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L'anassein divino: qualche conclusione

Capitolo I. La relazionalità di una nozione: l'anax divino

I. 4 2 La lotta per il potere: la Tifonomachia

I. 5. L'anassein divino: qualche conclusione

La sovranità divina restituita dai significanti anax e anassein risulta essere intrinsecamente connessa a una relazionalità che, nel pensiero greco arcaico, pone a confronto uomini e dèi e misura tra loro gli stessi membri della società divina. Nel suo interagire con i mortali – e con gli immortali, come nel caso di Era – è apostrofato come anax quel dio che, in base alle esigenze del locutore e in riferimento alla propria timē, possa offrirgli la propria azione. Se il dio può elargire il proprio aiuto, infatti, ciò è dovuto alla sua condizione di sovrano sul campo di competenza al quale l'orante, ponendosi sotto la protezione della divinità, si appella. Risulta paradigmatico il caso di Menelao, che invoca Zeus come suo anax in virtù della timē del dio: detenendo la sovranità sulla xenia, infatti, il Cronide è chiamato a difendere il vincolo ospitale in nome del locutore. Come abbiamo avuto modo di constatare a proposito di Odisseo e di Era, è possibile invocare l'azione di un sovrano divino sempre diverso, in risposta alle esigenze del locutore, il quale fa affidamento su una specifica competenza del dio. A differenza del rapporto che vincola le comunità guerriere rappresentate nell'epos omerico e il loro anax umano, il legame che si istituisce tra il sovrano divino e l'orante non è esclusivo: infatti, se le formazioni guerriere dell'Iliade e dell'Odissea costruiscono una relazionalità reciproca con un solo sovrano, poiché attorno a lui cementano la propria identità e soltanto da lui, di conseguenza, possono attendere una corresponsione del rapporto obbligante che li unisce,

249Non può non risultare stridente l'antinomia che si determina al v. 859: la folgore è stata consegnata dai Ciclopi a Zeus, perché con essa regnasse (anassein) sui mortali e sugli immortali, e si configura dunque come strumento magico dello statuto regale; nel caso di Tifone, tuttavia, anziché agire la sovranità per mezzo del keraunos, l'anax la subisce.

misurandosi con l'anax divino, i Greci di età arcaica moltiplicano la loro rete relazionale, stringendo rapporti con una pluralità di sovrani, poiché plurali sono le circostanze, plurali le divinità e plurali le loro timai, in ragione delle quali l'orante percepisce la propria subordinazione a un determinato anax.

Dal sovrano divino ci si aspetta allora una reazione positiva alla preghiera in funzione di un legame personale, che si è instaurato o che si instaura in quel momento tra il dio e colui che lo invoca. Il vincolo che unisce locutore e dio anax, tuttavia, sebbene possa limitarsi unicamente a queste due parti del rapporto, può estendersi anche a quei soggetti che partecipano alla trama relazionale dell'orante. Dobbiamo infatti tenere presente che i Greci di età arcaica, come ha ben mostrato Évelyne Scheid-Tissinier250, svolgevano la relazionalità su un duplice asse

direzionale: quello orizzontale, che unisce tra loro i vari membri della medesima collettività secondo meccanismi di reciprocità, e quello verticale, che vincola i soggetti al vertice della loro comunità. Seguendo questa linea interpretativa, appare subito chiaro che colui che si pone in rapporto con il dio anax fa riferimento a una relazione verticale, ma contestualmente egli intrattiene delle relazioni orizzontali con i membri del proprio gruppo. Il locutore costituisce dunque il punto di intersezione tra i due assi: per questo motivo egli è legittimato a integrare nel suo rapporto con il sovrano divino tutti coloro che prendono parte alla sua collettività, sia essa circoscritta al nucleo familiare – come nei casi di Teti, Nestore, Anchise e, in parte, Odisseo – sia essa dilatata in una dimensione sociale, determinata ad esempio dall'hetairia, come a proposito di Achille e Patroclo. Inserendo nella relazione i soggetti appartenenti alla propria comunità, l'orante li pone sotto la protezione del proprio anax, che da allora in poi sarà anax anche per i membri del gruppo, come dimostra il caso del Pelide, il quale fa valere la propria preghiera a Zeus anax sulla base della supplica agita dalla madre, intermediaria del rapporto tra il figlio e il dio.

