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1. L’analisi fin qui condotta rivela un’immagine per così dire “ancipite” del Sannio interno: da una parte infatti ne abbiamo riconosciuto il ruolo sovralocale, indicato immediatamente dal dato numismatico, e spiegabile in virtù delle direttrici commerciali che di là passavano; dall’altra invece abbiamo constatato il ritardo dello sviluppo urbano propriamente detto. La duplice facies di questa situazione è spiegabile, oltre che sul piano direttamente commerciale, anche in base ad alcune specifiche caratteristiche della società sannitica. Come avremo modo di vedere, una porzione di tale società è entrata in contatto con una delle città greche più importanti del sud Italia, e cioè Taranto.

Se anche ci fu un rapporto commerciale tra l’area apula e quella sannitica, non è a questo che è imputabile la particolare dinamica di acculturazione di chiara impronta greca che si attuò nel corso del IV secolo, determinata da motivi di ordine differente.

Il quadro sopra delineato in relazione alle vie commerciali che passavano per l’Italia centrale è la condizione su cui poggia un particolare processo di contatto e reciproca influenza, che di commerciale ebbe ben poco, tra Taranto e l’élite sannitica, e che si esplicita tramite oggetti che esulano dalla semplice trattazione dei commerci tra Sannio e Apulia. Dobbiamo quindi distinguere sin da ora tra contatti interetnici “accidentali” e contatti “consapevoli” e non spontanei.

Ad esempio, mentre la presenza di ceramica apula in area sannitica testimonia esplicitamente una relazione tra queste due zone, che avrà avuto senz’altro anche delle ripercussioni latamente culturali, esiste un altro tipo di materiale che per le sue stesse caratteristiche, intrinseche e di rinvenimento, necessita un inquadramento più complesso, che a sua volta ha le radici in una complessa situazione storica di interazioni tra realtà culturalmente differenti.

2. La tipologia stessa degli oggetti di bronzo, su cui ora ci soffermeremo, indica l’assoluta peculiarità del rapporto ipotizzato. Non si tratta infatti di

oggetti d’uso quotidiano, prodotti indifferentemente lungo tutta la penisola1, ma, come è stato già sottolineato, di oggetti di alta qualità

artistica, che hanno un determinato luogo di produzione ed una ristretta area di diffusione.

Le paragnatidi bronzee figurate2 sono oggetti estremamente rari, la cui produzione è collocata3 a Taranto, da dove poi sembrano essersi diffuse nell'Italia meridionale. Tuttavia, il fatto stesso che esse siano state rinvenute in numero considerevole solo a Pietrabbondante (un unico esemplare proviene da Palestrina4) e a Siris, dovrebbe far riflettere sull’effettiva diffusione di questa classe di materiali.

Anche tenendo conto della parzialità della documentazione disponibile, mi pare che i dati di cui siamo in possesso indichino una tendenza precisa della diffusione di tali paragnatidi.

Secondo La Rocca, vista la localizzazione degli elmi con paragnatidi figurate, è probabile che essi provengano proprio dall'ambiente adriatico, e più precisamente dall'Apulia (in particolare Taranto), e dall'Epiro (in particolare Dodona), da dove sarebbero giunti per esportazione fino a Pietrabbondante e Palestrina.

Su questa base, D'Agostino ha riconosciuto negli esemplari di Pietrabbondante delle affinità con il contesto culturale di Taranto; di qui l'attribuzione di questi ad officine tarantine.

Se anche è vero che ci fu un flusso commerciale che portò questi oggetti fino a Palestrina, è vero altrettanto che l'area di maggior diffusione (se non quasi unica) fu il Sannio, ed in particolare il santuario di Pietrabbondante, significativamente la Siritide. Un’aletta di elmo in bronzo sbalzato con raffigurazione della Vittoria, proveniente da Pietrabbondante, databile al IV

1

Si ricordino ad esempio vari oggetti metallici (fibule, bracciali, etc.) che sono stati attribuiti alla produzione etrusca. In questo caso si tratterebbe di oggetti d'uso quotidiano, non sempre attribuibili a determinate officine di produzione.

2

P. Wuilleumier, Tarente, des origines à la conquête romaine, Paris 1939. P. Wuilleumier, Le Trésor de Tarente, Paris 1930. B. D’Agostino, Pietrabbondante. Le paragnatidi del nuovo scavo, in Sannio. Pentri e Frentani dal IV al I secolo a. C., Campobasso 1980 Roma 1984, pp. 140-150. Vd. G. Tagliamonte, Dediche di armi nei santuari del mondo sannitico, in Formas e imàgenes del poder en los siglos III y II a. d. C.: Modelos helenìstcos y respuestas indìgenas, Madrid 2004, pp. 95-127, in part. p. 112; ivi ampia bibliografia specifica. Cfr. infra per quanto riguarda la descrizione delle paragnatidi.

