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Mestre 1890 - Venezia 1976

39 Ritratto di vecchi coniugi

Olio su tela, cm 120 x 93.

dal primo momento, per diventare poi quella che lo distingue maggiormente. L’unica, forse come sopra ricordato, per la quale è rimasto in certa misura noto, e specialmente per la fortu- na che il tema ha avuto con le esposizioni del pittore veneziano negli Stati Uniti, a Pittsburg in particolare, non da ultimo anche per le af- finità o le derivazioni che trova in contempo- ranea in Edward Hopper (Marinelli 2007, pp. 75-84; Idem 2009, p. 10).

I due personaggi sono colti da seduti, uno di spalle all’altro, come in una situazione di silen- ziosa attesa. L’anziano protagonista ha appog- giato il bastone da passeggio. È colto frontal- mente nell’atto di sostenere con le mani a dita intrecciate la gamba accavallata sull’altra. Una postura questa -in cui si coglie la lezione di Tito circa la dinamica complessa - che di per sé esprime una tensione, nonostante lo sguar- do del personaggio sia perduto e quasi assen- te. A cercare di intercettarlo non si può che notare, ancor meglio per la frontalità, la resa veritiera e impietosa degli occhi segnati dal tempo, qui sì oggettivamente una decadenza. L’anziana donna, in secondo piano, è colta di profilo ad occhi chiusi, non perché assopita, ma in atteggiamento meditativo, forse di pre- ghiera; infatti porta al petto le mani nodose chiuse una sull’altra. Le si avvicina alzandosi sulle due zampe il cane di compagnia che si appoggia alla lunga gonna come rassegnato nel recriminare un’attenzione affettuosa entro questa incomunicabilità.

Un esito così ragguardevole di Pomi nel 1909 apre all’interesse sulle sue precoci esperienze, oltre quella dell’insegnamento di Tito - il cui esito non mancò di essere premiato - ma di cui poco si conosce. Quanto al tema dell’inco- municabilità, anticipato fin da tale anno come attesta il quadro esposto, si fa ancora più di- retto l’impatto che dovette avere su di lui la poetica di Anders Zorn, presente con fedeltà alle prime biennali, come sottolinea Sergio Marinelli, che elegge quale «suo decisivo ispi- ratore il freddo scandinavo» (Marinelli 2009, p. 12). Costui doveva sollecitare maggiormente l’intelligenza di Pomi, anche se dal punto di vi- sta propriamente pittorico non smentisce, per

la curiosità di un giovane studente dell’Acca- demia, l’osservazione della grande maniera di Ignacio Zuloaga e ancor più per quella di Joa- quin Sorolla y Bastida, ai quali invece ha fatto richiamo Rizzi (1976).

Nei profili di Pomi si ripetono, per consue- tudine, le esperienze a Roma e a Monaco di Baviera, forse su testimonianza del pittore stesso. Cfr. Red, in Thieme-Becker 1933, p. 234; Comanducci 1934, p. 549; Lancellotti 1943, pp. 58-59; di recente Marangon 1992, II, p. 1024. Sarebbe interessante accertare se il supposto completamento degli studi allora intrapreso in Germania si collochi subito dopo i corsi all’Accademia veneziana nel 1908, ossia pri- ma della sua presenza a Ca’ Pesaro nel 1910, a Roma nel 1911 alla Esposizione Internaziona-

le (Esposizione 1911) e finalmente a Monaco nel 1913, dove presenta un dipinto dal titolo

Reflexe. Cfr. Illustrierter Katalog 1913, p. 383, n. 2475.

