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ALTERAZIONE DELLA COMUNICAZIONE INTERCELLULARE

L’invecchiamento comporta cambiamenti a livello della comunicazione tra cellule sia che essa avvenga per via endocrina, che neuroendocrina o nervosa (fig. 11) (Laplante e Sabatini, 2012; Rando e Chang, 2012; Russell e Kahn, 2007; Zhang et al, 2013).

Fig. 11: I vari tipi di comunicazione tra cellule.

La deregolazione di queste vie può determinare cambiamenti dell’ambiente extracellulare, declino della sorveglianza immunitaria nei confronti di agenti patogeni e di cellule precancerose, maggiore tendenza allo sviluppo di reazioni infiammatorie. A proposito di quest’ultima possibilità, è stato coniato il termine “inflammaging”,

Secrezione autocrina e paracrina

Ghiandole endocrine Circolo sanguigno Cellule bersaglio Via endocrina Cellule bersaglio Neuroni Sangue Bersaglio Neurotrasmissione Via neuroendocrina

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proprio per indicare il fenotipo pro-infiammatorio (“inflamm-“) che accompagna l’invecchiamento (“-aging”) nei mammiferi (Salminen et al., 2012). Si suppone che la condizione di inflammaging possa essere il risultato di molti fattori come la propensione delle cellule senescenti a secernere grandi quantità di citochine proinfiammatorie, l’accumulo di danno tissutale che favorisce lo sviluppo di una reazione infiammatoria, una ridotta funzionalità del sistema immunitario, la promozione dell’attività del fattore di trascrizione NF-B, o anche meccanismi di autofagia difettosi (Salminen et al., 2012). In linea generale si giunge comunque all’attivazione dell’inflammosoma NLRP3 e di altre vie di segnalazione promuoventi l’infiammazione tramite una aumentata produzione di citochine, quali IL-, Tumor Necrosis Factor e interferoni (Green et al., 2011; Salminen et al., 2012). Peraltro, l’infiammazione è coinvolta nella patogenesi di malattie che sono spesso associate all’invecchiamento, ad esempio obesità e diabete tipo II (Barzilai et al.,2012). Altra patologia da ricordare, a questo proposito, è l’aterosclerosi, in cui si osserva una difettosa risoluzione dell’infiammazione associata a lesioni delle pareti arteriose (Tabas, 2010). L’importanza delle vie di segnalazione dell’infiammazione nell’invecchiamento è stata evidenziata anche da studi sull’espressione genica di tessuti invecchiati (de Magalhaes et al., 2009; Lee et al., 2012). In questi è stata difatti rilevata un’aumentata attivazione della via del fattore di trascrizione NF-B, mentre è stato visto che la promozione dell’espressione di un suo inibitore a livello della pelle invecchiata di topi transgenici porta a un ringiovanimento tissutale, accompagnato dal ripristino di un’attività trascrizionale analoga a quella presente in giovane età (Adler et al., 2007). Anche intevenendo farmacologicamente, l’inibizione di NF-B ritarda il manifestarsi di aspetti tipici della vecchiaia in topi usati come modello di invecchiamento accelerato (Osorio et al., 2012; Tilstra et al., 2012).

Di recente è stato inoltre scoperto che NF-B può essere attivato da stress e infiammazione a livello ipotalamico dove induce una riduzione nella produzione neuronale di GnRH, ormone stimolante il rilascio di gonadotropine (Zhang et al., 2013). Questa diminuzione comporta cambiamenti che possono essere tipicamente

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osservati nell’invecchiamento, come un’aumentata fragilità ossea, debolezza muscolare, atrofia della pelle e ridotta generazione di nuovi neuroni maturi. Si ritiene perciò che anche l’ipotalamo possa avere un ruolo di modulazione dell’invecchiamento grazie all’integrazione dei segnali guidati da NF-B derivati dalle risposte infiammatorie con gli effetti di GnRH (Lòpez-Otin et al., 2013). A supporto di questa idea vi sono anche studi in cui è stato visto che il trattamento di topi con GnRH rallenta il processo di invecchiamento e previene l’alterazione della neurogenesi associata a quest’ultimo (Zhang et al., 2013). Altra evidenza a favore di una stretta connessione tra infiammazione e invecchiamento è il fatto che topi carenti del fattore AUF-1, responsabile della degradazione di mRNA codificante citochine e quindi coinvolto nella cessazione della risposta infiammatoria, mostrano un notevole grado di senescenza e fenotipo di invecchiamento precoce. Peraltro questo può essere limitato se viene espresso nuovamente AUF-1.

