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AI CARI ALUNNI CHIERICI, STUDENTI DI FILOSOFIA

SULL’EDUCAZIONE E LA SCUOLA

3. AI CARI ALUNNI CHIERICI, STUDENTI DI FILOSOFIA

Ed. a stampa in Francesco cerruti, Ai cari alunni chierici studenti di filosofia, in iD., Disegno di storia della letteratura italiana ad uso dei licei. Torino, Tipografia Salesiana 1887, pp. 5-15.

Dedico a voi questo breve Disegno di storia della letteratura italiana, di cui mi richiesero i vostri ottimi professori, e ve lo dedico volontieri come at-testazione d’affetto e come adempimento di parte del mio dovere. Veramente, quando io ne feci loro promessa, giudicava la cosa assai meno difficile e labo-riosa di quello che sperimentai all’atto.

Io aveva già un brevissimo compendio manoscritto di storia letteraria ita-liana, quello stesso che anni sono dettava e spiegava ai miei alunni del liceo di Alassio96, a fine di abilitarli alla licenza liceale.

Pensava quindi che non vi fosse altro a fare che consegnarvi quel povero manoscritto con lievi mende e poche aggiunte. E certo, ove si fosse solo tratta-to di esame, avrei potutratta-to contentarmi di questratta-to, giacché, fatta astrazione dalla parte puramente bio grafica, quel compendio soddisfaceva, pur nella sua brevi-tà, alle prescrizioni del programma liceale governativo. Del che son prova (e posso ben parlarne, giacché si tratta di fatto notorio) gli eccellenti risul tati che quegli alunni ne ottennero ripetu tamente agli esami di licenza liceale.

Ma l’esame è desso tutto? Non vi è qualche cosa che oltre all’esame e più dell’esame importi particolarmente al giovane studente? Voi stessi mi rispon-derete su bito di sì. Ho quindi creduto mio dovere aver contemporaneamente innanzi a me questa qualche cosa di tanta eccellenza e necessità, e che, come ben sapete, consiste in ciò, che l’insegnamento, orale e scritto, si indirizzi alla formazion del carattere, al governo della vita. L’esame ha certo il suo valore, ma un valore relativo; è principio, non meta della carriera sociale; è un mezzo, un canale, se così posso dire, che apre la via, ma non è la via stessa. Bisogna adunque che chi insegna, mentre prepara all’esame (e deve porre in questo coscienziosamente tutta l’operosità ed intelligenza sua), non dimentichi mai il dovere che ha, dovere principale, gravissimo di preparare ancora e sopratutto alla vita.

Ma questa vita non è solo umana, ma cristiana, o piut tosto l’uno e l’altro, poiché l’uomo è inseparabile dal cristiano, o meglio, secondo la vera ed espres-siva frase di Tertulliano, è naturalmente cristiano. Dunque l’inse gnante deve nell’opera sua importantissima tener conto di questa natura umano-cristiana, che è nel suo alunno, deve coltivarla questa natura, e non già secondo i propri

96 Alassio: comune della provincia di Savona.

capricci, ma a norma delle leggi che il Creatore sapientissimo vi ha poste, e far sì che con l’esercizio razionale delle sue facoltà l’alunno acquisti atti umano-cri stiani, e dalla ripetizione di questi atti quegli abiti di virtù soda, profonda, vigorosa, in una parola cristiano-cattolica davvero e non solo alla superficie.

Chi opera diversamente, non educa, ma guasta; non edi fica, ma distrugge; non esercita, ma tradisce la sua missione.