La ricerca condotta da Stefano Franzo porta lo studioso a concludere che «Pomi di fatto non compare nel Matrikelbücher degli stu- denti della Künstakademie monacense, così come Edmondo Matter, mentre vi figura Umberto Martina» (Franzo 2009, p. 32 nota 2). Sappiamo, però, che quest’ultimo si per- fezionò presso Carl von Marr tra il 1905 e il 1906 (si veda qui il commento alle sue opere esposte). Quanto all’amico pittore Edmon- do Matter, risale al 1911-‘12 la corrispondenza famigliare vagliata da Franzo in cui si riferi- sce dell’esperienza a Monaco. Anche un altro amico e collega di Pomi, Gigi De Giudici, data il suo viaggio europeo, infine tedesco, al 1910, nel suo caso senza che si abbia certezza di un soggiorno a Monaco (Dal Canton 2003, pp. 558-565; Franzo 2009, p. 32 nota 4).

Ritornando a Pomi è documentato che segue «tra il 1907 e il 1908 il primo e il secondo anno di specializzazione di figura, segnalandosi con diverse menzioni. Per l’anno 1908-09 riceve il premio Cavos per la pittura e nel luglio del 1909 una borsa di studio biennale per un pre- mio di lire 1.000 annue» (Franzo 2009, p. 32 nota 2). È dunque questo il contesto e il mo- mento, che doveva essere d’entusiasmo per il Il dipinto pervenuto con il Fondo Bortolan va

ad aggiungersi al ricco catalogo di Alessandro Pomi, all’interno del quale risulta indubbia- mente una novità significativa per più aspetti, sia per collocazione cronologica che per la te- matica affrontata. Coincide con quella che più lo distingue nel panorama veneziano e inter- nazionale, specie statunitense, al quale si af- faccia fin dai primi anni Venti, per riscuotere nel decennio successivo un successo crescen- te. Considerato il quale è sorprendente, per quanto le ragioni siano state ben motivate, che la personalità di Pomi sia rimasta poi a lungo nel dimenticatoio, per emergere solo in questi ultimi anni con una intelligente rivalutazio- ne (Marinelli 2007, pp. 75-84; Alessandro Pomi 2009; Franzo 2009, pp. 15-39; Marinelli 2009, pp. 9-13; Franzo 2010, pp. 73-85; Idem 2014, pp. 115-129). Il dipinto, in verità, è stato riprodotto poco tempo fa senza chiosa in una meritoria illustrazione del Fondo Bortolan acquisito da Fondazione Cassamarca nel 2008. Cfr. Una col-

lezione d’arte 2018, p. 17 cat. 22.

Al riguardo si deve aggiungere che il titolo

Decaduti, prescelto in tale occasione, non ha alcuna valenza storica, bensì collezionistica, e ha quindi solo un rispettabile significato soggettivo. Rischia di aggiungere, però, come una qualificazione morale al tema della vec- chiaia che è il vero soggetto del dipinto. Il ti- tolo scelto rischia di suonare, almeno in base al significato del termine nell’uso comune, come sinonimo di “derelitti”, poveri e abban- donati, mentre invece si rappresenta uno sta- to di senilità affatto diversa. Seppur trasposta (e proprio qui sta la novità rappresentata dal dipinto) entro una visione della realtà umana all’insegna dell’incomunicabilità che contrad- distingue Pomi, per il quale certamente questa non è uno status esclusivo della senilità. Questo va considerato per liberare il campo da equivoci e consentire la proposta di un’inter- pretazione del dipinto che si configuri anche come una esplicita e più consapevole valoriz- zazione. Punto di riferimento al riguardo è in- nanzitutto la straordinaria forza espressiva del gesto pittorico. La foga della conduzione alla prima delle pennellate, fortemente materiche,

esalta i rapporti di poche gamme cromatiche, riconducendole in modo libero e incalzante a un infallibile risultato costruttivo.

Un esito che può essere “storicizzato” per la presenza della firma e della data finora non rilevata, il 1909.

