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5.   L’Italia: oggi un paese d’immigrazione

5.3   Alcune importanti modifiche apportate al Testo Unico sull’immigrazione

Il Testo Univo venne modificato dalla legge n.189/2002, meglio conosciuta come Legge Bossi-Fini: tuttavia le modifiche di maggior impatto sono rimaste “congelate” per lungo tempo in attesa delle relative norme di attuazione la cui emanazione era originariamente prevista entro sei mesi dalla pubblicazione della legge. Le nuove disposizioni entrarono in vigore solo nel 2005. La normativa si poneva l'obiettivo di realizzare una programmazione puntuale degli ingressi regolari di cittadini stranieri in Italia e collegava in maniera imprescindibile l'esistenza e la durata del contratto di lavoro subordinato alla concessione del permesso di soggiorno per lavoro subordinato; introduceva una nuova forma di coordinamento tra Stato e Regioni, nella quale queste ultime potevano trasmettere, entro la data di emanazione del decreto flussi (il 30 novembre di ogni anno) alla Presidenza del Consiglio un rapporto sulla presenza e sulla condizione degli immigrati extracomunitari nella regione, contenente anche le indicazioni relative ai flussi sostenibili nel triennio successivo in rapporto alla capacità di assorbimento del tessuto sociale e produttivo. Ulteriori novità erano rappresentate dall'anticipo del termine di presentazione delle quote di ingresso al 30 novembre dell'anno precedente a quello di riferimento del decreto. L'art. 21 del T. U., così come modificato, intitolato "Determinazione dei flussi di ingresso" prevedeva, inoltre, restrizioni numeriche nei confronti di quegli Stati che non avessero collaborato in maniera adeguata nel contrasto dell'immigrazione clandestina o nella riammissione di propri cittadini che siano stati oggetto di un provvedimento di rimpatrio.

La legge n. 189/2002 ha soppresso, inoltre, uno degli istituti più importanti della precedente normativa, la cosiddetta sponsorizzazione, una prestazione di garanzia che poteva essere presentata entro 60 giorni dalla pubblicazione del decreto annuale sui flussi e veniva accolta, sempre che non vi fossero motivi ostativi all'ingresso e al soggiorno, nei limiti delle quote fissate. La garanzia, che veniva prestata alla Questura al momento della presentazione della domanda di autorizzazione, era sotto forma di polizza assicurativa o di fideiussione bancaria per la somma necessaria a coprire economicamente lo straniero per l'anno in cui doveva cercare lavoro. Veniva restituita al garante in caso di rifiuto del visto di ingresso o di rilascio del permesso di soggiorno. Potevano assumere la posizioni di garanti sia singoli, cittadini italiani e stranieri regolarmente presenti nel territorio, sia enti collettivi come regioni, enti locali, associazioni professionali o sindacali, nonché associazioni di volontariato che operavano nel settore dell'immigrazione da almeno tre anni e fornite di tutti i requisiti richiesti. Attraverso la prestazione di garanzia si assicurava l'alloggio idoneo, il sostentamento, l'assistenza sanitaria, per tutta la durata del permesso di soggiorno. Lo straniero riceveva quindi il visto di ingresso, veniva iscritto alle liste di collocamento, e riceveva il permesso di soggiorno per un anno per inserimento nel mercato di lavoro. Se in questo periodo di tempo riusciva a trovare il posto di lavoro il permesso si convertiva in un permesso per lavoro subordinato, altrimenti, allo scadere dell'anno, l'interessato doveva tornare nel paese di origine e comunicare il suo rientro all'Ambasciata che informava la Questura così da sbloccare la fideiussione del garante. La fideiussione veniva restituita al garante, oltre che nel caso in cui fosse stato rilasciato il permesso di soggiorno per lavoro subordinato, anche nel caso in cui

non fosse stata concessa l'autorizzazione, o in caso di diniego del visto di ingresso da parte della rappresentanza diplomatica o consolare. Così il governo allora in carica si limitava ad abrogare l'unico istituto, quello della sponsorizzazione, che aveva dimostrato di funzionare in quanto assecondava con criteri controllati e garantiti l'espressione della naturale catena migratoria. La sponsorizzazione è stata infatti ampiamente utilizzata nel passato dalle imprese.

La successiva ed ultima modifica, fino ad oggi, delle disposizioni in materia di ingresso e inserimento lavorativo risale al 2009, con il cosiddetto Pacchetto Sicurezza. Le novità introdotte dalla legge n.125 del 2008 riguardano: l’inserimento al di fuori delle quote di alcune categorie particolari di lavoratori non comunitari, come i dirigenti o il personale altamente specializzato, i professori universitari o lavoratori specializzati alle dipendenze di soggetti operanti nel territorio italiano ma distaccati dal datore di lavoro, per i quali la procedura per l’entrata nel territorio italiano è semplificata; l’introduzione della sottoscrizione obbligatoria dell’accordo di integrazione tra lo Stato e lo straniero, articolato per crediti, attraverso il quale il cittadino non comunitario si impegna a conoscere la lingua italiana e la cultura civica e civile della nazione; il nuovo requisito obbligatorio ai fini dell’ottenimento del permesso di soggiorno per i residenti non comunitari di lungo periodo della conoscenza della lingua italiana. Inoltre viene inserita una norma attraverso la quale si prevede sia il rilascio del permesso di soggiorno sia il rinnovo subordinati al pagamento di un contributo, il cui importo è fissato tra un minimo di 80 euro ad un massimo di 200 euro. Questa previsione, oltre ad essere segno evidente dell’odierna crisi fiscale dello Stato, potrebbe dare adito a qualche perplessità, laddove

l’imposizione di certo non garantisce che il contribuente possa pagare la somma stabilita.

