• Non ci sono risultati.

Il Disturbo da Uso di Sostanze (DUS) è ampiamente diffuso nella popolazione generale e si stima che il 27% della popolazione adulta ne sia affetto (Kandel et al., 1997). Di questi, il 15-25% mostra sintomi di ADHD (Wilens, 2004); ben tre volte superiore di quanto il disturbo non si riscontri nella popolazione generale. Analogamente, l'ADHD sembra rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di DUS. Infatti il tasso di pazienti con DUS in individui adulti con ADHD è superiore al 40%, sostanzialmente il triplo rispetto al tasso di prevalenza di DUS nella popolazione generale, stimato intorno al 14,6% (Kessler, Adler et al. 2006).

Dal confronto di 120 adulti con ADHD con 268 adulti senza ADHD, con un’età media di 40 anni, è emerso che la prevalenza life-time di DUS era del 52% nei pazienti con ADHD e del 27% in quelli senza (Biederman et al., 1995). Studi ulteriori hanno indicato che adulti con ADHD in comorbidità con BD o Disturbo della Condotta hanno un rischio maggiore di andare incontro a un DUS. (Wilens et al., 1998)

In definitiva, la letteratura è concorde nell’affermare che esiste un legame reciproco tra DUS e ADHD e che i pazienti che presentano entrambe le

condizioni sono gravati da un outcome peggiore. Arias e colleghi hanno osservato su un campione di 1761 soggetti adulti con diagnosi di dipendenza da cocaina e/o oppioidi, che nei soggetti affetti da ADHD si possono riscontrare un maggior numero di comorbidità con altri disturbi psichiatrici e un peggior decorso di malattia identificato da un numero più elevato di ricoveri, tentativi di suicidio e atti di autolesionismo (Arias et al., 2008). In questa casistica il BD tipo I si associava all’ADHD nel18.5% dei casi. In questa stessa ricerca si dimostra come l’ADHD influenza il quadro clinico del DUS determinandone un esordio più precoce (11.4 anni vs 13.2 anni) e la dipendenza da un maggior numero di sostanze (3.5 vs 2.9).

In generale il DUS è più grave nei pazienti con ADHD. Carrol e Rounsaville hanno confrontato soggetti con abuso di cocaina e ADHD con soggetti con abuso di cocaina senza il disturbo. I primi risultavano essere più giovani al momento dell’osservazione e del trattamento, avevano un esordio più precoce e più spesso andavano incontro a assunzioni più frequenti ed ingenti della sostanza (Carroll e Rounsaville, 1993). Similmente Schubiner et al. (2000) hanno riportato un maggior numero di incidenti stradali e un trattamento più precoce per DUS in adulti con ADHD rispetto ai soggetti senza ADHD.

Nel tentativo di spiegare il legame fra questi due disturbi bisogna tener conto del fatto che, secondo una prospettiva evolutiva, l’ADHD si manifesta prima del DUS; risulta pertanto improbabile che un DUS possa costituire un fattore di rischio per l’ADHD. Non è però ancora chiaro in che misura l’ADHD possa essere considerato precursore di un DUS. Katusic e colleghi (2003) in un ampio studio caso-controllo, hanno seguito dall’età di 5 anni fino all’adolescenza 363 giovani con ADHD paragonati e appaiati con 726 controlli. I risultati ottenuti hanno dimostrato che la presenza di ADHD era associata ad un aumento di 3 volte del rischio di DUS con un esordio più precoce di tale disturbo. Da uno studio longitudinale di Molina e Pelham (2003), su 142 adolescenti confrontati con 100 controlli emerge che la gravità dei sintomi inattentivi dell’ADHD sarebbe associata con l’aumento del rischio di DUS. Il dato risulta significativo se si considera la frequente persistenza dei sintomi inattentivi nell’età giovane- adulta e il maggiore rischio per lo sviluppo di DUS in tale età.

