollati e poi altri. Eravamo 28 una sera che sono passati gli aerei. La gente era fuggita: chi da una parte, chi da un’altra, poi alla fine tutti qui. Dormivamo sulla capanna, avevamo messo un biroccio col ti-mone basso.
D - Più o meno quanto tempo rimanevate dentro al rifugio?
R - Finché sentivi i rumori. Perché una volta è passato l’apparecchio qui,
proprio qui sopra. Facevamo l’erba noi e è passato proprio basso, basso basso e ha sparato sulla strada che va a Portonovo, che c’era uno con un carretto con un cavallo.
D - Ritornando al matrimonio di sua cognata: mi può descrivere come si svolse?
R - È stato un matrimonio proprio semplice, perché ci siamo andate io, mia suocera, in paese, poi niente. Un pranzetto l’abbiamo fatto il giorno che aveva fatto la stima, quella volta si faceva la stima, quando si segnava tutto il corredo, allora era chiamata la stima, si faceva il pranzo. Quando si faceva il matrimonio, i parenti della sposa non c’era nessuno, perché usava così, era una roba proprio ridicola. Tutte le zie erano contente di vedere la nipote e invece la vedevi il gior-no della stima e basta.
D - Il suo matrimonio, invece, come si svolse?
R - Il mio è stato differente, perché ci siamo sposati io e mio fratello, aveva-mo due anni di differenza e allora quando ha sposato lui, ho stimato io e allora abbiamo fatto tutto un pranzo.
D - A suo avviso il matrimonio di sua cognata fu diverso perché si era in tem-po di guerra?
R - No, no, perché non potevi, non c’era niente, non c’erano i soldi per davvero.
D - Com’era la sua giornata tipo durante la guerra?
R - Noi stavamo in una casetta qui sopra. Invece qui a casa mia, prima, ci stava un altro contadino, che lui è stato via in guerra, ma nemmeno tanto. Allora lavoravamo insieme e lui, quando si alzava a dare da mangiare alle bestie veniva oltre con una canna, mi toccava nei vetri e allora io sentivo subito.
D - A che ora?
R - Le 2,00-2,30. Andavamo a lavorare, poi si staccavi verso le 9,00, dopo si andava a fare l’erba per le bestie…Poi verso mezzogiorno mangiavamo.
D - La signora sfollata le dava una mano, non so, in cucina?
R - No, no, loro facevano da mangiare per conto loro. Se un giorno voleva-mo mangiare insieme, ci mangiavavoleva-mo, però di solito mangiavavoleva-mo ognuno per conto suo.
D - Perché?
R - Perché loro erano più signori, le dico la verità. Noi si mangiava più alla meglio.
D - Loro come si procuravano il cibo?
R - Andavano al paese. C’era quel vecchietto che andava sempre in paese.
Ognuno mangiava le cose proprie. Se una volta si voleva mangiare insieme, ci mettevi qualcosa di noialtri. Loro avevano più esigenze: c’evavano i figlioli, uno 5 anni, uno 3 anni, sa, i figlioli hanno bisogno di essere aiutati. Ma pure loro se la passavano bene, avevano 30 operai, una belle azienda.
D - Dopo pranzo come proseguiva la giornata?
R - Noi al lavoro nostro. Poi, alla sera, cenavamo a seconda delle sere. Una sera si andava a finire verso le 21,30-22,00. Prima delle 22,30 non si andava a dormire mai.
D - Dopo cena andavate subito a dormire?
R - Sì, perché eravamo troppo stanchi.
D - Anche le persone che ospitavate?
R - Sì, non stavano in compagnia con nessuno, perché ognuno era per i fatti suoi. Perché gli sfollati ce li avevano quasi tutte le famiglie, pur che c’avevano un tantino di posto, però ce n’erano pochi, pochi pochi che andavano d’accordo, le dico la verità, ce n’erano pochi che andavano d’accordo.
D - Come venivano visti gli sfollati da voi di campagna?
R - Ma, per dire, una famiglia quassù ha detto “C’ho mia cognata che cerca una casa, c’è posto?”. Noi veramente c’avevamo soltanto una camera, la cucina e un magazzino tutto lungo. Tanto eri costretto a tenerla ’sta gente, ti venivano i carabinieri a vedere se c’avevi posto. Allora gli abbiamo detto che però quando si raccoglieva il grano, dopo a noi ci serviva il magazzino e poi c’avevamo anche un po’ di roba nostra dentro a ’sto magazzino. Ma eri costretto, perché la gente fuggiva. Per esempio qui a Passo Varano era stato brutto, quella volta che c’era scoppiata la bomba sotto la galleria, c’era un treno. Qui ha fatto tremare tutta la casa, io avevo fatto la sfoglia, ma l’ha riempita di polvere. E comunque loro, do-po, quando era ora di mettere il grano, sono andati via. Ma siamo andati sempre d’accordo, sempre.
D - Queste persone cosa facevano durante la giornata?
R - Loro? Lei si arrangiava da sarta e allora faceva qualcosina per i figlioli, i vestiti li faceva lei. Faceva da mangiare e così. Per andare a comprare da mangiare c’era sempre quel vecchietto. Tante volte diceva: “Ma dimmele tutte, le cose che ti servono!”, gli faceva fare due viaggi, perché andare a Varano ci voleva mezz’o-ra e poretto, mezz’omezz’o-ra d’in su, mezz’omezz’o-ra d’in giù, avrà avuto una settantina d’an-ni, poretto.
D - Quindi, in sostanza, la vostra esperienza è stata positiva. Ma sentivate di persone che criticavano gli sfollati?
