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Treviso 1883 - 1967

85 Paesaggio collinare, 1965

Olio su cartoncino, cm 33,5 x 44.

Inv. PA0101001490. Firmato in basso a destra: «A. Malossi 1965».

98 n. 28,101), o Paesaggio in collina su cartone dello steso anno, dono ai Musei civici di Tre- viso (2016) di Giuseppina Monti, disposto in memoria del figlio Guy Stevenson.

Neri Pozza, dunque, nel redigere un testo con molti virgolettati dell’intervista rilasciata da Malossi in quella circostanza, adotta il clichè dell’artista riservato e isolato (frusto il con- fronto con Morandi). Va sull’aneddotico nel ri- chiamare Gino Rossi, gli anni di Ca’ Pesaro e di Burano. Entra tuttavia nello specifico quando si tratta di riportare le ragioni di una colloca- zione appartata assunta da Malossi nel Dopo- guerra, con alle spalle l’ultima esposizione risa- lente oramai al 1940 (sempre alla Bevilacqua la Masa) e la perdita dello studio e delle memorie più antiche del suo lavoro nel bombardamento di Treviso del 14 marzo 1945. Allora a sessanta- due anni d’età «ha preferito restare da parte a dipingere, secondo il suo estro; e oggi è conten- to di averlo fatto, di non essere stato trascinato nei disordini della pittura». All’impossibilità a cambiare gusto, per un dovere morale nei con- fronti di sé stesso e nel rispetto della pittura, si accompagna la conferma dell’abitudine a dipingere en plein air «come ai tempi di Gino Rossi, uscendo al mattino presto, in biciclet- ta, andando per la campagna verso le colline a cercare un’ombra sotto la quale ripararsi. Il paesaggio è lì». Si tratta della premessa a una lettura formale, degna di nota per aderenza al testo pittorico, ovviamente concordata con il pittore stesso, proprio delle ultime opere. Spe- cie laddove esprime un distinguo da Rossi e dal suo colore e prospetta la discendenza diretta da Matisse, di cui Malossi ama «le stesure net-

tici e nei rabeschi delle forme. Il suo proble- ma riguarda la luce, come in un fauve che ha dato un’occhiata agli impressionisti e non vuol perdere di vista la tensione naturale della ve- duta in un guizzare continuo di registri e di timbri leggermente tesi. Così le sottolineature formali sono estremamente semplificate; e an- che quando costruisce le sue colline a larghe campiture, l’accento è posto sulla successione delle luci».

In definitiva, Treviso ha ancora il suo fauve con un’indole impressionista nel 1965, un instanca- bile ottantenne che sorride al paesaggio, fortu- natamente di nuovo riconosciuto dopo lunghi anni di appartata dedizione alla pittura. Guido Cadorin (Venezia 1892 - 1976) esce «vi- vamente commosso dalla mostra veneziana di Malossi» (lettera del 10 marzo 1965; in Arturo

Malossi 1985, p. 42): «la visione del tuo grande ingegno di autentico pittore artista mi fa sen- tire ancora di più la manchevolezza dei tanti arrivisti che tutti conosciamo». Nel 1966 è la volta delle mostre di Roma (Galleria Piazza di Spagna) e di Treviso (Galleria Giraldo) con presentazione di Mazzotti. Nel rispondere a Nando Coletti che si complimentava con l’a- mico, Malossi fa ancora riferimento agli anni di Ca’ Pesaro e ad Arturo Martini che lo ha difeso, alla sua reazione fin da allora di fron- te a certi colleghi capaci di far rumore attorno a sé e a un’arte di «bottega». Per questo «da allora non non ho mai smesso di ricercare tec- nicamente, pur distruggendo molte cose, una forma di pittura semplice aderente alla natura, ma che possa definirsi pittura eseguita cioè con colori e pennelli» (lettera del 16 luglio 1966, in Quando firma questo dipinto nel 1965 Arturo

Malossi ha ottantadue anni. Ha alle spalle ol- tre sessant’anni di attività pittorica che, dopo la data indicata, lo impegnerà ancora per un anno o forse poco più.

Senza dubbio, la freschezza esecutiva e la gio- iosità della visione del dipinto esposto hanno del sorprendente rispetto a questa informativa anagrafica e ancor di più se commisurate alle sue prime e rare testimonianze superstiti, nei confronti delle quali si esprime in sostanziale coerenza di stile. Ora, e da tempo oramai, egli estremizza forse la sua innata semplicità di ap- proccio alla natura abitata che, in realtà, è una conquista e frutto di scelte, in certi momenti anche sofferte. È quanto esprime altresì la pen- nellata che è anch’essa solo apparentemente in- genua o istintiva («estrosa»), quando invece è efficacemente costruttiva, obbediente soprat- tutto a una logica “luministica”. Tutti aspetti che indicano per l’appunto una coerenza e fe- deltà ai personali intendimenti artistici: capo- saldi le esperienze di Ca’ Pesaro, a partire dal- la sua presenza con altri trevigiani alla Prima Mostra del 1908, preceduta dalla Prima mostra d’Arte Trevigiana del 1907 e in contemporanea la partecipazione alla cosiddetta scuola di Bu- rano. Occasioni, queste, per gli incontri e un legame ideale più profondo specie con Gino Rossi. Malossi lo incontrò nella sua Treviso, nell’ambito delle sue prime esperienze artisti- che cittadine. Figlio d’arte, le testimonianze lo dicono frequentare dal 1904, dopo il servizio militare, il Cafè Fabris in vicolo del Duomo, il ritrovo di artisti cittadino, e l’osteria “la Colonna”, ben nota soprattutto perché allora

assiste in sostanza a una elaborazione di dati fondamentali: attraverso Gino Rossi l’interes- se per l’arte qui vient de Paris e la conoscenza dei Fauves e inoltre la partecipazione alla pit- tura sciolta e di luce degli artisti che come lui si trovano per alcuni anni a Burano. Ossia, confermato questo, si considera quest’opera attraverso le testimonianze coeve alla sua re- alizzazione, quelle dell’artista stesso e di chi lo circonda, perché sono tali da restituirci la per- cezione di questa coerenza. Equivale a indagare per brevi tratti il “vissuto” dell’ultimo Malossi che il dipinto esprime.

Un’unica digressione, prima di affrontare que- sto, riguarda il fatto che la sua “continuità creativa”, assieme al richiamo alla semplicità, interessa non solo la pittura con il suo imma- ginario (Treviso innanzitutto, poi l’ambiente collinare e lagunare, gli abitati di campagna, nature morte e fiori sempre in vaso, pochi i ritratti), bensì anche l’attività di pittore e ma- estro ceramista. In quest’ambito ebbe successo con l’elaborazione di un linguaggio specifico iniziata negli anni tra le due guerre presso le manifatture Fontebasso e Gregorj, dagli anni Quaranta presso l’Industria Ceramica Vicenti- na di Piero Vaccari, nel secondo Dopoguerra ancora da Fontebasso e, inoltre, con La Tre- vigiana dei fratelli Tomassini. Un’attività che prosegue con Pagnossin ancora all’inizio de- gli anni Sessanta, presentandosi nel 1962 alla Trentunesima Esposizione d’Arte di Venezia. Quanto alle testimonianze del 1965 vi è quella raccolta con grande delicatezza da Neri Pozza, che vuole tratteggiare l’uomo assieme all’arti- sta, nel presentarlo in quell’anno alla mostra