La presenza dell’ADHD sembra influenzare anche la progressione del DUS. L’ADHD e le comorbidità ad esso correlate accelerano il passaggio dall’uso di droghe “leggere” e alcol, alla dipendenza dalle droghe “pesanti”. Infine la presenza di ADHD sembra compromettere la prognosi del DUS. Wilens e coll. hanno confrontato 130 adulti con ADHD e DUS con 71 soggetti adulti con DUS

senza ADHD. Il tasso di remissione e la durata del DUS differivano significativamente nei due gruppi: il DUS aveva una durata media di 3 anni superiore, ed il tempo necessario per ottenere la remissione del DUS risultava maggiore del doppio nei soggetti con ADHD (Wilens, Biederman et al. 1998). Nel valutare l’associazione tra ADHD e DUS, risultano interessanti gli studi familiari che depongono a favore di una matrice genetica comune tra i due disturbi. Già da tempo è stato osservata un’aggregazione familiare fra ADHD nel bambino e DUS nei parenti di primo e secondo grado (Cantwell, 1972). Da studi controllati risulta che i figli di soggetti con DUS presenterebbero elevati tassi di ADHD e tratti cognitivi e comportamentali compatibili con il disturbo, inclusi la bassa capacità attentiva, l’impulsività, l’aggressività e l’iperattività (Stanger et al., 1999).

Dai dati disponibili, i meccanismi mediante i quali la presenza di ADHD favorirebbe lo sviluppo di DUS sono sicuramente molteplici e molto rimane da comprendere. Arias et al. ipotizzano che l’ADHD potrebbe essere associato a un’espressione fenotipica più severa del DUS a causa della presenza di livelli più elevati di impulsività e novelty-seeking negli individui affetti rispetto a quelli non affetti (Arias et al., 2008). Esistono alcune ricerche che individuano come possibile spiegazione del DUS l’automedicazione di sintomi depressivi, ansiosi e

aggressivi. Uno studio recente di Wilens e colleghi ha preso in considerazione una popolazione di soggetti con ADHD, sia adolescenti sia adulti, confrontandoli con dei controlli, per comprendere le motivazioni all’uso delle droghe. L’automedicazione svolge un ruolo di primo piano. La maggioranza dei soggetti utilizzava la sostanza con il proposito di controllare il proprio umore, di dormire, o senza una ragione precisa. Non sono state rilevate tuttavia differenze tra soggetti con ADHD e controlli, né sono state trovate differenze nella scelta di una specifica droga (Wilens et al., 2008).

TRATTAMENTO

La terapia dell'ADHD è multimodale, e si avvale di approcci farmacologici, psicoterapeutici, e di supporto.

I farmaci studiati negli anni per il trattamento dell'ADHD comprendono 2 grandi famiglie :

gli stimolanti, quali Metilfenidato (MPH), desmetilfenidato, dextroamfetamina (DEX), sali misti di amfetamina (MAS), pemolina, ed il recentissimo modafinil. i farmaci non stimolanti, che include antidepressivi triciclici (desipramina, imipramina, nortriptillina), Inibitori delle monoaminossidasi, agonisti alfa2- adrenergici, buproprione, inibitori del reuptake della serotonina, antipsicotici atipici, atomoxetina.

I farmaci psicostimolanti

Gli psicostimolanti rappresentano la classe farmacologica più utilizzata in assoluto. Da tutte le ricerche emergono risultati di efficacia clinica e tollerabilità sovrapponibili (James et al., 2001). A differenza dei non stimolanti sono in grado di migliorare non solo i sintomi comportamentali, ma anche la disattenzione e la sintomatologia cognitiva.

Determinare quale classe e quale formulazione è più indicata per il singolo paziente dipende spesso dalla valutazione della natura della compromissione funzionale, da quanto deve durare la copertura farmacologica, e dalla variabilità della risposta individuale. Il problema correlato alle somministrazioni multiple di psicostimolanti a rilascio immediato è stato in gran parte superato grazie allo sviluppo di formulazioni a rilascio prolungato, tuttavia, spesso è necessario controllare i sintomi per tempi più lunghi rispetto alla durata d'azione del farmaco, specialmente negli adulti, e il tipo e la gravità dei sintomi possono variare nel corso della giornata. Si tende, perciò ad utilizzare contemporaneamente formulazioni a rilascio immediato e formazioni a rilascio prolungato.

