anche alle pseudo-criptografie glagolitiche.
18 Su questa complessa problematica si veda D
presupposti sacrali della tradizione greca, ebraica e latina per legittimarla allo stesso livello.
A tal proposito sono illuminanti le numerose questioni lessicologiche sottese nelle lingue dei popoli neoconvertiti ai termini che indicano "lettera" e "libro". Citiamo, a mo' di esempio, l’etimo- logia data della parola littera nel Liber de numeris III, 31 (ed. MCNALLY 1957: 61), un testo di chiara tradizione irlandese —
erronemanete attribuito a Isidoro di Siviglia (ca. 750)— proveniente dal circolo di Virgilio di Salisburgo19: «Apud hebreos, sephir; apud
grecos, gramma, apud latinos, littera». Del resto, lo stesso trattato afferma in III, 29 (MCNALLY 1957: 60) che «littera est fundamentum
sapientiae», nello stesso spirito con il quale nello Skazanie o
pismenech le lettere conducono al ðàçgìú (vd. infra). Questa
tradizione affonda le sue radici nell'humus ebraico-ellenistico dianzi citato: anche in ebraico, sephir copre entrambi i significati di "lettera" e "libro", anzi, in molti contesti, sembra predominante la seconda accezione. Ricordiamo che nel citato Sefer yeṣirah viene illustrata la creazione delle lettere (libri) da parte di Dio, che riflette la creazione stessa del mondo20, e contemporaneamente, attraverso le lettere, viene indicata la via della sapienza: un esempio eloquente dell'inscindibile nesso tra segno grafico e insieme dei segni grafici legati a un’idea sacra.
Come si è detto, la teoria ricostruttiva dell'alfabeto glagolitico di Vynke e Detrez poggia sul presupposto che si tratti di un alfabeto sacro redatto da un chierico bizantino del IX sec. sulla base di un pensiero profondamente religioso e allegorico. Questa, come le altre ricostruzioni citate, attingono a tutte le fonti che in maniera diversa riguardano l'alfabeto slavo: preghiere alfabetiche, abbecedari conte- nuti in manoscritti slavi e non o sequenze alfabetiche di varia provenienza e lo Skazanie o pismenech del monaco Chrabr. Ciono- nostante, i risultati sono stati finora sempre parziali o perché si è cercato di dedurre da esse la τéχνη dell'alfabeto (quindi questioni linguistiche o grafiche alle quali spesso esse non possono rispondere) o perché la ben più rischiosa ricerca della σοφíα si è avvalsa di
19 Sulla complessa questione della provenienza si veda R. M
CNALLY (1957: 154-156).
20 Sefer yeṣirah: «Ventidue lettere, le incise, le intagliò, le soppesò, le permutò,
le combinò e con esse formò l'anima di tutto il creato e l'anima di tutto ciò che è formato e di tutto ciò che è destinato a essere formato». (BUSI 1995: 38).
troppe ipotesi. Da parte nostra, riteniamo che, essendo per l'uomo medievale il complesso τéχνη / σοφíα inscindibile, potenzialmente tutte le fonti citate conterrebbero l'una e l'altra, forse però in una maniera frammentaria o troppo criptica. In questa occasione vorremmo focalizzare l'attenzione su quella di esse più direttamente ed esclusivamente legata alla genesi della scrittura slava, ossia allo
Skazanie o pismenech, per la quale in altra sede abbiamo proposto
una lettura nella prospettiva dell'esegesi patristica della scrittura21. Al
di là di ogni polemica contingente (come spesso si è voluto vedere in questo testo), lo Skazanie si configura come un adattamento su suolo slavo di contenuti risalenti ai Padri, che diano alla scrittura slava pari valore e dignità di tutte le altre scritture cristiane. Ricorrono in esso concetti emblematici di questa tradizione: la funzione soteriologica delle lettere, e quindi il fatto che il desiderio di conoscenza sia diret- tamente proporzionale al desiderio di Dio.