Abbiamo inoltre osservato che la realtà sociale alla quale può estendersi il legame con l'anax divino può essere definita anche dalla xenia, come risulta dalla preghiera di Odisseo. Proprio il caso dell'eroe itacese ci permette di indagare un

250Cf. Scheid-Tissinier 1994: pp. 63-284. Per una contestualizzazione e uno sviluppo della nozione di reciprocità in Omero cf. anche Donlan 1982a e Donlan 1998.

altro aspetto della relazionalità in oggetto. Abbiamo spiegato che la condizione di Odisseo nel momento in cui apostrofa Zeus anax è piuttosto ambigua, poiché egli in quel frangente è padre e xeinos. Considerando questo suo secondo aspetto, apparente ma reso credibile di fronte a un ignaro Eumeo, Odisseo prega la divinità dalla quale, in veste di xeinos, può attendere una risposta alle proprie parole: poiché Zeus è – anche – dio dell'ospitalità, egli costituisce il punto di riferimento per uno xeinos; è quanto abbiamo osservato a proposito di Menelao. Nella nostra argomentazione la competenza del dio rappresenta il fondamento stesso del rapporto che lega orante e divinità: in ragione della timē – o meglio, di una delle

timai – propria del dio, il locutore intrattiene con il destinatario della sua preghiera

una relazione privilegiata, nell'ambito della quale egli sente di dipendere dal dio in quanto sottoposto al suo dominio. Anax designa allora la divinità alla quale ci si subordina in virtù delle sue prerogative, che rendono esclusiva la relazione nella misura in cui nessun altro dio è preposto a quel determinato campo d'azione. Essere anax in rapporto alle timai significa per un dio definire la propria situazione identitaria, ad un tempo individuale e collettiva: individuale poiché la prerogativa del dio, costituendo la sfera entro la quale egli afferma il proprio potere, lo rende di immediata individuazione da parte degli uomini, che indirizzano le proprie preghiere agli dèi in relazione alla loro specifica funzione; collettiva, poiché media i rapporti tra le varie divinità, che agiscono in sinergia tra loro, nel pieno riguardo delle rispettive sovranità251. A questo proposito abbiamo

parlato di sovranità funzionale, ma è opportuno fare una precisazione: con l'aggettivo ‘funzionale’ si è voluto designare la declinazione che la regalità del dio assume in rapporto alla timē. Non bisogna, tuttavia, dimenticare che proprio la prerogativa divina si configura come elemento tramite il quale la potenza soprannaturale si pone in relazione con la componente umana. Attraverso la timē, l'anax divino dispone quindi di una sovranità che è intrinsecamente connotata come relazionale.

Nel pensiero greco di età arcaica, tuttavia, timē non designa solo la competenza

251Avremo modo di osservare che le timai assumono un valore di mediazione tra il dio e la collettività divina, come risulta, ad esempio, dall'inno omerico ad Ermes e dall'inno omerico a Demetra. Cf. cap. III.

del dio, ma anche quella serie di onori che gli uomini gli riservano252, come appare

nell'esercizio dell'anassein in riferimento al luogo in cui il dio è onorato. La sovranità divina, infatti, è agita secondo delle coordinate spaziali ben definite: una divinità espleta la propria condizione di anax nell'ambito di un territorio a lei consacrato per il tramite di quegli elementi materiali, come l'altare, che costituiscono gli strumenti della pratica religiosa253. In questi luoghi il dio può

aver ottenuto il proprio anassein dopo essersi misurato con una realtà altra, come nel caso di Apollo a Pito. Del resto, i miti che raccontano la conquista del potere regale da parte degli dèi descrivono sempre una contesa, un agone, nell'ambito del quale gli avversari mettono in campo ciascuno le proprie capacità, ma solo uno di loro conseguirà la vittoria, imponendo il proprio anassein. Escludendo in questi passi lo spettro semantico del basileuein254, l'epica greca arcaica dimostra che la

sovranità veicolata da anassein copre quelle circostanze in cui il potere in questione si configura come prodotto di una relazionalità – antagonistica piuttosto che reciproca, a differenza di quella presupposta dall'interazione tra uomini e dèi: in conclusione, quando l'anassein è in gioco, è in gioco lo status di sovrano.

252Cf. Scheid-Tissinier 2000.

253Sull'altare e sul temenos cf. Burkert 1977: pp. 135-140; Mikalson 2005: pp. 5-10.

254Trascuriamo per il momento il sintagma τιμὴ βασιλεΐς (Hes. Th. 462, 892), che, come avremo modo di osservare, attesta una sovrapposizione tra le nozioni di ‘statuto’ e ‘funzione’; cf. infra: pp. 136-139.

Capitolo II. Basileus theōn: la regalità divina tra statuto e funzione

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