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L’Albania nella strategia italiana di stabilizzazione dei Balcani occidentali

Nell’odierna strategia internazionale dell’Italia l’obiettivo della stabilizzazione dei Balcani occidentali conferma il suo carattere prioritario. Il Gruppo di riflessione strategica del Ministero degli Affari Esteri, creato durante il governo Prodi con l’incarico di individuare le priorità dell’azione internazionale dell’Italia, ha ribadito il concetto in modo chiaro: “la stabilità dei Balcani occidentali costituisce una priorità strategica per l’Italia. Se i Balcani non verranno stabilizzati, saranno l’Italia e l’Europa ad esserne destabilizzate. […] Serbia e Albania sono due attori centrali, anche perché punto di riferimento delle principali minoranze presenti negli altri Stati della regione: il loro riavvicinamento all’Unione Europea e alla NATO dovrà essere accompagnato, nella visione dell’Italia, dalla capacità di assumere comuni responsabilità per ciò che riguarda la stabilità regionale. L’Italia ha interesse a consolidare i partenariati territoriali con entrambi i paesi”. [Ministero degli Affari Esteri, 2008, p. 59] Attraverso questa presa di posizione l’Italia recepisce in ambito nazionale un

43 L’importanza della missione Alba per la ridefinizione della politica estera italiana è stata analizzata nel corso del dibattito su interesse nazionale e politica estera italiana organizzato dall’Istituto Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri nel 2005 [Circolo di Studi Diplomatici, 2005].

imperativo affermato anche in ambito europeo, con il Patto di stabilità per l’Europa del Sud-Est del giugno 199944.

La stabilizzazione dei Balcani rappresenta oggi un processo complesso che interessa, a vario titolo, Serbia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Albania, F.Y.R.O.M., e, in modo sempre più indiretto, la Croazia. Nonostante la perdurante conflittualità tra questi Stati, divisi da conflitti religiosi ed etnici che si sovrappongono a una serie di contenziosi territoriali tutt’ora aperti, si è realizzata, dopo più di un decennio di conflitti, una progressiva stabilizzazione dell’area. L’Italia ha contribuito attivamente, attraverso un’attività ormai più che decennale, a tale processo. Già al termine dell’intervento NATO contro la Serbia di Milosevič l’Italia è intervenuta attraverso una azione inclusiva che ha favorito un progressivo riavvicinamento della Serbia all’Europa agendo in particolare sul processo di democratizzazione del paese e della regione.

L’Italia esercita, ancora oggi, un importante ruolo con le proprie forze armate. I militari italiani sono inquadrati sia all’interno delle forze NATO che in quelle dell’Unione Europea, sia all’interno di accordi bilaterali di cooperazione militare. I principali teatri di impiego dei soldati rimangono la Bosnia-Erzegovina e il Kosovo, dove hanno esercitato funzioni di interposizione e ora operano come forza di ordine pubblico e assistenza alla ricostruzione. La presenza italiana in Albania si realizza nell’ambito dell'operazione NATO

"Communication Zone West", nonché all’interno di intese bilaterali: l’Iniziativa DIE (Delegazione Italiana di Esperti) e la cooperazione tra l'Aeronautica militare e quella albanese; da segnalare anche la presenza del 28° gruppo navale della Marina Militare a Valona.

Con la cessazione dei conflitti armati hanno acquisito valore crescente le attività di stabilizzazione interna dei paesi dei Balcani occidentali. A contribuire all’instabilità sociale e politica, che sovente alimenta conflitti internazionali, contribuiscono, oltre a fattori quali le rivendicazioni nazionali e le tensioni etniche, anche l’instabilità sociale e il proliferare delle attività illegali. È proprio su questo versante che l’Italia ha sviluppato, facendo perno sull’Albania, una serie di iniziative importanti. Negli anni novanta erano principalmente l’immigrazione clandestina e le attività illegali ad essa connesse ad alimentare il crimine organizzato albanese e degli altri paesi balcanici. In questo ambito la cooperazione bilaterale italo-albanese ha dato i suoi frutti, come dimostrato dal fatto che la consistenza numerica del fenomeno si è progressivamente ridotta nel corso degli ultimi anni45. Quella dell’immigrazione illegale rappresenta però solo una delle attività della criminalità balcanica, la quale va ridefinendo il proprio “portafoglio” di attività, entrando nei settori finanziario e delle comunicazioni. Lo spostamento verso mercati più redditizi ha trasformato l’Italia da punto di approdo in zona di transito e smistamento delle attività criminali. Questo vale