L'autore—rimasto sostanzialmente anonimo— parte dal discorso generale del valore della scrittura, come strumento per l’intelligenza del divino, nell’economia della salvezza per mostrare nel particolare come Dio abbia voluto gratificare anche gli Slavi di questo strumento di salvezza attraverso il santo Costantino. In una prospettiva più ampia ciò implica che nel disegno di salvezza ci sia anche la scrittura slava e ciò la innalza di per sé allo stesso livello delle altre scritture/lingue sacre. Perciò siamo inclini a considerare il testo non frutto di un'occasionale polemica contro gli avversari del momento (quali fra i tanti possibili? Nessuna ricerca risponde esaustivamente a questo interrogativo) bensì una pura apologia dello strumento che porta alla conquista del ðàçgìú, come dichiara esplicitamente nel cap. XV, 4222. La prospettiva in cui bisogna collocare le sue parole
non è quella angusta dell’affermarsi di un "popolo nuovo" ma quella molto più ampia dell’uomo rispetto a Dio e rispetto all’eschaton, idee che avevano nel medioevo una circolazione sovranazionale molto più ampia di quanto ordinariamente non si creda. Il dettato dell'opera, per quanto estremamente condensato e di difficile esegesi, ci sembra fondere mirabilmente entrambe le componenti nell'approccio alla scrittura. Quanto alla σοφíα dell'alfabeto esso si sofferma: a) sulla valenza soteriologica della scrittura (strumento per ottenere l'intelletto delle cose divine), b) principio imitativo delle lingue sacre per formulare tale strumento per gli Slavi. Quanto alla τéχνη dell'alfabeto
21 Tesi di dottorato non pubblicata.
esso: a) ribadisce il principio imitativo nella misura in cui sostiene che l'alfabeto slavo è composto di 24 grafemi "simili al greco" e di 14 "secondo la parlata slava"; b) fornisce l'intera sequenza.
Cominciamo da questa seconda componente, quella più insistita dagli studiosi. Molto si è discusso su cosa si dovesse intendere per "imitazione": oggi si ritiene debba trattarsi del tentativo di riprodurre nell'alfabeto slavo la perfezione del sistema dell'alfabeto greco. Inoltre, nonostante le numerose alterazioni nella tradizione mano- scritta dello Skazanie, si ritiene che l'alfabeto slavo cominciasse con A e finisse con il segno di nasalità (N) (MAREŠ 1971: 148-152). Ciò
si inferisce dall'affermazione «queste sono le lettere slave ...fino a N», [...] ä y , presumibile errore di trascrizione dal glagolitico äî 0 cioè della preposizione do (come attestano vari manoscritti) e della N. Quest’ultima lettera non avrebbe potuto però trovarsi all’inizio di parola senza una vocale orale e dunque non avrebbe neppure avuto un nome iniziante per segno nasale. Per questo, sia il nome che il verso corrispondente inizierebbero per ję-. A volte negli abecedari sono riportati entrambi i segni: quello 0 come ultimo segno dell’alfabeto, e 2 come inizio della denominazione di questa lettera.
In base alla testimonianza di Chrabr, Costantino avrebbe orga- nizzato l’alfabeto come una mirabile sintesi tra quello greco e i grafemi corrispondenti ai suoni slavi23. Il risultato non sarebbe un
semplice accostamento di due sequenze separate, ma un nuovo sistema in cui si equilibrerebbero due elementi: il pensiero grafico greco —“grčko grafijsko mišljenje” come lo definisce VRANA (1963:
131)— e il sostrato fonetico del dialetto macedone occidentale parlato da Costantino24. Ne sarebbe prova il fatto che vari grafemi, definiti
dallo stesso Chrabr "secondo la parlata slava", sono stati inseriti nella parte "greca". Poiché lo scopo di Costantino era quello di innalzare la scrittura e la lingua slava alla dignità di ricevere la traduzione della
23 Il sistema lettere greche + parte specifica era già stato usato nella struttura dell’alfabeto georgiano. Questo però è così fedele al modello greco da conservarne il valore numerico delle lettere, introducendo nella sequenza, in caso di lettere greche mancanti in georgiano, grafemi di diverso valore o fonetico o fonologico (GAMKRELIDZE 1990: 134-143).
