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1. Abbiamo finora visto due casi di popolazioni indigene italiche associate in modo abbastanza stretto all’elemento greco: nel caso dei Sanniti il trait d’union tra essi e il mondo greco è la spartanità acquisita grazie ad un processo di sunoikia, in quello dei Coni invece abbiamo una sostituzione dell’elemento troiano con quello indigeno (specificatamente conio) nel contesto del culto di Atena Iliaca.

Proprio il culto del Palladio in area italica ci porta verificare l’esistenza di situazioni simili a quelle prima analizzate. Sarebbe infatti utile ed interessante confrontare i tratti caratteristici della notizia relativa ai Sanniti con quelle circolanti su altre popolazioni, in qualche modo legate al mondo greco. Se infatti teniamo conto anche dell’esistenza di tradizioni di carattere negativo su alcune popolazioni italiche (si ricordino i casi dei Lucani, dei Romani / Tirreni, degli Opici), è significativo, e ricco di molteplici considerazioni, il fatto che, nel quadro delle genti indigene dell’Italia meridionale, alcune siano relegate irrimediabilmente nello status di barbari, ed altre invece si trovino ad avere determinati tratti in comune col mondo greco, tratti che molto spesso corrispondono all’esigenza di città magnogreche di ingraziarsi, anche per motivazioni politiche, le genti anelleniche tramite la diffusione di una sorta di patente di grecità.

In questo senso il caso dei Sanniti è eclatante, non solo perché molteplici sono i dati che possiamo attribuire ad una dinamica simile, ma anche perché il sopra visto giudizio di Strabone ce ne informa in modo netto e chiaro. In modo più indiretto, ma ugualmente significativo, è da considerare la notizia dell’eccidio dei Coni.

Come ho accennato, seguendo la diffusione del Palladio in Italia, ci troviamo di fronte ad un caso, quello dei Dauni, che possiamo far rientrare, dopo una dettagliata analisi delle fonti, nella casistica che stiamo cercando di delineare.

Nella letteratura moderna, i Dauni vengono trattati soprattutto in virtù della presenza, assai precoce, di Diomede nella loro terra, menzionata per la

prima volta già da Mimnermo, e quindi agli inizi del VI secolo. Di qui tutta una serie di considerazioni relative agli spostamenti dell’eroe acheo lungo tutta la penisola, considerazioni in cui molto spesso si è perso di vista non solo il fatto che la prima attestazione in Italia del personaggio rimane la Daunia, ma anche che in questa zona l’eroe è testimoniato in associazione ad una complessa, ma coerente, costruzione mitica, che cercheremo di analizzare.

Il primo dato su cui baseremo la nostra ricostruzione è quindi quello più evidente e più noto, e cioè quello della presenza molto antica di Diomede in Daunia. Lasciando da parte le informazioni che abbiamo, e che sono state già ampiamente analizzate, relative alle imprese di Diomede in Daunia (fondazioni di città, bonifiche, rapporti conflittuali con il re Dauno, episodio tragico degli Etoli), ci soffermeremo su una serie di notizie riferibili all’eroe, che possono arricchire ulteriormente il quadro della sua “attività” in Daunia.

1) Strabone, VI 1 14: ijtamo;n me;n ou\n kai; to; ou{tw muqeuvein, w{ste mh; katamu`sai ajnainovmenon , kaqavper kai; to; ejn jIlivw/ ajpostrafh`nai kata; to;n Kasavndraı biasmovn, ajlla; kai; katamu`on deivknusqai. Polu; de; ijtamwvteron to; tosau`ta poiei`n ejx jIlivou kekomismevna xovana, o{sa fasi;n oiJ suggrafei`ı: kai; ga;r ejn JRwvmh/ kai; ejn Laouinivw/ kai; ejn Loukeriva/ kai; ejn Seirivtidi jIlia;ı jAqhna` kalei`tai, wJı ejkei`qen komisqei`sa. “Certamente è cosa ardita sostenere questa favola, che, cioè, quel simulacro abbia chiuso gli occhi per lo sdegno (così come si suole raccontare che quello di Troia volse all’indietro la faccia quando fu fatta violenza a Cassandra) ed il mostrarlo ancora oggi con gli occhi socchiusi; ma è cosa ancora più ardita sostenere che provengano da Ilio tutti quei simulacri di cui parlano gli storici: infatti a Roma, a Lavinium, a Luceria, così come nella Siritide, Atena viene chiamata Iliaca, come se fosse giunta lì da Ilio