I più comuni effetti collaterali comprendono cefalea, dolori addominali, diminuzione dell'appetito con o senza perdita di peso, insonnia iniziale, nonché un lieve aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. Inoltre possono manifestarsi alterazioni dell'umore come affettività appiattita, irritabilità, labilità emotiva non legati ai livelli ematici del farmaco. Condizioni mediche come l’ipertensione grave, tachicardia, aritmia e anomalie cardiache congenite pongono serie limitazioni all’impiego di questi farmaci.

Alcuni soggetti vanno incontro a un “effetto rimbalzo” (re-bound), diventando lievemente irritabili ed iperattivi per un breve periodo, quando l'effetto del farmaco viene a mancare.

Sono stati riportati, nei bambini, casi di riduzione del peso e soprattutto dell'accrescimento. Lo studio MTA ha rilevato che l'uso di psicostimolanti a rilascio immediato per tre volte al giorno per sette giorni a settimana determina un rallentamento della crescita di un centimetro l'anno per i primi 24 mesi di trattamento. Altri autori hanno riportato che l'accrescimento successivamente si stabilizza, e riprende normalmente. Con le nuove formulazioni a rilascio prolungato un minor appiattimento della curva di accrescimento. Un'altra problematica è la possibilità di abuso, nonché di uso scorretto o a scopo voluttuario. Dati longitudinali indicano che l'11% dei giovani affetti da ADHD vende i farmaci che dovrebbe assumere, e che il 22% dei pazienti con Disturbo della condotta e disturbo da uso di sostanze li utilizza in modo scorretto (Wilens et al., 2006). Va precisato che l'abuso o la dipendenza da psicostimolanti si manifesta generalmente in concomitanza di altre condizioni di addiction. Ad ogni modo non si colgono differenze tra metilfenidato e sali misti di amfetamina per quello che riguarda la possibilità di abuso; entrambi i farmaci producono effetti soggettivi associati ai meccanismi di rinforzo e di ricompensa.

Per quanto riguarda il metilfenidato, Spencer e coll. (Spencer et al., 2005) hanno riportato i risultati di uno studio in doppio cieco con MPH (1,1 mg/kg/die) versus placebo su 146 pazienti adulti affetti da ADHD, mostrando una maggiore efficacia a vantaggio dello stimolante (responders 76% vs 4%, p<.0001). Una meta-analisi sull’efficacia del metilfenidato negli adulti indica la necessità di utilizzare dosi elevate (70 mg/die) per ottenere una risposta clinica adeguata (Faraone et al., 2004). Esistono 3 formulazioni farmaceutiche di metilfenidato: short-acting, a rilascio immediato (Ritalin 5,10,20 mg)

intermediate-acting, a rilascio sostenuto (Ritalin SR 10,20 mg) long-acting, a rilascio prolungato (Concerta 18,54 mg).

Quet’ultimo si avvale di un oral osmotic system release (OROS), che permette una disponibilità immediata del 20% del contenuto della capsula, e un rilascio più lento del rimanente 80%, assicurando un rapido contenimento dei sintomi mattutini ed una copertura di 10-12 ore. Tale formulazione assunta in unica somministrazione risulta efficace, ben tollerata e riduce i fenomeni di rebound (Biederman et al., 2006).

Anche per le dextroamfetamine esistono 3 formulazioni farmaceutiche: short-acting (Dexedrine 5 mg)

long-acting, D- e L- amfetamine (Adderall XR 5,10,15,20,25,30 mg), in cui la disponibilità immediata del principio attivo è pari al 50% del contenuto della capsula con netto miglioramento dei sintomi mattutini.

L’efficacia di adderall è stata riportata in uno studio in doppio-cieco vs placebo su 223 adulti con ADHD; gli effetti collaterali più comuni erano insonnia, calo ponderale, cefalea, secchezza delle fauci e nervosismo (Biederman et al., 2005). Un trial clinico recente ha dimostrato un buon profilo di tollerabilità cardiovascolare di adderall e la possibilità di combinazione con antipertensivi in caso di ipertensione di grado moderato (Wilens et al., 2006).

- La pemolina è uno psicostimolante a lunga durata d'azione e ha il vantaggio di garantire effetti duraturi per tutta la giornata attraverso una monosomministrazione, ma il 3% dei pazienti trattati va incontro a gravi epatopatie. Recentemente, a seguito di 11 decessi dovuti ad epatite acuta fulminante negli ultimi 25 anni, la Food and Drug Administration statunitense ne ha scoraggiato l'utilizzo.

