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Mutazioni a carico di ESR

ADGVR1 AFTPH ANKRD26 BCR BMP2 CRIM1 CYP2C9 LRP1 PRSS36 RFX7 SPTBN1 USP

I 1 WT WT WT WT WT WT WT WT WT WT WT WT

II 1 HET HET HET HET HET HET HET HET HET WT HET HET

II 3 HET HET HET HET HET HET HET HET HET WT HET HET

II 5 WT WT WT WT WT WT WT WT WT WT WT WT

Tabella 11. Sintesi della distribuzione delle mutazioni nei familiari, a cui è stato fatto WES, mediante tecnica Sanger. Si indica con WT (Wild type) l’assenza della mutazione e con HET (Heterozygous) la presenza della mutazione in eterozigosi. Si osservi come il gene RFX7 sia wild type nei soggetti affetti, anziché mutato

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Figura 12. Genomic Landscape che sintetizza la distribuzione delle mutazioni nei familiari non affetti, mediante tecnica Sanger. Si indica l’assenza della mutazione con il colore grigio e la presenza della mutazione in eterozigosi con un colore diverso per ogni gene

Le mutazioni dei geni AFTPH, BMP2, SPTBN1 e USP34 sono ampiamente distribuite nella famiglia in esame, come si evince dalla figura 12 e dagli alberi genealogici presenti nelle figure 13, 14, 15 e 16, rispettivamente. Sulla base di questo, anche se si tiene conto del fatto che alcuni componenti della famiglia siano ben al di sotto dell’età mediana di insorgenza del MTC, come ad esempio il familiare III3 che ha da poco raggiunto la maggior età, è poco realistico che siano geni driver per la predisposizione allo sviluppo del MTC.

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Figura 13. Albero genealogico che illustra la distribuzione della mutazione in oggetto di AFTPH nel resto dei familiari studiati mediante tecnica Sanger

Figura 14 Albero genealogico che illustra la distribuzione della mutazione in oggetto di BCR nel resto dei familiari studiati mediante tecnica Sanger

Figura 15. Albero genealogico che illustra la distribuzione della mutazione in oggetto di SPTBN1 nel resto dei familiari studiati mediante tecnica Sanger

Figura 16. Albero genealogico che illustra la distribuzione della mutazione in oggetto di USP34 nel resto dei familiari studiati mediante tecnica Sanger

Diversamente dai precedenti, il gene ADGRV1 (Adhesion G protein-Coupled Receptor V1) è presente in solo tre membri della famiglia, come si può osservare nella figura 12 e

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nell’albero genealogico della figura 17, i quali attualmente non hanno sviluppato MTC (tabella 6).

Figura 17. Albero genealogico che illustra la distribuzione della mutazione in oggetto di ADGRV1 nel resto dei familiari studiati mediante tecnica Sanger

Presentando una distribuzione nella famiglia relativamente interessante, si ritiene necessario approfondire il suo ruolo biologico, illustrato nella figura 18, dove si trova il suo gene network. Il gene network evidenzia come sia correlato funzionalmente con proteine quali USH1C, USH1G, CDH23, DFNB31 e PCDH15, di grande importanza funzionale all’interno della coclea.

Il gene ADGRV1 è stato infatti correlato con Usher Syndrome, malattia caratterizzata da sordità neurosensoriale, retinite pigmentosa e progressiva perdita visiva59, e anche a

Familial Febrile Seizures, malattia

caratterizzata da convulsioni che avvengono tra 6 mesi e 6 anni accompagnate da febbre, in assenza di altra causa60. Per quanto sia un gene studiato in quanto è stato correlato a

queste due malattie, la letteratura non evidenzia nessuna sua correlazione con MTC o con un'altra forma di tumore solido ed allo stesso modo non è stata descritta nessuna associazione tra MTC e Usher Syndrome e Familial Febrile Seizures.

La mutazione a carico di ANKRD26 (Ankyrin Repeat Domain 26) è stata osservata in una figlia di uno dei due affetti ed in altri 2 membri della famiglia, tutti apparentemente liberi da malattia, come si può osservare dalla figura 19. Questo gene ha una funzione ignota57 ed

è stato correlato con una forma di trombocitopenia familiare ed un’aumentata predisposizione a tumori mieloidi61.

Figura 18. Gene network della proteina ADGRV1, indicata come GPR98. Da notare come molte delle proteine a cui è correlato funzionalmente siano essenziali per la coclea

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Figura 19. Albero genealogico che illustra la distribuzione della mutazione in oggetto di ANKRD26 nel resto dei familiari studiati mediante tecnica Sanger

La mutazione a carico del gene BMP2 (Bone Morphogenic Protein 2) è presente in solo due membri della famiglia: in una figlia di uno dei due affetti e un cugino degli affetti, come si può osservare dalla figura 20. Al momento attuale nessuno dei due ha sviluppato MTC.

