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4.1) La Conferenza di Barcellona e

il lancio del Partenariato Euro-Mediterraneo.

Il Partenariato Euro-Mediterraneo fu lanciato, in maniera solenne e per certi versi alquanto retorica e ridondante, nella Conferenza intergovernativa di Barcellona, che vide riuniti nella città spagnola i 15 Paesi allora membri dell’UE e 12 Paesi terzi del Mediterraneo371. La Dichiarazione ufficiale, sottoscritta a Barcellona, apriva senza dubbio una stagione nuova nei rapporti euro-mediterranei, ponendosi come obiettivo fondamentale la costruzione di uno spazio di pace, sicurezza e stabilità nel Mediterraneo. Senza dubbio la Dichiarazione rappresentava il punto di arrivo, di un percorso lungo e tortuoso, che a partire dagli accordi commerciali di prima generazione, primi incerti e timidi vagiti di una politica mediterranea ancora in fieri, si era arricchito man mano di tappe e contributi fondamentali, quali l’approccio “globale” della PMG e i primi tentativi di cooperazione orizzontale messi in atto, in un secondo momento, dalla Politica Mediterranea Rinnovata, che tentarono, per la prima volta, di coinvolgere direttamente gli attori della società civile nella realizzazione dei programmi euro-mediterranei. La Conferenza di Barcellona fu anticipata da una serie di appuntamenti istituzionali e non, in cui si consolidarono gli obiettivi e le strutture, poi enunciati nella Dichiarazione. Tra le tappe decisive del lungo Processo di Barcellona meritano di essere menzionati i Consigli europei di Lisbona (1992), Corfù (1994), Essen (1994) e Cannes (1995), in cui si assistette alla graduale elaborazione di quelle che poi saranno le strutture portanti del Partenariato Euro-Mediterraneo: uno spazio di cooperazione, che garantisse pace e

371 L’UE prese parte attraverso la presenza ufficiale della Commissione, rappresentata dal Vice-Presidente

M. Marini e del Consiglio, rappresentato da J. Solana. I 15 Paesi membri dell’UE furono rappresentati ciascuno dal proprio Ministro degli Esteri, i 12 Paesi terzi mediterranei non comunitari presenti a Barcellona, e anch’essi rappresentati dal Ministro degli Esteri erano: Algeria, Marocco, Tunisia, Egitto, Israele, Autorità Palestinese, Giordania, Libano, Siria, Malta, Cipro e Turchia. Rispetto alla tradizionale compagine degli attori mediterranei non comunitari con cui la UE manteneva relazioni dagli anni settanta si registra una novità assoluta rappresentata dalla presenza di Arafat, per conto dell’Autorità Palestinese. Bisogna registrare l’assenza della Libia di Gheddafi, isolata internazionalmente e sottoposta a sanzioni economiche a seguito dell’affare Lockerbie, del 1988 e la partecipazione della Mauritania come osservatore in quanto membro dell’UMA. Nel 2004 Cipro e Malta, a fronte dell’allargamento europeo, entreranno a far parte dell’UE come Stati membri e nel 2007 invece aderiranno al Partenariato Albania e Mauritania.

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sicurezza, la costruzione di una zona di libero scambio, nuove strategie finanziarie con i partners mediterranei e un maggior coinvolgimento della società civile372. A latere degli incontri istituzionali dell’UE, un impulso decisivo al Processo di Barcellona fu dato senza dubbio da una serie di iniziative, tra cui le già citate Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione nel Mediterraneo e nel Medio-Oriente e il Dialogo 5+5. Oltre al lungo ed elaborato lavoro preparatorio che precedette il lancio del Processo di Barcellona, risulta importante ricordare che il Partenariato nacque in un contesto storico assolutamente propizio ma altrettanto complesso e delicato, la fine del bipolarismo e la scomparsa dell’URSS, storica minaccia alle porte meridionali dell’Europa, aveva fatto emergere nuove sfide securitarie nel bacino, sfide a cui l’Unione Europea doveva dare una replica decisa. Il crescente gap economico tra le due rive, la fragilità politica dei regimi della sponda meridionale, l’acuirsi del fenomeno terroristico di matrice islamica, e la crescita esponenziale dei traffici illeciti di migranti rappresentavano le incognite più urgenti a cui il Partenariato si poneva di offrire risposte concrete373. La calorosa accoglienza riservata all’apertura della Conferenza di Barcellona e alla Dichiarazione finale fu certamente favorita dalla distensione nel quadro dei rapporti regionali nell’area mediterranea e medio-orientale. L’avvio del Processo di Pace in Medio Oriente, inaugurato nella Conferenza di Madrid del 1991 e i successivi Accordi di Oslo del 1993, sembravano offrire una cornice benaugurante al Partenariato Euro-Mediterraneo. Oltre alle cause esogene e ai fattori internazionali propizi, la nascita del Partenariato Euro-Mediterraneo fu stimolata da fattori endogeni. Senza dubbio l’avvio del Partenariato, rifletteva la chiara volontà dei