Le quali cose, se sono applicabili a tutti gl’insegnanti, lo son tanto più a noi, che ne abbiamo un dovere tutto speciale, poiché esse costituiscono la base e la sostanza di quel sistema educativo-didattico, che ci lasciò l’amatissimo nostro don Bosco. E qui permettetemi che vi parli colle parole di uno dei vostri migliori insegnanti, che Dio benedetto pigliava con sé, or son pochi mesi, ma la cui memoria sarà sempre in benedizione presso di noi. Parlo del prof. don Nespoli97, che in alcune memorie autobiografiche, trovate poco fa tra le sue carte confidenziali, così lasciava scritto il 21 novembre 1885, proprio in quella che stava per recarsi costì fra di voi: “Nel concetto di don Bosco scuola e chiesa son due idee, che si compiono a vicenda; la scuola deve coadiuvare la chiesa, il professore deve aiutare il sacerdote, il confessore; la scuola diventa così l’atrio del tempio, come di fatto nel Medio Evo era negli atri delle chiese, che sorsero le prime scuole sotto la direzione dei vescovi. In questo modo sì che si può dire la scuola il luogo più sacro dopo la chiesa, ed è veramente. A me, seguita egli il vostro professore, quando ci rifletto, pare che tra scuola e chiesa corrano quelle relazioni che tra ragione e fede, tra scienza e dogma, ché una è fonda-mento dell’altra, e questa è corona della prima; non sono opposte, ma fatte per compiersi. La scuola è il luogo dove predomina l’opera della ragione, ma illu-minata dagli splendori della fede; nella chiesa, regna la fede, ma è servita dalla ragione. La scuola deve condurre alla chiesa, la ragione alla fede, il paganesi-mo al Cristianesipaganesi-mo, il classicispaganesi-mo al Vangelo. Se non fosse così, tradisce la sua missione: se si separa, o peggio si pone dirimpetto alla chiesa come rivale e nemica, distrugge non edifica. Allora il giovane si sente scisso in se stesso, l’uomo dal cristiano, il pensatore dal credente, la creatura, dal Creatore, Adamo da Cristo. Allora, nel cuor del giovane lottano come due forze nemiche, scuola e chiesa, pietà e studio”.

Sapienti parole che desidero non dimentichiate giammai, siate giovani o vecchi, scolari od insegnanti; parole che ci compensano in parte della perdita, che abbiamo fatto, giacché per esse ben meditate e praticate il nostro don Ne-spoli continua anche dopo morte la missione sua nobilissima della santificazio-ne della scuola: per illam defunctus adhuc loquitur (1).

97 Giovanni Nespoli (1860-1886), sacerdote salesiano; cf Giovanni Nespoli: memorie autobi‑

ografiche (1885), in P. stella, Don Bosco nella storia economica e sociale…, pp. 481-493.

Dichiarato così lo scopo, che mi proposi con questo Disegno, di abilitarvi cioè all’esame ed in pari tempo nell’insegnamento della letteratura, guardare costantemente alle massime del Vangelo e ai precetti della mo rale cattolica, aggiungerò poche cose sul modo tenuto nell’esecuzione. Non intendo qui eri-germi a censore, ma è noto a tutti che uno dei difetti caratteristici della maggior parte dei libri, che corrono per le scuole, è il far poco o niun conto dei principi;

si dice, si narra, si analizza, si applica, ma raramente si assorge alle regole fon-damentali, ai principi costitutivi, alla base insomma, ed all’essenza delle cose.

Pigliate in mano parecchie delle storie, distese o compendiate, della let-teratura italiana, e voi arriverete alla fine senza neppur trovarvi la definizione (parlo della definizion filosofica, non descrittiva, né nominale) della letteratura e della lingua, senza sapere se e dove stia la differenza fra l’una e l’altra, quale sia il carattere, quali le origini d’ognuna di esse. E poi perché nello stabilir i periodi della storia letteraria far così poco conto della storia civile? Perché nei giudizi sorvolare così leggermente sulle ragioni del vero, dell’onesto, del buono, come se lo scrittore non fosse anche uomo? E che? I letterati risiedono forse fuori della carta geografica? Non vivono essi della vita, non hanno essi i doveri degli altri uomini?

Or ben vedete, o cari giovani, che questo difetto è gravissimo sì per se stesso, come nelle sue conseguenze. Io quindi, nell’intento di evitare possi-bilmente questo errore, omessa la parte puramente biografica, che d’altronde troverete premessa ai singoli autori che vi si spiegano, mi proposi in modo par-ticolare di chiarir bene i concetti di letteratura e di lingua, rilevarne, il meglio che seppi, il carattere rispettivo, fondarmi nel determinar i diversi periodi lette-rari sulla storia civile, di cui la letteratura è, o almeno dev’essere, il riverbero, e le qualità estetiche degli scrittori apprezzare alla stregua delle massime del Vangelo e della morale cattolica. Se vi sia riuscito, non lo so; so però d’averne sentito il desiderio e il bisogno, che certo è già buona cosa.

