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Non cercare la “verità”, ma cerca di sviluppare quelle forze che fanno e disfanno la verità.

P. Valery, Quaderni

§ 1.1. Sintesi a priori e Bestimmung

Fin dai suoi primi scritti, Hegel polemizza duramente con Kant e, in più specificamente, con la sintesi a priori esposta nella Critica della ragion pura.

L'accusa è che Kant abbia fatto della psicologia59, fermandosi ad una critica

delle facoltà conoscitive. Da un lato, egli avrebbe isolato le forme del pensare senza mostrarne il collegamento con l'unità sintetica dell'appercezione; dall'altro lato, il molteplice empirico verrebbe mantenuto come un elemento indipendente dal conoscere ed esistente per sé. Il mio intento è approfondire in questo paragrafo il significato della critica hegeliana a Kant per mettere a fuoco la trasformazione, operata da Hegel, del metodo della deduzione delle categorie. A tale scopo desidero soffermarmi non tanto sul problema del

dualismo intuizione/concetto60, quanto invece sul significato dell'estrinsecità

del collegamento procurato, secondo Hegel, dalla teoria kantiana dello schematismo.

In uno dei suoi primi scritti dati alle stampe, Fede e sapere, Hegel ascrive la debolezza dell'argomentazione kantiana all'insufficiente spiegazione della deduzione delle categorie. La critica hegeliana investe il metodo sviluppato da

59 Si tratta di una valutazione che rimane sostanzialmente invariata negli anni, se ancora nella WdL, trattando del concetto, Hegel giudica la filosofia kantiana alla stregua di «idealismo psicologico», cfr. WdL II: 261; trad. it.: 665.

60 Su tale aspetto si è, invece, di recente concentrato K. BRINKMANN nel trattare del rapporto fra Kant e Hegel. Cfr. K. BRINKMANN (2011: 41-78).

Kant nel dedurre, nella seconda edizione della KrV, la categorie o concetti puri. Come è noto, la genesi delle categorie viene sviluppata da Kant con significative differenze passando attraverso le due edizioni della KrV. Una delle variazioni più notevoli è senz'altro l'abbandono, nell'edizione del 1787, dell'ordinamento orizzontale della triplice sintesi che necessariamente si presenta in ogni conoscenza, vale a dire la sintesi dell'apprensione delle rappresentazioni nell'intuizione; la sintesi della riproduzione di esse nell'immaginazione e la sintesi della loro ricognizione nel concetto (KrV A 97). Nel 1781 queste tre sintesi sono connesse fra loro in modo indissolubile per mezzo dell'immaginazione, in quanto questa raccoglie ed unifica il molteplice delle intuizioni; rende possibile la riproduzione delle rappresentazioni come immagini e, infine, ordina i fenomeni secondo le categorie nella ricognizione delle rappresentazioni.

L'immaginazione è, quindi, la facoltà attiva di sintesi che rende possibili gli oggetti dell'esperienza, ma collabora strettamente ad ogni livello con l'appercezione trascendentale. Senza l'unità procurata dall'appercezione non sarebbe, infatti, possibile nessuna apprensione e conoscenza. L'io della pura appercezione è l'unità della coscienza «che precede tutti i data dell'intuizione e in relazione alla quale soltanto sono possibili tutte le rappresentazioni degli oggetti»61. La specificità dell'appercezione è quella di procurare l'unità

fondamentale alla sintesi determinata dall'immaginazione. Nello specifico l'appercezione «deve aggiungersi alla pura facoltà dell'immaginazione per

rendere intellettuale la propria funzione»62. Sotto questo punto di vista non è

sempre chiaro se la priorità spetti all'immaginazione o all'appercezione, o se queste siano sempre reciprocamente dipendenti, dato che Kant scrive: «il principio dell'unità necessaria della sintesi pura (produttiva) della facoltà di immaginazione, prima dell'appercezione, costituisce il fondamento della

possibilità di ogni conoscenza, in particolare dell'esperienza»63. Si direbbe, in

realtà, che per mezzo dell'immaginazione le rappresentazioni siano collegate,

61 KrV A 107, trad. it.: 1217. 62 KrV A 123, trad. it. : 1237.

nei diversi livelli della loro sintesi, all'appercezione, la quale definisce l'identità dell'io che si conserva stabile e permanente (a differenza della coscienza empirica del senso interno) nella differente molteplicità del flusso dei fenomeni64.

