Sull’origine e sulla struttura dell’alfabeto slavo è stato scritto molto: fondamentali sono i tentativi di ricostruzione intrapresi da N. DURNOVO (1929), N. TRUBECKOJ (1954), J. VRANA (1963), O.
NEDELJKOVIĆ (1967, 1971), V. TKADLČÍK (1971) —insieme ad altri
studi dedicati a questioni particolari—, F. MAREŠ (1971), MOŠIN
(1973). Una notevole quantità di altri saggi, incentrati su singoli problemi, si aggiunge a queste sintesi, offrendo contributi più o meno validi. Le grandi questioni poste dallo studio dell’alfabeto si articolano essenzialmente in tre gruppi: origine e provenienza dei segni grafici, valore fonetico e sequenza delle lettere, denominazione delle lettere. Alla problematica dell’alfabeto nel complesso, con particolare riguardo al secondo gruppo di questioni, è strettamente connesso il problema della lingua per la quale esso fu inventato: in base ai fonemi rappresentati si cerca di capire per quale dei dialetti slavi parlati nel IX secolo, assunto come base dello standard slavo ecclesiastico antico, l’alfabeto fosse stato formulato. I tentativi di soluzione per questo problema sono stati molteplici: la grande varietà dipende dal fatto che lo stadio testimoniatoci dell’alfabeto è già evoluto rispetto al suo assetto originario ed è quindi difficile stabilire la primaria destinazione di grafemi che sono stati variamente riutilizzati.
Questione di non minore importanza è quella di accertare quale sia l’alfabeto originario. Essendo infatti noti due sistemi alfabetici — glagolitico e cirillico— sembra poco probabile che entrambi siano stati inventati contemporaneamente, poiché non si spiegherebbe il motivo di tale ridondanza. Se poi si ammette, come è verisimile, che deve esserci stata fra i due una differenza temporale, si deve anche pensare che la sostituzione sia avvenuta per dei fondati motivi: insufficienza del primo ad esprimere la lingua, evolutasi a sua volta, necessità di semplificazione o semplice adattamento del sistema primitivo ad un nuovo ambiente linguistico o culturale. Bisogna,
Contributi italiani al XIII Congresso Internazionale degli Slavisti (Ljubljana 15-21 agosto 2003), a cura di Alberto Alberti, Marcello Garzaniti, Stefano Garzonio, ISBN 978-88-6655-724-1 (online), © 2014 Firenze University Press
inoltre, tener presente che le fonti, che additano inequivocabilmente Costantino Filosofo quale inventore delle lettere, non alludono a una doppia invenzione da parte sua: parlano di un solo sistema alfabetico, sebbene talune di esse accennino ad adattamenti, comunque successivi alla morte dell’apostolo (Skazanie o pismenech di Chrabr,
Vita di Clemente da Ochrida di Teofilatto di Bulgaria). Sulla base di
questi dati, si pone il compito non semplice di stabilire quale dei due sistemi oggi noti risalga a Costantino e quale, invece, sia frutto di adattamento, o sostituzione, successivo. La questione è eviden- temente fondamentale per tutta la filologia slava: annose diatribe e complicati giri di ipotesi e teorie hanno portato alla conclusione che debba riconoscersi come alfabeto originario il glagolitico.
Dal punto di vista grafico esso ha una struttura molto particolare che non pare ispirarsi a nessun sistema concreto1, il cirillico invece,
almeno in linea di massima, richiama palesemente la maiuscola greca. Quanto agli elementi costitutivi, è evidente che a base del glagolitico vi sia la linea curva, nella fattispecie il cerchio, variamente riprodotto nella maggioranza delle lettere, tanto da costituirne una specificità stilistica che conferisce un andamento rotondeggiante a tutto l’alfabeto (sulla base di ciò si distingue una scrittura glagolitica rotonda, più antica, da una glagolitica angolosa, canonizzatasi diversi secoli dopo la prima apparizione e in territorio croato-dalmata). Elemento caratteristico del cirillico è invece l’asta verticale —è sporadica l’occorrenza del triangolo— in varia combinazione angolare con altre lineette che nell’insieme conferisce all’alfabeto un andamento piuttosto angoloso e acuto. Per entrambi è indubitabile un qualche legame con la tradizione grafica greca (del resto lo stesso
1 La questione dei modelli del glagolitico ha fatto arrovellare generazioni di studiosi e non può dirsi a tutt'oggi risolta. Indipendentemente da questa ricerca, più o meno fruttuosa, MAREŠ (1971: 133) nota anche —ma questo vale per entrambi gli alfabeti— che «il fulcro della perfezione del glagolitico» consiste nel principio che ad ogni suono corrisponde una lettera, o, detto diversamente, che a ogni fonema corrisponde un grafema. In ciò si deve vedere un grande merito del suo inventore perché tale modello egli non può aver tratto dal greco. La situazione fonetica del greco bizantino già da tempo non corrispondeva più all’alfabeto con cui si scriveva: la lingua si era sviluppata ma la scrittura si atteneva alla tradizione senza cambiamenti: il fonema /i/ ad esempio si esprimeva graficamente in tre modi: con iota, eta, epsilon + iota, il fonema /e/ in due: epsilon, alfa + iota e così via. Né può averlo tratto dalle lingue semitiche, in quanto anche qui sussisteva ormai una differenza fra pronuncia e ortografia, per non parlare della questione del vocalismo e della vocalizzazione dei testi scritti; né dal latino che presentava lo stesso problema di diffrazione fra pronuncia e scrittura, anche se in misura minore del greco.