24 Che alla base dello slavo letterario del IX sec. ci fosse ua parlata macedone occidentale era stato aprioristicamente e teoreticamente postulato da Durnovo la cui opinione, sebbene criticata da alcuni studiosi, fu recepita dalla maggior parte degli autori di grammatiche dello slavo antico degli ultimi anni. NEDELJKOVIĆ (1965-67: 32) ha evidenziato che i materiali scoperti negli ultimi anni confermano la ricostruzione dello studioso.
Sacra Scrittura, il suo alfabeto non sarebbe stato dunque una mera imitazione, ma un nuovo sistema, in parte simile al greco. A ciò si aggiungerebbe un terzo elemento, vale a dire la necessità di rendere le differenze fra il fondo fonetico slavo meridionale e quello slavo occidentale trovato in Moravia (VRANA 1963, TKADLČÍK 1971,
MAREŠ 1971).
Dalla testimonianza dello Skazanie, TKADLČÍK (1971: 367)
inferiva che le lettere avessero un nome acrostico, esattamente come in greco ed ebraico, sia perché esso nomina la prima lettera, àçú, sia perché nell’introdurre l’elenco delle lettere, scrive ñèöý f ïîäîáàýòü ïèñàòè è ãëàøàòè. In questo caso il verbo ãëàøàòè non significherebbe pronunciare ma piuttosto chiamare, come com- proverebbe il fatto che le lettere sono scritte con titoli. I nomi delle lettere sono attestati anche da altre fonti e sono così radicati da essere stati utilizzati sia per denominare le lettere glagolitiche che per quelle cirilliche25.
La questione dei nomi delle lettere slave ha occupato non poco gli studiosi: le teorie proposte per spiegarle vanno dalle più neutre che le ritengono nient’altro che un sistema mnemotecnico per imparare l’alfabeto, a quelle che attribuiscono loro un valore simbolico. È curioso che non si tratti solo di sostantivi, ma anche di aggettivi, avverbi, pronomi e forme verbali. Ciò ha fatto pensare che origina- riamente le denominazioni a noi note costituissero un acrostico, oggi purtroppo perduto nella sua completezza. Ma è stato anche fatto notare che alcune lettere hanno denominazioni fonetiche: VAILLANT
(1955: 29) le spiegava come risultato di un’oscillazione fra uso greco e uso latino. Per alcune lettere sorgono dei problemi in quanto i nomi sono tramandati sotto forme diverse. Queste difficoltà hanno portato alcuni studiosi, fra cui lo stesso Vaillant, a concludere che un’indagi- ne sui nomi delle lettere non potrebbe approdare ad alcun risultato
25 Come si è detto, l’uso di denominare le lettere è molto antico e fondamen- talmente ricorre a due sistemi: uno "fonetico-sillabico", in cui il nome è costituito dal suono espresso dal grafema più una vocale di appoggio; e un altro che ricorre a nomi convenzionali, più o meno correlati al grafema cui corrispondono. Il greco è un esempio di compresenza di entrambi i sistemi: alcuni nomi sono fonetici, altri —la maggior parte— riprendono i nomi semitici, etimologizzati in maniera diversa dai grammatici. Sulle denominazioni delle lettere semitiche esiste una ricca letteratura. L’interpretazione più neutra di questi nomi è quella secondo la quale si tratterebbe dei nomi degli oggetti cui il tracciato della lettera assomiglia: es. alef toro, beth casa,
ghimel cammello ecc. Questo sistema di denominazione delle lettere è noto anche al
gotico, per le cui rune sono usate parole germaniche, mentre è sconosciuto al latino che si serve del criterio fonetico.
