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Linee evolutive politico-istituzionali e costituzionali nel periodo 2011-2014.

2.1) Le Primavere Arabe: alcune considerazioni preliminari a proposito dello “tsunami” geopolitico che ha sconvolto il Nord Africa.

«17 dicembre 2010: la data, Sidi Bouzid: il luogo, Mohamed Bouazizi: il protagonista»179.

Ecco dunque le coordinate spazio-temporali, ormai cristallizzate nella memoria collettiva, che hanno dato avvio a quel lungo, complesso ed eterogeneo fenomeno di rivolte, che ha sconvolto il mondo arabo e mediterraneo, ormai noto sotto l’espressione “Primavere Arabe”180.

179 Come scrive D. Quirico, nessuna rivoluzione ha mai avuto una carta d’identità così precisa. Della

scintilla che ha fatto esplodere le primavere arabe, i dettagli sono noti. Il 17 dicembre 2010, l’ambulante di verdure tunisino, il giovane Mohamed Bouazizi, si diede fuoco davanti al palazzo della Prefettura, a Sidi Bouzid, nel sud della Tunisia, esasperato a fronte dell’ennesimo sequestro della sua merce (due cassette di pere, tre di mele e sette chili di banane), da parte della polizia locale. Alcune fonti sia giornalistiche sia accademiche riportano che l’autrice del sopruso sia stata una poliziotta donna, Feyda Hamdi, aspetto non secondario che avrebbe aumentato il sentimento di frustrazione e umiliazione nel giovane ambulante. Cfr.

M. Bouazizi, due anni dopo, “Il Post”, 4 gennaio 2013. M. Bouazizi morirà il 4 gennaio 2011 nell’ospedale

di Ben Arous, pochi giorni dopo la visita al suo capezzale dell’allora Presidente Ben Alì. Per una ricostruzione dettagliata dell’episodio Cfr. F. Rizzo, Mediterraneo in rivolta, Roma, Castelvecchi Editori, 2011, pp. 19-23.Cfr. D. Quirico, Primavera araba. Le rivoluzioni dall’altra parte del mare, Torino, Bollati Boringhieri, 2011, pp. 10-14.

180 Circa l’origine dell’espressione “Primavera araba”, coniata dai media occidentali e diffusasi

rapidamente anche nel mondo accademico, si attribuisce la paternità a M. Lynch, Obama’s “Arab

Spring”?, in “Foreign Policy”, 6 gennaio 2011, consultabile on-line:

http://foreignpolicy.com/2011/01/06/obamas-arab-spring/, (Ultimo accesso 1° agosto 2015). Per la poliedricità degli avvenimenti e le loro differenti evoluzioni, in questa trattazione si è scelto di declinare il termine sempre al plurale. A partire dalla vulgata mediatica, molti autori hanno iniziato a far riferimento, in maniera più o meno esplicita, alla Primavera dei popoli del 1848, in alcuni casi alle rivolte del maggio del 1968; e sempre più frequenti e numerosi sono stati i parallelismi con le rivoluzioni del 1989, che a seguito della caduta del muro di Berlino hanno visto cambiare profondamente lo spazio post-sovietico. Proprio il riferimento al 1989 è stato oggetto del contributo a due voci di B. Stora, Le 89 arabe, dialogue

avec Edwy Plenel. Réflexiones ur le révolutions en cours, Paris, Édition Stock, 2011, in cui lo storico

francese si confronta con il giornalista Plenel, rintracciando negli eventi del 2011 l’eco sia del 1989 che del 1789 francese. In particolare il contributo al dibattito di Plenel pone l’accento sulla natura democratica e sociale di entrambe le rivoluzioni contraddistinte dall’assenza di leader, partiti o movimenti di avanguardia. L’approccio di Stora, più prudente, invece, tende a rintracciare nelle rivolte arabe del XXI secolo l’ultima tappa di quel lungo processo di emancipazione e lotta anti-coloniale, dopo decenni di “indipendenza confiscata”. Cfr. M. Camau, Un printemps arabe? L’emulation protestataire et ses limits, in “L’Année du Maghreb”, Vol. VII, 2012, pp. 22-47.