Questo approccio conduce Kant a dichiarazioni molto più radicali e nette di quelle che si ritrovano nella seconda edizione. In un passo, ad esempio, Kant scrive che «l'animo non potrebbe giammai pensare, e per giunta a priori, l'identità di se stesso nella molteplicità delle sue rappresentazioni, se non

avesse davanti agli occhi l'identità della sua operazione, che sottopone ogni

sintesi dell'apprensione (che è empirica) ad una unità trascendentale e rende innanzitutto possibile a priori la connessione delle rappresentazioni secondo regole»65. L'“avere davanti agli occhi”66 l'intelligibilità delle operazioni

dell'autocoscienza trascendentale significa che l'identità con sé dipende costitutivamente dal movimento di pensiero della stessa intelligibilità. L'identità trascendentale non è la permanenza rigida e immutabile di un sostrato, ma un'attualità che si realizza e si conferma nel suo stesso ripetersi. L'iterazione delle operazioni trascendentali assicura l'uniformità e la regolarità dell'intelligibilità dei fenomeni, perciò la sintesi acquista un carattere necessario, quasi ontologico. Più oltre, infatti, Kant dichiara che «dunque, l'intelletto non è soltanto una facoltà per darsi delle regole tramite il confronto dei fenomeni; ma è esso stesso la legislazione per la natura, nel

senso che senza intelletto non si darebbe affatto natura»67. L'intelletto non è

semplicemente la facoltà che ricopre l'ambito della natura, ma è ciò per mezzo del quale la natura stessa ha significato come totalità dei fenomeni dell'esperienza. Ben diversa suona questa dichiarazione nella seconda

64 Così W. CARL (1992: 65) giustamente descrive l'appercezione: «Die reine Apperzeption, als ein Bewußtsein des “Ich der Reflexion”, ist also kein Bewußtsein eines Wesens, das denkt, sondern ein Bewußtsein der Form, in der Gedanken gedacht werden. Sie ist ein Bewußtsein von etwas, das selber, im Unterschied zu den Gedanken, die gedacht werden, ohne jeden Inhalt ist».

65 KrV A 108, trad. it.: 1219. Corsivo mio.

66 Singolarmente la stessa espressione si trova nel De anima (450 a 4) di Aristotele a proposito del nesso fra pensiero ed immagine.

edizione: «La natura (considerata semplicemente come natura in generale) dipende dalle categorie, come dal fondamento originario della sua necessaria

conformità alle leggi (in quanto natura formaliter spectata)»68. Se nella prima

edizione l'accento era posto sulla reciprocità essenziale di intelletto e natura, nella seconda si tratta della natura che ha il suo fondamento nell'intelletto, vale a dire che la reciprocità iniziale trapassa nel rapporto di fondamento- fondato.

Si tratta di piccole variazioni apportate evidentemente per sfuggire a derive idealistiche, eppure permettono di trovare già configurata nella prima edizione della KrV, e precisamente nell'ambito della deduzione trascendentale delle categorie, quell'unità dell'identico (l'appercezione) del diverso (il molteplice empirico) così decisiva per gli idealisti post-kantiani. Poiché il trait

d'union è l'immaginazione, non stupisce che anche Hegel attribuisca grande

merito a tale operazione. Questa sola è in grado di giustificare perché le forme del pensare non debbano essere intese come facoltà particolari, reciprocamente isolate e contrapposte, bensì come originaria unità di opposti. D'altra parte, nella prima edizione della KrV, non viene precisato in che modo siano generati i fondamenti della ricognizione del molteplice, ovvero le categorie, ed è proprio questo l'aspetto, approfondito nella seconda edizione, che suscita le critiche di Hegel. Se dalla categorie dipende ogni unità formale della sintesi dell'immaginazione, Kant non spiega però nel 1781 come esse operino in concreto. Il collegamento delle rappresentazioni con le categorie è affidato all'immaginazione in modo indeterminato al livello di relazione o mediazione:

Noi, dunque, possediamo un'immaginazione pura, la quale, come una facoltà fondamentale dell'anima umana, sta alla base di ogni conoscenza a priori. Tramite essa noi congiungiamo il molteplice dell'intuizione, da un lato, con la condizione dell'unità necessaria dell'appercezione pura, dall'altro. Entrambi gli estremi – cioè la sensibilità e l'intelletto- devono risultare necessariamente connessi [zusammenhängen] tramite questa funzione fondamentale della facoltà di immaginazione; in caso contrario, infatti, la sensibilità fornirebbe fenomeni, ma nessun oggetto di un'esperienza empirica, quindi nessuna esperienza69.