Mi son pure adoperato per esser chiaro, ma (lo confesso apertamente) di quella chiarezza che va congiunta all’efficacia ed alla precisione. Del resto, se in qualche punto sembrerò, come suol dirsi, difficile, non so né manco pentir-mene, giacché que sto vi obbligherà di più a riflettere, il che è gran guadagno.

Pur troppo uno dei difetti, che nuocciono maggiormente al progresso vero del-la scuodel-la, è il coltivar eccessivamente l’immaginativa a scapito e detrimento della facoltà riflessiva. Di qui deriva, quell’abisso, che incontra, il giovane fra il ginnasio ed il liceo, fra le lettere e le scienze, sicché entrato in 1a liceale si trova come in un mondo nuovo. Me ne appello ai professori di filosofia e di matematica.

Or questo è male, e male ben grave, non solo per gli studi, ma per la vita.

Imperocché il giovane abituato per tal modo a lavorar di fantasia, di senti-mentalismo, anziché di raziocinio e dì riflessione, piglia a poco a poco quel

carattere leggiero, floscio, superficiale, vago, per cui voi lo vedete prima saltel-lar cianciando di cosa in cosa senza approfondirne alcuna, poi, sopraggiunti i primi urti, le prime tentazioni, sprovveduto com’è di vere cognizioni e di sodi principi, smarrirsi e cedere, e di piissimo tramu tarsi assai spesso in demonio.

O mio Dio! Quanti giovani di belle speranze si perdet tero e si perdono tuttora con questo irra zionale sistema di studi! Non voglio già dire che se ne debbano fare tanti accigliati filosofi; no mai. Quello che dico, raccomando e ripeterò finché io viva, è che nell’uomo, per sapientissima disposizione di Dio tutto è uno, armonico, proporzionato, e che l’educazione delle sue facoltà deve bensì variare a seconda del loro sviluppo e della diversità degli oggetti cono-scitivi, ma in modo che, pur primeggiando or questa or quella, le altre abbiano contemporaneamente il loro conveniente esercizio e non già se ne stiano as-sopite, inoperose. Solo per tal modo si potrà ottenere quell’educazione piena, soda, omogenea, vera in una parola, che varrà a far dell’alunno, qualunque sia la sua carriera sociale, un uomo nel senso reale della parola, studente e cristia-no, pensatore e credente. Solo per tal modo si potrà con seguir quel fine supre-mo dell’educazione, che è con lo Schwartz98 e con tutti i savi il ripristinamento dell’immagine di Dio nell’uomo.

Al Disegno ho fatto seguire un Ragionamento sul Cristianesimo e la Sto-ria 99, di cui uscì da un mese la prima edizione. E ciò sì per secondare le do-mande di molti, come sopratutto perché sappiate anche voi qual debba essere la storia, quali i benefìzi ricevuti dal Cristianesimo e quali per contrapposto le ingratitudini di parecchi storici, quali infine le benemerenze del clero nelle scienze e nelle lettere. Né questa, ap pendice parrà inopportuna, ove per poco riflettiate come la storia sia quella che con l’eloquenza, costituisce il nerbo e la sostanza della letteratura prosastica, e come di tante opere letterarie sol nella storia si trovi la ragione ed il commento.

Ed ora finisco, che è tempo. Dio bene dica, questo povero mio lavoro e faccia sì che abbia a recar qualche vantaggio a voi e a quanti altri lo leggeranno.

(1) S. Paolo, Hebr. XI, 4.

98 Schwartz] Svhartz // Friedrich Heinrich Cristian Schwartz (1766-1837), pedagogista tede-sco; cf lo scritto di Cerruti: Il cuore di Gesù e don Bosco (1907).

99 Cf Francesco cerruti, Il Cristianesimo e la storia. Ragionamento, in iD., Disegno di storia, pp. 73-95; Francesco cerruti, Il Cristianesimo e la storia. Ragionamento. Torino, Tipografia Sale-siana 1887, p. 23.