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Secondo lo studioso K. F. Allam, la scelta del termine non è assolutamente casuale, poiché:

«la primavera implica una rinascita, ma anche un passaggio, una transizione, talvolta una cancellazione del passato, di ciò che è vecchio, e che deve scomparire perché impedisce l’inizio di una nuova vita. […] Come le rivolte per l’indipendenza dal dominio coloniale della seconda metà del Novecento, anche la “Primavera araba” è il prodotto di contraddizioni latenti di quelle società che non sono mai riuscite a elaborare del tutto e che possono tradursi in comportamenti individuali o in moti collettivi che cercano di compensare il deficit di innovazione sociale, culturale e politica. Si arriva a un punto in cui le contraddizioni sono esacerbate e irrompe la violenza»181.

Il gesto del giovane tunisino, improvviso ed esasperato, alimentato dall’umiliazione e dalla frustrazione, non aveva, nelle intenzioni del suo autore, alcuna ambizione eroica, e neppure rivoluzionaria. Il luogo, Sidi Bouzid, un paese nel centro-sud della Tunisia, sconosciuto alle cronache, di circa 40.000 abitanti, con tassi di disoccupazione elevati e una povertà dilagante, sembrava quanto mai lontano dal divenire l’epicentro delle rivolte che, nel giro di pochi mesi, avrebbero sconvolto e rivoluzionato il panorama politico ed istituzionale del Mediterraneo e del Medio Oriente. L’ondata rapida di rivolte, che seguì ai fatti di Sidi Bouzid, ha infiammato Tunisi e i Paesi confinanti, portando il 14 gennaio 2011 alla fuga del Presidente Ben Alì, saldamente al potere da 23 anni in Tunisia; e infrangendo di fatto il paradigma dell’“eccezionalismo arabo”, secondo cui l’inamovibilità dei reggenti al potere, l’incompatibilità tra Islam e democrazia, l’apatia e l’indifferenza delle società arabe nei confronti dei loro governanti sono caratteristiche strutturali delle società arabe, difficili da scardinare182. La rapida successione di eventi che hanno investito i Paesi confinanti, come le rivolte di piazza Tahrir in Egitto, la sanguinosa guerra civile in Libia e in Siria, le più timide manifestazioni e richieste di riforme in Algeria e Marocco e ancora le insurrezioni brutalmente sedate in Barhein e

181Cfr. K. F. Allam, Avere vent’anni a Tunisi e al Cairo. Per una lettura delle rivoluzioni arabe, Venezia,

Marsilio, p. 74.

182Dell’ampia e variegata letteratura sul tema dell’"eccezionalismo arabo” si rimanda, a titolo

esemplificativo, ad alcuni contributi che prendono in esame il tema in tempi e modi diversi. Cfr. A. Stepan,

An “arab” more than “muslim” electoral gap, in “Journal of democracy”, Vol. 14, n. 3, Luglio 2003, pp.

30-44; E. Bellin, The robustness of authoritarianism in the Middle East: exceptionalism in comparative

perspective, in “Comparative Politics”, Vol. 36, n.2, gennaio 2004, pp. 139-157; L. Diamond, Why are there no arab democracies?, in “Journal of democracy”, Vol. 21, n. 1, gennaio 2010, pp. 93-112; I.

Elbadawi, S. Makdisi, The democracy deficit in the Arab World, in I. Elbadawi, S. Makdisi, Democracy in

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Yemen, non solo hanno ribaltato la convinzione diffusa dell’apparente immobilismo delle società medio-orientali e di realtà politicamente stagnanti, ma hanno radicalmente cambiato il profilo identitario della regione. Nel giro di pochi mesi i rais saldamente al potere da decenni abbandonano il Palazzo: Ben Alì, Presidente della Tunisia dal 1987, fugge il 14 gennaio in Arabia Saudita; l’11 febbraio la stessa sorte spetta a Hosni Mubarak, al potere in Egitto dal 1981; il 20 ottobre, il colonnello Gheddafi, guida della Libia dal 1969, viene catturato e ucciso vicino a Sirte183.