68 KrV B 164, trad. it.: 285. 69 KrV A 124, trad. it.: 1239.

Al di là della difficoltà di comprendere l'interazione delle operazioni trascendentali nella prima edizione della KrV, è un fatto che tali rapporti si configurano come relazioni o collegamenti, e non come applicazioni. Nella seconda edizione l'immaginazione ha una funzione altrettanto decisiva nel determinare le condizioni a priori di ogni unità sintetica, ma Kant sottolinea la differenza fra sensibilità ed intelletto, dalle quali l'immaginazione dipende, rispettivamente, per rendere possibile la sintesi dell'apprensione dell'intuizione e quella intellettuale delle categorie70. Nello specifico, nella

nuova configurazione dei rapporti delle facoltà trascendentali, muta la disposizione delle stesse, che si ordinano verticalmente stante la relazione di

causalità fra intelletto e sensibilità. Mentre nella prima edizione la triplice

sintesi dell'unità delle rappresentazioni si prestava ad un ordinamento orizzontale, ripercorrendo le tappe che sono condizioni a priori di ogni esperienza possibile; nella seconda edizione lo sforzo di indagare e precisare la struttura dell'a priori comporta la trasformazione dell'attività dell'immaginazione come risultato della causalità esercitata dall'intelletto sulla sensibilità. Scrive, infatti, Kant:

La facoltà di immaginazione sarà dunque la capacità di determinare a priori la sensibilità; e la sintesi delle intuizioni, quale essa realizza in conformità alle categorie, dovrà essere la sintesi trascendentale della facoltà di immaginazione: il che è un effetto [Wirkung] dell'intelletto sulla sensibilità, ed è la prima applicazione [Anwendung] dell'intelletto agli oggetti dell'intuizione possibile per noi (un'applicazione che è al tempo stesso il fondamento di tutte le altre applicazioni) [zugleich der Grund aller übrigen]71.

Non solo l'intelletto condiziona causalmente la sensibilità nel generare le forme a priori dell'intuizione, ma ogni sintesi delle rappresentazioni rinvia all'applicazione dell'intelletto al molteplice dell'esperienza. A tal punto la causalità definisce l'operare dell'attività sintetica a priori da qualificare come

70 KrV B 164, trad. it.: 285: «Ora, ciò che connette il molteplice dell'intuizione sensibile è la facoltà di immaginazione, la quale dipende dall'intelletto per quanto riguarda l'unità della sua sintesi intellettuale, e dalla sensibilità per quanto riguarda la molteplicità dell'apprensione».

“passivo” rispetto ad essa il soggetto dell'esperienza: «Dunque sotto il nome di

sintesi trascendentale della facoltà di immaginazione, l'intelletto esercita sul

soggetto passivo - di cui essa è appunto una facoltà – quell'operazione a proposito della quale noi possiamo dire a buon diritto che da essa viene affetto il senso interno»72. In questa maniera Kant pone in risalto il fatto che

l'unificazione del molteplice non è trovata dall'intelletto nella coscienza empirica, ma è prodotta dall'intelletto esercitando un'affezione sul senso interno. L'approfondimento delle categorie, carente nella prima versione della KrV, conduce quindi Kant a caratterizzare in senso causale l'immaginazione, la cui oggettività è ancorata, nella prima parte della deduzione trascendentale delle categorie (KrV B, § 19), alla forma del giudizio. La copula, infatti, designa il rapporto delle rappresentazioni con l'appercezione originaria e la loro unità necessaria. Per mezzo dell' “è”- spiega Kant nella seconda edizione – si può distinguere l'unità oggettiva di rappresentazioni date da quella soggettiva, in quanto nel giudizio congiungo necessariamente due rappresentazioni che si trovano nell'oggetto (“il corpo è pesante”), a prescindere da quale sia lo stato del soggetto (“se porto un corpo, lo sento grave”).

A giudizio di Hegel ciò costituisce un grave limite dell'impianto

trascendentale. Invece di rappresentare «l'identità bilaterale (zweyseitige)»73

che è originariamente soggetto ed oggetto, l'immaginazione è appiattita sulla copula e non procede dal giudizio al sillogismo, ovvero non passa dal riconoscimento «che questo giudizio è fenomeno dell'in sé alla conoscenza dell'in sé»74. Il problema della forma del giudizio è che questa non lascia

apparire l'identità dell'identico nel differente, ovvero la connessione dell'unità a priori con il molteplice empirico. Se, infatti, l'unità espressa dalla copula è l'identità trascendentale dell'appercezione, allora quest'ultima si manifesta necessariamente nel giudizio nell'eterogeneità procurata dalla differenza di soggetto e predicato. Ma la forma del giudizio come tale non è in grado di esibire la propria auto-giustificazione: per spiegare che l'unità del