3

Vd. da ultimo E. La Rocca, in Roma medio-repubblicana, Catalogo della Mostra, Roma 1973, pp. 287-288.

4

secolo (d 21, p. 1605), ed attribuita ad officina tarantina, trova un corrispondente del tutto simile in un esemplare proveniente da Ruvo, e quindi ancora una volta in Puglia.

Abbiamo dunque per questa produzione (documentata in Puglia, a Pietrabbondante e a Palestrina) una serie di elementi ricorrenti: la datazione, che si colloca entro diversi periodi del IV secolo, i motivi decorativi- figurati, e la possibile area di produzione e provenienza.

Per quanto riguarda le paragnatidi figurate, vorrei sottolineare la persistenza del mito di Ercole, che, in varie forme ed episodi, ritorna in molti degli esemplari noti, e che conferma l’omogeneità caratteristica di questo piccolo gruppo di esemplari.

Confrontando questi particolari oggetti con altri esempi bronzei provenienti dal Sannio in senso lato, vediamo immediatamente che ci troviamo di fronte a dei casi assolutamente unici, sia per qualità che per diffusione.

Se prendiamo ad esempio i dischi-corazza, o i famosi cinturoni sannitici, (per rimanere nel campo delle armi), i luoghi di provenienza, come le aree di attestazione, si fanno più generici, e vengono attribuiti o ad officine etrusche (nel caso di esemplari rinvenuti in Italia centro settentrionale), o a produzioni sparse per tutta la penisola.

Come nel caso della tipologia degli Ercole in assalto, che ha una diffusione larghissima e di cui è impossibile definire l'esatta area di provenienza6, anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una classe di materiali che ha senz'altro delle varianti, ma che è anche troppo attestata per ritenerla peculiare di una zona specifica.

Bottini, nella pubblicazione di due cinturoni provenienti da Melfi, sottolinea la larghissima diffusione di armature bronzee di vario tipo lungo tutta la penisola, in particolare nell'area interna laziale, quella medioadriatica, fino ad arrivare alla Lucania. Lo studioso, a proposito della "vastissima diffusione cronologica e topografica" anche dei motivi decorativi che

5

Schede tratte da Samnium. Archeologia del Molise, Roma 1990. Cfr. infra.

6

Nonostante quanto afferma Valenza Mele a proposito della sua diffusione a partire dalla Campania. Se anche è vero che il culto di Ercole ha la sua prima attestazione in Campania, in un ambiente comunque fortemente grecizzato, è altrettanto vero che, dati i caratteri che il culto dell'eroe assume nella penisola, e data la sua larghissima fortuna (che si manifesta in forme cultuali complesse), è difficile che esso abbia avuto un unico canale di diffusione. Per tutto questo, cfr.infra. Cfr. B. D'Agostino, in Sannio. Pentri e Frentani dal IV al I secolo a. C., Roma 1980, p. 132, tav. 8. A. Bottini, Cinturoni a placche dell’area melfese, «AION»(Archeol) V, 1983, pp. 33-63, p.44. Vd. anche A. Bottini, Gli elmi apulo – corinzi: proposta di classificazione, «AION»(Archeol) XII, 1990, pp. 23-37.

contraddistinguono molti dei cinturoni ed elmi noti, riconosce l'inutilità dell'individuazione di precedenti per gli esemplari di cui si occupa.

Per spiegare in che modo i due cinturoni a placche siano giunti nell'area melfese, Bottini ipotizza un itinerario che, partendo dall'area capenate (a cui è attribuita un'importante produzione di questi oggetti), attraversa l'area medioadriatica, fino all'Apulia, per poi giungere in Lucania. L'itinerario è ricostruito tenendo conto delle diverse attestazioni note di questa classe di materiali, tra cui anche un esemplare rinvenuto a Pietrabbondante ed uno proveniente da Villalfonsina.

