tistico
Considerando che nella maggior parte dei casi di DSA i primi sospetti vengono posti durante il secondo anno di vita (Chawarska, Paul et al., 2007), diventa es- senziale migliorare e potenziare le attuali conoscenze sull’espressione del disturbo autistico durante il periodo preclinico, sia per fornire strumenti utili alla pratica clinica sia per scopi di ricerca. Ad oggi la diagnosi di autismo non può essere posta con sicurezza prima dei 3 anni di età per cui ha assunto sempre più importanza la necessità di individuare dei parametri che possano essere utilizzabili per la diagnosi precoce di autismo. È già noto che nell’autismo risultano essere deficitarie o alte- rate le abilità di inseguimento dello sguardo e di attenzione condivisa (Hood et al., 1998; Maestro et al., 2005; Senju et al., 2008), per questo motivo numerosi studi si sono concentrati sull’individuazione precoce di questa capacità così da poterla utilizzare come fattore predittivo precoce per il successivo sviluppo del disturbo autistico. Charman nel suo studio del 2003 mostra come le alterazioni nell’atten- zione condivisa siano tra i segni più precoci e importanti di autismo e come siano correlate positivamente con il successivo sviluppo del linguaggio, come già mostra- to in studi precedenti (Mundy & Gomes, 1998), e in misura inferiore anche con le difficoltà dei pazienti autistici in ambito sociale e comunicativo. Intorno alla fine del primo anno di vita sembrano essere evidenti le precoci anomalie tipiche dell’au- tismo nell’attenzione condivisa e nei comportamenti di interazione sociale, queste alterazioni diventano poi più strutturate nel secondo anno di vita, con la comparsa aggiuntiva di una tendenza a evitare del tutto il contatto visivo e all’isolamento (Charman, 2003). Chawarska, Macari e Shic in uno studio del 2013 mostrano come fin dai 6 mesi di età i bambini che poi ricevono diagnosi di autismo presentino una ridotta abilità a prestare attenzione spontaneamente alle altre persone e alle loro
attività. Questa limitata predilezione attentiva nei confronti degli altri individui probabilmente ha un impatto negativo sulla specializzazione di determinati net- work neuronali destinati alle abilità sociali e quindi sullo sviluppo delle capacità di interazione sociale in questi bambini. L’anomala strutturazione di questo network neuronale specifico il cui sviluppo risulta essere correlato all’esperienza, giustifica le precoci alterazioni nel campo dell’attenzione sociale, che si crede siano da corre- lare a una ridotta sensibilità da parte dei soggetti autistici al valore di ricompensa attribuibile allo stimolo sociale (Dawson et al., 2012). Un’altra ipotesi proposta per spiegare le difficoltà dei bambini con autismo nei compiti di inseguimento dello sguardo è stata proposta da de Jong et al. (2008), che correlano questa altera- zione a una difettosa capacità di elaborazione degli stimoli emozionali. Un altro studio di Shic, Chawarska e Macari (2013) fornisce ulteriori supporti sperimentali alla tesi che alterazioni dell’attenzione possano essere presenti fin dai 6 mesi di età e aggiunge nuovi spunti per le future ricerche. Gli autori infatti mostrano come la presenza di una stimolazione verbale durante la somministrazione della prova potrebbe disturbare e alterare l’attenzione unicamente di quei bambini che suc- cessivamente riceveranno diagnosi di DSA, in quanto sarebbe difettosa in questi bambini la capacità di processare gli stimoli sociali complessi (Shic, Chawarska, Macari, 2013). In uno studio del 2008 Gernsbacher et al. propongono un’ulteriore spiegazione del perché i bambini autistici trovino difficoltà sia nell’iniziare un epi- sodio di attenzione condivisa, utilizzando i gesti di pointing per segnalare all’adulto un oggetto o un evento di interesse, sia nel rispondere agli stimoli di attenzione condivisa, modificando quindi la posizione degli occhi e della testa in modo da direzionare la propria attenzione verso l’oggetto che l’altra persona sta osservando. Le motivazioni di questa alterazione secondo gli autori sono da ricercare nell’ati- pica resistenza alla distrazione dei bambini autistici, nella loro alterata percezione del mondo circostante e nell’anomala esecuzione di azioni volontarie, in particolare per quanto riguarda i movimenti oculari (disprassia visiva). Spesso il bambino