Chrabr, generalmente ritenuto la fonte più autorevole quanto all'invenzione dell'alfabeto slavo afferma chiaramente che come i Greci, nel costituire l’alfabeto avevano imitato gli Ebrei, Costantino aveva imitato i Greci) a partire dall’organizzazione dello scritto — righe orizzontali con andamento da sinistra a desta—, alla presenza di segni non letterali —quali legature, segni paragrafali, segni per indicare la palatalizzazione delle consonanti, spiriti (sebbene ridondanti in slavo), ecc.— al sistema abbreviativo e all’uso di
nomina sacra.
Come è noto, conclusasi la missione in Moravia con l'espulsione dei discepoli cirillo-metodiani, il glagolitico fu recepito nel territorio linguistico bulgaro ed usato almeno fino all’XI secolo (ILČEV 1985: 45). Probabilmente a Preslav, per una serie di motivi ancora non del tutto chiari ma verisimilmente di matrice politica, fu sostituito dal cirillico, con un processo dapprima graduale, ma che si può considerare concluso nel XII sec. Per un certo periodo pare che gli scribi conoscessero entrambi gli alfabeti usandoli scambievolmente (copia in cirillico da antigrafi glagolitici). Lettere glagolitiche isolate —o più raramente intere frasi o brani— ricorrono in vari monumenti antico- e mediobulgari, nonché in testi antico-russi, sia nel loro uso appropriato sia come iniziali ornamentali. Successivamente il glagolitico fu usato come criptografia, dopo che l'imperatore Carlo IV aveva cercato di farlo rivivere come scrittura libraria in Boemia nel XIV senza duraturi successi. Grande fioritura invece il glagolitico ha conosciuto nei Balcani nord-occidentali —Croazia, Istria, Dalma- zia2— come scrittura libraria nella sua seconda canonizzazione, la
succitata glagolitica angolosa o quadrata, e come scrittura documen- taria ma con un ductus ormai molto corsivo.
In generale, l'approccio alla questione è stato di natura marcatamente linguistica, dettato in prima istanza dalla necessità di identificare il dialetto assurto a base dello standard letterario. Ciò sottintende una questione politico-culturale di ampie dimensioni: la primogenitura di una stirpe slava sulle altre nella creazione della cultura scritta. Per molto tempo la ricerca è stata in ciò monotematica, trascurando il fatto, a nostro avviso fondamentale, che la concezione medievale cristiana della scrittura andava ben al di là di questa angusta cornice, nel tentativo di coniugare due aspetti ritenuti
2 Sul come vi fosse arrivato esistono varie teorie, non esclusa quella che prevede un suo transito nelle regioni bosniache, fatto che avrebbe lasciato traccia nel tratteggio di alcuni manoscritti.
inscindibili e complementari: uno meramente pratico-linguistico, ossia la necessità di dare forma grafica a contenuti sonori, e uno più profondamente spirituale, ossia la conquista della sapienza attraverso la Parola rivelata e fissata con questi segni. È ciò che arbitrariamente indichiamo rispettivamente come τéχνη dell'alfabeto, corrispondenza fonemi / grafemi, e e σοφíα dell'alfabeto, valenza soteriologica della scrittura. Che dietro il problema strettamente linguistico dell’inven- zione dell'alfabeto si celasse anche un aspetto filosofico-religioso è un sospetto sollevato solo recentemente nella critica slavistica —pur non essendo mancati in passato contributi tesi ad evidenziare, ancora in maniera non sistematica, una qualche componente mistica nel più antico alfabeto slavo— anche se sempre in stretta connessione con un altro problema che ha dall'inizio occupato gli studiosi, ossia quello dei modelli.