Non è certo questo il luogo dove affrontare la vastissima documentazione archeologica e l'altrettanto vasta letteratura moderna sul problema, che trova un suo capostipite in von Duhn7 (che vede in questa classe di oggetti un'espressione tipica dell'arte italica), ed un punto irrinunciabile in Rebuffat8, che compie una prima raccolta di cinturoni sannitici. Tuttavia, rimando al lavoro recente della Suano (che costituisce una revisione e arricchimento delle tipologie di cinturoni dalla studiosa proposte in due lavori precedenti), dove, grazie ad un'immagine cartografica, è possibile avere un quadro immediatamente visibile della diffusione geografica di cinturoni bronzei. Sempre secondo la studiosa (che in questo si pone contro l'interpretazione tradizionale, ribadita ancora dalla Romito) è da rifiutare l'attribuzione dei cinturoni bronzei alla sfera militare, così come sarebbe inaccettabile l'equivalenza cinturone- simbolo di ricchezza. Esaminando i contesti di rinvenimento di molti dei cinturoni fino ad oggi pubblicati, la Suano indica la possibilità che questo oggetto abbia gradualmente perso la sua originaria valenza militare, giungendo ad essere un semplice "indumento sociale", distintivo dell'appartenenza ad un gruppo etnico in senso lato, e non ad una classe guerriera. Non scenderemo nei particolari della ricostruzione proposta dalla Suano, poiché la tipologia del cinturone esula dalla nostra ricerca (anche perché come si è detto, e come ha ribadito la Suano, è impossibile dare un quadro ragionato della diffusione di questo oggetto, se non rimanendo nel campo delle ipotesi).

Nella nostra ottica infatti è sufficiente, e necessario, avere un'idea della larga diffusione di questo tipo di oggetti, per mettere in risalto per contrasto la

7

F. von Duhn, Italische Graeberkunde, Bd. 1, Heidelberg 1924, p. 563.

8

scarsa attestazione degli elmi figurati rinvenuti a Pietrabbondante e nella Sritide.

Il cinturone bronzeo, oggetto tradizionalmente legato alla sfera militare (ma non per la Suano) come presumibilmente l'elmo figurato, ha avuto un’adozione su grande scala, mentre l'elmo figurato si ritrova solo a Pietrabbondante. E' evidente che deve essere esistita una distinzione di significato che ha reso l'elmo figurato un oggetto assolutamente raro, e, si potrebbe dire, prodotto in un determinato contesto e per un preciso scopo9. La mancata attestazione dell'elmo figurato deve essere vista anche come specifica diffusione in un'area ristretta, per la cui popolazione (o parte di essa) l'oggetto è stato prodotto10.

Direi anche che, dato il repertorio rappresentato sulle paragnatidi (fatto di Vittorie, Ercole e Nereidi), questa classe di oggetti conservò senz'altro la sua valenza militare. Se anche il cinturone, come ipotizza la Suano, assunse un valore diverso da quello guerriero, né rappresentò più un simbolo di ricchezza e differenziazione sociale, l'elmo figurato, di produzione estera rispetto al luogo di dedica, e soprattutto proveniente da officine di alto livello, dovette possedere una valenza sia militare che sociale (nel senso di segno distintivo); in particolare, l’apparato iconografico adottato, fatto di scene di battaglia, Vittorie e Nereidi, indica inequivocabilmente l’orizzonte culturale in cui tali oggetti vanno considerati.

Se accettiamo l’ipotesi della Suano, è interessante vedere come la valenza militare rimanga associata senz’altro a degli oggetti rari e molto particolari, mentre venga meno in quelli di più ampia diffusione, sia geografica che sociale (si ricordi che il cinturone si ritrova in ambiti funerari anche di poco conto, mentre le paragnatidi figurate devono essere espressione di una parte ben precisa della società).

Dobbiamo poi tener presente anche il contesto di rinvenimento di queste paragnatidi, trovate insieme ad elmi del tipo attico-calcidese; quest’ultimi hanno un’ampissima diffusione in Italia meridionale, e che solitamente vengono attribuiti ad officine etrusche.

9

Sul problema della destinazione ultima di questi oggetti, se cioè fossero bottino di guerra o ex voto richiesti ad officine particolari, cfr. infra.

10

La difficoltà più grande, e contemporaneamente l’aspetto più interessante della questione, consiste nel capire se l’area di prima diffusione sia da identificare con l’area di produzione, o piuttosto con la zona in cui tali oggetti sono stati rinvenuti.

Il Coarelli11 ha cercato di mettere ordine all'interno del corpus di elmi provenienti da varie zone dell'Italia, mediante una classificazione che andasse oltre rispetto alla tradizionale suddivisione tra il tipo c.d. gallico ed il tipo c. d. attico calcidese. Non scenderemo in merito alla questione (in realtà molto complessa perché ricca di varianti rispetto alle quattro tipologie individuate dallo studioso), ma è necessario sottolineare che a Pietrabbondante sono attestati i diversi tipi di elmi, per i quali è possibile ipotizzare diverse zone di provenienza. Ciò fa risaltare ancora di più la situazione degli elmi figurati, di provenienza comune.