Nei giorni e nei mesi successivi, le numerose analisi, a volte contrapposte, in taluni casi troppo generose, in altri invece improntate ad una lettura orientalista degli avvenimenti, hanno tentato di dare risposte allo choc che ha colpito il mondo intero184, inerme e impreparato dinanzi ad un evento di portata storica inimmaginabile.

Lungi dal voler affrontare in maniera onnicomprensiva il fenomeno così complesso delle primavere arabe, che non può essere ricondotto sotto l’ombrello onnicomprensivo di un’unica grande rivoluzione araba, si cercherà, in questa sede, di tracciare brevemente una sorta di “anatomia” delle rivolte arabe, provando a individuarne i tratti salienti e a confutare quei luoghi comuni, spesso frutto di una massiccia disinformazione mediatica, che hanno contraddistinto un’analisi a volte frettolosa e riduttiva degli avvenimenti tutt’oggi in corso.

183Non è questa la sede opportuna per un approfondimento sull’andamento sulle rivolte arabe nei diversi

Paesi, e sulle loro evoluzioni e involuzioni, che presentano caratteristiche assai diverse e variabili; né è l’intento di questo lavoro offrire una visione complessiva degli eventi, che rischia di ridurre ad un unicum le singole specificità. Tuttavia, per una panoramica che guarda al complesso fenomeno delle rivolte arabe in maniera trasversale, si rimanda alla consultazione di alcuni volumi italiani, individuati nella numerosa produzione accademica e divulgativa prodotta nel periodo successivo all’esplosione delle rivolte. Cfr. K. Mezran, S. Colombo e S. Van Genugten (a cura di), L’Africa Mediterranea. Storia e futuro, Roma, Donzelli Editore, 2011; D. Quirico, op.cit.; F. Rizzi, Mediterraneo in rivolta, Roma, Castelvecchi Editori, 2011; P. Longo, D. Scalea, Capire le rivolte arabe, Roma, ISAG, 2011; M. Mercuri, S. Torelli (a cura di), La

primavera araba, Milano, Vita e Pensiero, 2012; M. Campanini (a cura di), Le rivolte arabe e l’Islam. La transizione incompiuta, Bologna, Il Mulino, 2013. Inoltre si segnala la pubblicazione di alcuni volumi a

carattere divulgativo, meritevoli di attenzione: AA. VV., Il grande tsunami, in “Limes”, Vol. 1, 2011; AA.VV., (Contro) rivoluzioni in corso, in “Limes”, Vol. 3, 2011; AA.VV., Capire le primavere arabe.

Rivoluzioni sull’altra sponda del Mediterraneo, “Le Monde Diplomatique”/“Il Manifesto”, 2011.

184A proposito della percezione di sgomento e di choc registrata all’indomani delle rivolte si rimanda a M.

Guidère, Le choc de rèvolutions arabes, Paris, Édition Autrement, 2012, pp. 6-7. L’autore parla dello choc delle rivoluzioni arabe come uno choc di immagini, uno choc di discorsi, uno choc di percezione, ma esclude fermamente l’ipotesi di uno choc di civilizzazione, confutando le tesi di coloro i quali, richiamando alla mente lo “scontro di civilizzazione” teorizzato da S. Hungtiton, avevano prefigurato una nuova guerra all’Occidente.

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2.1.1) Rivolte, rivoluzioni, sommosse, thawra: quale identità per le primavere arabe?