44 Per la strategia europea verso l’Albania si rinvia al saggio di Michele Comelli contenuto il questo volume.

45 A questo ha contribuito l’attuazione di una serie di accordi bilaterali tra i governi dei due paesi, dai memorandum d’intesa sulla cooperazione giudiziaria del 2002 alle intese più recenti. Il perfezionamento del sistema di cooperazione si è avuto con la sigla dell’accordo di cooperazione nella lotta contro la criminalità, firmato il 24 maggio 2007 a Bari. L’ultimo accordo prevede la collaborazione nella prevenzione, individuazione e repressione di tutti i fenomeni criminosi maggiormente rilevanti tra Italia e Albania: criminalità organizzata;

traffici di sostanze stupefacenti, di armi, di esplosivi e di materiale radioattivo; contrabbando; immigrazione clandestina; tratta degli esseri umani; furti di autoveicoli. In questo settore l’Italia, di concerto con l’Albania, è peraltro riuscita ad operare un valido coordinamento con le iniziative intraprese a livello europeo: la lotta all’immigrazione clandestina è stata portata avanti dalle autorità italiane e albanesi nel più ampio quadro di cooperazione definito dall’Iniziativa adriatico-ionica (IAI), nata con la Conferenza per lo Sviluppo e la Sicurezza dell’Adriatico di Ancona del 19-20 maggio 2000. Meccanismi di coordinamento tra le polizie nazionali sono stati definiti e perfezionati con la riunione di Lecce dei ministri degli Interni (novembre 2002) e con quella successiva di Roma (aprile 2003).

soprattutto per il traffico di droga: quella balcanica è una delle rotte tradizionali del traffico di eroina proveniente dall’Afghanistan e dal Pakistan. I porti di Durazzo, Valona e Saranda, e i loro corrispettivi italiani (Bari, Brindisi e Otranto), assurgono a canale specifico del traffico di Marijuana. Negli ultimi anni si è registrata una evoluzione qualitativa dei criminali albanesi, che da corrieri si sono trasformati in referenti accreditati dei produttori di narcotici. La mafia albanese ha poi saputo trasformarsi in alleata delle maggiori organizzazioni criminali italiane, in parte sostituendosi ad esse in determinate attività criminose46. Sfruttando il vuoto di potere generatosi in seguito alle guerre jugoslave, la “mafia balcanica” ha ottenuto sostegno politico-economico nelle aree di origine e ha sviluppato potenzialità transnazionali47.

La criminalità transnazionale assume sempre più valore di minaccia sistemica, soprattutto in quanto generatrice di una serie di canali sottratti al controllo dell’autorità, dei quali si avvalgono anche attori non appartenenti alla criminalità i quali perseguono finalità politiche (gruppi terroristici e milizie etniche). Sotto questo versante il Kosovo ha sempre rappresentato un’area nella quale il vuoto di potere ha favorito tali attività48 e sussiste il rischio che con dopo la proclamazione di indipendenza la situazione possa peggiorare.

L’Italia ha rischiato di vedere intaccato il capitale di credibilità guadagnato sin dagli anni novanta a causa dell’impasse ingeneratasi con la proclamazione di indipendenza del Kosovo. Di fronte all’accelerazione del processo di distacco di Pristina da Belgrado, nel quale la diplomazia statunitense ha avuto un ruolo determinante, l’Unione Europea ha mostrato una carenza di iniziativa che si è tradotta in una molto hegeliana legittimazione del reale. Alle fine il riconoscimento da parte dei principali paesi dell’Unione (Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia) ha rappresentato una scelta affrettata e opinabile dal punto di vista del diritto internazionale49. Dal punto di vista politico essa ha accentuato il malcontento del governo di Belgrado, che alla fine si è limitato a manifestare la sua più piena disapprovazione, pur senza abbandonare il binario della democratizzazione e dell’avvicinamento all’Europa. Ben più grave è stato però il vulnus che ha colpito il diritto internazionale, aprendo uno spiraglio al diritto alla secessione che è stato già sfruttato come arma diplomatica dalla Russia al momento dell’intervento contro la Georgia.