È l’anno in cui il diciannovenne Pomi emerge, a conclusione degli studi all’Accademia di Bel- le Arti di Venezia (1903-1908) dove fu un pre- diletto da Tito, con una ricerca individuale già risoluta, e quest’opera lo conferma pienamen- te. Va considerato l’Autoritratto di quell’anno (fig. 32), cui si può far seguire il Ritratto di

vecchio del 1910 (fig. 33), valutabili nelle ripro- duzioni del catalogo edito in occasione della mostra retrospettiva del 1976, a cura di Paolo Rizzi (Mostra retrospettiva 1976, catt. 3, 4). Sono confronti che rassicurano, innanzitutto, circa la correttezza della data come rilevata nel di- pinto esposto. Si scalano poi, con una datazio- ne oscillante fra il 1910 e il 1915, il Ritratto di

Edmondo Matter in collezione privata di New York e il Ritratto di Ilario Neri di collezione privata (Franzo, in Alessandro Pomi 2009 p. 103 catt. 4, 5). Anche questi esempi conferma- no coerentemente la direzione di ricerca del momento. Nonostante si noti qualche diffe- renza di esito circa la stesura materica, che si fa meno addensata, si trova confermato il modo di intendere il colore che questi ulti- mi ritratti consentono di comparare in modo diretto, trattandosi di opere individuate e di recente esposte. Vi è sempre una ricchezza di variazioni sulla tonalità dominante con base le terre ocra, ma con accenti in superficie anche timbrici a esaltare i piani formali e gli effetti luminosi, senza mai insinuare note dissonanti. Rispetto a questo nucleo di confronto, essen- ziale e necessario, il dipinto esposto con il ti- tolo Ritratto di vecchi coniugi, più oggettivo ma con l’aggiunta intuitiva circa il loro vincolo, è al momento quello che inaugura il tema del doppio ritratto (poi sarà quello del ritratto di gruppo) e, altresì, del silenzio, ossia dell’inco- municabilità. Si assiste alla rappresentazione di una situazione mentale e relazionale (anzi, in assenza di relazione) che ora, con questo di- pinto, sappiamo essere affrontata da Pomi fin

riconoscimento ricevuto, propizio forse an- che per compiere un viaggio di breve durata a Monaco. Momento in cui Pomi realizza il suo primo Autoritratto. Si rappresenta in giacca e cravatta seduto davanti al cavalletto mentre tiene tavolozza e pennelli e volge lo sguardo all’osservatore. È altresì il momento in cui si esprime in autonomia, nell’affrontare con il dipinto esposto il tema inedito della incomu- nicabilità, destinato poi a ricevere un costante approfondimento da risultare fondamentale in tutto il suo percorso. Quanto all’esperienza a Monaco di Baviera, in mancanza di accer- tamenti circa il momento in cui dovette veri- ficarsi, assume valore il confronto con l’esito

che essa comportò per Umberto Martina con il quale Pomi fu legato, non fosse altro che per la formazione con Tito, pur in anni diversi, e per le loro concomitanti e ripetute presenze alle esposizioni di Ca’ Pesaro, anche nel 1910. Un richiamo in tal senso è proposto in modo episodico da Rizzi (1976). L’esito stilistico che Martina dimostra di ritorno da Monaco, con le sue opere documentate a partire dal 1907, anche con il poco più tardo Ritratto del maestro

di musica Simeoni, (tav. 41) quanto a potenza pittorica, avvalora indirettamente una con- divisione di interesse verso quanto si andava proponendo nell’ambito di quell’Accademia, o di quel mondo artistico tedesco.

Fig. 32. Alessandro Pomi, Autoritratto, 1909. Collezione privata. Olio su tela, cm 91 x 110. Da Mostra retrospettiva 1976, fig. 3.

Tav. 40

Umberto Martina

Dardago di Budoia 1880 - Tauriano di Spilimbergo 1945

40 Ritratto di donna di profilo

Olio su cartone, cm 44 x 32,5.

Fondo Bortolan, inv. PA0101008359. Firma in basso a destra: «U. Martina».

