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per aiutare le donne vittime di violenza

Nel documento Relazione conclusiva (pagine 59-62)

“Se mi separo devo cambiare lavoro, perché faccio i turni e non ho nessuno che mi guardi il bambino la domenica o di notte”. “Non riesco più a dormire, né di giorno né di notte”. O, ancora, “lei vuole che mi ricordi fatti che sto cercando di dimenticare...”.

Sono solo alcune delle frasi che si sentono ripetere gli assistenti sociali del “Cissaca”

(Consorzio intercomunale dei servizi socio assistenziali dei Comuni dell'Alessandrino) che, fino all'apertura del Centro di ascolto “Me.Dea”, hanno rappresentato la principale rete di accoglienza delle donne vittime di violenza. In totale 180 le donne che hanno denunciato questo problema dal 2004 al 2008 nel territorio di competenza del consorzio, diretto da Laura Mussano, che insiste su un territorio che comprende 23 Comuni e 123.398 abitanti.

Le donne vittime di violenza che si sono rivolte agli sportelli del consorzio (solitamente per spontanea volontà, su segnalazione dei vicini di casa, o su decisione dell'autorità giudiziaria) sono aumentate negli anni, come si nota dal trend: 18 nel 2004 (di cui 6 italiane e 12 straniere), 19 nel 2005 (13 italiane e 6 straniere), 33 nel 2006 (13 italiane e 20 straniere), 56 nel 2007 (23 italiane e 33 straniere), 54 nel 2008 (26 italiane e 28 straniere), per arrivare, appunto, ad un totale di 180 vittime in 5 anni, di cui 81 italiane e 99 straniere.

La tipologia di violenza presa in considerazione è varia: nel numero sono infatti compresi atti violenti di vario tipo (non solo sessuale), sia all'interno della famiglia sia fuori, oltre a casi collegati allo sfruttamento della prostituzione. Da questa classificazione emerge come i casi più diffusi, nell'ambito dell'esperienza degli assistenti sociali del consorzio, siano la violenza all'interno delle mura domestiche (68,89%) e gli atti legati allo sfruttamento della prostituzione (13,33%). Per quanto riguarda la provenienza, invece, i gruppi etnici più rappresentati sono quelli italiano (45% delle vittime di violenza), seguito a distanza da quello marocchino (18,89%) e dal quello albanese (11,67%).

Ampio e complesso il discorso che si può fare riguardo all'attività svolta dagli operatori del consorzio negli ultimi anni. Molto impegnata in questo ambito è Cinzia Spriano, assistente sociale della sede di Spinetta Marengo. “Come Consorzio – spiega – siamo a disposizione per l'accoglienza e il primo ascolto in maniera capillare sul territorio, quindi siamo disponibili ad accompagnare le donne che si rivolgono a noi per sbrigare le procedure amministrative, legali e mediche (ad esempio andiamo in questura per la denuncia, al Consultorio o al Pronto soccorso per un controllo medico). Se necessario, poi, organizziamo colloqui con i mediatori culturali, mandiamo le vittime di violenza ai servizi specializzati del territorio quando abbiamo di fronte donne affette da patologie psichiatriche o tossicodipendenti, e ci attiviamo per l'inserimento occupazionale. Inoltre promuoviamo un servizio di accoglienza abitativa per mettere al sicuro quelle donne che rischiano l'incolumità dopo aver denunciato il proprio aggressore”. Rispetto al lavoro di rete e al reperimento delle risorse per portare avanti i servizi, poi, il Consorzio partecipa al Tavolo provinciale “Vittime di violenza” e ai bandi promossi da vari Enti, in particolare dal Dipartimento delle Pari opportunità della Regione e della Provincia.

Diversi i risultati ottenuti dopo che le donne partecipano al colloquio preliminare. “Alcune – continua Cinzia Spriano - denunciano il proprio aggressore allontanandosi definitivamente da lui. In questo caso il consorzio cerca un nuovo domicilio per non far correre loro dei rischi, inserendole solitamente in appartamenti protetti sotto la guida di educatori

Altre, invece, decidono di interrompere il percorso, mantenendo o meno i contatti con l'operatore. Alcune, per esempio, maturano in seguito la decisione della denuncia perché prima vogliono confrontarsi con altre persone e riflettere sul futuro personale e dei figli.

Insomma, ogni donna reagisce in modo diverso. Ognuna elabora una strategia di adattamento in grado di rendere la vita meno dolorosa. Alcune, per esempio, cercano di dimenticare, altre di conviverci senza pensarci, altre di superare il ricordo e di pensare ad un futuro diverso.

“Riconoscersi vittima è necessario - sottolinea Cinzia Spriano – dato che, finché non succede, non si può passare alla fase successiva. In questo ambito, condividere l'esperienza con chi ha già vissuto lo stesso trauma può essere un sostegno fondamentale. Sarebbe quindi interessante favorire lo sviluppo di un gruppo di auto – mutuo aiuto”.

Diverse sono poi le difficoltà che emergono, a vari livelli, in questo ambito. “Per quanto riguarda le vittime – indica Cinzia Spriano – sottolineo senz'altro il silenzio quando manca la rete di sostegno (a livello culturale, di solidarietà, di empatia con gli operatori sociali, o ancora a livello economico e di sicurezza); la difficoltà nel denunciare un familiare, e la non riconoscibilità sociale della violenza. Difficoltà che aumentano quando manca una rete di protezione vera (amicale o familiare), come dimostrano alcuni casi di cronaca”.

A livello organizzativo, invece, incidono negativamente la complessità delle relazioni istituzionali e il sovraccarico di lavoro degli operatori sociali.

Per contro esistono vari punti di forza, tra cui la professionalità degli operatori (che, tra l'altro, dal 2008 possono contare su una formazione collettiva, la strategia e la flessibilità d'intervento, i buoni rapporti del consorzio con le istituzioni del territorio, che consentono un lavoro di rete, la relazione di fiducia tra gli assistenti sociali e le donne.

“Gli operatori e i volontari delle associazioni del territorio – conclude Spriano – sono probabilmente le rare persone con cui le donne si sentono tranquille, con cui possono mostrarsi in sincerità, con il loro passato e il peso che devono portare. Una sensazione ben riassunta da una donna che si è rivolta a noi affermando: “Quando vengo al servizio nessuno mi guarda con cattiveria””.

Nel documento Relazione conclusiva (pagine 59-62)