L’Italia non è rimasta immune da un peggioramento dei rapporti con la Serbia.

All’indomani del riconoscimento italiano del Kosovo è ritornata alla mente l’osservazione di Sergio Romano, secondo cui l’Italia sembra “condannata dalla storia a sbagliare i tempi della sua politica jugoslava” [Romano, 2004, p.201], ricalcando gli errori di quei governi che avevano operato il riavvicinamento alla Jugoslavia di Tito quando il tempo stava giungendo al termine o di quegli esecutivi più recenti che avevano rilanciato i rapporti importanti con la Serbia prima che questa entrasse nel mirino della NATO.

Si è rapidamente compresa l’improbabilità di un effetto domino che riporti i Balcani occidentali in ostaggio di nazionalismi contrapposti. L’indipendenza del Kosovo non ha portato ad una reazione dei Serbi di Bosnia o di altri gruppi in qualche modo legati al nazionalismo serbo. Ancor meno probabile appare un rinfocolarsi del nazionalismo albanese:

in Albania vi sono state diverse prese di posizione a favore dell’indipendenza del Kosovo (nonché di un suo “avvicinamento” al paese delle aquile); i movimenti pan-albanesi in patria e

46 Tale dato è confermato dalle indagini compiute nell’ambito delle attività di monitoraggio del Patto di Stabilità per l’Europa del Sud-Est [Stability Pact Iniziative against Organized Crime, 2005].

47 M. Glenny, Balkan organized crime, in Blatt, 2008, p. 95 e ss. Sulla mafia Albanese si veda Mafia albanese in crescita dal rischio di area alle grandi alleanze, <Gnosis>, n. 4, 2005.

48 R. Aitala, Pristina nuova capitale delle mafie, in Limes, 2006. Per una riflessione sull’argomento in una prospettiva europea si veda Iannucci e Aitala, 2006. Si veda anche l’ultimo rapporto Europol sulla criminalità organizzata in Europa [Europol, 2007].

49 Sul punto Ronzitti, 2008.

soprattutto all’estero hanno visto nell’indipendenza del Kosovo il primo passo verso la creazione della Grande Albania. Diversi analisti avevano però rilevato, ancor prima della proclamazione di indipendenza del Kosovo, la sostanziale mancanza di concretezza del nazionalismo albanese: la maggior parte degli albanesi sono infatti più interessati ad un miglioramento delle loro condizioni di vita senza che questo debba necessariamente comportare una riunione di tutti gli albanesi dei balcani. Le stesse élite politiche di Tirana, Pristina e Tetovo non sembrano intenzionate a mettere ulteriormente in discussione le frontiere esistenti50.

Rimane dunque l’interesse prioritario dell’Italia a riguadagnare il rapporto con la Serbia. Vi sono importanti ragioni economiche sottostanti: nel 2007 l’Italia è stata il primo acquirente delle esportazioni serbe e uno dei primi esportatori; operatori italiani hanno inoltre realizzato importanti acquisizioni51. È però la centralità politica attribuita alla Serbia all’interno dell’area dei Balcani occidentali, la quale peraltro spiega le molte iniziative filoserbe messe in atto dalla diplomazia italiana negli ultimi anni, a rendere l’amicizia di Belgrado così imprescindibile.

Ma il ristabilimento dei rapporti con la sola Serbia non rappresenta una strategia autosufficiente, in quanto dall’intesa con Belgrado dipende solo una parte dei rapporti con i paesi dei Balcani occidentali. La vera sfida dell’Italia è dunque quella di riaffermarsi come attore balcanico in grado di coagulare, come aveva fatto in passato, il consenso dei principali paesi dell’area, a partire da Albania e Serbia. Al di là delle intese bilaterali, è soprattutto attraverso il sostegno alle aspirazioni europee di entrambi i paesi che l’Italia è riuscita a guadagnarsi il ruolo di partner privilegiato.