Sul retro, in alto a pennello la firma: «MARTINA»; a sanguigna disegno di teschio, altri tratti e scritta indecifrabile.

41 Ritratto del maestro di musica Simeoni

Olio su cartone, cm 51 x 35,5.

Fondo Bortolan, inv. PA0101008352. Firma in basso a destra: «U. Martina».

Sul retro, in alto a pennello la firma: «MARTINA»; a pennarello nero: «Maestro musicista /Tripoli…»; a matita: «Il maestro di musica/ Simeoni (Tripoli)»; a pennarello rosso: «Tripoli bel suol d’amore».

42 Ritratto di vecchia di profilo

Olio su cartone, cm 44 x 39.

Retro: Gatto che osserva il piatto con il cibo

l’appartenenza a fasi diverse del suo operare. Il difficile viene quando si tratta di documentarlo o motivarlo.

Solo un disegno, esposto in questa occasione, con Ritratto di donna rivolta verso destra riporta l’anno d’esecuzione, il 1923.

I dati da considerare per una seriazione cronolo- gica, che deve di necessità fondarsi sulle compo- nenti di stile, sono, in sintesi, quelli di partenza: partecipazione ai corsi di Ettore Tito all’Accade- mia di Belle Arti di Venezia dal 1895 al 1900 e il ricordato biennio di studio a Monaco presso von Marr dal 1904 al 1906.

L’esito Jugendstil, ravvisato da Lombardi e in altre occasioni, in certi aspetti della conduzio- ne pittorica si fatica a documentare senza la di- ponibilità di dipinti datati da mettere assieme ai tre ritratti “cardine” presentati a Milano nel 1906, anch’essi non ancora individuati (Cappello

rosso, Ritratto di bambina, Ritratto di signorina). Si ritiene invece sostanziale, a seguito degli anni monacensi, l’influenza di von Marr che emerge a lungo corso e in cui si risolve anche l’originario insegnamento di Tito.

Si scalano quindi i suoi dipinti documentati a partire da L’armaiuolo del 1907 e dallo Studio di

testa dell’anno seguente (Neri 1923, pp. 74); si può proseguire ad annum a cominciare dal Ri-

tratto della signora Zezzos del 1909 (Neri 1923, p. 79), cui segue nel 1910 il Ritratto di Luciano Zucco-

li presentato quell’anno alla Biennale d’Arte ve- neziana (Neri 1923, p. 78) e il Ritratto della signora

Veronese Bruzzo del 1911 (Neri 1923, p. 76). Altro nucleo con riferimenti cronologici atten- dibili è quello del 1920 circa, costituito dal Ri-

tratto dello scultore De Paoli (Pauletto 1995, p. 24), e dal Ritratto della signora Pasinetti del 1921, pre- sentato alla Biennale dell’anno successivo (Neri 1923, tav. infra pp. 76-77).

Tali riferimenti si concretizzano nelle riprodu- zioni tecnicamente datate a corredo dei saggi di Ilario Neri in «Emporium» del 1923, di Ernesto Corsini in «Le Panarie» del 1932, in quelle edi- te nei cataloghi delle mostre di Spilimbergo del 1946, del 1970 a cura di Arturo Manzano e del 1995 a cura di Giancarlo Pauletto; se ne aggiun- gono nel tempo poche altre, non tali da essere di primario riferimento. (Mostra retrospettiva 1946;

Manzano 1970; Pauletto 1995). Fa eccezione il Ri-

tratto di Giuseppe Marchiori del 1930. Cfr. Stringa, in Venezia ’900 2006, p. 357 cat. 4.9. I tre esempi esposti, rispetto ai citati di riferimento, si pre- sentano quali ritratti d’occasione. Riguardo il