Come abbiamo accennato, l’attenzione degli studiosi si è rivolta parimenti all’assetto grafico dell’alfabeto glagolitico, soprattutto dal momento in cui si è accettata l’ipotesi della sua maggiore antichità3,
nel tentativo di rintracciarne i modelli e seguirne il processo genetico- evolutivo. Il numero dei contributi sulla questione è invero molto grande e copre un lungo arco di tempo. Grosso modo, le teorie avanzate in merito sono riconducibili ai seguenti gruppi: 1) il modello è da rintracciare nella grafica greca; 2) nella grafica semitica del Vicino Oriente (ebraica, samaritana); 3) nella grafica latina; 4) nella grafica dei popoli cristiani del Caucaso (Georgiani, Armeni); 5) singolare ipotesi di Geitler circa una derivazione dall’alfabeto albanese; 6) in sistemi simbolici (matematici, astronomici); 7) l’al- fabeto è strutturato su una concezione mistica; 8) si tratta sempli- cemente di una libera e arbitraria creazione di Costantino.
A fronte degli sforzi profusi in questa direzione, rimane ineludibile un'obiezione, ricorrentemente presentatasi nella critica, che accomuna tutte le numerose ipotesi di derivazione formulate, e cioè il fatto che nessun modello proposto funziona ed esaurisce la totalità dei casi: anche quando si sia riusciti a rintracciare delle somiglianze, la quantità di queste rimane ben lontana dal poter dimostrare un inequivocabile influsso del modello trovato. Questo scoglio, sul quale si sono arenati numerosi studi, ha comunque prodotto, in tempi recenti, il risultato di indirizzare la ricerca verso i
3 Sulle ragioni di questa scelta si rinvia al già citato articolo di O. N
EDELJKOVIĆ (1965-67) che fornisce un quadro agile e chiaro delle argomentazioni addotte a favore della priorità del glagolitico.
principi sui quali sarebbe stato modellato l’alfabeto glagolitico, accantonando le somiglianze occasionali che pure si riesce ad evidenziare. Pur constatando gli indubbi effetti positivi che quest’im- pulso ha prodotto, ci sembra tuttavia che le teorie di derivazione proposte si appoggino ancora in larga misura a ipotesi e ricostruzioni di difficile verifica o a elementi del tutto aleatori e generici (vd.
infra), per non dire delle carenze relative a un'altro aspetto, molto
trascurato nella slavistica in genere —a nostro avviso di fondamentale importanza— ossia quello paleografico.
Fin dai primi studi è riscontrabile un serio equivoco paleo- grafico: nella comparazione di alfabeti diversi non si tiene in alcun conto delle caratteristiche fondamentali della scrittura, e cioè il sistema di inscrivibilità delle lettere, che ne determina la natura maiuscola o minuscola, il tratteggio, che è molto meno casuale di quanto superficialmente si pensi, il ductus, ossia la modalità del tratteggio, corsivo o posato. Questi tre elementi —senza volerne citare altri, come modulo, angolo di scrittura, ecc.— sono importanti per la classificazione di una scrittura poiché trovano una applicazione rigorosa in ciascuna. Un’analisi che ne tenga conto in riferimento all’alfabeto glagolitico, a quanto ci consta, è stata sviluppata da TH. ECKHARDT (1955; 1989), ma quasi completamente ignorata da quanti si sono accinti a cercare i modelli dell’alfabeto, con risultati spesso a dir poco fantasiosi. La studiosa (1955: 61), a seguito di un’attenta analisi della grafica glagolitica, ha dichiarato insoddisfacenti tutti i tentativi precedenti di rintracciarne il modello ed ha affermato che, se generalmente si accetta che il glagolitico sia una creazione di Costantino, non si può considerarlo una congerie di altri differenti alfabeti da poter sminuzzare a piacimento. Essa ha parimenti rilevato il fatto che le numerose ipotesi sarebbero state avanzate senza mai precisare quale stadio del glagolitico si assumesse a riferimento per la comparazione. Tutto il problema genetico-evolutivo sarebbe stato schiacciato in direzione della "caccia" al modello, prescindendo completamente da un’analisi paleografica dettagliata e precisa dello stadio della scrittura attestatoci. Si sarebbe tralasciato che anche i monumenti più antichi a noi giunti sono di circa un secolo e mezzo posteriori alla prima codificazione dell’alfabeto, un lasso di tempo sufficiente per l'intervento di modifiche nel tracciato delle lettere. Stando così le cose ogni comparazione paleografica con altre scritture sarebbe destituita di fondamento perché scivolerebbe facilmente nell’arbitrarietà.