sicuro, trattandosi di termini di scuola creati per comodità didattica. Sul fatto che si trattasse di semplici strumenti mnemotecnici convengono anche IVANOVA (1969) e TKADLČÍK (1971: 368) il quale
osserva che pur imitando in ciò il greco e l'ebraico, Costantino avrebbe sempre preferito nomi slavi per le lettere e perfino le denominazioni apparentemente fonetiche sarebbero in realtà abbre- viazioni, divenute per noi indecifrabili. Il fatto poi che i nomi siano di varie specie farebbe pensare che essi formassero un acrostico di senso compiuto o quanto meno delle frasi triadiche con un preciso schema sillabico, cioè 6-8 sillabe. Purtroppo, secondo lo studioso ceco, solo nove triadi sono ricostruibili con sicurezza.
Tuttavia i tentativi di ricostruire le denominazioni originarie e spiegarle sono molteplici, soprattutto in riferimento alla più ampia tendenza a ricostruire l’omogeneità del sistema sotto tutti i profili. Già GEORGIEV (1941) interpretava i nomi delle lettere come parole iniziali dei versi di una preghiera alfabetica che Costantino avrebbe composto per celebrare la creazione dell’alfabeto slavo. Ciò darebbe modo di spiegare la varietà di forme di queste parole, fermo restando che questa preghiera non è attestata. E invero, la scoperta e pubbli- cazione da parte di MAREŠ (1964: 20) di una preghiera alfabetica della biblioteca Saltykov-Ščedrin, interrotta però alla lettera T, in cui come parole iniziali di vari versi ci sono i nomi delle lettere, costituisce una conferma indiretta dell’ipotesi di Georgiev. L’ipotesi che i nomi delle lettere costituissero un acrostico contenente un’idea religiosa è sviluppata da altri autori (ERICSSON 1970: 12026, SAMILOV
197027 STEPANOV 1991, 1993, VYNCKE-DETREZ 1992, VEREEKEN
1995). Nonostante gli sforzi, questi tentativi rimangono incompleti, o diversamente propongono un giro di ipotesi e ricostruzioni al momento indimostrabili28. E tuttavia, ciò non significa, a nostro
26 Secondo la studiosa l’acrostico dell’alfabeto sarebbe stato originariamente un credo, ipotesi non errata ma che non viene concretamente dimostrata.
27 Il criterio che ispira questo studio è di interpretare i grafemi glagolitici partendo dal significato del loro nome. Il principio di per sè ci pare fondato in riferimento all’importanza del simbolismo nel medioevo. L’analisi però non è condotta con la coerenza e la consequenzialità che un simile argomento richiede, col risultato che spesso le interpretazioni date sono piuttosto arbitrarie.
28 Arbitraria è per molti versi la ricostruzione di V
YNKE-DETREZ e semplicistica quella di VEREECKEN (1992, 1995), secondo la quale alla base dei nomi delle lettere slave ci sarebbero proprio le interpretazioni patristiche dei nomi delle lettere ebraiche.
avviso, che la premessa non sia giusta, ma il difetto di materiali impedisce di dimostrarla nella totalità dei casi.
In questa direzione lo Skazanie offre materiali —sebbene parzia- li— molto significativi che non ci sembrano essere stati valutati nella loro reale portata. Nessuna delle ricostruzioni proposte, infatti, pur disquisendo lungamente sui nomi delle lettere noti, spiega perché la prima si chiami àçú e in che rapporto questo nome si trovi con i suoi acclarati modelli, vale a dire l'ebraico alef e il greco alfa. Che si riferisca a Dio, come ipotizzano Vynke e Detrez, è indubitabile, ma riteniamo che il suo legame con la prima lettera slava sia molto più stretto di un generico riferimento alla Bibbia e ai numerosi passi in cui "io" designa Dio stesso.