Un’altra questione controversa è il riconoscimento dei titoli professionali conseguiti in un Paese non appartenente all’Unione Europea: i cittadini stranieri non comunitari possono fare richiesta di riconoscimento del titolo stesso al fine dell’esercizio della professione in Italia. Il regolamento di attuazione del Testo Unico dedica gli articoli 47, 49 e 50 all’esercizio di un’attività professionale da parte degli stranieri: il primo di questi prevede agevolazioni per lo svolgimento degli esami di abilitazione post laurea e per la conseguente iscrizione negli albi professionali da parte di cittadini stranieri che abbiano conseguito il diploma di laurea in Italia. Al cittadino straniero la questura rilascerà un permesso di soggiorno per motivi di studio. L’ultimo comma dell’articolo 47 riconosce ai cittadini stranieri che abbiano soggiornato in Italia per un periodo superiore a 5 anni un titolo di priorità rispetto ad altri stranieri: trattasi di una norma di favore per determinati stranieri che hanno trascorso un considerevole lasso di tempo in Italia tale da ritenere ormai avvenuta un’effettiva integrazione.

L’articolo 49 descrive le modalità con cui vengono riconosciuti in Italia titoli conseguiti in Paesi extra-UE e l’articolo 50 descrive le modalità di riconoscimento di un titolo professionale abilitativo per l’esercizio della professione sanitaria da parte degli stranieri. Spesso però questi titoli non vengono riconosciuti e i cittadini stranieri sono costretti dunque a fare domanda d’impiego per lavori che non corrispondono alla propria preparazione accademica e alle capacità acquisite durante le eventuali esperienze lavorative precedenti. Le difficoltà sono molteplici: a partire dal recupero dei documenti che attestano il conseguimento di un titolo di istruzione universitaria

nel proprio paese d’origine ai costi della traduzione ufficiale. Di certo gli stranieri non comunitari non godono dello stesso trattamento dei comunitari riguardo al riconoscimento dei titoli professionali: nonostante sia ovvio che tra paesi appartenenti a culture ed economie differenti ci siano delle differenze, bisognerebbe almeno tener conto dell’impegno dedicato allo studio da parte dello straniero e dunque agire in conformità con l’idea di pari trattamento rispetto al cittadino italiano e comunitario, semplicemente attuando programmi che prevedano eventuali esami integrativi e tirocini all’interno delle strutture nazionali. Questo consentirebbe al cittadino straniero di conoscere in maniera più approfondita le modalità con le quali vengono affrontati determinati impieghi e dunque gli permetterebbe di adeguarsi al livello del paese ospitante, sia esso più alto o più basso.

Un’importante modifica attuata dalla legge 28 giugno 2012, n. 92, la cosiddetta “Riforma Fornero”, attraverso l’articolo 58, riguarda il prolungamento da sei mesi ad un anno del permesso di soggiorno per attesa occupazione: le parole “per un periodo non superiore a sei mesi” dell’articolo 22 comma 11 del Testo Unico sull’immigrazione, vengono sostituite dalle seguenti “per un periodo non inferiore ad un anno ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito percepita dal lavoratore straniero, qualora superiore. Decorso il termine di cui al periodo precedente, trovano applicazione i requisiti reddituali di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b)”.

Il permesso di soggiorno per attesa occupazione viene rilasciato quando, al momento del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, il lavoratore

non sia titolare di un contratto di lavoro ma risulti invece iscritto nelle liste di collocamento.

Quindi, la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno nei confronti del lavoratore extracomunitario e dei suoi familiari legalmente soggiornanti. Lo straniero che perde il posto di lavoro in seguito a licenziamento o dimissioni, deve presentarsi, entro 40 giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, presso il Centro per l’impiego e rendere dichiarazione che attesti l’attività lavorativa precedentemente svolta e l’immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa.

Lo straniero che perde il posto di lavoro potrà essere iscritto alle liste di collocamento presso il Centro per l’Impiego per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno e, comunque, ad esclusione del lavoratore stagionale, per un periodo complessivo non inferiore ad un anno o in ogni caso per tutta la durata delle prestazioni di sostegno al reddito, durante la quale potrà cercare una nuova occupazione. Secondo queste condizioni, lo straniero iscritto nell’elenco anagrafico del centro per l’Impiego potrà usufruire dell’indennità di disoccupazione e delle altre prestazioni di sostegno al reddito previste alla pari dei cittadini italiani e comunitari. Eventuali periodi di occupazione lavorativa intrapresi nel corso della durata del permesso per attesa occupazione, con la conseguente cancellazione dai registri del Centro per l’Impiego e l’eventuale successiva reiscrizione nelle liste, interrompono il termine di durata di un anno.

La durata del permesso di soggiorno per attesa occupazione dovrò quindi essere prorogata fino al raggiungimento di un anno a partire dalla nuova iscrizione al Centro per l’Impiego.57

Dunque, essendo il permesso di soggiorno per attesa occupazione non rinnovabile, entro lo spirare del suo termine le possibilità per il migrante sono due: la concessione di un nuovo permesso di soggiorno per lavoro subordinato o l’obbligo per lo straniero di lasciare il territorio dello Stato.