L'eterogeneità delle tipologie, ed insieme delle possibili aree di produzione, costituisce un dato in netto contrasto con quanto possiamo dire a proposito delle paragnatidi figurate. Il Coarelli concentra l'analisi sulla classe degli elmi c. d. gallici, per i quali non è noto alcun esemplare con paragnatide decorata, né tantomeno figurata. E' piuttosto dell'elmo attico calcidese la paragnatide figurata, anche se, come è stato fatto notare da D'Agostino, non per tutte le paragnatidi figurate provenienti da Pietrabbondante è attestata una correlazione certa con un elmo. In base a questa constatazione è stata avanzata l'ipotesi che tali oggetti costituissero degli ex voto di per sé, non essendo mai stati utilizzati, né associati ad elmi12.

C'è poi un altro fattore da indicare: mentre i cinturoni e gli elmi si attestano in ambito sia funerario (maggiormente), sia santuariale (in misura ridotta), così come l'elmo figurato da Palestrina, il gruppo più consistente di elmi figurati proviene proprio da un contesto santuariale, oltretutto di particolar importanza e significato.

Questa brevissima analisi delle due classi di materiali più strettamente associate a quella delle paragnatidi figurate ha lo scopo di mettere in risalto l'assoluta peculiarità di quest'ultima. Sebbene l'analisi ad esempio dei cinturoni sannitici, o degli elmi gallici, potrebbe dar luogo a sviluppi interessanti per il nostro problema, in questo momento questi due argomenti dovranno restare al livello di tema enunciato all'interno di una problematica più ampia, che potrebbe però supportare quanto stiamo dicendo a partire da altri dati. Il risultato che dobbiamo tener presente nella nostra analisi è la

11

F. Coarelli, Un elmo con iscrizione latina arcaica dal Museo di Cremona, in L’Italie préromaine et la Rome républicaine. Mélanges Heurgon, Roma 1976, pp. 157-179.

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discrepanza che si viene a formare tra un tipo di oggetti (ad esempio elmi o cinturoni bronzei), ed una specifica classe di materiali. La differenza fondamentale tra di essi si connota in particolare come specificità delle paragnatidi figurate, oggetti di alto valore simbolico e provenienti da un complesso contesto culturale.

4. Ritorniamo dunque ad analizzare da vicino le paragnatidi di produzione tarantina rinvenute nel santuario di Pietrabbondante e nel territorio di Siris (come si è detto, in quest’ultimo caso è impossibile definirne l’esatta provenienza).

Si è detto che per motivi iconografici, è possibile avvicinare questo gruppo di testimonianze ad officine tarantine. La Rocca indica oltre agli esempi di Pietrabbondante anche un esemplare proveniente da un contesto funerario di Palestrina. In area italica, abbiamo un'altra paragnatide figurata, proveniente da Pontecagnano, citata giustamente da La Regina come parallelo rispetto agli esemplari di Pietrabbondante. L’esemplare di Pontecagnano, anch’esso proveniente da ambito funerario, si differenzia dagli altri casi noti proprio per il motivo decorativo (che costituirebbe invece per La Regina l'immediato trait d'union tra i due contesti): nei casi di Pietrabbondante o di Siris infatti, come in quello isolato di Palestrina, sono rappresentati, come si è detto, o scene mitiche (ad esempio estratti dall'Amazzonomachia), o figure simboliche, come Nereidi con armi (il riferimento al mondo guerriero è evidente), o Vittorie.

Nel caso di Pontecagnano invece è rappresentato un cavallo, il che, pur costituendo un possibile simbolo militare, non è immediatamente avvicinabile agli altri esempi noti.

D'altra parte, anche se appartenesse alla medesima produzione ed alla medesima temperie culturale, il discorso che stiamo impostando a proposito di Pietrabbondante, o di Siris, non ne risulta affatto modificato. Prima di tutto perché rimaniamo in aree latamente sannitiche, e poi perché i casi di Pietrabbondante e di Siris, grazie alla ricchezza quantitativa di paragnatidi rinvenute, conservano un ruolo di primo piano. A Pontecagnano e a Palestrina infatti abbiamo solo un esemplare (proveniente oltretutto da contesto funerario), a testimoniare una diffusione davvero episodica e forse

non significativa. Il fatto invece che un gran numero di questi oggetti provengano da due aree, e certamente almeno in un caso da contesto santuariale, indica una situazione molto più complessa, che si traduce in un flusso culturale continuo e più spiccato.