- Il modafinil è un nuovo farmaco stimolante che potenzia l'attività cognitiva, è strutturalmente e chimicamente diverso da tutti gli altri farmaci utilizzati nel trattamento dell'ADHD. Attiva selettivamente la corteccia cerebrale, e modula l'attività di numerosi neurotrasmettitori come ipocretina, istamina, norepinefrina,

acido gamma-aminobutirrico e glutammato. E' stato approvato dal FDA per il trattamento della narcolessia e di altri disturbi del sonno, e pur essendo uno stimolante presenta una bassa potenzialità di abuso.

Numerosi trial clinici hanno valutato l'efficacia e la tollerabilità di una nuova formazione di modafinil, dimostrando un significativo miglioramento dei sintomi sia a casa che a nelle prestazioni scolastiche (Swanson et al., 2006). L'assenza di effetti collaterali cardiovascolari indica che il farmaco potrebbe essere utile nel trattamento di adulti con ADHD, e forse anche di bambini più grandi, che non rispondono o non tollerano altri farmaci approvati.

I farmaci non psicostimolanti

I farmaci non psicostimolanti risultano meno efficaci nel trattamento dell’ADHD, in particolar modo verso i sintomi di inattenzione.

Gli antidepressivi triciclici noradrenergici, soprattutto l'imipramina e la desipramina, sono stati i farmaci non stimolanti più studiati e i più prescritti fino alla metà degli anni 90. Uno studio in doppio cieco controllato verso placebo su 43 adulti con ADHD, reclutati secondo i criteri del DSM-III-R, ha documentato l’efficacia della desipramina con una risposta positiva nel 68% pazienti trattati rispetto a nessuno di coloro che avevano assunto placebo (Wilens et al., 1996). I Triciclici, sebbene abbiano un’efficacia paragonabile agli stimolanti nel

trattamento dei sintomi comportamentali, sono meno efficaci sul deficit di attenzione e i sintomi cognitivi dell'ADHD. Inoltre la segnalazione di morte improvvisa in almeno 4 bambini trattati con desipramina ha reso i triciclici una scelta meno accettabile, sebbene il rischio sembra essere specifico della desipramina e alcuni dei pazienti deceduti avessero un rischio cardiovascolare significativo preesistente (Popper e Elliott, 1990; Riddle et al., 1991; Riddle et al., 1993). Pertanto gli antidepressivi triciclici diversi dalla desipramina possono essere ragionevolmente presi in considerazione solo in determinate situazioni cliniche.

Gli antidepressivi inibitori delle monoaminossidasi (IMAO) potenziano in maniera specifica la neurotrasmissione delle monoamine. La tranilcipromina è stata utilizzata con successo nel trattamento di un piccolo gruppo di pazienti con ADHD con effetti paragonabili a quelli della destramfetamina. Tuttavia in genere non sono utilizzati a causa delle restrizioni dietetiche e dei rischi potenziali.

Dati preliminari sulla venlafaxina, un antidepressivo ad azione selettiva sul reuptake di serotonina e noradrenalina, suggeriscono un possibile impiego del composto nell’ADHD dell’adulto, ma si basano su poche osservazioni non

controllate e in aperto, mentre non sono stati ancora realizzati studi in doppio cieco, placebo controllati (Adler et al., 1995).

Il bupropione (150-450 mg/die) è un farmaco ad azione noradrenergica e dopaminergica che si è dimostrato efficace nel trattamento dell’ADHD sia in età scolare che adulta. Tuttavia rimane un farmaco di seconda scelta, in quanto vari studi clinici su adolescenti e adulti documentano la maggior efficacia degli stimolanti rispetto al bupropione nel ridurre i sintomi di ADHD. Il suo impiego può essere considerato nel caso di comorbidità con disturbi dell’umore e disturbo da abuso di sostanze. In studi condotti su adolescenti ed adulti con ADHD ed abuso di sostanze si è dimostrato efficace nel ridurre i sintomi di ADHD ed in alcuni casi ha determinato anche una riduzione del craving e/o dell'abuso di sostanze. Wilens e coll. hanno condotto uno studio in doppio cieco, bupropione versus placebo, su 162 adulti con ADHD, mostrando miglioramento clinico nei pazienti trattati con l’antidepressivo a una dose giornaliera di 300 mg. Gli effetti collaterali erano dose-dipendenti, i più comuni erano cefalea, insonnia e nausea (Wilens et al., 2005). In uno studio su bambini, nel 17% dei pazienti trattati si sono verificate eruzioni cutanee (Conners et al., 1996).