2) Strabone, VI 3 9: levgontai d’ajmfovterai Diomhvdouı ktivsmata: kai; to; pedivon kai; a[lla polla; deivknutai th`ı Diomhvdouı ejn touvtoiı toi`ı tovpoiı dunasteivaı shmei`a. jEn me;n tw`/ th`ı jAqhna`ı iJerw`/ th`ı ejn Loukeriva/ palaia;

ajnaqhvmata (kai; au{th d’ujph`rxe povliı

ajrcaiva Daunivwn, nu`n de; tetapeivnwtai), ejn de; th`/ plhsivon qalavtth/ duvo nh`soi Diomhvdeiai prosagoreuovmenai, w|n hJ me;n oijkei`tai, th;n d’ ejrhvmhn fasi;n ei\nai. “Si dice che tutte e due siano state fondate da Diomede, del cui dominio su questi luoghi vengono indicati come segni la pianura che porta il suo nome e molti altri. Nel tempio di Atena a Luceria ci sono per esempio antichi doni votivi (anche Luceria fu un’antica città dei Dauni, oggi caduta in rovina), e nel mare vicino ci sono due isole chiamate isole di Diomede”.

3) Pseudo Aristotele1, De mirabilibus auscultationibus, 109: levgetai peri; to;n ojnomazovmenon th`ı Daunivaı tovpon iJero;n ei\nai jAqhna`ı jAcaivaı kalouvmenon, ejn w/| dh; pelevkeiı calkou`ı kai; o{pla tw`n Diomhvdouı eJtaivrwn kai; aujtou` ajnakei`sqai. jEn touvtw/ tw/` tovpw/ fasi;n ei\nai kuvnaı, oi} tou;ı ajfiknoumevnouı tw`n JEllhvnwn oujk ajdikou`sin, ajlla; saivnousin w{sper tou;ı sunhqestavtouı. Pavnteı de; oiJ Dauvnioi kai; oiJ plhsiovcwroi aujtoi`ı melaneimonouvsi, kai; a[ndreı kai; gunai`keı, dia; tauvthn, wJı e[oike, th;n aijtivan: ta;ı ga;r Trw/avdaı ta;ı lhfqeivsaı aijcmalwvtouı kai; eijı ejkeivnouı tou;ı tovpouı ajfikomevnaı, eujlabhqeivsaı mh; pikra`ı douleivaı tuvcwsin ujpo; tw`n ejn tai`ı patrivsi prouparcousw`n toi`ı jAcaioi`ı

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G. Vanotti, Pseudo Aristotele. De mirabilibus auscultationibus, Padova 1997. Il testo riprodotto è quello edito da W. S. Hett, Aristoteles. De mirabilibus auscultationibus, London 1955.

gunaikw`n levgetai ta;ı nau`ı aujtw`n ejmprh`sai, ijn’ a{ma me;n th;n prosdokwmevnhn

douleivan ejkfuvgwsin, a[ma d’ou{twı [met’]

ejkeivnwn mevnein ajnagkasqevntwn sunarmosqei`sai katavscwsin aujtou;ı a[ndraı. “Si

dice che nella regione chiamata Daunia ci sia un tempio dedicato ad Atena Acaia nel quale sono state dedicate scuri di bronzo e armi dei compagni di Diomede e le sue. In questo luogo dicono che ci siano cani che non fanno torto a quelli degli Elleni che vengono, ma scodinzolano loro come se fossero le persone con cui hanno più familiarità. Tutti i Dauni ed i loro vicini si vestono di nero, uomini e donne, a quanto pare per questo motivo: le donne troiane, che erano state ridotte in cattività e condotte in questi luoghi, timorose di dover subire una terribile schiavitù da parte delle mogli che gli Achei avevano lasciato in patria, si dice che bruciarono le loro navi, sia per sfuggire l’incombente schiavitù, sia per costringere gli uomini a unirsi con loro, obbligandoli a restare”.