Un fatto molto interessante, che sottolinea come i vari segni caratteristici dell’invecchiamento siano fortemente interconnessi, è che AUF-1 è pure in grado di promuovere l’espressione della subunità catalitica TERT dell’enzima telomerasi, contribuendo così a garantire il mantenimento della lunghezza dei telomeri (Pont et al., 2012). Altra conferma dell’intricata concatenazione dei marcatori dell’invecchiamento è la scoperta recente che l’infiammazione correlata all’invecchiamento inibisce anche la funzione delle cellule staminali epidermiche (Doles et al., 2012).

Pure le proteine della famiglia sirtuin, in particolare SIRT1, SIRT2 e SIRT6, hanno un ruolo nelle risposte infiammatorie connesse all’invecchiamento. SIRT1 è in grado, infatti, di ridurre l’espressione di geni coinvolti nell’infiammazione mediante la deacetilazione di istoni e di vari componenti delle vie di segnalazione della risposta infiammatoria, tra cui quella di NF-B (Xie et al., 2013). Coerentemente con queste osservazioni e con il fatto che una riduzione dei livelli di SIRT1 si accompagna alla genesi e sviluppo di molte patologie infiammatorie, l’attivazione farmacologica di questa sirtuin pare essere in grado di prevenire le risposte infiammatorie in topi (Gillum et al., 2011; Yao et al., 2012; Zhang et al., 2012). Anche SIRT2 e SIRT6 possono agire allo stesso modo e ridurre le risposte infiammatorie influenzando

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negativamente l’espressione di geni coinvolti nell’infiammazione, anche mediante la deacetilazione di NF-B (Kawahara et al., 2009; Rothgiesser et al., 2010).

Va ricordato che a questo quadro generale di inflammaging si affianca un declino del sistema immunitario adattativo (Deeks, 2011). In questa condizione il sistema immunitario non è in grado di rimuovere né gli agenti infettivi né le cellule infettate ed è possibile che si verifichi una trasformazione di queste in cellule cancerose. In più, nei tessuti invecchiati, una ridotta capacità di sorveglianza immunitaria può comportare l’ accumulo di cellule senescenti o di cellule con un maggior numero di cromosomi, sempre con il rischio di determinare la formazione di una lesione precancerosa (Davoli e de Lange, 2011; Senovilla et al., 2012).

Le citochine coinvolte nel processo infiammatorio associato all’invecchiamento sono un esempio di “invecchiamento contagioso” o “effetto bystander”, in quanto ci sono molte prove che ai cambiamenti che scaturiscono dalla loro attività in un tessuto singolo può seguire il deterioramento analogo di altri tessuti, spiegando così la coordinazione esistente tra molti organi diversi. Altro esempio di questo tipo è l’induzione di senescenza in cellule adiacenti da parte di cellule già senescenti, attraverso contatti coincidenti con gap-junctions che permettono il passaggio di piccole molecole oppure tramite meccanismi implicanti ROS (Nelson et al., 2012). E’ stato inoltre visto che manipolazioni che promuovono la longevità effettuate in un singolo tessuto sono in grado di ritardare l’invecchiamento in altri (Durieux et al., 2011; Lavasini et al., 2012; Tòmas-Loba et al., 2008). Infine va tenuto conto che anche il microambiente può influire sulla funzionalità cellulare ed infatti in topi è stato visto che durante l’invecchiamento esso contribuisce a generare difetti nell’attività di linfociti T CD4 (Lefebvre et al., 2012).

