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Alcuni chiarimenti su Open Access

Sono passati sedici anni dalla Dichiarazione di Berlino (cfr. Cap.1) sull’accesso aperto ai dati della ricerca scientifica, eppure ci si trova ancora a discuterne e a dibatterne, sintomo del fatto che il processo di transizione non è stato compiuto e avanza lentamente per via della sua complessità.

A ciò è da aggiungere una resistenza culturale generata dal fatto che le informazioni sul tema non circolano in maniera strutturata ed efficace, lasciando così spazio alla diffusione di pregiudizi che non sono costruttivi per il processo di transizione. Di seguito alcuni (falsi) miti:

1. l’unica modalità per garantire l’accesso aperto ai dati è la pubblicazione su una rivista Open Access;

2. tutte le riviste Open Access (quantomeno la gran parte) richiedono un pagamento per la pubblicazione;

3. la gran parte delle spese di pubblicazione è a carico dell’autore;

4. la pubblicazione in una rivista tradizionale esclude la possibilità di rendere i risultati aperti;

5. le riviste Open Access sono sinonimo di scarsa qualità e scarsa importanza.

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Si riprende punto per punto, al fine di dimostrare perché tali affermazioni non risultano essere veritiere:

1. sin dalla nascita del movimento Open Access le vie per la pubblicazione sono sempre state due, definite Green Road e Gold Road, come si è visto nel paragrafo precedente. La pubblicazione su una rivista Open Access non è dunque l’unica modalità possibile per praticare l’accesso aperto poiché è possibile utilizzare gli archivi istituzionali e gli archivi disciplinari.

2. Non è corretto affermare che la quasi totalità delle riviste Open Access richieda dei costi di pubblicazione poiché, come riporta la DOAJ (Directory of Open Access Journal)100 il 67 % delle riviste permettere di pubblicare in maniera totalmente gratuita, e in ogni caso è possibile seguire la Green Road.

3. Non vi sono solide basi per sostenere che la gran parte delle spese di pubblicazione è a carico dell’autore. In uno studio del 2011101 è stato rivelato come la maggior parte delle APC per le pubblicazioni su Open Access Journal venga pagata dagli enti finanziatori, o dall’istituzione di appartenenza dell’autore e esistono casi in cui sono stabiliti fondi ad hoc.102 Questo punto può trovare fondamento per quanto riguarda la situazione italiana, poiché il legislatore non ha previsto alcun piano di finanziamento per le pubblicazioni Open Access. È questo un aspetto che verrà ripreso nel capitolo successivo.

4. Questo aspetto va di pari passo al punto 1. Se non risulta vero che l’unica modalità per praticare l’accesso aperto sia la pubblicazione su una rivista Open Access, ne consegue che la pubblicazione su una rivista tradizionale non esclude la possibilità di deposito dell’articolo. Esiste una banca dati denominata Sherpa Romeo che si occupa di censire le politiche di “apertura” degli editori in relazione all’accesso aperto.103

5. Se si è convinti che la qualità di una rivista scientifica dipenda o meno dal carattere Open si è sulla strada sbagliata. È possibile trovare articoli con risultati falsi, o pubblicazioni scadenti sia su riviste Open Access che su riviste tradizionali. È inoltre doveroso mettere in chiaro che le riviste Open Access praticano la peer review in modo più trasparente e innovativo (Open Peer Review).

100 Nel momento in cui si scrive la DOAJ conta 13,418 riviste scientifiche https://www.doaj.org/

101 https://arxiv.org/abs/1101.5260v2

102 http://www.oacompact.org/signatories/

63 A riprova dell’ultimo punto, si rimanda a RetractionWatch,104 il blog in cui vengono raccolte e tracciate le ritrattazioni di articoli scientifici pubblicati con dati falsi, manipolati o addirittura inventati. Dal numero delle ritrattazioni di una rivista, correlato all’Impact Factor della rivista in cui sono contenuti gli articoli ritrattati, si ottiene il Retraction Index, coniato da Ferric Fang e Arturo Casadevall nel 2011.105 Questo aspetto viene approfondito nel paragrafo successivo.

5.4.1 Retraction Index e Impact Factor

In questo paragrafo viene fornita una descrizione del Retraction Index (indice di ritrattazione). Essendo un indice derivato dalla correlazione tra il numero delle ritrattazioni e l’Impact Factor della rivista su cui vengono effettuate le ritrattazioni, si rende opportuno e necessario fornire una breve descrizione di quest’ultimo.

L’Impact Factor (IF) è l’indicatore citazionale più noto per valutare la reputazione di un ricercatore ed è di conseguenza un fattore che può incidere sui finanziamenti forniti alle sue ricerche e sulle opportunità di carriera dello stesso. È dato dalla media tra il numero delle citazioni relative ai lavori pubblicati in una data rivista scientifica, nei due anni precedenti all’anno in cui deve essere calcolato, con il totale degli articoli pubblicati sulla stessa nel dato periodo (Fig.12).106

Esempio di calcolo IF 2018 Anno Citazioni Tot. articoli rivista

2016 84 137

2017 95 140

Totale 137 277

Impact Factor = 137/277 0,646

Vi è un acceso dibattito sulla significatività dell’Impact Factor, soprattutto in relazione al fatto che questo non è riferito al singolo articolo, ma alla rivista scientifica e dunque non tiene conto di aspetti come il numero degli autori di un singolo articolo, e della complessità

104 https://retractionwatch.com/

105 Ferric C. Fang, Arturo Casadevall Infection and Immunity Sep 2011, 79 (10) 3855-3859; doi:10.1128/IAI.05661-11 URL: https://iai.asm.org/content/iai/79/10/3855.full.pdf

106 https://bibliotecadigitale.cab.unipd.it/bd/per_chi_pubblica/if

Fig. 12: Esempio di calcolo Impact Factor

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della ricerca relativa all’articolo stesso. Esistono altri indici citazionali, come l’H-index (o Indice di Hirsch), ma un elenco completo esula dagli scopi.

Per tornare sul Retraction Index, l’aspetto che maggiormente stupisce è una correlazione esistente fra numero di ritrattazioni degli articoli, e maggiore IF della rivista scientifica. Si noti in figura (Fig.13).

5.5 Potenzialità del deposito e vantaggi dell’accesso aperto.

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