A dispetto di queste fondate obiezioni, la ricerca del modello avulsa da solidi criteri paleografici è continuata, aggirando l'ostacolo in vari modi. Ad esempio, si è fatta strada l'ipotesi che Costantino avesse tratto il proprio alfabeto non da un altro a lui noto ma da un qualche sistema di simboli, rielaborandolo liberamente in base alle proprie esigenze. È quanto affermato da E. E. GRANSTREM (1955)
che rintracciava il modello in particolari segni usati nei manoscritti greci per la medicina, l’astrologia, la tachigrafia, l’alchimia, la criptografia, la magia. In questa pletora di segni la studiosa identificò un modello per 31 lettere glagolitiche, ma in modo piuttosto arbitrario4. Nel carattere composito e artificiale del glagolitico così
assemblato, Granstrem individuava la causa della sua breve durata e il motivo della sostituzione con il cirillico. Questo però non spiega perché, a distanza di secoli, il glagolitico riceva una seconda canonizzazione, o perché in certe zone non sia stato in realtà mai estirpato, anzi abbia dato vita anche ad una variante documentaria, attestata fin nelle forme più corsive.
Altra ipotesi per spiegare l’originalità dell’alfabeto glagolitico è che alla sua base ci sia un’idea mistica. Tale tentativo fu già esperito da Černochvostov nel 19495 che rintracciava in tre simboli mistici gli elementi base dell’alfabeto e cioè la croce, il triangolo e il cerchio, la prima simbolo del sacrificio di Cristo, il secondo della Trinità, il terzo dell’infinito. Di questa teoria è stato generalmente accettato e ritenuto l'assunto che la forma crucigera della prima lettera simboleggi la croce di Cristo, ma in genere è stata ritenuta insufficiente per spiegare la totalità dei segni. Una simile impostazione è stata ripresa da VYNKE e DETREZ (1992) che identificano il glagolitico come un
alfabeto sacrale, concetto nient’affatto estraneo alla mentalità medievale che considerava ogni cosa manifestazione di Dio e ogni manifestazione terrestre simbolo di una verità spirituale e divina. Eminente rappresentante di questa mentalità è Gregorio di Nazianzo per il quale, come è noto, Costantino nutriva una sconfinata ammira- zione. Egli, dunque, imbevuto della teologia del Nazianzeno avrebbe creato un sistema di lettere adatte a rappresentare i fonemi slavi che contemporaneamente costituirebbe anche una costruzione altamente
4 L’arbitrio dello studioso che tenta di ricostruire il percorso effettuato da Costantino è una costante in questo genere di ricerca: la tentazione di forzare qua e là pur di dimostrare il proprio assunto è sempre forte, tale da inficiare spesso la fondatezza di determinate argomentazioni.
5 Riferito da V. K
IPARSKY (1964) al Congresso degli Slavisti di Mosca nel 1958.
simbolica e mistica, sia nel complesso che nelle singole articolazioni. Così Vyncke e Detrez sintetizzano i fondamenti di un alfabeto sacro: 1. Un alfabeto sacro è opera di Dio, l’uomo che lo concretizza è solo uno strumento, dunque esso è una creazione assolutamente originale. 2. Ogni lettera ha un valore fonologico. 3. Parimenti, ogni lettera ha anche un valore numerico che ne determina il posto nella sequenza. 4. In virtù del principio acrostico ogni lettera è l’iniziale di una parola che viene considerata nome di quella lettera. 5. Questi nomi, lungo l’asse paradigmatico, formano delle unità lessicali e sintattiche che costituiscono un testo completo. 6. La forma delle lettere non è arbitraria ma rappresenta, nella sua simbologia, l’idea spirituale del nome. 7. Le lettere sono στοιχεíα marcate da una connotazione cosmica. Basandosi su questi postulati, l'alfabeto sacro non solo si presenta come un messaggio di Dio ma simboleggia la struttura stessa dell'universo (p. 221). Gli autori mostrano come tale teoria giunga all'apostolo degli slavi dalla letteratura patristica fornendogli un archetipo ideale per la sua costruzione che è l’alfabeto ebraico, attraverso la mediazione di quello greco che dai primi autori cristiani veniva già interpretato come imitazione dei contenuti di fede rivelati in quello ebraico6.
