• Non ci sono risultati.

L'allontanamento dalla collettività e l'interruzione di una funzione: una

Capitolo III: L'articolazione delle timai divine

III. 1 2 Essere homotimoi: la parte nel sorteggio e l'equità della timē

III. 3. L'allontanamento dalla collettività e l'interruzione di una funzione: una

Detenere una timē è dunque condizione preliminare e imprescindibile per oggettivare la propria appartenza al gruppo divino, in una forma di pensiero che identifica la timē del dio con l'elemento che del dio estrinseca l'identità, lo statuto. Sappiamo, tuttavia, che la nozione di timē designa anche la compagine di prerogative alle quali la divinità è chiamata a sovrintendere, manifestando così la propria potenza tra gli uomini117; posta in questi termini, la timē diviene una vera e

propria funzione, oltre che reificazione di uno status. E di funzione e di status dobbiamo parlare, misurandoci con la separazione di Demetra dalla società degli dèi.

Afflitta per la scomparsa della figlia118, di cui si mette subito alla ricerca, Demetra

muta il proprio dolore in rabbia funesta, tale da indurla ad allontanarsi dall'assemblea degli dèi119:

τὴν δ’ ἄχος αἰνότερον καὶ κύντερον ἵκετο θυμόν. 90 χωσαμένη δἤπειτα κελαινεφέϊ Κρονίωνι νοσφισθεῖσα θεῶν ἀγορὴν καὶ μακρὸν Ὄλυμπον ᾤχετ᾿ ἐπ᾿ ἀνθρώπων πόλιας καὶ πίονα ἔργα εἶδος ἀμαλδύνουσα πολὺν χρόνον· οὐδέ τις ἀνδρῶν εἰσορῶν γίνωσκε βαθύζώνων τε γυναικῶν 95 πρίν γ᾿ ὅτε δὴ Κελεοῖο δαΐφρονος ἵκετο δῶμα, ὃς τότ᾿ Ἐλευσῖνος θυοέσσης κοίρανος ἦεν. ἕζετο δ᾿ ἐγγὺς ὁδοῖο φίλον τετιημένη ἦτορ Παρθενίῳ φρέατι ὅθεν ὑδρεύοντο πολῖται ἐν σκιῇ, αὐτὰρ ὕπερθε πεφύκει θάμνος ἐλαίης 100 […]. 117Cf. supra: p. 93 n. 6.

118Sul culto di Demetra Ἀχαιά, epiteto che potrebbe significare “Achea”, ma che potrebbe rimandare anche ad ἄχος di Hymn. ad Cer. 40 cf. Farnell 1977: vol. III, pp. 69-72; cf. anche Parker 1996: p. 288.

ma nel cuore della dea penetrava un dolore più profondo e struggente. E in seguito, adirata contro il figlio di Crono, dalle nere nubi,

abbandonando il consesso degli dèi e il vasto Olimpo, andava tra le città degli uomini e i pingui campi,

celando il suo aspetto, per molto tempo; né alcuno degli uomini e delle donne dalla vita sottile la riconobbe incontrandola, fin quando ella giunse alla casa del saggio Cèleo,

che era allora il signore di Eleusi fragrante d'incenso. Sedeva lungo la strada, afflitta nel cuore,

al pozzo Partenio, cui gli abitanti della città attingevano l'acqua, all'ombra: su di lei si allargava la chioma di un olivo.

Non è mancato chi ha interpretato l'episodio cantato dall'inno omerico secondo la categoria narratologica dello “story-pattern”120, attribuendo al motivo della

sequenza ‘ira-allontanamento-ritorno’ un valore tipico121. Sebbene questo modello

narrativo abbia il merito di individuare un tratto di continuità per noi prezioso, quale l'associazione tra Demetra e Achille122, esso considera un elemento a nostro

avviso accessorio, come quello dell'ira, che non sembra rivelatore di contenuti sociali; e di contenuti sociali intendiamo occuparci.

Applichiamo il metodo dell'antropologia storica e procediamo per associazioni e connessioni123. Partendo dalle associazioni, individuiamo una serie di gesti di cui

si sostanzia il mito che qui esaminiamo: Demetra si allontana dalla collettività di riferimento (νοσφισθεῖσα, v. 92) e, giunta ad Eleusi, si siede (ἕζετο, v. 98)124.

120Per una definizione di questo modello cf. De Jong 2001: p. xviii. 121Cf. Nickel 2003.

122Cf. Ibidem: pp. 59, 62, 72-73. Nickel si spinge troppo oltre, sostenendo che come Achille, privato del proprio geras, perde la propria timē, così Demetra, privata della figlia, viene intaccata nella propria timē (Ibidem: p. 72). Bisogna constatare, tuttavia, che mentre il geras dell'eroe ne rappresenta lo statuto, Persefone non reifica certo l'identità della madre, tanto che essa non è mai definita ‘geras’ (geras è, come abbiamo visto, la timē stessa di un dio). Procedere per associazioni e connessioni è produttivo, purché rispetti una continuità nel testo, il quale assolve una “funzione mediatoria […] tra autore e destinatario” e, come tale, esso deve essere “interpretato, come ogni altro, entro un suo contesto” (Di Donato 2006: p. 55).