Figura 20. Albero genealogico che illustra la distribuzione della mutazione in oggetto di BMP2, CRIM1 e SPTBN1 nel resto dei familiari studiati mediante tecnica Sanger. Da notare come III3 condivida tutte e tre le mutazioni con i casi di MTC

Come si può osservare dal suo gene network (figura 5), la via intracellulare di trasduzione del segnale, che si attiva a seguito del suo legame con il suo recettore, induce l’attivazione della via delle SMAD e coinvolge anche TGFbeta e il suo recettore. Ricordando che la non-canonical pathway del TGF beta induce l’attivazione di ERK pathway62, la funzione biologica di BMP2 è di estremo interesse. In questo caso abbiamo

reputato che potesse essere interessante valutare una possibile influenza di più geni che regolano la via del BMP2-TGFbeta, tutti appartenenti all’ipotesi AD. Di conseguenza si analizza la distribuzione all’interno della famiglia anche della mutazione del gene CRIM1 (Cysteine Rich Transmembrane BMP Regulator 1), gene descritto come regolatore dell’adesione e della migrazione delle cellule del tumore del polmone ed antagonista della secrezione di BMP2. A questi due come già detto nel paragrafo precedente, dal punto di vista funzionale si può aggiungere anche SPTBN1 (Spectrin Beta, Non-Erythrocytic 1), in quanto regolatore dell’interazione tra il recettore del TGFbeta e SMAD3 e correlato alla neurofibromatosi di tipo 2 (disordine con maggior predisposizione allo sviluppo di forme tumorali caratterizzato da multipli schwannomi e meningiomi59). Come si può osservare

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dall’albero genealogico di figura 20, che descrive la distribuzione nella famiglia della mutazione di BMP2, di CRIM1 e di SPTBN1, solo una componente condivide lo questo assetto mutazionale con i casi di MTC: la figlia di uno dei due affetti di MTC, III3. È doveroso sottolineare come CRIM1 e SPTBN1 siano entrambi appartenenti al cromosoma 2, diversamente dal gene BMP2 che invece appartiene al cromosoma 20, come può essere osservato nel grafico della figura 21.

Figura 21. Grafico a barre che illustra il numero di geni mutati per cromosoma. Da notare come CRIM1 e SPTBN1 appartengano entrambi al cromosoma 2 mentre BMP2 appartenga al cromosoma 20

Sulla base di questo, i geni CRIM1 e SPTBN1 sono stati cotrasmessi dal padre alla figlia in quanto appartenenti allo stesso cromosoma. Attualmente questo membro della famiglia non presenta MTC, né ha noduli sospetti all’ecografia né ha calcitonina basale e sotto stimolo elevate, ma bisogna anche ricordare che attualmente ha l’età di 19 anni. Tenendo conto dell’età mediana di insorgenza del MTC, non è possibile al momento escludere che nel futuro possa sviluppare questo tumore, andando a confermare il nostro interesse verso questo insieme di mutazioni.

Un altro gene, la cui mutazione è stata controllata anche negli altri componenti della famiglia, è CYP2C9 (Cytochrome P450 Family 2 Subfamily C Member 9). Questa mutazione, come è possibile vedere nella figura 22, è presente solo in uno dei membri

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della famiglia, un cugino degli affetti (II9), che attualmente, a nostra conoscenza, non ha sviluppato MTC.

Figura 22. Albero genealogico che illustra la distribuzione della mutazione in oggetto di CYP2C9 nel resto dei familiari studiati mediante tecnica Sanger. Da notare come solo II9 presenti la stessa mutazione dei casi di MTC

Per quanto CYP2C9, come si può osservare dalla figura 23, sia regolatore di PPIG (Peptidylprolyl Isomerase G), proteina catalizzatrice il folding delle proteine e potenziale regolatore dello splicing del pre- mRNA57, non si può non sottolineare che la

sua funzione maggiormente descritta in letteratura sia metabolica57 ed è per questo

inverosimile che sia un forte gene driver per la predisposizione allo sviluppo di MTC. Tenendo conto che le mutazioni di geni dello stesso cromosoma sono fisicamente state trasmesse dal familiare I2 ai due figli II1 e II3 sullo stesso cromosoma, gli altri geni mutati dell’ipotesi AD appartenenti allo stesso

cromosoma di CYP2C9 (cromosoma 10), possono avere una distribuzione nella famiglia interessante quanto CYP2C9 ma avere una funzione biologica, che meglio si correli con la patogenesi di MTC. La tabella 12 riassume i geni appartenenti al cromosoma 10, evidenziandone la funzione biologica. Si osserva che anche ANKRD26 appartiene allo stesso cromosoma.