Ritratto di donna di profilo e il Ritratto di vecchia

di profilo, il taglio esprime il carattere di studi dal vero e altresì di ritratti “rubati” come si trat- tasse di un’istantanea, o forse perché dipendenti propria da una ripresa fotografica: si colgono i personaggi inconsapevoli mentre sono inten- ti alle loro cose. Potrebbe trattarsi di persone dell’ambiente familiare. Quindi non vi è alcun che di formale, come invece alcuni di quelli che sono sopra elencati. Fanno eccezione solo i di- pinti destinati alle esposizioni, come il Ritratto

di Luciano Zuccoli, presentato alla Biennale del 1910, mentre gli altri, e sono in maggior numero, concedono poco all’ambientazione e al costu- me. Com’è tipico di Martina, questo entra solo in piccola parte e sporadicamente nel quadro. Per quanto siano ritratti che obbediscono alla richiesta di un committente in posa, o che for- nisce la foto ritratto come modello da interpre- tare pittoricamente, egli si presta più di rado a restituire le componenti che ne indicano lo stato sociale. La funzione di rappresentanza borghese è comunque rispettata, in quanto il ritrattato, pago di tenere l’opera per sé, si compiace nel vedersi immortalato con estro pittorico, con in- dagine veritiera e allo stesso tempo con una “ti- picizzazione” magistrale finalizzata a esaltare la personalità, senza che si insista su aspetti psico- logici profondi che, pur compresi acutamente, si lasciano semmai intuire.

Rispetto a questo livello, l’intento a cogliere un tipo è quanto mai palese nel Ritratto del maestro

di musica Simeoni di straordinario impeto pitto- rico, sapiente ed intuitivo ad un tempo anche nell’intonazione cromatica. Carico di una ten- sione espressiva, inoltre, che rivela al meglio il carattere e le qualità di Martina e le preferenze di stile. Nonostante si esprima in quest’opera una sorta di forza nativa del pittore, è da doversi cogliere soprattutto l’affiorare di quanto aveva appreso da Carl von Marr a Monaco, senza però che si possano notare, anche in questo caso, fa- cili cadenze Jugendstil nella conduzione della Il Fondo Bortolan annovera un nucleo cospicuo

di ritratti di Umberto Martina sia ad olio su car- tone, tecnica prediletta per l’immediatezza della stesura e sinteticità, sia a disegno, tecnica a car- boncino adatta a ottenere sul momento gli effet- ti chiaroscurali voluti (figg. 34, 35). Si aggiunge inoltre una natura morta (fig. 36), un genere che sembra frequentato più di rado, come lo sono i paesaggi e le vedute d’interni. Manca il tema della rappresentazione di personaggi in costume settecentesco, frequentato dal pittore che parte- cipa, in questo, a una moda corrente, è assente inoltre il tema del nudo femminile che ricorre nel suo catalogo.

Si tratta, nel loro assieme, di testimonianze si- gnificative del lungo percorso del pittore di Dar- dago, ambientatosi a Venezia fin dalla tenera età e che poi ritorna, alla vigilia della seconda guerra mondiale, nel suo Friuli, a Tauriano di Spilim- bergo, per svolgervi un ultimo tratto di attività (anche una collaborazione con la Scuola di Mo- saicisti di Spilimbergo).

A Venezia, dunque, poté essere per lungo tempo un ritrattista di primo piano, anche se non lo si sospetta, poiché attualmente egli non gode delle dovute attenzioni critiche, immeritatamente. Si osservino i seguenti dati di fatto. Martina si distinse, con la predilezione per questo genere, partecipando sistematicamente alle più impor- tanti occasioni espositive: alla Biennale (1907, 1909, 1910, 1912, 1922, 1924) come pure alle mo- stre di Ca’ Pesaro (dal 1908 al 1920, non presente solo nel 1912). Agli esordi la sua pittura fu saluta- ta come una novità per i suoi toni forti (Stringa 2006, p. 41).