Il primo elemento che merita di essere analizzato, e sul quale il dibattito resta tutt’ora aperto, riguarda la definizione stessa e i riferimenti storici delle primavere arabe. Come abbiamo già evidenziato, molti osservatori e studiosi hanno subito approntato l’etichetta di “rivoluzioni del XXI secolo” agli avvenimenti in questione. Non sono mancati i paragoni, forse azzardati, con le rivoluzioni del 1989 e i cambiamenti intercorsi, a seguito della caduta del Muro di Berlino, nell’Europa dell’Est post-sovietica, né con la Rivoluzione francese del 1789, o con le proteste sessantottine, tanto da far parlare lo già citato storico B. Stora di un “89 arabe”, salvo poi richiamare alla mente la rivoluzione iraniana di Khomeini del 1979 e l’“inverno islamista”, quando i partiti islamici hanno vinto le prime elezioni libere post primavere arabe in Egitto e Tunisia. Nelle richieste universalistiche di libertà (hurriya), dignità (karama) e cittadinanza (muwatana), espresse nelle piazze di Tunisi e del Cairo, è stata ritrovata l’eco delle utopie del 1789 e del maggio del 1968. Del tanto conclamato, poi rivelatosi parziale, “effetto domino” della rivoluzione dei gelsomini si è invece trovata traccia nelle rivolte propagatesi a catena in aree geografiche lontane, come le rivoluzioni latino-americane del 1810-25. Circa il ruolo del Movimento 6 aprile, che ha aperto la strada alle proteste di piazza in Egitto, offrendo supporto allo sciopero dei lavorati di al-Mahalla al-Kubra, alle porte del Cairo, e più in generale dei sindacati autonomi che hanno esercitato pressioni sul regime a partire dal 2006, non sono mancati i parallelismi con le attività di Solidarność, quando agli inizi degli anni Ottanta, aprirono la strada al cambiamento. La primavera dei popoli del 1848, anticipata anch’essa da una crisi economica, quella del biennio 1846-47 e l’ampio coinvolgimento popolare che ne seguì nelle barricate cittadine, è stata in più occasioni evocata come la madre delle rivoluzioni arabe185.

Oltre ai riferimenti alle grandi rivoluzioni occidentali, esterne al mondo arabo, non sono mancate le letture che hanno privilegiato un approccio più orientato a ricondurre le rivolte arabe nel quadro storico interno agli stessi Paesi. In linea generale, si evidenzia come le rivolte arabe siano in piena continuità con le lotte coloniali e portino a conclusione quel processo di emancipazione dei popoli arabi, iniziato nella seconda metà del novecento con le lotte per l’indipendenza e rimasto di fatto incompiuto e confiscato

185 Cfr. A. Marzano, P. Rizzo, Le rivolte arabe in prospettiva storica, in “Il Mestiere dello storico”, Vol.

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dai rais al potere, con la complicità delle ex potenze coloniali186. Senza dubbio le esperienze pregresse di moti e rivolte interne agli stessi Paesi, come il caso delle rivolte nel bacino minerario di Gafsa nel 2008 in Tunisia, rappresentano elementi chiave di cui tener conto nell’analisi dei moti del 2011; sembra invece alquanto azzardato e rischioso il parallelismo con le grandi rivoluzioni occidentali citate, differenti per matrice storica, portata, ambizioni e contesto politico, sociale e culturale. Ogni rivoluzione, insurrezione e/o rivolta è il frutto del momento storico preciso che l’ha condizionata e che inevitabilmente ne condizionerà le prospettive future187. In particolare, il richiamo al 1989 e al disfacimento dell’URSS induce a riflettere sulla dimensione internazionale delle rivolte: preponderante e catalizzatrice nell’esperienza citata e completamente assente nel contesto geopolitico del Mediterraneo odierno. Un evento epocale come la caduta del Muro di Berlino, la disintegrazione dell’Urss e la fine del mondo bipolare ha avuto effetti dirompenti sulla scena internazionale, epicentro di un terremoto senza pari, le cui onde sismiche si sono propagate a lungo e in largo. La stessa cosa non si è verificata per le primavere arabe188. Per questo, il confronto con le grandi rivoluzioni occidentali può apparire un mero esercizio di stile, che contribuisce solo in maniera marginale al dibattito sulla comprensione del fenomeno e distoglie lo sguardo dalle prospettive di evoluzione future189.