autistico giunge all’osservazione del medico con il sospetto di sordità: i genitori riferiscono che il bambino appare difficilmente distraibile e molto concentrato nelle sue attività, non risponde se non raramente al nome e allo stimolo verbale. Questi eventi sono conseguenza dell’atipica resistenza alla distrazione di questi bambini, come mostrato da Landy e Bryson (2004) nel loro studio: il bambino con autismo mantiene la concentrazione su un determinato oggetto o attività per più del doppio del tempo rispetto al soggetto di controllo. Nello studio di Sasson et al. (2011) si cerca di valutare i vari aspetti dell’attenzione visiva durante l’osservazione di diver- si tipi di immagini. Vengono proposte ai soggetti partecipanti allo studio immagini contenenti stimoli di tipo sociale e non sociale, in particolare vengono mostrati sia oggetti di uso comune come ad esempio gli abiti o alcuni tipi di cibo, sia oggetti per i quali i bambini con DSA spesso mostrano un interesse molto ben definito e circoscritto, come ad esempio i treni, i computer o le automobili. I bambini con autismo mostrano la tendenza a prestare un maggiore livello di attenzione oltre che ad una più accurata e prolungata esplorazione visiva dell’immagine durante la presentazione degli oggetti correlati più spesso con i gli interessi circoscritti tipici dell’autismo. Gli autori quindi, pur sottolineando i limiti della loro ricerca, sug- geriscono come l’emergere di interessi estremamente circoscritti e specifici possa rappresentare una delle manifestazioni iniziali dell’autismo e come quindi siano ne- cessarie ulteriori ricerche per valutare l’utilità di questo parametro nella diagnosi precoce (Sasson et al., 2011).
Ami Klin et al. in uno studio del 2002 suggeriscono invece che un importante fattore predittivo per lo sviluppo delle competenze sociali nell’autismo sia la va- lutazione del tempo di fissazione oculare. Gli autori effettuano un esperimento su un gruppo di 15 soggetti adolescenti con diagnosi di DSA e un gruppo di controlli, monitorati durante la visione di un video che mostra alcune persone che intera- giscono tra loro. I risultati mostrano come il tempo di osservazione della regione degli occhi sia circa due volte maggiore nei soggetti tipici rispetto agli autistici e
come i soggetti autistici spendano molto più tempo nell’osservazione degli oggetti presenti nella scena, della bocca e del corpo degli individui mostrati nel video. In particolare il tempo di fissazione sulla regione buccale viene correlato nei sogget- ti autistici con una migliore capacità di adattamento sociale associata a minori difficoltà nell’ambito sociale; mentre invece un maggiore tempo di fissazione degli oggetti presenti nella scena è associato con una minore capacità di adattamento sociale e più gravi deficit in ambito sociale (Klin et al., 2002). Sono necessarie però, anche secondo gli autori stessi, ulteriori ricerche in questo campo per confer- mare questi dati e per poter fornire strumenti utilizzabili nella diagnosi precoce di autismo.
Un altro punto fondamentale su cui la ricerca si è concentrata è stato l’esame della stabilità della diagnosi precoce nel tempo, in quanto ciò può essere d’aiuto nel capire l’adeguatezza e la sensibilità dei parametri utilizzati come fattori predittivi precoci. Per questo motivo Chawarska, Klin et al. (2009) conducono uno studio longitudinale su 89 bambini di età media 21.5 mesi, con successivo follow up a 46.9 mesi per confermare la diagnosi di DSA. I bambini partecipanti allo studio vengono sottoposti a valutazioni linguistiche, psicologiche e psichiatriche per po- ter esaminare le loro competenze sociali, cognitive e comunicative. La valutazione delle competenze sociali include anche l’ADOS e l’esame delle abilità di attenzione condivisa, sia l’iniziativa che la risposta. I risultati mostrano come proprio l’at- tenzione condivisa, accanto a un impoverimento della comunicazione gestuale e a una bassa frequenza di tentativi di comunicazione da parte del bambino, sia una delle aree più fortemente alterate nei bambini con DSA e come possa essere utiliz- zata come strumento capace di confermare la stabilità della diagnosi dopo i 2 anni di età. Queste stesse conclusioni sono confermate anche da numerosi altri studi successivi (Roos et al., 2008; Navab et al., 2012; Westman Andersson et al., 2013). I bambini ad alto rischio di sviluppo di autismo in quanto siblings (fratelli di bambini che hanno ricevuto diagnosi di DSA), in confronto a bambini a basso ri-
schio, mostrano più bassi livelli di sviluppo del linguaggio, una ridotta produzione gestuale e una minore tendenza a stabilire un contatto visivo diretto (Goldberg et al., 2005). Anche in questi bambini è stata mostrata la predittività della va- lutazione delle abilità di attenzione condivisa per la successiva diagnosi di DSA, in particolare la risposta all’attenzione condivisa sembra essere l’area più caratte- risticamente alterata (Presmanes et al., 2007). Per questo motivo Sullivan et al. (2007) sottolineano come la risposta all’attenzione condivisa debba essere valutata e considerata come strumento di screening anche in questa categoria di soggetti.