Si è visto che lo Skazanie è perfettamente allineato alla σοφíα dell'alfabeto che attribuisce un valore soteriologico alla scienza (intesa come conoscenza) delle lettere. Questo concetto filosofico- teologico compendiato nel termine ðàçgìú, corrispondente al greco σúνεσις, è quello della intelligenza del divino. Essa è largamente attestata e spiegata dai primi autori cristiani, soprattutto da Gregorio di Nazianzo il cui influsso sarebbe stato determinante per la formazione di Costantino Filosofo, nella cui biografia ðàçgìú sarebbe una parola chiave e, mediata dalla dottrina di Gregorio, di ascendenza platonica (TOT 1981: 34)29. La natura neoplatonica di questa concezione è evidente (DE LUBAC 1959: 64) e Chrabr la recepisce pienamente: essa si intreccia in un vincolo inestricabile con il valore sacro della lettera, e quindi del libro: ciò spiega, a nostro avviso, la sua insistente presenza nelle fonti che riguardano la missione cirillo-metodiana.
29 Riteniamo del tutto superflua, se non impostata su premesse errate, la parte di questo contributo dedicata alla ricerca del vero significato dell’appellativo Filosofo che i contemporanei attribuivano a Costantino. Si tratta secondo noi di un falso problema indotto dall’affermazione (errata) secondo la quale «văv Vizantija tazi duma, zapazvajki părvonačalnoto si značenie, e polučavala i dopălnitelni smislovi ottenăci» (p. 33). Il problema ha dimensioni più ampie, e cioè determinare il significato della filosofia alla luce del cristianesimo. Come ha spiegato BARDY (1949) il cristianesimo, da Clemente Alessandrino in poi, rivaluta la filosofia pagana integrandola con la teologia cristiana. È un processo del tutto naturale alla luce del quale filosofo sarebbe colui che possiede la conoscenza degli antichi, coniugata alla sapienza che solo la parola di Dio può dare. Secondo noi, in accordo con questa concezione, Costantino viene descritto come il prototipo di studioso che, seguendo le orme dei Padri, si prefigge di giungere alla conquista della sapienza attraverso l’armonizzazione della conoscenza umana (filosofia antica, grammatica e le altri arti dell’uomo) con l’accettazione del Verbo divino.
Questo stesso concetto ricorre anche in vari apocrifi. Ad esempio, nell’Apocalisse di Mosè —nota anche come Libro dei Giubilei (CAVT 132)— il verbo συνετíζω ha la stessa accezione di ðàçgìú nelle fonti slave. La trama del testo è costituita da una visione avuta da Mosè sul Sinai, nella quale un angelo gli avrebbe comunicato uno scritto, vergato da lui stesso nei cieli, sotto dettatura di Dio. Anche questo elemento si inscrive in quella trama esegetica, affatto estranea allo Skazanie, che riteneva la lettera emanazione diretta di Dio. Esso corrobora, anzi, la nostra ipotesi interpretativa dello Skazanie come apologia del segno grafico —e per translato, del libro sacro, grazie al quale l’uomo giunge alla comprensione del divino e quindi alla salvezza— nella fattispecie della lettera e del libro slavo che estendono questo privilegio agli Slavi, conferendo loro pari dignità con i popoli che lodano Dio nella propria lingua.
