Per escludere l’applicabilità dell’art. 1419 c.c. ed assicurare il rispetto della ratio protettiva, si è teorizzata un’interpretazione funzionale ed assiologica della disciplina sulla nullità parziale, ove lo scopo sotteso alla nullità dovrebbe consentire all’interprete di individuare la disciplina applicabile al caso concreto.
La tesi della riduzione teleologica è stata elaborata per la prima volta dalla dottrina tedesca (c.d. teleologische reduktion) in relazione al paragrafo 139 del BGB il quale, sulla base del principio della indivisibilità del voluto, contiene una disposizione inversa a quella dell’art. 1419 c.c.106
: la regola generale è quella della nullità totale, che può essere evitata solo qualora la parte interessata dimostri che il contratto sarebbe stato stipulato anche senza la parte colpita dalla nullità.
La dottrina tedesca si è interrogata come possa tale regola conciliarsi con la invalidità delle clausole abusive.
Alla tesi che ha aggirato il problema prospettando la mera inefficacia delle clausole abusive, è seguita la posizione di coloro che hanno prospettato una riduzione teleologica del paragrafo 139. Più precisamente si è sostenuto che la disposizione in questione si applica solo nel caso in cui non sia possibile rinvenire una previsione di nullità parziale necessaria, precisandosi che detta disposizione non deve essere necessariamente espressa, potendosi invece
106
Sulla eccezionalità della parziarietà della nullità: K. LARENZ, Allgemeiner Teil des Burgerlichen Rechts, Munchen, 2004, p. 450 ss. Nella dottrina interna, per una disamina della disciplina dettata dal § 139 del BGB, si veda, inoltre, G. GANDOLFI,La conversione dell’atto invalido. Il modello germanico, cit., p. 22 ss.; ID.,Nullità parziale e dimensione ontologica del contratto, in Riv. trim., 1991, p. 1065 ss. Con particolare riferimento al giudizio di essenzialità della clausola nulla, ricostruisce le diverse posizioni invalse nella dottrina tedesca: A. D'ANTONIO,La modificazione legislativa del regolamento negoziale, cit., p. 248, nota 406.
desumere dal sistema. La parziarietà è dunque ricavata dalla considerazione dello scopo di protezione della nullità107.
Ad analoghe conclusioni sono giunte la dottrina e la giurisprudenza francese. La mancanza di una norma paragonabile al paragrafo 139 BGB ha reso senz’altro più semplice il lavoro degli interpreti. Nell’ordinamento francese le norme di riferimento sono gli artt. 900 e 1172 del code civil: il primo stabilisce che si considerano come non scritte le condizioni impossibili, immorali e illecite contenute in un atto di liberalità; il secondo, invece, dispone la nullità dell’intero contratto a titolo oneroso al quale sono apposte le medesime condizioni.
La dottrina ha superato la differenza di regolamentazione per gli atti a titolo oneroso e gratuito, sostenendo che la clausola illecita determina la nullità dell’intero contratto soltanto se risulti essere la “cause impulsive e determinante” della volontà dei contraenti; diversamente, la clausola dovrà in ogni caso considerarsi come non scritta108.
Si ritrova, dunque, anche nell’ordinamento francese, una regola analoga a quella di cui all’art. 1419 c.c., che fa derivare la nullità dell’intero contratto dall’essenzialità della clausola invalida.
Tuttavia tale regola non ha avuto un’applicazione rigorosa, rinvenendosi più di un’eccezione in tutti quei casi in cui la soluzione della nullità totale non appare compatibile con lo scopo della nullità. D’altronde nell’ordinamento francese è consolidato il convincimento secondo il quale la nullità costituisce una sanzione prevista dall’ordinamento per la violazione di legge. La nullità
107 Evidenzia il carattere sussidiario della disciplina generale in tema di nullità parziale, la quale soccombe sia in ipotesi tipiche di deroga, in ragione del Gesetzeszweck ovvero del Sinn della previsione di nullità: W. FLUME, Das Rechtsgeschaft, Berlin, 1975, § 32, p. 576. Con specifico riferimento alla tecnica ermeneutica della riduzione teleologica della nullità parziale: K. LARENZ,Methodenlehre der Reshtswissenschaft, 3a ed., cit., p. 377. Si osserva: “ogni qual volta la ratio della norma che prescriva la nullità esiga, per la soddisfazione degli interessi protetti, il mantenimento del contratto, non troverebbe applicazione il § 139 ed il criterio in esso enunciato, con la conseguente irrilevanza dell’intenzione dei contraenti agli effetti dell’estensione della nullità all’intero negozio” (G.PASSAGNOLI, Nullità speciali, cit., p. 212). Per ulteriori considerazioni v. A. D’ADDA, Nullità parziale e tecniche di adattamento del contratto, cit., p. 7 ss., nota 16.