Capitolo 3
La tecnologia di eye-tracking:
caratteristiche tecniche e impiego
Il dispositivo di misurazione più spesso usato per analizzare i movimenti ocu- lari è comunemente noto come eye-tracker. In generale si possono distinguere due tipi di tecniche per il monitoraggio dei movimenti oculari, quelle che misurano la posizione dell’occhio relativamente alla testa e quelle che misurano l’orientamento degli occhi nello spazio, o i punti di fissazione (o POR dall’inglese ‘point of regard’). Quest’ultimo tipo di misurazione è tipicamente utilizzato quando l’interesse prin- cipale è valutare la capacità di identificare i vari elementi in una scena visiva, per esempio in applicazioni grafiche o di tipo interattivo. Probabilmente il dispositivo più ampiamente utilizzato per misurare i punti di fissazione è l’eye-tracker video- based che utilizza la riflessione corneale. In questo capitolo per prima cosa sono velocemente discusse la maggior parte delle più popolari tecniche di misurazione dei movimenti oculari, vengono poi trattati gli eye-tracker video-based con maggior dettaglio.
Ci sono quattro ampie categorie di tecniche di misurazione dei movimenti ocu- lari: l’elettro-oculografia, la tecnica che prevede l’utilizzo di lenti a contatto scle- rali con integrato un avvolgimento di filo conduttore, la foto-oculografia o video- oculografia e i metodi video-based che combinano riflessione pupillare e corneale.
L’elettro-oculografia si basa sulla registrazione delle differenze di potenziale della pelle che circonda la cavità oculare. Questa tecnica era il metodo di misurazione dei movimenti oculari più ampiamente applicato negli anni ’70, oggi invece la tec- nica forse più utilizzata, primariamente per la misurazione dei punti di fissazione, è quella basata sulla riflessione corneale. Le prime tecniche per la misurazione obiet- tiva dei movimenti oculari usando la riflessione corneale risalgono ai primi anni del 1900. Per migliorare l’accuratezza, negli anni ’50 vennero sviluppate tecniche che usavano lenti a contatto con integrato un avvolgimento di filo elettrico. I dispositivi di misurazione che si basano su un contatto fisico con il globo oculare generalmente forniscono misurazioni molto accurate. L’ovvio inconveniente di questi dispositivi è la loro invasività, legata alla necessità di indossare le lenti a contatto. I così detti eye-tracker non invasivi (a volte detti anche “remoti”) tipicamente si basano sulla rilevazione di caratteristiche visibili dell’occhio, per esempio la pupilla, la giunzione sclero-corneale o il riflesso corneale rispetto a una fonte di luce diretta posizionata in vicinanza. Queste tecniche spesso implicano un’analisi manuale o computerizza- ta delle registrazioni video dei movimenti degli occhi, sia off-line sia in tempo reale. La disponibilità di hardware veloci per l’elaborazione delle immagini ha facilitato lo sviluppo di sistemi video-based preconfigurati in tempo reale per l’analisi dei punti di fissazione.