4) Eliano, De natura animalium, XI 5: ejn gh/` th`/ Dauniva/ new;n me;n ei\nai th`ı Aqhna`ı th`ı jIliavdoı a/[dousi: tou;ı de; ejntauqoi` kuvnaı trefomevnouı uJmnou`si tw`n me;n JEllhvnwn tou;ı ajfiknoumevnouı saivnein, uJlaktei`n de; tou;ı barbavrouı. “In Daunia dicono che ci sia un tempio di Atena Iliaca. Raccontano che i cani là allevati fanno feste ai Greci che giungono, ed abbaiano ai barbari”.

5) Licofrone, Alessandra, vv. 1129-11382:

nao;n de; moi teuvxousi Daunivwn a[kroi Savlphı par’o[cqaiı, oi{ te Davrdanon povlin naivousi, livmnhı ajgcitevrmoneı potw`n. kou`rai de; parqevnion ejkfugei`n zugo;n o{tan qevlwsi, numfivouı ajrnouvmenai,

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V. Gigante Lanzara, Licofrone. Alessandra, Milano 2000. L’edizione ivi riprodotta è quella di L. Mascialino, Lycophronis Alexandra

tou;ı JEktoreivoiı hjglaismevnouı kovmaiı, morfh`ı e[contaı sivflon h] mw`mar gevnouı, ejmo;n periptuvxousin wjlevnaiı brevtaı, a[lkar mevgiston ktwvmenai numfeumavtwn, jErinuvwn ejsqh`ta kai; rJevqouı bafa;ı pepamevnai qrovnoisi farmakhrivoiı.

“Mi costruiranno un tempio i capi Dauni sulle rive del Salpe egli abitanti

della città di Dardano, vicini alle rive del lago.

Le fanciulle, che vorranno sfuggire alle catene nuziali, rifiutando promessi sposi, fieri dei capelli

alla foggia di Ettore,

di aspetto brutto e stirpe biasimevole, stringendo tra le braccia la mia immagine, con vestiti da Erinni, con le guance

spalmate di erbe magiche,

avranno una difesa assai potente contro le nozze.”

Il primo passo riprodotto fa parte del paragrafo inerente al mito, precedentemente analizzato, dei Coni trucidati presso Siris, di fronte al simulacro di Atena Iliaca. Successivamente, Strabone si pronuncia negativamente su alcuni aspetti del culto di Atena Iliaca

La critica del Geografo (che probabilmente riproduce il pensiero polibiano3) si muove in due direzioni: da una parte contro la favola del simulacro che chiude gli occhi, dall’altra contro il numero, evidentemente troppo alto, di culti iliaci presenti in Italia. La prima parte della critica si lega certamente alla sostanza del mito dei Coni di Siris (dove la statua chiuse gli occhi per non assistere all’eccidio), e quindi può ben risalire alla fonte intermedia utilizzata dal Geografo (come vuole Lasserre). La seconda parte della critica è invece più generica, si stacca dal momento particolare di Siris, e si rivolge, con uno sguardo ampiamente diacronico, a tutte le notizie che rilevano in Italia un culto dell’originale statua di Atena Iliaca. Non è dirimente, almeno

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E’ questo il giudizio di Lasserre, accettato anche da Biffi. La critica di Polibio si sarebbe appuntata in particolare contro il metodo storiografico di Timeo, da cui dovrebbe provenire (come si è detto precedentemente) la notizia dei Coni e di Siris, a sua volta desunta da Antioco. Cfr. capitolo 4.

nella nostra ottica, stabilire la paternità di questa seconda critica, che non si lega necessariamente al particolare del chiudere gli occhi, e che viene solitamente attribuita ancora una volta a Polibio4. E’ importante invece sottolineare che al tempo del Geografo, o della sua fonte, molti culti di Atena Iliaca erano attestati in Italia, e ce n’era uno anche a Luceria.

Ora, se la presenza di questo culto a Lavinio e a Roma è perlomeno comprensibile e spiegabile, poiché fa parte di un omogeneo sebbene molto articolato bagaglio mitico (che non sfioreremo neppure, data l’enorme complessità che lo caratterizza), l’esistenza di questo stesso culto a Luceria è degna di nota (così come era la presenza del medesimo culto presso i Coni).