72 KrV B 154, trad. it.: 271. 73 W 2 : 308, trad. it.: 142. 74 W 2 : 307, trad. it.: 142.

principio è declinata nell'unità dei differenti occorre un'inferenza, diversamente il giudizio non fa che rimandare dal soggetto al predicato e viceversa. Da ciò segue che «una medesima cosa viene considerata una volta come rappresentazione, un'altra come cosa esistente, l'albero come mia rappresentazione e come cosa, e il calore, la luce, il rosso, il dolce come mia sensazione e come proprietà di una cosa, così come la categoria è posta ora

come relazione del mio pensare, ora come relazione delle cose»75. Invece di

esaminare, a partire dall'indagine dell'immaginazione, in che modo una medesima forma sia pensiero e fenomeno, ovvero in che modo pensiero ed essere siano speculativamente identici, Kant rimette ogni differenza alla posizione che soggetto e oggetto volta a volta occupano nel giudizio.

In questo modo soggetto e oggetto diventano formule vuote suscettibili di essere riempite da qualsivoglia contenuto, mentre il reale dell'esperienza diventa un regno «abbandonato dalle categorie», dunque «un ammasso informe» irriducibile alla comprensione razionale. Bisogna notare che la critica hegeliana non consiste semplicemente nell'ascrivere a Kant l'istanza del soggettivismo, ma, più profondamente, nell'accusa, mossa a Kant, di aver snaturato l'asse portante della filosofia trascendentale, ovvero l'identità processuale di intelletto e natura. Lo iato segnalato da Hegel fra pensiero ed oggetto nella forma del giudizio dipende dalla priorità assegnata da Kant all'intelletto nella seconda edizione della critica e, più precisamente, dalla riconfigurazione in senso causale dei rapporti fra intelletto ed immaginazione. La trasformazione formale delle categorie avviene, infatti, «dopo che la deduzione delle categorie dall'idea organica dell'immaginazione produttiva si è

smarrita nella relazione meccanica di un'unità dell'autocoscienza, unità che è in

contrasto con la molteplicità empirica, sia che la determini per sé, sia che su di essa rifletta»76. Analogamente nelle successive Vorlesungen dedicate a Kant

Hegel paragona la giustificazione kantiana dell'unità dell'autocoscienza al

collegamento estrinseco della gamba con un pezzo di legno77. L'universale

75 W 2 : 312, trad. it.: 146.

76 W 2 : 328, trad. it.: 160. Corsivo mio.

prodotto dall'io penso kantiano è destinato ad essere soggettivo, poiché il momento della sua relazione al particolare è presentato come un'applicazione, ovvero quale unità meccanica (esprimibile come addizione dell'identità al differente), e non come identità del pensiero con il suo altro. L'applicazione discende dal rapporto causale con cui Kant descrive, nella seconda edizione della KrV, l'operare dell'immaginazione come auto-affezione. In ciò l'immaginazione è resa analoga all'intelletto, il quale, come facoltà delle regole, esprime le regole a cui si conformano i fenomeni. È, dunque, la causalità a produrre lo iato fra mente e mondo ed a confinare l'immaginazione trascendentale alla sfera del soggetto. Se, infatti, si rimane nell'ottica kantiana, si assiste al momento della esibizione (Darstellung) mentale delle forme del conoscere, ma non si determina la verità della loro unità, in quanto il conoscere manifesto è effetto di un rapporto causale che non lascia trasparire l'unità organica dell'immaginazione e dell'essere.

Sotto questo punto di vista la distinzione kantiana fra immaginazione, intelletto e ragione costituisce la sola via di accesso allo speculativo, poiché consente di evadere dalla rigidità del giudizio mostrando come la conoscenza si sviluppi in momenti distinti, ma reciprocamente dipendenti, secondo lo sviluppo reso noto dalla forma del sillogismo. In quest'ultimo l'a priori vale da premessa, e quindi da presupposto, che si media nella relazione con il suo opposto per togliersi, come assolutamente indipendente, nella conclusione. Ma a Kant la soluzione del sillogismo rimase ignota, secondo Hegel, perché la ragione, ovvero la forma del pensiero che avrebbe dovuto procurare questa fondamentale mediazione al conoscere, rimane condizionata dall'intelletto «e

non giunge al punto di poter produrre (hervorbringen) un'idea»78. Poiché la

ragione è per Kant strutturalmente incapace di generare la conoscenza o la determinazione dell'in sé, non viene fornita nessuna mediazione dell'a priori con l'essere. È l'aspetto che Hegel ritrova nella trattazione kantiana delle antinomie, in cui il conflitto fra libertà e necessità, mondo intelligibile e

die auf außerliche, oberflachliche Weise ver bunden werden, wie ein Holz und Bein durch einen Strick».