Figura 23. Gene network della proteina CYP2C9. Da notare l’interazione con PPIG (Peptidylprolyl Isomerase G)

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Nome del gene mutato

Macroarea della funzione biologica57

Funzione biologica57

ANKRD26 Miscellanea Ignota

CYP2C9 Metabolismo Cytochrome P450 superfamily

KIAA1217 Miscellanea Funzioni cognitive

PDCD11 Miscellanea Sintesi e maturazione rRNA

PLCE1 Signaling intracellulare Sopravvivenza e crescita cellulare

VWA2 Miscellanea Famiglia del fattore A di Von Willebrand Factor

WDFY4 Miscellanea Autofagia (probabilmente)

ZFAND4 Zinc finger protein Zinc finger protein

Tabella 12. La tabella riassume le funzioni biologiche dei geni mutati dell’ipotesi AD, appartenenti al cromosoma 10.Si osservi come PLCE1 sia correlato al signaling intracellulare, sopravvivenza e crescita cellulare

Sulla base di questo elemento la mutazione a carico di PLCE1 suscita un forte interesse ed assume elevata priorità nella sua ricerca negli altri appartenenti alla famiglia. Ovviamente si può anche aggiungere che tenendo conto della ricombinazione genetica che avviene nella meiosi I, alcuni di questi geni potrebbero non essere presenti in nessun membro della famiglia o al contrario essere maggiormente presenti in confronto a CYP2C9 e ANKRD26.

La mutazione a carico di LRP1 è molto interessante, in quanto questo gene è stato riscontrato mutato in un altro caso di MTC da Agrawal et al35. Essa è stata riscontrata in 5

membri attualmente non affetti dalla malattia, di cui 4 sono i figli degli affetti, come si può vedere dalla figura 24.

Figura 24. Albero genealogico che illustra la distribuzione della mutazione in oggetto di LRP1 nel resto dei familiari studiati mediante tecnica Sanger

48 Anche dal punto di vista funzionale, come si può vedere nella figura 25, attira grande interesse, a causa della sua interazione con PDGF (Platelet Derived Growth Factor) e PDGFR (Platelet Derived Growth Factor Receptor), attori essenziali dell’angiogenesi tumorale32.

Infine, le ultime due mutazioni, che abbiamo ricercato negli altri membri non affetti della famiglia, sono quelle a carico di PRSS36. Questo gene infatti presentava due mutazioni germinali nei due pazienti affetti, come si può vedere dalla tabella 5 e dalla figura 6. Queste due varianti sono state riscontrate anche in 5

dei membri della famiglia, attualmente liberi dalla malattia, come si può notare dalla figura 26. Dalla stessa figura si osserva che queste due mutazioni hanno sempre segregato insieme.

Figura 26. Albero genealogico che illustra la distribuazione delle due mutazioni a carico di PRSS36 in oggetto nel resto dei familiari studiati mediante tecnica Sanger

Dal punto di vista funzionale PRSS36 è una proteasi57

ed interagisce funzionalmente con alcune Zinc Finger Protein, come ad esempio ZFN 768, come si può osservare dalla figura 27.

Figura 25. Gene network di LRP1. Da notare l'interazione con PDGF e PDGFR

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In conclusione, non è stato individuato nessun gene la cui mutazione sia presente esclusivamente nei casi tumori midollare della tiroide ma la mutazione di un gene (CYP2C9) è a carico di un solo membro della famiglia (II9) e le mutazioni del complesso di geni BMP2-CRIM1-SPTBN1 sonoa carico di solo un membro della famiglia (III3).