L’elettro-oculografia è il metodo di registrazione dei movimenti oculari più am- piamente applicato 40 anni fa (e usato ancora oggi). Questa tecnica si basa sulla misurazione della differenza di potenziale elettrico sulla pelle grazie a degli elettro- di posizionati attorno all’occhio. La misura dei movimenti oculari così ottenuta è però da mettere in relazione con la posizione della testa e per questo generalmente l’elettro-oculografia non è utilizzabile per la misurazione dei punti di fissazione, a meno che non venga misurata anche la posizione della testa (es. usando un head-tracker). Uno dei più precisi metodi di misurazione dei movimenti oculari implica il collegamento di un oggetto ottico o meccanico di riferimento su una
lente a contatto che è poi posta direttamente sull’occhio. Le prime registrazioni effettuate secondo questa metodica risalgono alla fine del 1800 e vengono realiz- zate utilizzando un anello di gesso attaccato direttamente alla cornea, attraverso dei collegamenti meccanici questo anello è collegato con un sistema di acquisizione grafico. Questa tecnica si è evoluta con l’uso di una moderna lente a contatto che integra una bobina di filo conduttore i cui estremi sono collegati all’apparecchio di acquisizione dei dati. La lente a contatto è necessariamente grande, si estende sopra la cornea e la sclera in quanto sarebbe soggetta a un certo scivolamento se coprisse solo la cornea. L’apparecchiatura classica è costituita da una spirale di filo, integrata nella lente a contatto, ai cui capi si misura una tensione variabile e proporzionale allo spostamento della bobina nel campo elettromagnetico. Sebbene la lente sclerale con spirale sia il metodo di misurazione dei movimenti oculari più preciso, è anche il più invasivo: il posizionamento delle lenti richiede attenzione e pratica, indossare le lenti causa disagio. Questo metodo inoltre misura la po- sizione degli occhi relativamente alla testa e non è in generale utilizzabile per la misurazione dei punti di fissazione. Per quanto riguarda la foto-oculografia e la video-oculografia, queste due tecniche rientrano in una categoria che raggruppa insieme un’ampia varietà di tecniche per la registrazione dei movimenti oculari che comprende metodiche capaci di fornire la misurazione di caratteristiche o pa- rametri distinguibili dell’occhio durante la rotazione/traslazione, per es: la forma apparente della pupilla, la posizione della giunzione sclero-corneale e la riflessio- ne corneale di una fonte di luce diretta e vicina (spesso raggi infrarossi). Anche se sono differenti nell’approccio queste tecniche sono raggruppate insieme perché spesso non forniscono una misurazione dei punti di fissazione oculari. La valu- tazione delle caratteristiche oculari fornite dall’utilizzo di queste metodiche può essere o meno fatta automaticamente, in particolare può essere effettuata tramite la revisione dei movimenti degli occhi, registrati di solito su un supporto video. La valutazione su supporto video svolta manualmente consiste nell’esaminare il nastro
fotogramma dopo fotogramma. Questo tipo di revisione può essere estremamente tediosa e incline all’errore, inoltre è limitata dalla frequenza di campionamento temporale del dispositivo video. Da sottolineare è anche il fatto che numerosi di queste metodiche richiedono l’immobilità della testa, che può essere ottenuta per esempio usando un dispositivo per il mantenimento dell’immobilità della testao del mento oppure un sostegno da mordere. Sebbene le tecniche fino ad ora descritte siano in generale adeguate per la misurazione dei movimenti oculari, spesso non forniscono una misurazione dei punti di fissazione. Per fornire questo dato, la te- sta deve essere fissata in modo che il punto di fissazione e la posizione degli occhi rispetto alla testa coincidano, oppure devono essere misurate molteplici caratteri- stiche dell’occhio in modo da eliminare l’ambiguità tra i movimenti della testa e la rotazione degli occhi. Due di queste caratteristiche che possono essere misurate sono la riflessione corneale, che solitamente si ottiene grazie alla vicinanza di una sorgente di raggi infrarossi, e il centro della pupilla. I trackers video-based usano videocamere relativamente non costose e l’elaborazione delle immagini attraverso l’hardware permette di calcolare i punti di fissazione in tempo reale. L’attrezza- tura può essere montata su un tavolo o indossata sulla testa. L’ottica di entrambi i sistemi (table-mounted e head-mounted) è praticamente la stessa con l’eccezione della misura. Questi dispositivi, che stanno diventando sempre più disponibili, sono più adatti per l’uso in sistemi interattivi, dove è richiesta una partecipazione del soggetto che osserva il video con gli eventi, gli oggetti o le persone mostrate sullo schermo. La riflessione corneale della fonte di luce (tipicamente infrarossi) è misurata relativamente alla localizzazione del centro della pupilla. Le riflessioni corneali sono note come riflessioni del Purkinje o immagini del Purkinje. A causa della struttura dell’occhio si formano quattro riflessioni di Purkinje. Gli eye-tracker video-based tipicamente localizzano la prima immagine del Purkinje e con appro- priate procedure di calibrazione questi dispositivi sono capaci di misurare il punto di fissazione di un osservatore su una superficie adeguatamente posizionata, solita-
mente un piano bidimensionale rappresentato dallo schermo video posto di fronte all’osservatore, sulla quale i punti di calibrazione sono esposti. Grazie ai recenti avanzamenti nella tecnologia di eye-tracking oggi è possibile anche monitorare i movimenti dello sguardo non solo sul video ma anche in ambientazioni di real-life. Sono necessari due punti di riferimento sull’occhio per separare i movimenti oculari dai movimenti della testa. La differenza posizionale tra il centro della pupilla e la riflessione corneale cambia con la rotazione oculare pura ma rimane relativamente costante con minori movimenti della testa.