sensibile producono un'opposizione che la ragione lascia sussistere, piuttosto che risolvere:

Kant può servirsi dell'idealismo trascendentale solo come di una chiave negativa per la soluzione dell'antinomia, in quanto nega che i due aspetti dell'antinomia esistano come qualcosa in sé; ma il positivo di queste antinomie, il loro medio, non è perciò conosciuto (...)79.

La critica hegeliana non nega che le opposizioni interne a ciascuna antinomia debbano essere rigorosamente isolate e negate nella loro indipendenza al fine di essere adeguatamente confutate, così come aveva fatto Kant nella Dialettica trascendentale; tuttavia tale separazione dovrebbe poi mostrare il medio comune dei termini opposti, e non soltanto l'inconsistenza del contrasto. Per questo motivo la trattazione kantiana rappresenta solo una «chiave negativa», poiché non risale alla condizione dell'opposizione e perciò non la risolve compiutamente. La ragione rimane affetta dall'operare dell'intelletto, senza mostrare l'unità dell'intelligenza nella differenza delle sue determinazioni. Eppure proprio l'opposizione delle antinomie avrebbe potuto costituire una prova della complessità della ragione: l'opposizione è sempre per Hegel la forma speculativa nella quale l'identico è posto in relazione con il diverso e da questo procede per togliere assolutamente il contrasto in una totalità più complessa. L'intento di Hegel è quello di rifondare la deduzione delle categorie come forme comuni all'essere ed al pensiero, ovvero quali determinazioni oggettive del pensiero puro. Esse non si applicano ai fenomeni e neppure sono ricavabili dalla forma dei giudizi, in quanto sono totalità distinte dotate di un principio di determinazione interno mediante il quale trapassano in successione necessaria le une nelle altre.

In questo senso Hegel modifica alle radici l'impianto kantiano, poiché lo traduce in una forma logica basata sull'identità e sulla negazione in cui l'atto cognitivo in quanto tale, ovvero la sintesi delle rappresentazioni, non ha più un ruolo fondamentale, non solo perché confinata alla dimensione dell'intelletto soggettivo, ma soprattutto perché si tratta di un'operazione

nella quale l'unità si aggiunge meccanicamente, come risultato di una giustapposizione e non di un'unificazione organica. La posizione hegeliana non è semplicemente una variante, né una prosecuzione della teoria kantiana della sintesi a priori: Hegel non si limita a tradurre lo schematismo in una forma logica adeguata, ma ne modifica anche i termini e le regole, al fine di togliere la causalità dei rapporti trascendentali all'interno di un impianto metafisico completamente rinnovato. Per questo motivo la kantiana sintesi delle rappresentazioni è sostituita dall'attività logica del determinare (Bestimmung), dove per determinazione non si intende l'attribuzione di un predicato ad un soggetto, ma la specifica unità di pensiero e oggetto secondo differenti livelli di individuazione ontologica. Le categorie non si limitano a predicare un attributo ad un essere, ma esprimono il fatto che l'essere è pensato attraverso una determinazione. In questa maniera, se ci si concentra sul livello di pensabilità dell'oggetto logico, le forme di determinazione si ampliano e non sono più concepite come esclusive proprietà della cosa, bensì come unità determinata dell'oggetto e della sua specificazione.

Ma come è possibile l'unità nella molteplicità dei rapporti possibili fra soggetto e oggetto? In Fede e sapere Hegel insiste sull'unità del rapporto fra soggettività e oggettività e, conseguentemente, sull'unità concettuale dell'intelligenza, che conosce propriamente nella forma del sillogismo; tuttavia Hegel non espone la forma logica che il sillogismo dovrebbe avere e confuta il sistema kantiano attenendosi alla forma degli enunciati astratti. Benché lo scritto risenta dell'influsso di Schelling (come attesta il ripetuto riferimento alla dimensione della “potenza” ontologica) e sembri talora avanzare la possibilità di un intelletto intuitivo, non è l'individuazione di una facoltà alternativa a guidare l'indagine hegeliana nella sua presa di distanza da Kant. Al contrario, la critica di Kant in Fede e sapere stabilisce le premesse da cui dovrebbe procedere la trattazione coerente di una ragion pura da

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