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I processi economici che varcano i confini delle nazioni, non attraversano quindi solo una frontiera territoriale ma anche e soprattutto una frontiera sociale. Ciò richiede alle imprese di misurarsi con culture e valori diversi da quelli d’origine e di adattarsi alle caratteristiche del Paese di destinazione, perché solo in questa maniera si può raggiungere un vero e proprio vantaggio competitivo, maturando nuove competenze, creando nuove relazioni e incrementando il valore e la reputazione del proprio brand e dei propri prodotti oltre i confini nazionali.

Le imprese, nonostante quanto detto precedentemente, per fare in modo che le strategie adottate abbiano successo, non dovranno abbandonare i propri elementi distintivi; la sfida è infatti quella di conformarsi alle peculiarità dei Paesi obiettivo, mantenendo i tratti caratteristici e gli attributi qualitativi del Paese di provenienza che risaltano l’effetto Made-in. Questo infatti ha un peso significativo per le scelte dei consumatori e come se non bastasse è una fonte di differenziazione vitale nei segmenti di mercato in cui si sceglie di operare.

CAPITOLO 2 IL MADE IN ITALY NEL MONDO.

Nella situazione di forte crisi in cui naviga l’economia mondiale in questi anni, il nostro sistema dimostra ancora una buona capacità di tenuta e di soddisfazione delle crescenti richieste della domanda estera, e questo soprattutto grazie alla capacità di attrazione del

Made in Italy. Sembra infatti essere proprio questa la mossa giusta per affrontare e

cogliere in maniera positiva le opportunità della globalizzazione piuttosto che subirne i duri contraccolpi.

Quando si parla di Made in Italy non ci riferisce solo alla cerchia di stilisti, designer e nuovi imprenditori che si sono voluti riscattare dalle negatività della guerra mondiale, ma si tratta in maniera generale di un prodotto nato dalla correlazione antichissima tra arte, cultura, attività manifatturiere, tradizione e soprattutto l’artigianato del territorio italiano. Il segreto del successo di questo concept, va proprio cercato nella tradizione, nei valori e nel know-how tramandati di generazione in generazione, che caratterizzano le imprese e i distretti industriali radicati nel nostro Paese e influenzati dalla sua storia. Proprio l’organizzazione e la specializzazione dei vari distretti industriali8 (in Italia se ne contano più di 200), rappresenta il punto di partenza per l’analisi del Made in Italy e la chiave per capire come i vari “saper fare” si siano sedimentati in maniera distinta ma precisa nelle varie parti del nostro Paese. Il distretto italiano infatti si è sempre differenziato dal resto del mondo per la sua indiscussa attitudine di accumulare know-

how in un’area territoriale precisa e di generare innovazioni radicali e incrementali,

riuscendo inoltre ad assorbire la condivisione di idee, valori e saperi dei propri principali stakeholders, che lo hanno reso un progetto sociale di sostegno reciproco tra comunità locale e piccole/medie imprese.

Negli anni 90 il Made in Italy registra il momento di maggior successo, poiché la comunità globale inizia a riconoscerlo come un marchio che non si riferisce solo alla provenienza dei prodotti ma che ne è garanzia di qualità e perfezione. Inizialmente ha 8 I distretti industriali sono stati definiti inizialmente da Giacomo Beccatini e da Enzo Rullani e successivamente sono stati riproposti da Stefano Micelli e Giancarlo Corò in I nuovi distretti industriali (2006) come: “un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta, naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di persone e di una popolazione di imprese”