50 Discussione

Il tumore midollare della tiroide è un tumore raro che, nonostante ciò, sta attraendo notevole interesse clinico. Infatti, la sua incidenza, seppur in maniera inferiore rispetto al tumore papillare della tiroide, è in costante aumento63, con rilevante impatto a livello

dell’aspettativa di vita64 e qualità di vita65,66 del paziente oncologico affetto da questa

malattia e con rilevante impatto a livello sociale67. Diversamente dal PTC, l’MTC presenta

un’elevata mortalità a 10 anni13, la quale non è diminuita14.15 negli ultimi anni a fronte di

notevoli miglioramenti diagnostici e terapeutici9. La necessità di individuare nuove

strategie diagnostiche e terapeutiche ha spinto sempre più la comunità scientifica a studiare la patogenesi di questo tumore. Nello specifico lo studio della genetica del tumore midollare della tiroide, per quanto ampiamente studiato da molti autori, non ha chiarito alcuni punti essenziali dell’oncogenesi di questo tumore. Infatti, il gene driver del MTC maggiormente studiato è il gene RET, che esprime una proteina recettoriale 1 TMS (transmembrane segment), la quale mediante l’intervento di corecettori lega dei ligandi della famiglia di GDNF. A seguito di questo legame, avvengono la dimerizzazione del recettore, l’auto/transfosforilazione della parte intracellulare e l’attivazione di una serie di vie del segnale intracellulari (MAPK, PI3K e la proteina chinasi B)20, pathways cardine per

una cellula tumorale32. Per quanto siano molti gli studi circa il ruolo di RET nella

trasformazione della cellula parafollicolare, non è possibile affermare con certezza se RET agisca autonomamente come iniziatore dell’oncogenesi nei casi di MTC sporadici o induttore della crescita cellulare, dopo attivazione tardiva9. Le mutazioni a carico del gene

RET sono presenti in circa il 98% delle forme familiari di MTC e nel 41% delle forme sporadiche. Nella parte restante delle forme sporadiche una percentuale variabile tra lo 0 e il 43.3% dei casi presenta una mutazione di un gene della famiglia RAS20. Essa è

costituita da 3 geni principali, HRAS, KRAS e NRAS, che esprimono 4 proteine di ~21 KDa differenti ma omologhe: HRAS, KRAS4A, KRAS4B (sono varianti di splicing di KRAS) e NRAS. Queste proteine G solubili si comportano come trasduttori del segnale dai recettori posti sulla membrana cellulare verso gli effettori delle vie del segnale intracellulare. Come ret, le proteine della famiglia ras regolano importanti “hallmarks” per una cellula neoplastica32 come la proliferazione cellulare, la motilità, l’apoptosi, il

metabolismo cellulare, la neoangiogenesi e la risposta immune31. Come RET, sono molti

gli studi che hanno studiato le mutazioni a carico dei geni della famiglia RAS ed una recente metaanalisi stima del 17.6% i casi sporadici RET negativi RAS positivi33. Lo

stesso studio descrive come HRAS sia il gene maggiormente mutato (8.1% dei casi RET negativi), seguito da KRAS (6.5% dei casi RET negativi) mentre le mutazioni di NRAS

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(0.5% dei casi RET negativi) sono state osservate in pazienti portatori anche di tumore papillare della tiroide, in cui la mutazione di NRAS è la mutazione della famiglia RAS più frequente (4.2% dei casi)29. In MTC le mutazioni a carico di RET e RAS vengono

considerate mutualmente esclusive29 e nei casi RET e RAS negativi sono poche le

mutazioni che finora sono state descritte. Nello specifico sono state descritte due mutazioni a carico di ESR2 in alcuni casi familiari ed in alcuni casi sporadici. Gli altri geni finora studiati (CDKN2C, CDKN1B, VHL, c-myc, N-myc, c-erbB, EGFR, JAK2, AKT, PI3K, PIK3CA, BRAF e TERT55) sono risultati mutati solo in pochi casi indice e nessuno di

questi è risultato mutato in una frequenza paragonabile a RET o RAS in MTC. Si può concludere che o debba essere ancora scoperto un nuovo gene driver, definibile “mountain”56, che risulti mutato in una gran parte dei tumori RET e RAS negativi, o che

questo non esista e che ciascuno di questi casi RET e RAS negativi presenti una mutazione poco più che privata, la cui frequenza globale sia molto bassa. Potremmo definire questo secondo tipo di geni come gene-“hill”56. Lo scopo di questo studio è quindi

di andare a rispondere alla domanda se sia presente un altro gene “mountain” nell’oncogenesi del tumore midollare della tiroide. Per rispondere a questo quesito, abbiamo deciso di effettuare uno studio genetico approfondito a carico di casi familiari, per poter ampliare nuove prospettive anche nei casi sporadici. Nello specifico, abbiamo concentrato la nostra attenzione su una famiglia presentante due casi di MTC in due fratelli. Allo stato attuale, in nostra conoscenza, non sono presenti altri casi di MTC nella famiglia in oggetto dello studio, per quanto non sia possibile affermare ovviamente che in special modo i membri più giovani non possano sviluppare in futuro questo tumore. Per quanto non sia possibile definire in modo rigoroso questi due casi di MTC all’interno di un quadro familiare, in quanto la definizione prevede almeno quattro casi di MTC in assenza di manifestazioni MEN29, è doveroso rimarcare la peculiarità della presenza di due casi di