Il Musti5 ha cercato di individuare della motivazioni “politiche” all’origine di questa caratteristica, prendendo in considerazione anche la figura di Diomede, come un primo momento di “grecizzazione” della Daunia. Plutarco, nel secondo capitolo della vita di Romolo, afferma che, secondo a[lloi, Rhome, eponima della città di Roma, sarebbe stata figlia di Italo e Leucaria, e moglie di Enea; Dionigi di Alicarnasso invece afferma che secondo alcuni (I 72 6) Roma fu fondata da Romo, figlio di Italo e Leucaria, figlia a sua volta di Latino. Secondo lo studioso, un ruolo importante sarebbe stato rivestito dall’ideologia romana, che, rifacendosi ad un nucleo mitico originale greco, avrebbe diffuso ed amplificato la notizia di un antico culto iliaco presso Lucera, da dove poi si sarebbe spostato proprio a Roma, tramite la figura di Diomede6. Dietro il nome della madre di Rhome si potrebbe celare, a sua detta, un’allusione alla città dauna di Lucera, divenuta colonia nel 3147. In questo senso, il culto di Atena iliaca, chiaro rimando

4

Così Lasserre, ad loc..

5

D. Musti, Il processo di formazione e diffusione delle tradizioni greche sui Dauni e su Diomede, in D. Musti, Strabone e la Magna Grecia, Padova 1988, pp. 173-196. Riprende e sviluppale posizioni del Musti G. Vanotti, Aspetti della leggenda troiana in area apula, in Hesperia 15, I Greci in Adriatico, Roma 2002, pp. 179-185.

6

Oltre al fondamentale D. Briquel, Le problème des Dauniens, «MEFRA» LXXXVI, 1974, pp. 7-40, cfr. O. Terrosi Zanco, Diomede greco e Diomede italico, «RAL», s. VIII, 20, 1965, pp. 270-288. E. Paratore, La leggenda apula di Diomede e Virgilio, «ASP» 6, 1953, pp. 34-42. Più recentemente, U. Fantasia, Le leggende di fondazione di Brindisi e alcuni aspetti della presenza greca in Adriatico, in G. Nenci, Ricerche sulla colonizzazione greca, «ASNP» 33, II, 1973, pp. 33-139, in part. 118 ss.; M. Carulli, Alcune considerazioni sulla saga di Diomede fino a Fabio Pittore, «BStudLat» 7, 1977, pp. 307-315; E. Lepore, Diomede, in L’epos greco in Occidente, Atti del Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1979, pp. 13-32; Th. Van Compernolle, Les rélations entre les Grecs et le indigènes d’Apulie, «Studi di Antichità» 5, 1988, pp. 110-122; A. Coppola, Siracusa e il Diomede adriatico, «Prometheus» 14, 1988, pp. 221-226; L. Braccesi, Ancora sulla colonizzazione siracusana in Adriatico, «AION»(Filol) 11, 1989, pp. 57-64.

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Non sono di questo avviso alcuni studiosi, che ritengono Leukariva adattamento greco del latino Alba. Alcimo, citato da Festo (FGrHist 560 F 6 = Festo, 326 L), faceva di Alba la figlia di Enea e la madre di JRw`moı, ecista di

alla sfera troiana, servirebbe a suffragare le notizie sulle origini di Roma e i legami di questa con Troia. Non entreremo nei dettagli di questa complessa ricostruzione, anche perché non è questa la sede per riaffrontare il problema; ci limiteremo a sottoporre a nuova analisi le caratteristiche di questo culto in area dauna, partendo dal presupposto fondamentale che esso ci è noto solo in ambito letterario, ma da una serie di testimonianze articolate.

A me sembra, al di là della ricostruzione del Musti sulla quale avremo modo di tornare oltre, che il culto di Atena Iliaca in area dauna resti in realtà ancora da spiegare almeno in alcuni aspetti e direi anzi ancora da verificare, soprattutto perché alla notizia manca un preciso contesto culturale di riferimento, data anche la sua unicità.