avuto una spinta maggiore nel settore dell’agroalimentare, visto come garanzia di naturalità , di salute e di piacere del gusto, poi quello della moda grazie ai grandi stilisti, affermati in tutto il mondo, come Valentino, Armani, Gucci, Prada e Dolce & Gabbana, e infine quello automobilistico (prevalentemente grazie al lussuoso marchio Ferrari) e quello della fabbricazione di mobili/arredamenti. Figura 4: Le 4 A del Made in Italy. Fonte: elaborazione personale su informazioni raccolte dal Sole 24 Ore. I punti di forza del nostro Paese trovano quindi una sintetizzazione nella formula delle “4 A”, che si riferiscono al settore: Agroalimentare, Abbigliamento-moda, Arredo-casa, Automazione-meccanica. In genere questi sono stati inopportunamente definiti come settori tradizionali-maturi poiché sono stati visti come orientati soprattutto a una produzione a bassa intensità tecnologica, ma sarebbe più corretto definirli come tradizionali-innovativi per aver avuto la capacità di adattarsi ai continui cambiamenti dello scenario economico internazionale. Il connubio tra innovazione e qualità, tra patrimonio culturale e conoscenze tecniche è quindi diventato a tutti gli effetti la caratteristica primaria del Made in Italy, in un contesto segnato da continue sfide proposte dalla globalizzazione. Si richiede un costante impegno alla ricerca e alla capacità di rinnovamento per realizzare un prodotto unico, simbolo di uno stile di vita corretto e raffinato e chiara dimostrazione delle capacità italiane del “saper fare”.

MADE

IN

ITALY

Automazione- Meccanica Agroalimentare Abbigliamento- Moda Arredo-Casa

Micelli (2011) analizza gli ingredienti del successo di questo concept affermando che:

“gusto, personalizzazione, cultura, hanno permesso al prodotto italiano di essere apprezzato dall’opinione pubblica globale per tanta ergonomia e bellezza senza pari”. Tabella 2: Classifica dei 10 Paesi per quota percentuale sulla produzione manifatturiera mondiale. Fonte: Confindustria, 2015. Da alcuni anni però, il Made in Italy si deve innovare per affrontare un ambiente esterno sempre più complesso e caratterizzato dall’affermazione dei Paesi emergenti che sostengono strategie rivolte al ribasso dei prezzi, allo sfruttamento della manodopera, e che contrastano quindi un sistema come quello Italiano da sempre rivolto in primis alla qualità. Una descrizione di quali sono gli attori del nuovo panorama industriale e quali protagonisti lo caratterizzano è stata fatta da Confindustria nel 2015 tramite una classifica (Tabella 2) che permette di individuare i principali sfidanti sui livelli di produzione manifatturiera globale che hanno causato la perdita di terreno del nostro Paese e la sua discesa al settimo posto. Cina, Stati Uniti, Giappone, Germania occupano le prime posizioni ma interessante è soprattutto considerare che l’emergere della Corea

del Sud, dell’India, del Brasile e della Russia, che da sempre hanno rappresentato un’ottima opportunità per il dislocamento della produzione, sta diventando ora una seria e sempre più grande minaccia.

Oltre a tale problematica, importante è anche rilevalare come negli ultimi anni si stia sviluppando un’economia globalizzata dove le imprese sono sempre meno connesse al loro territorio di origine; questo perché le nuove tecnologie, le nuove forme di comunicazione e di trasporto permettono di scambiare ordini, informazioni e far avvenire transazioni commerciali nel minor tempo possibile. Si ha così a che fare con operatori economici nazionali che vengono danneggiati sia dall’importazione di prodotti a minor costo di cui non si conosce l’effettiva provenienza sia dalla commercializzazione a livello globale di prodotti che adottano illegalmente il marchio Made in Italy per incrementare i propri livelli di vendita.

Il Made in Italy deve quindi individuare al più presto una strategia per poter competere nel nuovo contesto delineato dalla crescita incontrollata dei Paesi emergenti (principalmente di quelli asiatici). Il futuro dell’industria italiana è legato di conseguenza all’impegno delle imprese, dei distretti, delle istituzioni e del governo nello studiare le misure per consolidare e rafforzare il nostro posizionamento in termini commerciali e anche legislativi, tramite strumenti in grado di evitare la diffusione di prodotti illegittimamente adoperanti il marchio italiano, per il bene degli imprenditori e soprattutto per la corretta informazione e protezione dei consumatori.