Figura 3.1: Posizioni reciproche della pupilla (cerchietto nero) e della pri-
ma riflessione del Purkinje (cerchietto bianco) così come vengono viste dalla videocamera dell’eye-tracker.
La Figura 3.1 mostra le posizioni approssimative e relative della pupilla e della prima riflessione del Purkinje mentre l’occhio ruota per fissare i nove punti di cali- brazione mostrati sullo schermo. Dato che la fonte di raggi infrarossi è solitamente posizionata a una certa distanza che è fissa rispetto all’occhio, l’immagine del Pur- kinje è relativamente stabile mentre il globo oculare, e quindi la pupilla, ruota nella sua orbita. I così detti eye-tracker di quinta generazione misurano anche tutte e quattro le immagini del Purkinje. Misurando la prima e la quarta riflessione del Purkinje (dual Purkinje image, DPI) gli eye-tracker separano i movimenti di trasla- zione e di rotazione dell’occhio. Sfortunatamente anche se la DPI dell’eye tracker
è abbastanza precisa può essere richiesta una stabilizzazione della testa.
La tecnologia di eye-tracking ha dei punti in comune con le tecniche di cattura del movimento (motion capture, “mocap”) usate nell’industria degli effetti speciali dei film. Le somiglianze tra queste due applicazioni sono intuitive e questo non è sorprendente perché l’obiettivo di entrambe è di registrare il movimento degli oggetti nello spazio. Nell’eye-tracking l’oggetto misurato è l’occhio mentre nella mocap solitamente sono le articolazioni del corpo. Gli eye-tracker sono di solito raggruppati usando la stessa classificazione impiegata per descrivere i dispositivi di cattura del movimento. L’elettro-oculografia è essenzialmente un dispositivo elettromeccanico. Nella mocap i sensori possono essere piazzati sulla cute o sulle articolazioni. Nell’ ey-tracking i sensori sono piazzati sulla cute intorno alla cavità oculare. Gli eye-trackers che usano lenti a contatto sono in effetti dei trackers elet- tromagnetici. Il dispositivo metallico che è fissato alla lente a contatto è simile alle bobine di filo trovate nei sensori elettromagnetici usati per ottenere la posizione e l’orientamento degli arti e della testa nella realtà virtuale. Gli eye-trackers che usano la foto-oculografia e la video-oculografia sono simili ai più ampiamente uti- lizzati dispositivi ottici di mocap negli effetti speciali dei film, nella produzione di video e di videogiochi. In entrambi questi casi una videocamera viene utilizzata per registrare il movimento naturale che viene quindi elaborato utilizzando solitamente dei mezzi digitali, al fine di calcolare la traiettoria del movimento dell’oggetto che viene tracciato. In conclusione quindi gli eye-trackers video-based che usano la ri- flessione corneale sono simili ai dispositivi ottici di mocap che usano dei sensori di movimento indossati dagli sperimentatori. In entrambe le metodiche viene di solito utilizzata una fonte di raggi infrarossi, per il motivo che i raggi infrarossi risultano invisibili all’occhio umano e quindi non costituiscono una fonte di distrazione.
Sono quindi disponibili diversi tipi di eye-tracker e anche se ogni tecnica ha i suoi vantaggi e svantaggi, per le applicazioni grafiche o interattive l’eye-tracker video-based che utilizza la riflessione corneale è verosimilmente il dispositivo più
pratico. Questi dispositivi catturano fotogrammi dell’occhio, mentre questo è illu-