un tumore estremamente raro all’interno della stessa famiglia. Sulla base di questa peculiarità, abbiamo considerato questi due casi all’interno di una forma familiare e abbiamo sospettato la presenza di uno o più fattori presenti in entrambi i pazienti che possano aver indotto una predisposizione allo sviluppo del tumore o averne causato in maniera più diretta lo sviluppo. In prima istanza, ipotizziamo che si tratti di una predisposizione genetica e, in questo caso, si può dedurre che il gene driver sia mutato esclusivamente nei pazienti con MTC e non sia stato trasmesso neanche ai figli. Una possibile alternativa è che sia stato trasmesso anche a questi ma che, tenendo conto dell’età di questi inferiore all’età di insorgenza del tumore nei due pazienti, non abbiano ancora sviluppato un MTC diagnosticabile. Un’altra possibilità è che non sia presente un gene driver ad alta capacità trasformante ma che nei due pazienti con MTC sia presente un complesso di geni a bassa capacità trasformante che, a seguito di fenomeni additivi

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e/o sinergici, abbiano indotto l’oncogenesi. Inoltre, non è possibile escludere che l’agente trasformante sia un fattore ambientale sconosciuto, per quanto l’anamnesi familiare e patologica non facciano dedurre questo. La sorella II5, che ha condiviso lo stesso ambiente familiare, non ha attualmente sviluppato il tumore e i due fratelli affetti non condividevano lo stesso ambiente lavorativo ed avevano, al momento della diagnosi, un’anamnesi patologica negativa. Se risulta poco probabile un’oncogenesi esclusivamente a seguito di un fattore ambientale, non è possibile escludere una predisposizione multifattoriale data sia da fattori genetici che da fattori ambientali. Non possiamo non rimarcare che, tenendo conto della conoscenza tutt’altro che completa della patogenesi del MTC, la presenza di un fattore ambientale predisponente allo sviluppo del tumore midollare della tiroide possa essere una delle spiegazioni per l’aumentata incidenza del tumore, descritta precedentemente. Pur considerando tutte le ipotesi suddette, abbiamo deciso di concentrarci sulla ricerca di un gene driver ad alta capacità trasformante presente esclusivamente negli affetti.

I due pazienti hanno avuto un comportamento clinico ben diverso tra loro, in quanto II1 ha avuto un tumore ad alta aggressività mentre l’altro è stato dichiarato guarito a seguito dell’intervento chirurgico. Infatti, se II1 ad un anno dall’intervento chirurgico presentava multiple linfoadenopatie cervicali compatibili con metastasi, II3 era già dichiarato in remissione clinica di malattia a sei mesi all’intervento. Di grande interesse è che il tumore a minor aggressività clinica presenti la mutazione somatica di RET918, che è stata correlata ad alta aggressività9. La deduzione più interessante di questo aspetto è che il

fattore genetico comune causante i due casi di MTC possa aver antagonizzato la classica aggressività dei tumori con mutazione RET918. Questa considerazione a sua volta porta un’altra deduzione. A seguito del concetto sovraesposto, è possibile indirizzare lo studio verso geni mutati correlati a pathways intracellulari, inducenti l’oncogenesi tumorale, ma che funzionalmente possano antagonizzare le pathways attivate da ret. Considerando però l’attività pleiotropica di ret20, sarebbe estremamente peculiare una pathway capace di

indurre l’oncogenesi ma inibente l’attività di ret.

Una volta esclusa anche la mutazione germinale di ESR2, abbiamo deciso di utilizzare una tecnica di sequenziamento di II generazione (Illumina System) per effettuare un Whole Exome Sequencing invece di un sequenziamento di tutto il genoma. Al di fine aumentare la specificità e il valore predittivo positivo dell’analisi, abbiamo deciso di utilizzare due controlli negativi, ovvero due parenti che al momento attuale non hanno sviluppato il tumore, I1 e II5. Quindi, la scelta cade su due familiari di primo grado dei parenti affetti, con i quali i pazienti condividono ~50% del genoma. Ovviamente anche i figli condividono ~50% del genoma con gli affetti ma non sono stati utilizzati al posto dei

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suddetti controlli negativi, perché, essendo in giovane età, non è lecito escludere che non svilupperanno malattia; di conseguenza non è possibile determinare se i figli possano essere dei reali controlli negativi.

Mediante la tecnica di sequenziamento Illumina System, sono state individuate 27016

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