Conferma a favore della ricezione slava di questa visione offre una breve trattazione î ýæý ýñòü ðàçgìü proveniente da una miscellanea serba dell’epoca di Stefan Lazarević (Beograd, Narodna biblioteka, 29 edito da NOVAKOVIĆ 1877: 24-25). Il brano, evidente elaborazione di temi patristici della dottrina della σúνεσις, esordisce: íè|òîæý ðàçgìà |üñòí=èøý, èáî ðàçgìü ñâ=òü éñòè ägøè ñëîâýñíîè... áýñëîâýñíûõü áî íýðàçgìoý ñâîé, ñëîâýñíîìg æý ðàçgìü; éìg æý í=ñòü ðàçgìà, ðàçgìüíg ïî éñòüñòâg ñgøòg è õgäîæíg, ñü ïî éñòüñòâg ñû ñëîâýñíü. Il testo che segue, nello stesso zbornik, è dedicato alla filosofia. Anche in questo si trovano affermazioni significative quali ôèëîñîôoà éñòü ðàçgìü áîæüñòâüíûõü æý è |ëîâ=|üñêûõü âýøòýè, ñèð=|ü âèäèìûõü æý è íýâèäûìèõü... ôèëîñîôoà ïàêû éñòü ëþáëéíoý ïð=ìgäðîñòè. ïð=ìgäðîñòü æý èñòèííà áîãü éñòü (NOVAKOVIĆ 1877: 25-26). Un'esame più approfondito di tali concezioni potrebbe offrire dati interessanti sulla ricezione ed elaborazione slave di temi patristici: intanto constatiamo che le due fonti appena citate, pur essendo successive alla creazione dell'alfabeto slavo, testimoniano dell'impianto nella letteratura slava di quella σοφíα delle lettere che ci sembra permeare lo Skazanie .
La funzione soteriologica dell'alfabeto slavo trova la sua legittimazione nell'imitazione degli alfabeti che già godono di questa caratteristica, e con ciò veniamo al nome della prima lettera, àçú. Come si è detto, l'interpretazione del tracciato e del nome delle lettere spazia da teorie che li ritengono derivati da oggetti della realtà quotidiana ad altre più elaborate che fanno leva su argomenti
simbolici e metafisici. A proposito della prima lettera degli alfabeti sacri ebraico e greco, cioè a, esistono entrambe le interpretazioni. L’una, per così dire "laica", prevede che la denominazione alef data alla prima lettera ebraica tragga le sue origini dal nome del toro, alla cui testa il tracciato della lettera si richiamerebbe, un’altra, "simbolico-religiosa", si ispira alla natura rivelata dell’alfabeto. La diffusione presso i Gentili della parola di Dio ha comportato anche il passaggio dall’ambito ebraico a quello greco di molte esegesi misti- che della scrittura. Sicché, mentre in realtà i nomi delle lettere greche altro non sono se non la trasposizione pura e semplice —ovviamente con qualche aggiustamento— delle originarie denominazioni semi- tiche, i primi esegeti cristiani hanno cercato di ricreare su suolo greco quella che era la tradizione delle lettere ebraiche. Stesso tentativo è stato esperito dall’inventore delle lettere slave.
Nel punto in cui lo Skazanie affronta questo problema, esat- tamente il capitolo IV, servendosi di uno scolio greco come modello, viene accettata per la prima lettera dell’alfabeto l’etimologia ricor- rente dal verbo "imparare": un’etimologia diffusa, ma di provenienza greca che, ponendo alla base della formazione di alef il verbo aluf "imparare", aveva artificialmente creato in greco un verbo λφαíνω con lo stesso significato. Se con questo è chiaro il legame, seppure artificiale, creato tra la tradizione ebraica e quella greca, non è altrettanto immediata la relazione dello slavo àçú, "io", con i primi due, soprattutto dopo che l'autore ha precisato, nel cap. III, che Costantino, ad imitazione della prima lettera greca alfa, avrebbe posto un corrispondente con il significato "io": in questo modo entrambi avrebbero principiato dall’àçú. Questa affermazione piuttosto cripti- ca è, a nostro avviso, la chiave dell’origine del nome della prima lettera slava.
L'imitazione di cui si parla ha un significato molto profondo: pone il problema di come l’inventore dell’alfabeto slavo, finalizzato alla diffusione di idee sacre, abbia giustificato teologicamente il nuovo sistema. Per garantire la sacralità dell’alfabeto slavo, egli ha imitato un altro alfabeto sacro, il greco, che a sua volta aveva imitato