372 Per gli estratti delle conclusioni della Presidenza dei Consigli di Essen e Cannes, nonché le

comunicazioni ufficiali del Consiglio e della Commissione preparatorie al lancio del PEM: cfr. CE, Il

consolidamento della politica mediterranea dell’Unione Europea: verso un partenariato euro- mediterraneo, “Bollettino dell’UE”, Supplemento n. 2, Bruxelles, 1995. Per una panoramica sulle tappe

che hanno preceduto la Conferenza di Barcellona e le fasi preparatorie di quest’ultima si rimanda a E. Barbé, The Barcelona conference, launching pad of a process, in “Mediterranean Politics”, Vol. I, 1996, pp. 25-42

373 Le questioni della sicurezza nel Mediterraneo andava intesa in chiave più estesa e multidimensionale;

superata la concezione dualistica soft security vs hard security, tipica degli anni della guerra fredda, l’idea di sicurezza abbracciava ora anche altri settori che andavano aldilà della dimensione squisitamente militare. Minacce alla sicurezza erano rappresentate infatti da dall’instabilità politica, dall’arretratezza socio- economica, dai problemi ambientali, dalla scarsità delle risorse, dai fenomeni migratori, dal terrorismo internazionale. Per tali motivi, il PEM stabiliva una relazione stretta e imprescindibile tra la stabilità della regione, le riforme politiche, lo sviluppo socio-economico e il dialogo tra le culture, affermando una visione della sicurezza globale ed integrata. Cfr. S. Panebianco, La sicurezza nel Mediterraneo: attori e processi

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paesi mediterranei dell’Unione, soprattutto Spagna, Francia e Italia, di contro-bilanciare da un lato l’allargamento a nord, che nel 1995 aveva visto l’Austria, la Svezia e la Finlandia diventare membri ufficiali dell’UE, e dell’altro la forte spinta ad Est dell’Unione, soprattutto dopo il crollo del blocco sovietico. Questa scelta, figlia della tradizionale dialettica tra dimensione nordica e meridionale dell’UE, trovava le sue fondamenta nel timore dei Paesi mediterranei di perdere la propria centralità nel processo di integrazione europea, che appariva sempre più indirizzato al pieno coinvolgimento dei Paesi dell’Europa centro-orientale, a scapito della storica vocazione mediterranea dell’UE374.

Dall’analisi della Dichiarazione della Conferenza di Barcellona375 e dall’ampia letteratura che ne è seguita, è possibile non solo ricostruire la struttura del Partenariato, ma anche valutarne il reale impatto, nonché i limiti endogeni ed esogeni, che hanno portato sostanzialmente al fallimento di questa stagione tanto agognata. Il Partenariato Euro-Mediterraneo nasceva, come si è ampiamente detto, con l’obiettivo di trasformare il Mediterraneo in un’area di cooperazione, dialogo e libero scambio che garantisse pace, prosperità e stabilità. L’azione dell’UE intendeva per tanto declinarsi in un raggio di settori ampio e variegato: dal tradizionale settore degli scambi commerciali e finanziari, alle questioni più squisitamente politiche e securitarie, quali contenimento dell’immigrazione illegale e la lotta al terrorismo, fino all’ambito socio-economico e a quello culturale, con particolare attenzione dedicata ai grandi temi del dialogo inter- religioso, della lotta al razzismo e alla xenofobia. L’incipit della Dichiarazione affermava chiaramente le premesse e gli obiettivi su cui si basava il nuovo corso delle relazioni euro- mediterranee:

«In this spirit they undertake in the following declaration of principles to: 


- act in accordance with the United Nations Charter and the Universal Declaration of Human Rights, as well as other obligations under international law, in particular those arising out of regional and international instruments to which they are party; 


- develop the rule of law and democracy in their political systems, while

374 Un ruolo fondamentale fu giocato dai Commissari italiano e spagnolo, rispettivamente Manuel Marini

e Abel Matutes e dall’allora I Ministro spagnolo Felipe Gonzales, che spinsero affinché la Commissione inserisse tra le priorità della sua agenda il tema della sicurezza e solidarietà nel Mediterraneo. Cfr. D. Nicolia, op.cit., p. 65.