Con un impegno pari a quello che ha portato all’Accordo di Stabilizzazione e Associazione con l’Albania l’Italia ha promosso i negoziati tra l’Unione Europea e la Serbia:

dopo la decisione del Consiglio Europeo del 30 gennaio 2006, contenente i principi, le priorità e le condizioni contenuti nel partenariato europeo della Serbia, l’Italia ha continuato a perorare la causa di Belgrado a Bruxelles. I risultati di questa sponsorizzazione sono ancora dal sapore incerto: la candidatura di Belgrado ha subito un rallentamento dovuto sia a motivazioni specifiche – la carente cooperazione delle autorità serba per il perseguimento dei criminali di guerra – che generali, legate principalmente al minore interesse per l’allargamento degli altri paesi europei. Al momento l’Italia non è riuscita né a superare il veto proveniente da Belgio e Olanda sulla firma di un Accordo di Stabilizzazione e Associazione tra Ue e Serbia né ad ammorbidire l’opposizione degli altri governi dell’Unione rispetto all’ipotesi di una accelerazione dei negoziati con i paesi balcanici.

La diplomazia italiana continua a puntare sul processo di convergenza comunitaria dei paesi dei Balcani occidentali. Questo è stato uno degli argomenti che è circolato con maggior insistenza all’indomani dell’indipendenza del Kosovo e sembra trovare il consenso delle principali forze politiche di maggioranza e di opposizione, con la naturale esclusione di quelle formazioni ideologicamente orientate in senso antieuropeo.

All’interno di questa strategia l’Albania rappresenta un partner importante, soprattutto in virtù della sua maggiore stabilità politica e della sostanziale assenza di motivi di contrasto politico con l’Unione Europea, come invece avviene per la Serbia e anche per la Bosnia-Erzegovina, affetta da una perdurante instabilità [Briani, 2008]. L’Albania può giocare un ruolo importante per la stabilizzazione del Kosovo e l’inglobamento della Serbia in un contesto politico stabile. In questo modo l’Italia persegue una strategia di più ampio respiro

50 M. Vickers, The role of Albania in the Balkan region, in J. Blatt, 2008, pp. 68-70.

51 Si segnalano, tra i maggiori gruppi, Banca Intesa, Generali, San Paolo IMI e la finanziaria Findomestic, che hanno acquisito importanti asset in Serbia. [Boffito, 2007, p. 75 e ss.; Stocchiero, 2007].

volta alla riformulazione dell’equilibrio all’interno dell’Unione Europea e alla definizione di un assetto territoriale che privilegi l’Italia rispetto ai partner continentali, in particolare Francia e Germania.

Anche la scelta di dare priorità all’Albania nei negoziati per l’allargamento appare sensata, stante la complessità del negoziato turco e i problemi che ancora bloccano quello serbo. Naturalmente, anche i tempi di convergenza dell’Albania sugli standard europei sono lunghi: l’adattamento ai criteri di Copenhagen è tutt’altro che immediato e leggendo lo stesso Piano nazionale per l’adattamento della legislazione e l’attuazione delle clausole dell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione, redatto dalle autorità albanesi alla fine del 2004, si vede come l’attuazione delle riforme strutturali avverrà, in un’ipotesi peraltro ottimistica, solo nel periodo 2009-201452. Una analisi più realistica delinea addirittura la data del 2018 per un possibile ingresso dell’Albania nella Ue.

La strategia italiana di promozione dell’Albania e degli altri paesi balcanici in ambito europeo si staglia, in conclusione, su un orizzonte di lungo periodo, che terrà la diplomazia nazionale impegnata in un costante lavorio. L’ipotesi di una accelerazione di questo processo, sostenuta da molti in tempi recenti soprattutto dopo l’indipendenza del Kosovo, appare difficilmente prospettabile, sia per la lunghezza del percorso di adattamento dei paesi candidati agli standard comunitari sia per l’incapacità dell’Italia di imporre una tale accelerazione agli altri membri dell’Ue.