108 P.S
totale sarebbe allora un rimedio inadatto quando l’invalidità sia prevista a tutela degli interessi di uno soltanto dei contraenti. Se si ammettesse l’operatività di un giudizio ipotetico di volontà e quindi la possibilità che la nullità si propaghi all’intero contratto, la sanzione sarebbe incongruente con la ratio che la fonda, poiché si legittimerebbe il paradosso di favorire la parte che si intendeva sanzionare e di svantaggiare quella che si intendeva proteggere109.
Tanto nell’ordinamento tedesco quanto in quello francese110, la considerazione dello scopo della nullità diviene un criterio per escludere il giudizio ipotetico di essenzialità e per evitare un utilizzo abusivo dello strumento rimediale.
L’approccio dottrinario citato sembra riecheggiare nella dottrina e nella giurisprudenza in tema di nullità parziale dei contratti di lavoro111.
109 P.S
IMLER, o.l.u.c., il quale discorre di nullità parziale imperativa. A tal riguardo assai significativa è una sentenza della Cour de Cassation chiamata a decidere della validità di una clausola limitativa di responsabilità contenuta in un contratto di <<trasporto rapido>>. In forza di detta clausola il vettore limitava la propria responsabilità in caso di ritardo nella consegna del bene. Esaminata la causa del contratto di trasporto, la Corte rileva che la clausola in questione è “contraddittoria” nella misura in cui contrasta con la funzione propria del contratto, con la conseguenza che deve essere considerata come non scritta. Nella motivazione non vi è alcun riferimento alla volontà ipotetica delle parti, sicché la dottrina ha condivisibilmente osservato che la Corte ha totalmente disatteso i principi in ordine al giudizio di essenzialità della clausola nulla, a favore di una pronuncia adeguata in relazione all’interesse della parte che si intende tutelare (Cass. com., 22 ottobre 1996, in Rev. trim. droit. civ., 1997, p. 418; in Dalloz, 1997, p. 121, note crit. A. SERIAUX;in Defrénois, 1997, p. 333, obs. D. MAZEAUD.Sul punto anche C. LARROUMET,Obligation essentielle et clause limitative de responsabilité, in Dalloz, 1997, chron. 145; PH.DELEBECQUE,Que reste-t-il du principe de validità des clauses de non-responsabilité?, in Dalloz affaires, 1997, p. 235). Y. PICOD,Nullité, in Rep. droit civil Dalloz, 2010, osserva che la tecnica adoperata dai giudici della Corte di Cassazione richiama la disciplina della nullità parziale del diritto dei consumatori, «ce qui montre que le droit commun des contrats n'est pas imperméable aux droits spéciaux et qu’il existe parfois entre ces droits une sorte d'émulation».
Che lo scopo della nullità debba incidere sul giudizio di nullità parziale, risulta anche dalla giurisprudenza consolidatasi in tema di nullità delle clausole di indicizzazione apposte ai contratti di locazione commerciale. La necessaria parziarietà della nullità di clausole è stata affermata finanche nei casi in cui le parti avevano espressamente disposto l’essenzialità della clausola ai fini del mantenimento del contratto. Prescindendo dalla volontà dichiarata dalle parti, la giurisprudenza francese ritiene che la nullità parziale non possa mai estendersi all’intero contratto qualora tale soluzione vanifichi la tutela accordata al conduttore (Cass. civ., 9 luglio 1973, in Dalloz, 1974, p. 24).
110 Per una puntuale ricostruzione. G.P
ASSAGNOLI, Nullità speciali, cit., p. 209 ss. 111 Sul punto, A. D'A
DDA,Invalidità dei patti abusivi, correzione legale del contratto e disciplina della nullità parziale, in Obbl contr., 2008, 6, p. 492. L’Autore richiama espressamente l'orientamento elaborato nella letteratura tedesca sulla teleologische Reduktion degli effetti della nullità.