375 Il testo ufficiale della Dichiarazione adottata a margine della Conferenza di Barcellona è disponibile al

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recognizing in this framework the right of each of them to choose and freely develop its own political, socio-cultural, economic and judicial system; - 
 respect human rights and fundamental freedoms and guarantee the effective

legitimate exercise of such rights and freedoms, including freedom of expression, freedom of association for peaceful purposes and freedom of 
 thought, conscience and religion, both individually and together with other members of the same group, without any discrimination on grounds of race, nationality, language, religion or sex;

- give favourable consideration, through dialogue between the parties, to exchanges of information on matters relating to human rights, fundamental freedoms, racism and xenophobia;

- respect and ensure respect for diversity and pluralism in their societies, promote tolerance between different groups in society and combat manifestations of intolerance, racism and xenophobia. The participants stress the importance of proper education in the matter of human rights and fundamental freedoms;

- respect their sovereign equality and all rights inherent in their sovereignty, and fulfil in good faith the obligations they have assumed under international law; - respect the equal rights of peoples and their right to self-determination, acting

at all times in conformity with the purposes and principles of the Charter of the United Nations and with the relevant norms of international law, including those relating to territorial integrity of States, as reflected in agreements between relevant parties

- refrain, in accordance with the rules of international law, from any direct or indirect intervention in the internal affairs of another partner;

- respect the territorial integrity and unity of each of the other partners;

- settle their disputes by peaceful means, call upon all participants to renounce recourse to the threat or use of force against the territorial integrity of another participant, including the acquisition of territory by force, and reaffirm the right to fully exercise sovereignty by legitimate means in accordance with the UN Charter and international law […]»376.

Il quadro proposto dal Partenariato Euro-Mediterraneo presentava una struttura sostanzialmente bicefala: da un lato si manteneva la natura bilaterale, ereditata dalle precedenti esperienze e riproposta negli accordi bilaterali, che a partire dal 1995, l’UE firmò con i Paesi terzi mediterranei non comunitari; dall’altro si proponeva un approccio intergovernativo e regionale, frutto di numerosi documenti politici e accordi sostanziali,

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che dessero piena esecuzione a quanto sancito dalla Dichiarazione. L’architrave istituzionale presentata a Barcellona riprendeva il cosiddetto “schema dei tre cesti” della CSCE, declinandosi in tre pilastri, che a loro volta, riflettevano i tre capitoli della Dichiarazione. I tre pilastri erano:

4) il partenariato politico e di sicurezza, il cui obiettivo era la creazione di uno spazio comune di pace e stabilità, attraverso il rispetto dei diritti umani e la promozione della democrazia;

5) il partenariato economico e commerciale, che mirava alla realizzazione di una zona di prosperità condivisa, attraverso la costruzione di una zona di libero scambio entro il 2010;

6) il partenariato sociale, culturale e umano, che puntava allo sviluppo delle risorse umane, alla comprensione tra culture e agli scambi tra società civili377. Il richiamo costante al rafforzamento della democrazia e al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali permeava tutto il documento, facendo esplicito riferimento ai principi della Carta delle Nazioni Unite e alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Già nella dicitura scelta Partenariato, almeno a livello teorico e intenzionale, si tentava di superare l’approccio disegnato dalle precedenti politiche europee nell’area del Mediterraneo, introducendo il concetto di parità tra i suoi membri, che almeno formalmente rigettava ufficialmente l’impostazione di un’azione elaborata dall’UE e imposta di fatto ai Paesi terzi non comunitari, e invece proponeva un approccio congiunto e multilaterale, che tenesse conto di una dimensione globale e integrata, declinata nei tre cesti: stabilità politica, sviluppo economico e dialogo interculturale, strettamente connessi tra loro. L’elemento chiave e la vera novità del Processo di Barcellona era rappresentata proprio dalla condivisione della responsabilità tra gli attori coinvolti, che in misura eguale e simmetrica contribuivano alla riuscita del processo e, proprio in questo senso, fu introdotto il concetto di joint ownership, poi mutato in co-ownership nell’Unione per il