Per quanto riguarda l'utilizzo degli SSRI, esistono pochi dati a conferma della loro efficacia nel trattamento dell'ADHD, ma data l'associazione del disturbo con depressione ed ansia, questi farmaci vengono spesso utilizzati.

I neurolettici sono stati impiegati per decenni nel trattamento di bambini con gravi disturbi del comportamento, caratterizzati fondamentalmente da aggressività, ma i loro effetti collaterali come discinesie tardive, discinesie da sospensione, sindrome maligna da neurolettici, li rendono inadatti a trattamenti a lungo termine. Recenti studi in aperto sono stati condotti sugli antipsicotici atipici. Sia l'olanzapina, il risperidone e la quetiapina sono risultati efficaci (Scure et al., 2003).

L’atomoxetina è l’unico farmaco non stimolante ad aver ottenuto l’approvazione dal FDA per il trattamento dell’ADHD, sia nei bambini che negli adulti. Si tratta di un inibitore altamente selettivo del reuptake della norepinefrina, strutturalmente distinto sia dagli stimolanti che dai triciclici; aumenta la norepinefrina sinaptica in molte aree cerebrali, e la dopamina a livello della corteccia prefrontale (Bymastere et al., 2002). Il farmaco è dosato in rapporto al peso del paziente, con un dosaggio medio di 1,2 mg/kg, e mostra la sua azione terapeutica solo dopo tre settimane dall’inizio del trattamento. Ha il vantaggio di essere assunto in unica somministrazione giornaliera per la lunga emivita,

inducendo meno fenomeni di rebound. Presenta una scarsa possibilità di diventare sostanza di abuso dal momento che non si lega ai recettori correlati ai sistemi di reward (dopamina, GABA, oppioidi), e non aumenta i livelli di dopamina nello striato e nel nucleo accumbens. E’ particolarmente indicato nelle situazioni di comorbidità con disturbi d’ansia, tics e disturbi da uso di sostanze (Weiss e Weiss, 2004). Esistono numerosi trial clinici che dimostrano l’efficacia di atomoxetina nel ridurre sintomi di ADHD nel bambino, nell’adolescente e nell’adulto. Due studi su 536 adulti con ADHD, randomizzati in doppio-cieco e controllati verso placebo, hanno dimostrato l’efficacia di atomoxetina rispetto al placebo con riduzione significativa dei punteggi alla Conners Adult Rating Scale (Michelson et al., 2003). Anche sul lungo termine (97 settimane) atomoxetina si è dimostrata sicura, efficace e ben tollerata (Adler et al., 2005). Gli effetti collaterali più comunemente riportati sono sedazione, nausea e vomito, diminuzione dell'appetito, perdita di peso, aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, paragonabile a quello degli psicostimolanti, irritabilità ed aumento dell'aggressività.

Nel trattamento dell’ADHD sono stati anche utilizzati antipertensivi quali clonidina (Zachor et al., 2006) e guanfacina (Lopez, 2006). La clonidina è un agonista alfa 2 adrenergico, ha suscitato notevole interesse fin dalla metà degli

anni '80 per il trattamento di ADHD ed aggressività, è considerato un farmaco di seconda scelta perchè riduce i sintomi di impulsività-iperattività, ma non quelli di inattenzione. Produce sedazione eccessiva, e sono stati riportati casi di tossicità cardiovascolare. E’ impiegata in presenza di tics e Sindrome di Tourette. La guanfacina è un agonista dei recettori presinaptici alfa 2A, che svolgono il ruolo più importante nella regolazione dell'attenzione (Arnsten, 2006). Risulta efficace sui sintomi inattentivi e induce minori effetti sedativi rispetto alla clonidina (Biederman et al., 2006).

Documenti correlati