È di particolare rilievo la discussa nullità dei contratti di lavoro realizzati in violazione della previsione posta dall’art. 5, d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito con modificazioni dalla l. 19 dicembre 1984, n. 863112. La norma, abrogata con d. lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, imponeva alle parti di stabilire nel contratto la distribuzione dell’orario di lavoro con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. La prevalente giurisprudenza ha ritenuto – pur in assenza di un’espressa indicazione in tal senso – la nullità della clausola con la quale si attribuisce al datore il potere di determinare e di variare unilateralmente l’orario di lavoro113
.
Si era dunque posto il problema se il giudice dovesse applicare l’art. 1419 c.c., soluzione questa che sembrava obbligata in mancanza di una norma speciale che limitasse la nullità parziale alla sola parte invalida.
Tuttavia lo scopo della normativa che mirava a proteggere la parte debole del rapporto (il lavoratore), contrastava con il giudizio di essenzialità della clausola nulla di cui all’art. 1419 c.c. Venivano in considerazione, da un lato, l’interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro e, dall’altro, il rischio che il datore di lavoro approfittasse della tutela prevista “in favore” del lavoratore per liberarsi dal vincolo contrattuale.
112 Recita l’articolo: <<il contratto di lavoro a tempo parziale deve stipularsi per iscritto. In esso devono essere indicate le mansioni e la distribuzione dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno>>.
113
Significativa appare: Cass., Sez. lav., 22 marzo 1990, n. 2382, in Giust. civ., 1990, I, p. 1474, nella quale si osserva che il rapporto di lavoro a tempo parziale “si distingue da quello a tempo pieno per il fatto che, in dipendenza della riduzione quantitativa della prestazione lavorativa (e, correlativamente, della retribuzione), lascia al prestatore d’opera un largo spazio per altre eventuali attività, la cui programmabilità, da parte dello stesso prestatore d'opera, deve essere salvaguardata, anche all’ovvio fine di consentirgli di percepire, con più rapporti a tempo parziale, una retribuzione complessiva che sia sufficiente (art. 36, primo comma, della Costituzione) a realizzare un'esistenza libera e dignitosa [...]. Il carattere necessariamente bilaterale della volontà in ordine a tale riduzione nonché alla collocazione della prestazione lavorativa in un determinato orario (reputato dalle parti come il più corrispondente ai propri interessi) comporta, che ogni modifica di detto orario non possa essere attuata unilateralmente dal datore di lavoro in forza del suo potere di organizzazione dell'attività aziendale, essendo in- vece necessario il mutuo consenso di entrambe le parti” (la pronuncia è richiamata adesivamente da Corte cost., 11 maggio 1992, n. 210).
Le stesse perplessità ha suscitato l’altra questione della patologia del contratto di lavoro a tempo parziale in caso di mancato rispetto della forma scritta prevista dal citato art. 5 d.l. 726 del 1984. Assunta la nullità della clausola del “part-time” per inosservanza del requisito formale, si è posto il problema dell’operatività dell’art. 1419 c.c.114
L’inadeguatezza della disciplina codicistica sulla nullità parziale rispetto alla ratio protettiva della norma è stata avvertita dalla Corte Costituzionale, la quale, nelle due ipotesi sopra citate, ha escluso in radice il ricorso alla normativa dettata dall’art. 1419 c.c., prospettando un’interpretazione della norma codicistica attuativa dei valori emergenti dalla disciplina laburista in esame.
Ai nostri fini è utile ripercorrere l’iter argomentativo seguito nelle pronunce del Giudice delle leggi.
Con una prima sentenza n. 210 dell’11 maggio 1992115
, la Corte è stata chiamata a decidere della costituzionalità del citato art. 5 d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, <<nella parte in cui non specifica la necessità che la distribuzione dell’orario sia precisata […] altresì nella sua collocazione temporale nell’ambito della giornata>>116
. La Corte ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità, perché la disposizione poteva essere interpretata nel senso di
114 Sul punto, Cass., 3 maggio 1991, n. 4811, in Foro it, 1991, I, c. 30.95, che esclusa la convertibilità legale del rapporto in uno a tempo pieno (secondo lo schema previsto per la nullità del rapporto a tempo determinato dalla 1. 18 aprile 1962, n. 230), osserva come sia “evidente che in tale caso debba farsi applicazione del principio generale, per il quale la nullità di una clausola (nella specie, quella relativa all’orario di lavoro ridotto) importa la nullità dello intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità (art. 1419, primo comma, cod. civ.). E in tal modo, poiché manca una norma imperativa destinata a sostituire di diritto la clausola nulla (art. 1419, secondo comma, c.c.) [...] è evidente che viene particolarmente garantito il rispetto della volontà dei contraenti”.