Confronti di carattere stilistico sono stati avanzati tra queste paragnatidi e degli oggetti bronzei, forse paragnatidi, da Siris, dove ritornano delle scene di Amazzonomachia che ancora una volta vengono attribuite ad officine tarantine.

L'esistenza a Siris di oggetti che richiamano stilisticamente ed iconograficamente le nostre paragnatidi è senz’altro spiegabile anche con la vicinanza geografica tra Taranto e la città. Tuttavia, si noti che solitamente si ripete che la somiglianza si esaurisce sui due piani sopra citati, e non sul significato intrinseco, né sul possibile uso concreto, delle due classi documentarie. La vicinanza a Taranto poi non è di per sé un dato significativo: essa infatti vale solo nel caso della Siritide, e non può essere chiamata in causa per Pietrabbondante. Bisogna invece delineare l’esatto contesto storico che fa da sfondo alla situazione così come i dati ce la presentano.

Il fatto stesso che si tratti (ma non certamente, poiché potrebbero essere anche altri elementi dell’armatura, forse legacci per le spalle) di paragnatidi13, può indicare non solo un’ovvia somiglianza d’uso, ma anche un parallelo significato simbolico, che dovrebbe essere ricercato proprio nella quantità assolutamente peculiare di paragnatidi da Pietrabbondante, e nel ritrovamento di elementi simili proprio a Siris, nella sfera tarantina.. Per quanto riguarda il contenuto delle rappresentazioni, dobbiamo comunque sottolineare che questo gruppo di rilievi da Siris ha come tema prevalente quello dell’Amazzonomachia, e, attraverso l’Amazzonomachia di Eracle, si lega al ricco repertorio iconografico relativo a questo eroe (che però nei bronzetti si limita a poche varianti).

Ancora una volta, l’omogeneità di queste rappresentazioni ci spinge a verificare l’esistenza di un quadro culturale comune.

E’ significativo che la Siritide abbia avuto stretti rapporti con Taranto, come ci testimoniano le fonti letterarie. Non solo i Tarantini vi stanziarono una

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colonia (insieme ai Turini, secondo la notizia di Strabone, risalente probabilmente ad Antioco), ma sappiamo anche della convergenza di interessi tra Taranto e la popolazione italica stanziata nell’area, in relazione alla spedizione achea.

Le paragnatidi (o spallacci) provenienti da Siris (di cui sfortunatamente non sappiamo il contesto di rinvenimento) vanno dunque a collocarsi in un’area posta sotto il forte influsso di Taranto, e per la quale la potente città nutrì degli interessi; questo dovrebbe far riflettere sulla contemporanea presenza di oggetti simili a Pietrabbondante.

Sia che essi avessero la funzione di ex voto, sia che fossero invece del bottino di guerra, dedicato poi nel santuario, resta il fatto che, tra la fine del V e la metà del IV, ci furono dei contatti molto stretti (pacifici o bellici) tra Taranto ed i Sanniti Pentri.

Si pone il problema di capire se tali oggetti siano stati davvero utilizzati in guerra, o se piuttosto fossero armi da parata. Secondo Tagliamonte, si tratterebbe in realtà di un falso problema, poiché “sembra di poter affermare che con tutta probabilità le paragnatidi anatomiche a decorazione figurata circolassero separatamente, o perlomeno anche separatamente dagli elmi (suditalico – calcidese e. forse, calcidesi),cui dovevano o potevano essere associate, conferendo loro pregio e prestigio. E’ peraltro possibile che esse sostituissero, anche in via temporanea, le paragnatidi effettivamente utilizzate in guerra, perlomeno in quelle occasioni di carattere cerimoniale che prevedevano l’ostentazione di armi da parata14”. Sono d’accordo con Tagliamonte sia per quanto riguarda l’alta probabilità che “quelle dedicate nel santuario di Pietrabbondante siano anche armi proprie, appartenute a guerrieri sanniti, e non solo prede di guerra15”. Peraltro, anche lo studioso propende per una datazione alla seconda metà del IV secolo, inizi III, delle paragnatidi16.

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Vd. G. Tagliamonte, Dediche di armi nei santuari del mondo sannitico, in Formas e imàgenes del poder en los siglos III y II a. d. C.: Modelos helenìstcos y respuestas indìgenas, Madrid 2004, pp. 95-127, in part. p. 112; ivi ampia bibliografia specifica.

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Tagliamonte, Dediche di armi, p. 116, nt. 39. E’questa un’interpretazione che va contro quando ipotizzato da A. La Regina, Aspetti istituzionali nel mondo sannitico, in Sannio. Pentri e Frentani dal IV al I secolo a. C., Atti del

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