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Allevamento e pastorizia

2 La struttura della produzione

2.7 Allevamento e pastorizia

Nel 1853, con 30.686 salme di terre destinate costantemente al pascolo, equivalenti circa al 28% della superficie agraria totale, il Siracusano si accostava alle altre aree dell‟Isola, in cui le terre destinate al pascolo ammontavano a circa 350.000 salme, equivalenti al 25% della superficie agraria totale162. A queste andavano aggiunte, inoltre, tutte quelle che, nell‟intercorrere delle rotazioni, erano destinate al pascolo. Nonostante ciò, lo stato in cui versava tale attività non era certo dei migliori dato che era grande « l‟ignoranza , in cui è tutto il Regno in ordine alla Pastorale »163

. Decadenza derivata da scarsità di infrastrutture e dalla carenza di acqua per uso irriguo, fattori questi ultimi che si traducevano nell‟assenza di prati artificiali che in altre parti d‟Italia « nudriscono, ingrassano (il bestiame) e lo rendono più che mai adatto a tutti quegli usi profittevoli a‟ quali la Natura l‟ha provvidamente destinato »164

, mentre nel Siracusano, così come quasi in tutta l‟Isola, la prassi voleva che gli animali fossero costretti a nutrirsi negli incolti. Altra incuria di non poco conto che falciava le greggi era rappresentata dall‟assenza di stalle che negli inverni rigidi potessero fornire un degno riparo per gli animali che non di rado morivano di stenti.

Così come sconosciute erano, sino al 1852, le vaccinazioni per malattie come il “vaiolo” e “l‟afta epizootica”165

, vere spine nel fianco di questa pratica, così come il “tifo” che ancora dopo l‟Unità distruggeva quasi per intero non solo le popolazioni bovine ma anche quelle ovine e caprine166.

Nonostante ciò, l‟allevamento costituiva una pratica indispensabile e di vitale importanza non solo per il Siracusano, dove, tra l‟altro, periodicamente nei vari centri del territorio si tenevano varie fiere di bestiame167 ma per l‟Intera Isola per ragioni riconducibili a motivi di pubblica utilità, quanto squisitamente economiche.

Pubblica utilità perché lo stato in cui versava l‟Isola, in cui era ancora alieno il processo di meccanizzazione, il possedere animali, in genere buoi, rappresentava l‟unico mezzo a disposizione per poter praticare arature decenti nei periodi indicati, il che poi

162

Cfr. G. Petino, , Aspetti e tendenze dell’agricoltura siciliana……., op. cit., p.66

163

Cfr. P. Lanza , Memoria sulla decadenza dell’agricoltura……….., op. cit., p. 32

164

Ibidem , pp.32-33

165

Cfr. A.S.SR., Fondo Intendenza, busta n. 2646.

166

Cfr. L. Franchetti-S. Sonnino, Inchiesta in Sicilia, op.cit., p. 16

167

Cfr. V. Amico , Dizionario Topografico della Sicilia tradotto ed annotato da Gioacchino Di Marzo, Palermo 1855, Vol. 1 p. 66 , pp. 118-119 , p. 165 , p. 172 , p. 245 ,p. 252 , p. 446 , p. 466 , p.594; Vol. 2 p. 79 , p. 227 , pp. 239-240 , p. 249 , p. 438 , p. 527, p. 529 , p. 536

permetteva di poter quindi attuare le rotazioni nei tempi opportuni168, operare pratiche come la trebbiatura o fornire la trazione necessaria a palmenti e frantoi ubicati lontano dai corsi d‟acqua.

Il rilevante peso economico dei prodotti della zootecnia, uno dei quali era “il cacio a pasta dura, assorbito per la maggior parte dal mercato interno e venduto dai 14 ai 16 grana per rotolo, ci veniva testimoniato dai proventi ottenuti ancora nel 1873 dall‟export dello stesso che ammontavano a lire 1.520.152169

, tuttavia, i sistemi di lavorazione antiquati 170, attuati nel XIX un po‟ in tutto il territorio isolano, non assicuravano produzioni rilevanti che permettessero di avviare un proficuo commercio di tale genere171, apprezzato sia in Sicilia che all‟estero.