115 Corte Cost., 11 maggio 1992, n. 210, in Giur. it., 1993, I, 1, p. 277, con nota di M. BROLLO,Part time; la corte costituzionale detta le istruzioni per l’uso e le sanzioni per l’abuso; in Riv. it. dir. lav. 1992, II, p. 731.
116
Nella specie il Pretore di Firenze ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, comma 2, 1. 19 dicembre 1984, n. 863, il quale prescrive la forma scritta del contratto di lavoro a tempo parziale con l'obbligo di indicare “le mansioni e la distribuzione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno”. In particolare, il giudice rimettente ha rilevato l’illegittimità della disposizione “nella parte in cui non specifica la necessità che la distribuzione dell'orario sia precisata [...] altresì nella sua collocazione temporale nell'ambito della giornata”.
ritenere la nullità di quelle clausole che non indicavano la collocazione temporale della prestazione lavorativa nell’arco della giornata (così realizzando il c.d. “lavoro a chiamata”). La Corte ha poi affrontato la questione se fosse applicabile l’art. 1419 c.c. e ha concluso per l’inapplicabilità della disciplina codicistica poiché <<sarebbe palesemente irrazionale che dalla violazione di una norma imperativa regolante il contenuto del contratto di lavoro a tempo parziale e posta proprio al fine di tutelare il lavoratore contro la pattuizione di clausole vessatorie, potesse derivare la liberazione del datore di lavoro da ogni vincolo contrattuale. Se questi fossero gli effetti della normativa in esame, essa di certo non sarebbe in sintonia con la Costituzione>>. Dunque l’art. 1419, comma 1, c.c. non sarebbe applicabile ogni qual volta <<la nullità della clausola derivi dalla contrarietà di essa a norme imperative poste a tutela del lavoratore […]. Ciò in ragione del fatto che, se la norma imperativa è posta a protezione di uno dei contraenti, nella presunzione che il testo contrattuale gli sia imposto dall’altro contraente, la nullità integrale del contratto nuocerebbe, anziché giovare, al contraente che il legislatore intende proteggere>>.
La <<diseguaglianza di fatto delle parti del contratto>> e gli interessi superindividuali che nella normativa laburista trovano composizione, giustificano che l’autonomia delle parti (a tutela della quale è posta l’art. 1419 c.c.) soccomba rispetto ad esigenze preminenti di tutela. Ne deriva che non possono <<trovare applicazione, in questo campo, quei limiti all’operatività del principio di conservazione del rapporto che sono strettamente collegati all’identificazione nel contratto della fonte primaria del regolamento negoziale>>, perché nel diritto del lavoro <<la violazione del modello di contratto e di rapporto imposto all'autonomia individuale dà luogo, di regola, alla conformazione reale del rapporto concreto al modello prescritto - per via di sostituzione o integrazione della disciplina pattuita con quella legale ovvero per via del disconoscimento di effetti alla sola disposizione contrattuale illegittima -
e non già alla riduzione del rapporto reale ad una condizione di totale o parziale irrilevanza giuridica>>.
Pare qui risuonare, seppure in modo non espresso, la posizione invalsa nell’esperienza tedesca che ha prospettato la possibilità di operare una riduzione teleologica, in forza della quale viene esclusa l’applicazione della norma dettata in tema di nullità parziale, quando l’invalidità sia prevista a protezione della parte debole del rapporto contrattuale. Ancora una volta, dunque, sembra che la tutela del contraente protetto passi attraverso la “non” applicazione della norma codicistica in esame e, quindi, attraverso differenti meccanismi di conservazione del vincolo contrattuale.
La strada indicata dalla Corte per il caso di nullità delle pattuizioni in deroga alla disciplina “generale” del rapporto di lavoro è la conversione in un normale contratto di lavoro. La nullità determinerebbe infatti <<la qualificazione del rapporto come normale rapporto di lavoro, in ragione dell’inefficacia della pattuizione relativa alla scelta del tipo contrattuale speciale>>.
La prospettiva seguita dalla Corte Costituzionale ha trovato ulteriore sviluppo in una successiva pronuncia del 2005117 che ha affrontato il tema, solo accennato nella precedente decisione, della sorte del contratto part time per il quale non sia stato rispettato il requisito della forma scritta. In questo caso l’ipotizzata nullità attiene alla clausola che riduce il tempo della prestazione lavorativa rispetto al tempo pieno.