E’ molto allettante la prospettiva di poter modulare queste alterazioni che si verificano durante l’invecchiamento nella comunicazione tra cellule. Ad esempio, da esperimenti di parabiosi si sono ottenute evidenze che lasciano presuppore la possibilità di ottenere ringiovanimento attraverso fattori sistemici derivati dal sangue (Loffredo et al., 2013; Villeda et al., 2011). In più, anche la limitazione all’assunzione di calorie potrebbe essere un intervento utile all’incremento della durata della vita mediante il

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miglioramento della comunicazione intercellulare (Piper et al., 2011; Sanchez-Roman et al., 2012). Per quanto riguarda l’inflammaging, una somministrazione a lungo termine di antinfiammatori potrebbe essere in grado di incrementare la longevità nel topo e garantire un invecchiamento sano all’uomo (Rothwell et al., 2011; Strong et al., 2008). In ultima analisi è stata individuata la possibilità di incrementare la durata della vita manipolando la composizione e le dinamiche presenti a livello dell’ecosistema della flora intestinale, la quale influisce sia sulla formazione del sistema immunitario che sul metabolismo sistemico dell’ospite (Claesson et al., 2012; Ottaviani et al., 2011).

44 CONCLUSIONI

Possono essere individuati nove marcatori, ossia segni caratteristici e insieme cause, del processo di invecchiamento:

 instabilità genomica;  logoramento dei telomeri;

 alterazioni della regolazione epigenetica dell’espressione genica;  perdita dell’omeostasi proteica;

 deregolazione della percezione del fabbisogno di nutrienti;  disfunzione a livello dei mitocondri;

 senescenza cellulare;

 esaurimento delle cellule staminali;

 alterazione della comunicazione intercellulare.

Questi marcatori coesistono durante il processo di invecchiamento e sono interconnessi. Sebbene alcuni meccanismi di connessione tra essi siano stati individuati, ulteriori studi devono essere eseguiti per comprendere pienamente i loro esatti rapporti causali.

Si può ipotizzare che alterazioni a livello del DNA, comprese quelle nel numero di cromosomi e le mutazioni a livello del DNA mitocondriale, così come il logoramento dei telomeri, i cambiamenti nella regolazione epigenetica e l’alterazione dei meccanismi che garantiscono la proteostasi, siano l’innesco iniziale dell’invecchiamento poiché determinano un danno che, col passare del tempo e degli anni, tende ad accumularsi. Nel tentativo di contrastare le conseguenze negative di questi fenomeni gli organismi attuano delle risposte compensatorie che probabilmente a bassi livelli sono efficaci e portano beneficio, mentre ad alti livelli diventano deleteri e aggravano il quadro generale. Questo potrebbe essere il ruolo nell’invecchiamento della deregolazione della percezione nel fabbisogno di nutrienti, della disfunzione a livello mitocondriale e della senescenza cellulare. In pratica questi marcatori

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rappresenterebbero un meccanismo di protezione sia dalla presenza di danni a livello del DNA e della cellula che da una condizione di scarsa disponibilità di nutrienti, fintanto che la loro attivazione rimane contenuta. A livello dei tessuti, l’esaurimento delle cellule staminali e l’alterazione della comunicazione intercellulare potrebbero essere le conseguenze del danno creato dai marcatori prima visti che, accumulatosi in maniera eccessiva a livello cellulare, non riesce più ad essere contrastato dai meccanismi omeostatici tissutali.

Individuare i marcatori, il modo in cui sono connessi e gli eventuali rapporti di causalità potrebbe permettere di progettare interventi per migliorare la salute dell’uomo (Fig. 12).

Fig. 12: Interventi che potrebbero migliorare la salute umana.

Si potrebbe intervenire sin dalla giovane età per garantire la corretta funzionalità mitocondriale favorendo meccanismi di mitormesi e di mitofagia, per indurre una puntuale eliminazione delle cellule senescenti, per mantenere un bilanciamento

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adeguato tra catabolismo e anabolismo ponendo, semplicemente, restrizioni dietetiche. Nell’adulto gli interventi potrebbero mirare alla promozione dell’attività degli chaperones molecolari e dei sistemi proteolitici, nonché alla modulazione dell’attività di fattori epigenetici, alla riattivazione delle telomerasi e alla promozione dell’eliminazione delle cellule danneggiate. Nell’anziano, poiché il danno accumulato è notevole ed eventualmente aggravato dalle risposte compensatorie, probabilmente l’unica tipologia di intervento potrebbe essere a livello tissutale, con terapie basate sulle cellule staminali per rinvigorire il potenziale rigenerativo, o con farmaci antiinfiammatori e fattori di ringiovanimento derivati dal sangue per tentare di ripristinare le vie di comunicazione intercellulari.

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