Significative dovevano essere le esportazioni di pelli di agnelli, di capretti o di lane, anche se queste si esportavano in genere in forma grezza per poi essere nuovamente importate dopo essere state lavorate fuori regione dato che tanto nel Siracusano quanto nel resto dell‟Isola non erano presenti industrie sufficienti da poter assolvere il compito della lavorazione172. Inoltre, la lana siciliana non era particolarmente apprezzata fuori dall‟Isola dato che, oltre ad essere particolarmente corta, era il più delle volte sudicia poiché, come già detto in precedenza le pratiche di allevamento, prevalentemente non stabulato, non aiutavano certo a preservare il manto degli animali.

Anche se vi erano delle aree, anche all‟interno del Siracusano, dove grazie alla bontà dei pascoli, al clima piuttosto mite ed alla dolcezza delle stagioni, era possibile venire a capo dalle greggi « lane fini e morbide », così come il Pisano Baudo definiva quelle di Sortino173.

La carne invece, nonostante fosse considerata “genere di prima necessità”, solo di rado ed in casi eccezionali, come festività o ricorrenze particolari, compariva nelle

168

Cfr. P. Lanza , Memoria sulla decadenza dell’agricoltura……….., op. cit., pp.34-35

169

Cfr. G. Rizzo, Introduzione storica, estratto da « L‟economia della provincia di Siracusa » op. cit., p.45

170

Degna di menzione è la descrizione offertaci dal Sindaco di Melilli nel 1850 il quale avendo avuto modo di constatare la “lavorazione dei caci nel Nord Italia” mette in risalto le deficienze della pratica attuata nel territorio ( cfr. A.S.SR., Fondo Sotto Intendenza ,busta n.142 , f.761)

171

A tal proposito va menzionata la disposizione della Camera Consultiva per il Commercio di Messina datata 26 novembre 1853 che comunica all‟Intendente della Provincia di Noto la necessità di immettere “in franchigia di dazio doganale i formaggi esteri” dettata dalla scarsità del genere in questione. ( cfr. A.S.S. Fondo Intendenza busta n. 2667 f. 3018)

172

Cfr. L. Bianchini, Della storia economico-civile di Sicilia, Napoli 1841, pp.251-253 ;si veda anche M.A.Averna, Dissertazione economico-politica sul lanificio di Sicilia recitata nell’Accademia del Buon

Gusto l’anno 1797, Palermo 1987, p.145 173

mense di gran parte della popolazione, poiché acquistare carne per sfamare una famiglia, mediamente composta da 4-5 elementi, significava spendere, il più delle volte, più di quanto si guadagnava giornalmente, soprattutto nel Siracusano dove gran parte della popolazione era costituita da “giornalieri”174

. Le carni consumate dalla stragrande maggioranza della popolazione erano le carni di pecora, castrato o maiale i cui prezzi oscillavano dai 6 ai 20 grana per rotolo, in base al periodo. Le carni di vitella o giovenco erano invece un‟esclusiva delle classi “benestanti” dato che i prezzi si aggiravano da 12 a 24 grana per rotolo.

Le “interiora” generalmente si vendevano a metà del prezzo con cui veniva venduta la carne dell‟animale in questione, mentre se queste venivano cotte, avevano il medesimo prezzo della carne.

Le razze allevate tanto nell‟Isola quanto nel Siracusano erano generalmente autoctone, dato che erano più resistenti ai rigidi inverni, dato che, come si è già affermato, l‟allevamento stabulato era pressoché inesistente. Queste razze, tra le quali la più comune, soprattutto nel nostro territorio, era quella modicana poiché si prestava, per caratteristiche somatiche, molto più alla produzione di latte che alla produzione di carni175. Il ricorso a razze non indigene in periodo pre-unitario era riservato ai momenti di carestia176 mentre, subito dopo l‟Unità questa pratica divenne una prassi più ricorrente.

174

Cfr. G. Rizzo, Introduzione storica, estratto da « L‟economia della provincia di Siracusa » op. cit., p.25

175

Cfr. G. Petino, Aspetti e tendenze dell’agricoltura siciliana……., op.cit., p.69

176