E’ evidente che Strabone, o chi per lui, ha presente tutta la tradizione relativa al culto del Palladio in Italia, che si presenta nelle parole dell’autore, come una sorta di stratificazione cronologica delle diverse attestazioni del Palladio in area italica. Lasciando da parte il problema di Lanuvio e Roma, troppo complesso per essere affrontato in questa sede di analisi, e quello di Siris, sul quale abbiamo già avuto modo di dire qualcosa, ci concentreremo sulla notizia relativa a Luceria, e all’esistenza in questa città di un Palladio. Rispetto a tutte le altre menzioni del medesimo culto, come si colloca cronologicamente questo lucerino?

Come ho accennato, il culto di Atena Iliaca menzionato sbrigativamente da Strabone in questa sintetica lista, è confortato da altre indicazioni di autori antichi, ed in particolare dallo Pseudo Aristotele, da Eliano, e da un altro passo di Strabone.

Quest’ultimo, parlando della Daunia e della sua storia, si concentra sulla serie di indizi lasciati da Diomede in quest’area, tra cui enumera anche le fondazioni di diverse città. La costruzione stessa del testo straboniano ci suggerisce come anche il nominato tempio di Atena (si noti senza epiteto, per cui cfr. infra) sia da considerare in questo novero: non solo perché, e questo è esplicitato, Diomede qui dedica alcuni antichi doni votivi, ma anche perché la menzione del tempio compare nel testo subito dopo

l’espressione kai; a[lla polla; deivknutai th`ı

Roma. Cfr. per le posizioni opposte a Musti, tra gli altri C. Ampolo, in C. Ampolo, M. Manfredini, Plutarco. Le vite di Teseo e Romolo, Milano 1988, pp. 266-267; T. P. Wiseman, Remus. A Roman Myth, Cambridge 1995, pp. 50-52; J. Martinez Pinna, Rhome: el elemento femenino en la fundaciòn de Roma, «Aevum» 71, 1997, pp. 79-102.

Diomhvdouı ejn touvtoiı toi`ı tovpoiı dunasteivaı shmei`a. Di solito, si ritiene che uno di questi indizi fosse costituito dagli ex voto di Diomede e dei suoi compagni, antichi come era antica la città di Luceria8. Tuttavia, ritengo che anche il santuario di Atena stessa in cui i doni votivi si trovano, possa essere considerato apporto della saga di Diomede in Daunia, a causa dello stretto legame che le fonti indicano concordemente tra Atena e Diomede.

A questo proposito, rivediamo la testimonianza 3, dallo Pseudo Aristotele: levgetai peri; to;n ojnomazovmenon th`ı Daunivaı tovpon iJero;n ei\nai jAqhna`ı jAcaivaı kalouvmenon, ejn w/| dh; pelevkeiı calkou`ı kai; o{pla tw`n Diomhvdouı eJtaivrwn kai; aujtou` ajnakei`sqai. jEn touvtw/ tw/` tovpw/ fasi;n ei\nai kuvnaı, oi} tou;ı ajfiknoumevnouı tw`n JEllhvnwn oujk ajdikou`sin, ajlla; saivnousin w{sper tou;ı sunhqestavtouı. Pavnteı de; oiJ Dauvnioi kai; oiJ plhsiovcwroi aujtoi`ı melaneimonouvsi, kai; a[ndreı kai; gunai`keı, dia; tauvthn, wJı e[oike, th;n aijtivan: ta;ı ga;r Trw/avdaı ta;ı lhfqeivsaı aijcmalwvtouı kai; eijı ejkeivnouı tou;ı tovpouı ajfikomevnaı, eujlabhqeivsaı mh; pikra`ı douleivaı tuvcwsin ujpo; tw`n ejn tai`ı patrivsi prouparcousw`n toi`ı jAcaioi`ı gunaikw`n levgetai ta;ı nau`ı aujtw`n ejmprh`sai, ijn’ a{ma me;n th;n prosdokwmevnhn douleivan ejkfuvgwsin, a[ma d’ou{twı [met’] ejkeivnwn mevnein ajnagkasqevntwn sunarmosqei`sai katavscwsin aujtou;ı a[ndraı.

Ancora una volta abbiamo a che fare con Diomede, coi suoi ex voto e quelli dei compagni, che in questo caso sappiamo essere delle armi, con un tempio di Atena Acaia localizzato in un luogo preciso della Daunia, non nominato dalla fonte (ma facilmente riconoscibile in Luceria, come già avanzato da

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Si noti l’insistenza della fonte sull’arcaicità di questi elementi, che sembrerebbe indicare nella tradizione un livello cronologico alto. Per questo problema, cfr. più diffusamente oltre.