L’esigenza di un nuovo intervento della Corte era avvertita da più parti, considerato che i giudici di merito avevano disatteso le indicazioni contenute nella pronuncia del 1992, in particolare negando la possibilità di ricorrere allo strumento della conversione legale del rapporto al fine di consentire al lavoratore
117
Corte cost., 15 luglio 2005, n. 283, in Giust. civ., 2006, 9, I, p. 1695, con nota di C. ALESSI, La Corte costituzionale e la forma del contratto di lavoro part-time.
il mantenimento del vincolo118. Detta conversione è infatti prevista dalla legge per la sola ipotesi del contratto a tempo determinato, circostanza questa che per la giurisprudenza impediva l’applicazione analogica alla diversa ipotesi del contratto part time 119.
La Corte Costituzionale, dopo aver richiamato sia le argomentazioni contenute nella precedente pronuncia del 1992 sia la successiva evoluzione giurisprudenziale, osserva come <<possa pervenirsi in via interpretativa al risultato […] di ammettere […] la qualificazione del rapporto come normale rapporto di lavoro, in ragione dell’inefficacia della pattuizione relativa alla scelta del tipo contrattuale speciale>>. A tale risultato il Giudice delle Leggi è pervenuto applicando in modo eccentrico la disciplina ordinaria delle nullità parziale (art. 1419, primo comma, c.c.), la quale <<esprime un’esigenza di carattere generale di tendenziale conservazione del contratto ove il vizio di nullità sia circoscrivibile ad una o più clausole (come quella che prevede
118 Cfr., per tutte, Cass., 13 aprile 2004, n. 7012, in Riv. giur. lav., 2004, II, p. 697. 119
Per una puntuale disamina dell’evoluzione giurisprudenziale successiva alla citata pronuncia della Corte Costituzionale del 1992: Cass., 24 agosto 2004, n. 16755, in Mass. giust. civ., f. 7-8, con la quale si rimette alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 36 cost., dell’art. 5, comma 2, d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, nella parte in cui, prevede - secondo l'interpretazione della giurisprudenza di legittimità - la nullità dell'intero contratto di lavoro a tempo parziale stipulato verbalmente. I giudici della Corte di cassazione, muovono dall’orientamento giurisprudenziale che, pur dopo la pronuncia costituzionale anzidetta, propende per la nullità assoluta del contratto di lavoro a tempo parziale stipulato verbalmente, non consentendo la carenza di una norma, che disciplini gli effetti della violazione dell'obbligo di stipulare il contratto per iscritto, l'applicazione analogica della normativa sul contratto di lavoro a tempo determinato né la sostituzione dell'orario di lavoro a tempo parziale con quella dei contratti collettivi in tema di orario normale. Rileva il giudice rimettente che “seguendosi l'indirizzo giurisprudenziale adottato da questa Corte ed escludendosi la possibilità, suggerita dal giudice delle leggi, di un'interpretazione volta a conservare il contratto di lavoro, si verificherebbe proprio quella “situazione paradossale”, riscontrata dalla stessa Corte Costituzionale, secondo la quale una norma imperativa, posta proprio a tutela del lavoratore, nuocerebbe allo stesso anziché giovargli”. La nullità integrale del contratto di lavoro comporterebbe esclusivamente il riconoscimento in favore del prestatore
di lavoro
delle retribuzioni proporzionate alle prestazioni in concreto eseguite ai sensi dell’art. 2126 c.c. Ciò porterebbe ad “una irrazionale contradditorietà tra la voluntas legis di tutela del lavoratore a tempo parziale ai sensi degli artt. 3 e 36 della Costituzione e la funzione pratica di tutta la normativa sul tempo parziale, venendosi lo stesso lavoratore a tempo parziale, il cui contratto sia nullo per vizio di forma, a trovarsi in una posizione di netta inferiorità e alla mercé del datore di lavoro sia nel corso del rapporto per quanto attiene al profilo retributivo, sia nella fase delicata, come nel caso di specie, del licenziamento, dove l'esigenza di tutela è particolarmente necessaria”.
l’orario di lavoro ridotto) e sempre che la clausola nulla non risulti avere carattere essenziale per entrambe le parti del rapporto, nel senso che, in particolare, anche il lavoratore, il quale di regola aspira ad un impiego a tempo