186 Tra gli altri esempi di rivolte interne al mondo arabo a cui fanno eco le primavere arabe si citano, nel

caso egiziano, le rivolte anti-britanniche del 1919, la rivoluzione degli Ufficiali Liberi del 1952 e la contro rivoluzione di Sadat nel 1974; invece, nel caso tunisino si richiama alla mente, come precedente storico, la rivolta popolare del 1864 contro le ingiuste imposizioni fiscali e le ingerenze del capitale europeo e una serie di cosiddetti “appuntamenti mancati” con la democrazia che, a partire dall’indipendenza, hanno contraddistinto il Paese. Tuttavia le spie della rivoluzione dei gelsomini saranno oggetto di approfondimento del prossimo capitolo. Ibidem.

187 Cfr. K. F. Allam, op.cit., pp. 19-21.

188 Le rivoluzioni pacifiche dell’Europa dell’Est non avrebbero avuto luogo se il fautore della Perestroika

non avesse messo i governi dei Paesi satelliti dinanzi alle loro responsabilità, avvertendoli del mancato intervento dell’Armata Rossa in caso di contestazioni popolari. Inoltre, gli eventi nell’Europa dell’Est furono preceduti dalla nascita di movimenti di opposizione, già attivi sin dagli anni Settanta, in particolare Solidarność in Polonia e il gruppo Charta 77 in Cecoslovacchia, movimenti che per lungo tempo lavorarono nel silenzio per ottenere il consenso non solo interno, ma anche esterno, e che infatti godettero della simpatia delle diplomazie occidentali. Come vedremo meglio nel capitolo successivo, al momento dello scoppio delle rivolte, gli storici alleati europei del governo di Ben Alì, in particolare il governo francese e italiano, non hanno esitato a confermare il loro supporto al rais tunisino. Cfr. T. Tazdait, N. Chaabane,

Anatomia delle rivoluzioni, in AA.VV., Capire le primavere…, cit., pp. 23-25.

189 Ancora, anche il confronto con i moti del maggio del 1968 può risultare fuorviante. Tali moti, infatti,

non possono essere ricondotti propriamente sotto la dicitura di “rivoluzione”, perché non hanno prodotto quel cambiamento economico, politico e sociale che è proprio di una rivoluzione, ma si fregiano dell’appellativo di “rivoluzione culturale”. In particolare, nelle rivolte arabe risulta essere assente la dimensione del conflitto generazionale, la rottura con l’autorità parentale che ha contraddistinto il maggio del Sessantotto, risulta assente invece nelle rivolte arabe. L’altro elemento che suggerisce di mantenere una certa cautela nel paragone tra i due eventi risiede nei mutamenti culturali e sociali che il Sessantotto ha

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Come sapientemente espresso da O. Roy, anche nel confronto con la Rivoluzione iraniana del 1979, quella nasseriana del 1952 e la contro-rivoluzione di Sadat, appare evidente nelle rivolte arabe del 2011 l’assenza delle grandi questioni internazionali e ideologiche, che hanno invece contraddistinto le ondate rivoluzionarie citate. Anche il conflitto arabo-israeliano, ancora attuale, sembra mantenere una valenza soprattutto emozionale, trovando una posizione residuale sia nelle proteste di piazza sia nelle campagne elettorali tanto dei partiti islamici, quanto delle frange salafite190.

Come detto in apertura, il dibattito attorno alle primavere arabe è stato e rimane ancora polarizzato attorno alla definizione stessa degli eventi, appellati come rivolte, sommosse, tumulti, rivoluzioni, insurrezioni o addirittura risveglio, accezioni con sfumature diverse per identificare lo stesso evento. I detrattori del termine “rivoluzioni” ritengono che la scelta di applicare il termine di “rivolte”, che appare più riduttivo rispetto a quello di rivoluzioni, e indica di fatto un’azione più improvvisa e meno organizzata di quella rivoluzionaria, sia dettato dal tentativo, più o meno latente, da parte dell’opinione pubblica occidentale, di circoscrivere la portata degli eventi in corso, al fine di ridurne la profondità e l’intensità191. Lungi dal voler sottovalutare e minimizzare la portata di questi eventi e le genuine, spontanee e legittime ambizioni dei suoi autori, si ritiene però più consono utilizzare la dicitura di rivolte per definire gli avvenimenti che hanno scosso il Mediterraneo a partire dal gennaio 2011. In questo senso la lettura offerta da M. Campanini appare convincente e pienamente condivisibile:

«Confesso un certo disagio a usare il termine “rivoluzione”. Che un avvenimento sia storicamente rivoluzionario lo si può verificare solamente nei tempi lunghi. Certamente le rivolte arabe hanno sconvolto un quadro politico per molti decenni sostanzialmente immobile, ma trovo prematuro parlare di rivoluzioni in quanto il processo è ancora in corso, esistono forti elementi di ambiguità nel loro svolgimento e inoltre molte premesse/promesse sono state tradite»192.

prodotto e che invece non sembrano aver accompagnato le rivolte arabe: il sorgere di una vera e propria sottocultura che ha investito le diverse sfere della società. Ibidem

190 Cfr. A. Marzano, P. Rizzo, op.cit., pp. 39-40. Si faccia riferimento all’intervista degli autori a Oliver

Roy.

191Cfr. C. Paonessa, Rivoluzioni Arabe. Elementi per il superamento di una lettura orientalista, in “Studi

Storici”, n. 1, 2013, pp. 79-104.

192 M. Campanini, Le rivolte arabe: verso un nuovo modello politico?, in M. Campanini, op. cit., p. 7-23.

L’autore preferisce usare l’espressione “tumulti” che, a suo avviso, al contrario di quanto diffuso, ha un’accezione positiva. Campanini definisce i tumulti come quella «conflittualità diffusa, sostenuta e alimentata dai movimenti giovanili e femminili, studenteschi e della società civile che da alcuni anni stanno

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L’analisi del termine arabo utilizzato per designare le rivolte in atto e delle sfumature semantiche che esso comporta può essere un utile strumento nel tentativo di comprendere e meglio definire il fenomeno. Il termine con cui gli arabi hanno designato le rivolte è thawra, parola che deriva dalla radice composta triconsonantica193 th-w-r, la cui valenza polisemantica risulta particolarmente più ricca e articolata della semplice espressione “rivoluzione”. Infatti, il verbo base thâra riconduce ai concetti, sia fisici che emozionali, di sollevare, alzarsi, insorgere, eccitarsi, bollire, assalire con rabbia, attaccare con collera. Il sostantivo thawra, dunque, traduce sia il sollevamento fisico e allegorico, l’eccitazione, il dispiego di un’energia potenziale, sia la sommossa, la rivolta e la rivoluzione, senza una precisa distinzione tra i sinonimi. Risulta evidente come il concetto arabo sia diverso e molto più complesso dell’espressione di derivazione latina di rivoluzione194. Senza dubbio la complessità del fenomeno, che ha investito realtà differenti tra loro, la diversa intensità delle proteste e l’evoluzione assai variegata e tutt’oggi ancora incerta non ci consentono di definire le primavere arabe come rivoluzioni, nel senso pieno del termine. Solo un bilancio a posteriori potrà dirimere la questione; pertanto nella trattazione in oggetto si opterà per l’utilizzo del termine rivolte arabe o primavere arabe, entrato nell’uso comune anche in ambito accademico, provando

agitando le società benestanti dell’Occidente, così come le società dell’Oriente in piena evoluzione», facendo esplicito riferimento alle proteste degli indignados in Spagna, e al movimento di Occupy Wall

Street in Europa. Campanini insiste sul fatto che i tumulti non siano riducibili alla semplice azione di

protesta e contestazione ma presuppongono anche nuove esperienze democratiche e nuove forme di sovranità. L’accezione “rivoluzione” per tanto appare essere la meno opportuna e idonea alla definizione del complesso fenomeno arabo mediterraneo. Si rimanda per un maggior approfondimento al focus tematico On revolution, in “Journal of Modern European History”, Vol. 11, n. 2, 2013.

193 Risulta opportuno ricordare che la lingua araba, in quanto lingua semitica, si basa sul tri-radicalismo

consonantico. Il tri-radicalismo fa sì che quasi tutte le parole della lingua araba siano associate e ricondotte