R - Eh, sì, chi diceva che gli mancavano le uova, chi gli mancava questo, chi quell’altro. Io, se era vero, se non era vero, non lo so. Io le posso dire che c’era quella famiglia che stava qui…e mi dicevano “Ma te sei stupida, gli lavi anche i piatti?”. Io, veramente…ci volevamo bene.
D - La sua giornata tipo prima della guerra, invece, come si svolgeva?
R - Io, veramente, quando stavo a casa mia, c’era mio padre, mio fratello, ci alzavamo quand’è che cominciava a fare giorno, non ci alzavamo prima, perché la stalla c’erano gli uomini che la guardavano. E dopo si prendeva e si andava a
fare il campo, quand’è che si faceva giorno e si andava a fare il campo. E dopo, invece, non c’erano gli uomini e la donna la forza di un uomo non ce l’ha. Quan-do si lavorava, con l’aratro, quanQuan-do si mieteva, si portava a casa il grano, tutte ’ste cose, che si adoperavano i birocci e allora carica i birocci…
D - Aiuti economici o d’altro tipo ne avete ricevuti?
R - E cosa ci davano? Mi pare che ci davano…ci davano qualcosa. Quella fa-rina che c’era mischiati i fagioli, tutta macinata, che si mangiava con la minestra.
Ma non è che ci davano, era tesserata la roba. Ti davano qualcosina così, ma non è che…Non mangiavamo con quello che ci davano!
D - Avevate degli espedienti per trarre il più possibile da ciò che avevate?
R - Più di tutti ci è mancata la farina, perché chi c’aveva un uomo, partiva di notte e l’andava a macinare nel mulino, chi la macinava. Ma di trafugo, perché non si poteva: lì c’avevi due quintali di grano a testa e dovevi andare avanti con quelli. Noi invece non ci potevamo andare, perché una donna poteva partire da qui di notte e andare…? E poi era pesante sulle spalle. E allora macinavamo col macinino da caffè. E allora si mangiava più male, perché si mangiava semola e…
fior di farina, sarebbe il pane, no? E invece quello andava tutto insieme.
D - Altre privazioni, oltre al grano?
R - Eh, il caffè, il latte, ’ste robe qui non si usavano già da prima.
D - Che tipo di alimentazione avevate?
R - Al giorno si mangiava sempre la minestra o la pasta e questa è una cosa che si è fatta sempre, prima e durante la guerra. Dopo si mangiavano le patate…
roba che ci stava in campagna, non è che si comprava, quello che c’avevamo si mangiava. Le patate non ci sono mancate mai, le piantavamo. Quindi la diffe-renza, a parte la farina, non è stata tanta.
D - Per quel che riguarda il vestiario o la cura del corpo?
R - No, no, per dire, il trucco non si usava: a casa mia otto persone, c’aveva-mo tre ettari di terra, quindi…Si facevano due vestitini all’anno: uno a Pasqua e ti durava fino a ottobre; uno a ottobre e ti durava fino a Pasqua. E durante la guerra, dopo, non si sono fatti più. Io posso dire che quando mi sono sposata, tutti sapevano, i parenti, che non c’avevo i vestiti, m’hanno regalato 12 vestiti.
D - Mi ha detto che le persone che avete ospitato erano agiate. La signora cu-rava la propria persona, cambiava molti abiti?
R - No, era una donna un po’ semplice. Sì, c’aveva la pelliccia, quando è ve-nuta c’aveva la pelliccia, quella me la ricordo. Ma dopo non è mai uscita di casa, perché non uscivano mai.
D - Come vi eravate sistemati in casa, quando sono arrivate queste persone?
R - Io e mio marito nella camera nostra; mia suocera c’aveva la camera sua.
Il magazzino restava tutto di sopra, tutto lungo. Hanno messo i letti tutti in fila e si sono messi tutti lì.
D - Quindi avevate esistenze abbastanza separate…
R - Sì, sì, loro in un posto, in una stanza. Mangiavano anche a parte, c’ave-vano la stufa lì dentro, c’ha messo l’armadio, l’armadio gli faceva da credenza, da tutto. Quindi noi possiamo dire che ci siamo trovati tanto bene con questa famiglia.
D - Comunque, con loro avevate conversazioni, contatti?
R - Sì, sì, erano tanto affabili, da quel punto lì per davvero.
INTERVISTA N° 4
(ALL’INTERVISTA HA ASSISTITO ANCHE IL MARITO DELLA SIGNO-RA, DINO AMBROSINI DELL’INTERVISTA N° 9, CHE È INTERVENU-TO SU ALCUNE QUESTIONI. I SUOI INTERVENTI SONO INTRO-DOTTI DALLA SIGLA “RM”)
D - Che professione ha svolto principalmente nella sua vita?
R - Casalinga.
D - Dove si trovava quando è scoppiata la guerra?
R - Ancona e poi siamo andati sfollati a S.Paterniano di Osimo.
D - Quando è scoppiata la guerra che attività svolgeva?
R - Niente, ero ragazza....
D - Andava a scuola?
R - No, niente, avevo 16 anni, neanche, 15.
Risposta marito - Ce ne avevi 12, perché nel ‘40 è scoppiata la guerra.
R - Beh, ma quando sono andata sfollata...
D - Quindi non andava a scuola?
R - No, ho finito la quinta.
D - E non faceva niente?
R - Niente, niente, stavo in casa.
D - Come era composta la sua famiglia?
R - Eravamo io...insomma i miei genitori e cinque figli.
RM - E tua zia.
R - Beh, sì.
D - Abitava con lei sua zia?
R - Sì.