L'ipotesi è strutturalmente convincente ma piuttosto arbitraria in una delle sue articolazioni, e cioè proprio quella (paleo)grafica. Come infatti è stato rilevato anche da VEREECKEN (1995: 7-8) i segni grafici —che consequenzialmente al principio adottato dovrebbero veicolare nella loro forma un contenuto teologico— presi in considerazione dagli autori non ricorrono in nessuna fonte scritta tramandata, risultano piuttosto essere l'astrazione —compatibilmente simile alle lettere glagolitiche note— del loro significato teologico, ponendo in ciò un serio arbitrio, ossia la totale mancanza di un reale supporto paleografico ad una teoria di per sé corretta. La mancanza di tale serio supporto, come detto, si rileva anche in altre ricostruzioni, non ultima quella di TLADLČÍK (2000): siamo dell'avviso che, considerati i
materiali paleografici a disposizione piuttosto tardivi rispetto agli originali, e l'ancora più carente analisi che di essi è stata finora
6 Esemplare di questa tendenza esegetica è il trattato in copto dell'apa Seba sulla struttura dell'alfabeto greco al quale gli studiosi attingono la dottrina corrente di quei tempi. Edizione del testo in HEBBELINCK (1900-1901).
condotta7, una seria ricostruzione grafica dell'alfabeto uscito dalla
penna di Costantino sia al momento impossibile.
Lo scetticismo riguardo alla reale possibilità di rintracciare il modello dell’alfabeto aleggia già da tempo negli studi8 e si basa sul
presupposto che il glagolitico sarebbe una creazione personale di Costantino-Cirillo. Il suo scopo sarebbe stato quello di trovare un
nuovo alfabeto e non di riprodurre o imitare segni di alfabeti già
esistenti: pur non sottraendosi all'influsso di altri sistemi alfabetici, egli non deve necessariamente averli usati in modo sistematico. La nostra posizione non è così radicale, poiché pensiamo che "nuovo" non necessariamente significhi "senza sistema", anzi riteniamo che questo sistema debba essere cercato e investigato, ma siamo inclini a un sano scetticismo circa la possibilità di ricostruzione completa dell'idea e della attuazione costantiniana dell'alfabeto. In altre parole, riteniamo che vi siano buone probabilità di ricomporre i tasselli della σοφíα dell'alfabeto, quale era concepita all'epoca della missione ciril- lo-metodiana, ma minori possibilità di ricostruire integralmente la τéχνη usata da Costantino, e sotto il profilo fonetico-fonologico giacché anche le migliori ricostruzioni non riescono ad andare oltre certa penuria di dati, e sotto il profilo grafico, laddove la notevole mancanza di dati e l'interpretazione ancora approssimativa di quelli disponibili induce a grande prudenza.
Nonostante queste difficoltà, ci sembra importante approfondire la ricerca su questi due aspetti della struttura dell'alfabeto perché riteniamo che solo un approccio globale ad una realtà così complessa possa dare dei risultati e, se anche al momento una interpretazione puntuale e completa dell'alfabeto originario è ancora un miraggio, tutto ciò può aiutare a ricostruire le costanti secondo le quali si è evoluto l'alfabeto stesso e la teoria/funzione della scrittura nella società slava, nonché lo spirito delle varie riforme ortografiche. Come primo passo si impone quello di capire quale fosse l'approccio dell'uomo medievale alla scrittura e, in base alle varie fonti a disposizione, verificare se vi è traccia di tale mentalità nella
7 È appena il caso di rammentare che il pur vivace dibattito paleografico sul glagolitico non ha sortito a tutt'oggi né una descrizione morfologica epistemolo- gicamente valida di questa scrittura né una classificazione delle sue diverse forme sulla base di parametri oggettivi. In altre parole, dopo diversi decenni, non si è andati molto oltre la classificazione empirica del VAJS (1932).
8 Si vedano R. A
UTY (1971: 43) e il succitato saggio di ECKHARDT (1955:62- 65).
concezione (costantiniana) slava della scrittura. Ciò fatto, cercheremo di seguire in prospettiva diacronica la sopravvivenza e l'evoluzione di tale concezione, ovviamente operando una scelta tra tutte le possibili fasi, in particolare soffermandoci sulla riforma ortografica hussita — delle cui implicazioni con il glagolitico si dirà oltre—, sulla cristallizzazione del glagolitico in concorrenza con altri sistemi scrittori (alfabeti cirillico e latino) e dei suoi riusi (criptografie, amuleti).
Il punto di partenza del medioevo cristiano è che tutta la rivelazione divina sia contenuta nella Scrittura e che nell’esegesi della Scrittura sia contenuta tutta la scienza teologica9. Una volta affer-
matosi questo concetto, si comprende facilmente il travaso di sacralità dal contenuto (la Scrittura) al contenitore (il libro)10. Nella mentalità e
nella simbologia della Chiesa dei primi secoli l’esegesi e l’esegeta per eccellenza della Scrittura era il Cristo stesso, il Verbo11, la simbologia