377 Nel campo politico e della sicurezza erano previste riunioni periodiche trimestrali, a geometria variabile,

tra Ministri funzionari ed esperti sia della compagine governativa pubblica, che del settore privato. Nel campo economico, a fronte dell’ambizioso obiettivo proposto, ovvero la creazione di una zona di libero scambio entro il 2010, si pose come prima tappa l’armonizzazione delle normative al fine di eliminare gli ostacoli agli scambi commerciali, in particolare nel settore agricolo e alimentare. Sul piano degli investimenti il PEM si poneva l’obiettivo della modernizzazione del settore industriale e del miglioramento della competitività delle piccole e medie imprese, assieme ad un graduale processo di privatizzazione del settore pubblico e dei trasporti. Nel campo delle risorse umane il PEM puntava a favorire la mobilità delle persone attraverso programmi di mobilità e di formazione congiunta quali MedCampus, MedMedia, etc., che coinvolgessero Università, centri di ricerca e ong. Cfr. F. Rizzi, op.cit., pp. 94-96; F. Rizzi, Un

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Mediterraneo378. Tuttavia la scelta di affidare la regia del Partenariato in maniera quasi esclusiva alle istituzioni comunitarie, in particolare alla Commissione Europea, sembrò minare sin dalle fondamenta le genuine intenzioni di un processo paritario, generando non pochi malumori nei Paesi mediterranei non comunitari379.

Il Partenariato Euro-Mediterraneo nella sua dimensione regionale, integrata e globale tentò di dotarsi di una struttura istituzionale alquanto flessibile e leggera, volta a favorire la cooperazione su più livelli. La struttura prevedeva una Conferenza dei Ministri degli Affari Esteri, detta anche Conferenza Euro-Mediterranea, che si riuniva con cadenza biennale, con lo scopo di verificare lo stato di avanzamento del Processo e dargli nuovi impulsi, una serie di conferenze ministeriali settoriali, dedicate all’approfondimento del Partenariato nei vari settori di cooperazione380, un’Assemblea Parlamentare Euro- Mediterranea381, un Comitato Euro-Mediterraneo per il Processo di Barcellona382, guidato dalla Commissione Europea, che aveva compiti di esecuzione, preparazione e negoziazione degli orientamenti da sottoporre ai Ministri e l’istituzione di numerosi networks che miravano ad un pieno coinvolgimento della società civile come parte attiva

378 Il concetto di responsabilità comune, joint ownership, era emerso con vigore durante i negoziati euro-

mediterranei, proprio per rispondere alle accuse di preferire un’imposizione prevalentemente europea, calata dall’alto e imposta ai partner mediterranei, piuttosto che una politica di responsabilità realmente condivisa da tutti i partecipanti. Cfr. F. Attinà, G. Natalicchi, op.cit., pp. 243-244.

379 Sui limiti e le cause che porteranno al fallimento del Partenariato si rimanda al paragrafo 4.3 del presente

capitolo, tuttavia è bene ricordare che già pochi anni dopo alcuni analisti iniziavano a guardare con sospetto al Processo di Barcellona e alla sua reale portata rivoluzionaria. Cfr. E. Kienle, Destablization through

partnership? Euro‐Mediterranean relations after the Barcelona declaration, in “Mediterranean Politics”,

Vol. III, 1998, pp. 1-20.

380 I settori di cooperazione previsti erano 14: affari esteri, affari economici e finanziari, ambiente, energia,

trasporti, industria, agricoltura, commercio, risorse idriche, lavoro, cultura, migrazioni, turismo, salute.

381 L’Assemblea Parlamentare Euro-Mediterranea (APEM), composta da 240 membri e nata sulle ceneri

del Forum Parlamentare Euro-Mediterraneo, fu creata nel 1998, su impulso del Parlamento Europeo per favorire il dialogo tra i parlamentari dei Paesi aderenti al PEM. L’APEM si riuniva una volta l’anno in sessione plenaria e adottava dichiarazioni politiche che miravano a stimolare il dibattito interno ai forum non governativi. Nei fatti l’APEM risultò ostaggio delle politiche dei singoli Paesi, non riuscendo a svolgere un ruolo decisivo.