123Il metodo fa riferimento alle formulazioni di Gernet 2004: pp. 40-42.

124Sulla posizione di Demetra l'inno insiste a più riprese: cf. ex. gr. Hymn. ad Cer. 197, 201, 303. Parker interpreta questo dato in relazione al volto coperto della dea (cf. Hymn. ad Cer. 197) e conclude che deve trattarsi di un “prototipo” (cf. Parker 1983: p. 285) dal quale deriva un rito di purificazione, nel corso del quale l'iniziato rimane seduto, con il capo velato (cf. Ibidem: pp. 284-285).

Aggiungiamo ora all'elemento ‘associazione’ l'elemento ‘connessione’ e notiamo che a proposito di Achille, privato del geras, l'aedo iliadico canta125:

ἡ δ’ ἀέκουσ’ ἅμα τοῖσι γυνὴ κίεν· αὐτὰρ Ἀχιλλεὺς δακρύσας ἑτάρων ἄφαρ ἕζετο νόσφι λιασθείς,

θῖν’ ἔφ’ ἁλὸς πολιῆς, ὁρόων ἐπ’ ἀπείρονα πόντον· 350 a malincuore, la donna andava con loro; Achille intanto

piangendo sedeva lontano dai compagni, ritiratosi in disparte, sulla riva del mare spumoso, guardando la distesa infinita.

Come Demetra, Achille si siede lontano dai compagni, in un atto che potrebbe richiamare alla memoria quello di Crise, il quale prega in disparte126, ma che si

carica di un significato ulteriore, come vedremo tra poco.

Aggiungiamo infine un altro episodio, analogo ai due che già abbiamo proposto. Nell'inno omerico ad Apollo, Latona pronuncia il giuramento che Delo le ha chiesto e si prepara al parto127:

αὐτὰρ ἐπεί ῥ’ ὄμοσέν τε τελεύτησέν τε τὸν ὅρκον, Δῆλος μὲν μάλα χαῖρε γόνῳ ἑκάτοιο ἄνακτος, 90 Λητὼ δ᾿ ἐννῆμάρ τε καὶ ἐννέα νύκτας ἀέπτοις ὠδίνεσσι, πέπαρτο. θεαὶ δ᾿ ἔσαν ἔνδοθι πᾶσαι ὅσσαι ἄρισται ἔσαν, Διώνη τε Ῥείη τε Ἰχναίη τε Θέμις καὶ ἀγάστονος Ἀμφιτρίτη, ἄλλαι τ᾿ ἀθάναται, νόσφιν λευκωλένου Ἥρης· 95 [ἧστο γὰρ ἐν μεγάροισι Διὸς νεφεληγέρεταο.] μούνη δ’ οὐκ ἐπέπυστο μογοστόκος Εἰλείθυια· ἧστο γὰρ ἄκρῳ Ὀλύμπῳ ὑπὸ χρυσέοισι νέφεσσιν Ἥρης φραδμοσύνῃς λευκωλένου, ἥ μιν ἔρυκε ζηλοσύνῃ ὅτ᾿ ἄρ᾿ υἱὸν ἀμύμονά τε κρατερόν τε 100 Λητὼ τέξεσθαι καλλιπλόκαμος τότ᾿ ἔμελλεν. 125Il. I, 348-350.

126Cf. Il. I, 35; cf. Kirk 1985: ad loc., pp. 57. 127Hymn. ad Ap. 89-101.

E quando ella ebbe giurato, e pronunciato per intero la formula, Deilo gioiva profondamente per la nascita del dio arciere: ma Leto per nove giorni e nove notti da indicibili

dolori era trafitta. Le stavano vicine le dee, tutte le più grandi: Dione e Rea,

e Temi e Icne, e Anfitrite dalla voce sonora,

e le altre immortali, ma non Era dall bianche braccia: [ella infatti sedeva nelle sale di Zeus adunatore di nembi]. Soltanto Ilitia, che procura il travaglio del parto, nulla sapeva; sedeva infatti sulla cima dell'Olimpo, fra nubi d'oro,

secondo i disegni di Era dalle bianche braccia, che la teneva in disparte per invidia: poiché Leto dalle belle trecce

stava allora per generare un figlio nobile e forte.

Di fronte al parto di Latona Era rimane lontana (νόσφιν, 96), seduta nel palazzo di Zeus (ἧστο, v. 96), e non prende parte alla nascita di Apollo. Alcuni commentatori hanno espunto il verso 96, sulla base del fatto che non tutti i manoscritti lo riportano128. Il passo, tuttavia, non solo è coerente da un punto di vista narrativo129,

ma esso può essere difeso anche in ragione delle connessioni che abbiamo creato, come avremo modo di rilevare130.

Da quanto abbiamo modo di constatare ci sembra di poter parlare legittimamente di una ‘immagine leggendaria’, che lega due gesti fondamentali, quello dell'allontanamento e quello del sedersi. Di questi gesti è opportuno tentare di dare ragione.

Documenti correlati