Bérard9). Per quanto riguarda le altre indicazioni forniteci dal testo, verranno prese in esame successivamente.

Il parallelo con la notizia straboniana è stringente: la divinità è la stessa, il dedicante è il medesimo, come anche il contesto geografico e l’azione narrata (si tratta cioè di un momento religioso). Mi pare quindi che ci troviamo di fronte alla medesima notizia mitica, e che per questo motivo il luogo che nello Pseudo Aristotele resta anonimo, sia da identificare con la Luceria di cui parla esplicitamente, e per due volte sempre in connessione con un culto di Atena, Strabone10.

Nella stessa direzione ci spinge anche il passo di Eliano, De natura animalium, XI 5: ejn gh/` th`/ Dauniva/ new;n me;n ei\nai th`ı Aqhna`ı th`ı jIliavdoı a/[dousi: tou;ı de; ejntauqoi` kuvnaı trefomevnouı uJmnou`si tw`n me;n JEllhvnwn tou;ı ajfiknoumevnouı saivnein, uJlaktei`n de; tou;ı barbavrouı.

L’Atena Acaia dello Pseudo Aristotele, e quella senza epiteti di Strabone VI 3 9, si trovano contrapposte alla duplice menzione di Atena Iliaca, una di Strabone (VI 1 14), ed una di Eliano. Che il passo di Eliano faccia parte ancora una volta del filone diomedeo è plausibile per due motivi: prima di tutto perché è inverosimile che in Daunia ci fossero due culti di Atena distinti (e oltretutto, quello di Atena Iliaca dovrebbe trovarsi a Luceria, come indica Strabone), in secondo luogo perché ad unire tutte le testimonianze sopra citate è il particolare dei cani / uccelli intelligenti presenti nella regione, particolare che a sua volta viene inserito inequivocabilmente nel filone diomedeo da Strabone e dallo Pseudo Aristotele.

Si noti tuttavia che questo elemento ricorre in due varianti, comunque non contraddittorie: in Eliano e nello Pseudo Aristotele essi sono cani, e si comportano benevolmente solo verso i Greci. In Strabone invece sono

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J. Bérard, La Magna Grecia, Torino 1963, p. 359. Cfr. anche R. Beaumont, Greek influence in the Adriatic sea bifore the fourth century, in «JHellStud» 56, 1936, pp. 159-204, in part. 194-96 e Appendix II. Si noti tuttavia che Beaumont afferma che Luceria compare anche in Eliano, quando invece l’autore parla indiscutibilmente di Daunia, senza ulteriori specificazioni.

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In questo senso si muove anche la localizzazione del Torelli, il quale però propone per il culto di Atena Iliaca e quello di Cassandra, sul quale ci soffermeremo oltre, un’interpretazione totalmente differente da quella qui sostenuta. Per tutto questo, cfr. infra. Per la tesi di Torelli, cfr. M. Torelli, Aspetti storico-archeologici della romanizzazione della Daunia, in La civiltà dei Dauni nel quadro del mondo italico, Atti del XIII Convegno di Studi Etruschi e Italici, Manfredonia 1980, Firenze 1984, pp. 319-341, in part. 324-326.

uccelli, si trovano sulle isole diomedee, e sono ben disposti verso gli uomini giusti in generali. Tuttavia, al paragrafo 79, lo Pseudo Aristotele riporta la medesima versione del mito data da Strabone, dove appunto gli animali intelligenti sono uccelli, e non cani. Mi pare quindi che sostanzialmente il nucleo mitico delle tre testimonianze di riferimento (Strabone, Eliano, Pseudo Aristotele) sia il medesimo (al di là delle varianti individuate dal Nafissi11), e che in esso un ruolo di primo piano fosse rivestito proprio da Diomede.

Un’ulteriore e possibile discrepanza potrebbe essere l’alternanza di diversi epiteti in associazione ad Atena: in Strabone essa è prima Iliaca, poi senza epiteto, e si tratta sicuramente del medesimo culto, poiché è localizzato tutte

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