382 Il Comitato Euro-Med comprendeva raccoglieva i massimi vertici dell’UE ovvero la presidenza

semestrale in atto con l’assistenza di quella precedente e di quella successiva, la Commissione Europea e gli Alti funzionari di tutti i paesi partner. Le materie relative al dialogo politico e alla sicurezza erano invece negoziate da un Comitato degli alti funzionari, che al contrario del Comitato Euro-Med, aveva carattere esclusivamente intergovernativo. Va sottolineato che il Comitato degli alti funzionari era autonomo e separato rispetto al Comitato Euro-Med, esprimeva la dimensione intergovernativa dell’Unione e del Partenariato e non comprendeva perciò la Commissione. Il lavoro del Comitato Euro-Med era diretta espressione dalla Commissione europea. Il Comitato degli alti funzionari era assistito dal segretariato del Consiglio dei ministri dell’Unione. Cfr. R. Aliboni, I rapporti tra Europa e Mediterraneo, il quadro

istituzionale e politico, in G. Gomei e M. Roccas, Le economie del Mediterraneo, Atti del Convegno

“Incontro di lavoro sulle economie del Mediterraneo”, tenutosi a Roma presso la Banca d’Italia, il 6 aprile 2000, pp. 19-89. Disponibile on line sul sito: www.bancaditalia.it (Ultimo accesso: 1° Luglio 2015).

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del Processo383. Senza dubbio la compartecipazione di attori statali e non statali rappresentò l’elemento più originale del Processo e tentò di dare respiro e continuità a quello “spirito di Barcellona”, che permeava la nuova stagione nelle giornate inaugurali della Conferenza ufficiale, dove accanto all’assise ufficiale prese vita il Forum Civile EuroMed, con oltre 1000 esperti provenienti dalle due rive del Mediterraneo, espressione del peso politico che la società civile ambiva ad avere.

4.2) Gli Accordi di Associazione nel quadro del PEM, il caso specifico di Algeria e Tunisia.

Nel quadro del Partenariato Euro-Mediterraneo l’UE firmò, in tempi e modi diversi, una serie di accordi bilaterali con nove Paesi partners della riva meridionale. Come si può notare dalla tabella riportata in appendice, in alcuni casi, in particolare quello tunisino e marocchino, la firma e l’entrata in vigore dell’accordo fu alquanto celere e agevole, in altri invece, le tempistiche furono più lunghe e complesse, come appunto nel caso algerino, fino ad arrivare alla totale paralisi nel caso siriano; il cui accordo tutt’oggi non è ancora entrato in vigore. Gli accordi euro-mediterranei di seconda generazione, pur presentando delle specificità, mantenevano un’impalcatura comune che rifletteva la struttura dei “tre cesti” del Partenariato. In particolare gli accordi si basavano sul pilastro politico, che poneva tra le sue priorità il dialogo periodico in tema di stabilità e sicurezza, il rispetto dei diritti umani e dei principi democratici come elemento essenziale per l’implementazione e l’esecuzione dell’accordo, disciplinato dall’art. 2 degli accordi; il pilastro economico puntava alla progressiva liberalizzazione degli scambi di beni, servizi e capitali, al fine di favorire lo sviluppo di relazioni economiche e sociali equilibrate tra le parti, mentre il terzo pilastro incoraggiava misure e strumenti a favole del dialogo sociale, culturale e umano.

383 Per un approfondimento sulla struttura istituzionale del PEM, i suoi organi e le rispettive funzioni si

rimanda a S. Panebianco, Introduction to the Euro-Mediterranean Partnership in Perspective: The Political

and Institutional Context, in S. Panebianco, A new Euro-Mediterranean cultural identity, London, Frank

Cass, 2003, pp.6-23. Lo sviluppo di una serie di networks e dei cosiddetti forum civili fu lo strumento privilegiato della cooperazione decentrata, il cui obiettivo era quello di affiancare al processo istituzionale, la partecipazione attiva della società civile. In tal senso si mosse la rete EuroMescSCO, che riuniva diversi istituti di politica estera, nata con l’obiettivo di supportare gli incontri periodici dei Ministri degli Esteri con attività di ricerca e formazione per giovani studiosi e diplomatici, esponenti della società civile. Per una panoramica sulla natura, sulle attività rete si rimanda al sito ufficiale: http://www.euromesco.net/. (Ultimo accesso 1°luglio 2015).

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Sebbene le disposizioni dei singoli accordi bilaterali variavano a seconda del paese partners si possono comunque individuare degli aspetti comuni rintracciabili in tutti gli accordi firmati dall’UE con i Paesi Terzi Mediterranei384.

Partendo proprio dal caso della Tunisia, primo Paese a firmare l’Accordo di Associazione, che fu ratificato il 17 luglio 1995 ed entrò in vigore il 1° marzo 1998385, è possibile ripercorrere le caratteristiche salienti degli accordi di seconda generazione,