È ben vero che solo in rare occasioni lo si tro- va esporre al di fuori della sua città d’elezione. Tuttavia, al rientro dal soggiorno formativo a Monaco di Baviera, dal 1904 al 1906, presso Carl von Marr, il suo primo manifestarsi è alla Mostra nazionale di belle arti di Milano del 1906, alla quale presenta tre ritratti. In quel momento, ma già dal 1905, dispone di uno studio a Ca’ Pesaro di cui usufruì fino al 1914, trasferitosi in seguito a Palazzo Carminati assieme a un nutrito grup- po. Fanno poi eccezione le presenze alla Prima

Mostra Regionale d’Arte di Treviso del 1921 e alla

Seconda Mostra d’Arte del Sindacato fascista di Bel-

le Arti della Venezia Giulia tenutasi a Udine nel 1934-35 (Prima Mostra 1921; Seconda Mostra 1934). Il suo presenzialismo alle mostre veneziane si può considerare premiato nel 1935, quando alla

Mostra dei quarant’anni della Biennale sono esposte ben dodici opere, a iniziare dal Ritratto di Leopol-

do Brosch del 1923 (Mostra dei quarant’anni 1935, p. 83 nn. 36-47). Il famoso e influente critico d’arte e corrispondente delle testate estere, specie te- desche, e allora responsabile dell’ufficio stampa della Biennale per la stampa estera, era già stato ritratto da Ettore Tito nel 1909, alla maniera di Jacopo Tintoretto (Treviso, collezione privata), anch’esso esposto nell’occasione (Mostra dei qua-

rant’anni 1935, p. 51 n. 9; Mazzanti, in Archivi della

pittura 1998, p. 217 cat. 42). Si configurava dunque un virtuale confronto fra maestro e allievo d’un tempo.

Anche a voler accreditare l’immagine di un pit- tore “picaresco”, come propone Arturo Manzano (1970), basandosi sulla conoscenza dell’artista in fase tarda, è indubitabile una presenza e un ri- conoscimento professionale a Venezia, che non può essere ristretto a un profilo caricaturale e quasi grottesco di pittore anomalo per carat- tere e comportamento (peggio partendo dall’a- spetto fisico e dai dati di costume). Solo perché frequentatore di un mondo che si restringe a Dorsoduro tra Fondamenta Gherardini, il Pon- te de le Pazienze ai Carmini e Calle Lunga San Barnaba; per inciso a due passi dall’abitazione dell’aulico Ettore Tito, suo maestro, dirimpetto ai Wolf Ferrari (ritrae nel 1920 la signora Milly, Manzano 1970, tav. 5, e nel 1928 Riky bambina, tela cm 50x40, mercato antiquario, giugno 2002) e ai Ciardi, solo per citare i pittori più vicini in quegli anni.

L’ottimo profilo recente di Umberto Martina che si deve a Francesca Lombardi (2008, pp. 101-102), a cui si aggiunge quello di Cristiano Sant (in Ve-

nezia ’900 2006, p. 357; Idem 2009, pp. 274-275), avverte che «la ricostruzione del catalogo del Martina è assai complessa, poiché i suoi dipinti sono nella quasi totalità conservati in collezio- ni private, non pubblicati, né datati». È quanto si sperimenta nel voler classificare i sei dipinti e i cinque disegni del Fondo Bortolan, i cui ca- ratteri stilistici, di primo acchito, suggeriscono

della modella, in un sublime e segreto incontro di giovinezza». La definizione dei piani lumi- nosi e la sinteticità dei contorni del Ritratto di

donna di profilo sembrano dipendere da questi studi fotografici.

Quanto al Ritratto di vecchia di profilo si carat- terizza per quella scioltezza e libertà di stesura con pennellate larghe e libere, ma sempre co- struttive, che ha il sopravvento nel corso del secondo decennio e oltre. Sembrerebbe di assi- stere a un aggiornamento (non documentato) o meglio all’evoluzione, ancora una volta, sui modi di Carl von Marr nella fase più avanzata, per essere tradotti in una dimensione come più umile e prosaica. Pertanto si associa quest’ope-