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Sui tentativi di applicare l’art 1339 c.c alle ipotesi di nullità speciali: critica.

Non sono mancati tentativi di assicurare la salvezza del contratto mediante una “rilettura” degli artt. 1339 e 1419, secondo comma, c.c.

Certamente, se fosse possibile applicare queste norme nell’ambito dell’invalidità c.d. di “protezione”, non vi sarebbe ragione di temere per l’obliterazione totale del contratto nel caso di nullità parziale181

. Infatti, se il problema è quello di colmare lacune cagionate dalla nullità di clausole abusive - così evitando la caducazione dell’intero contratto - una regola che garantisce la sostituzione delle clausole invalidate con precetti legali consentirebbe certamente di assicurare la tenuta del contratto.

Gli artt. 1339 e 1419, secondo comma, c.c. non si limitano a disapprovare un patto (contro “entrambe le parti”), ma lo correggono mediante la nullità e la successiva sostituzione della clausola invalida182, al fine di riequilibrare il regolamento in favore del contraente pregiudicato. Di conseguenza, configurando l’art. 1339 c.c. quale modello di “reazione” all’abuso della “dominanza” di una parte del contratto, si potrebbe ritenere che lo strumento possa operare anche ai nostri scopi, ove il legislatore prenda di mira un patto a tutela uno dei contraenti.

Ma il tentativo di applicare l’art. 1339 c.c. alle ipotesi di nullità speciali presta il fianco ad un’agevole (e difficilmente superabile) obiezione: la tecnica sostitutiva in esame postula che il legislatore, non limitandosi a vietare un determinato patto ingiusto od abusivo, prefiguri, in positivo, la disciplina che le

181 Sul problema, in una prospettiva generale (e critica) cfr. anche P. M. P

UTTI,La nullità parziale, Diritto interno e comunitario, Napoli, 2002, p. 71 e ss.

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V. M. ORLANDI,Autonomia privata e autorità indipendenti, in L’Autonomia privata e le autorità indipendenti, a cura di Gitti, Bologna, 2006, p. 75 e ss.

parti avrebbero dovuto richiamare nel loro contratto183. Ma il legislatore di protezione si tiene di norma ben lontano da tale modello, poiché vieta gli abusi ma non disciplina inderogabilmente una certa materia e dunque non impone l’inserzione nel contratto di una determinata disciplina.

Se è certamente condivisibile la tesi di chi ritiene che per l’operare dell’art. 1419, secondo comma, c.c. non è necessario che la norma inderogabile preveda la propria sostituibilità – essendo sufficiente l’art. 1339 c.c. a legittimare la sostituzione automatica con le norme cogenti184 - non è tuttavia dato comprendere come una tale tecnica possa operare nei casi in cui non esista una disciplina inderogabile idonea a sostituire i patti invalidati.

Si cerca di superare questa obiezione prospettando due percorsi alternativi. Si ipotizza che l’art. 1339 c.c. operi non in via diretta ma analogica: poiché le norme di protezione (e segnatamente quelle in tema di abuso di dipendenza economica) non contemplano regole sostitutive, queste ultime potrebbero rinvenirsi “in regole e valori che attraverso il mercato, comunque ritrovano la propria origine nell’autonomia”185

.

Tuttavia quel si prospetta non è l’applicazione della regola di cui all’art. 1339 c.c. a fattispecie analoghe a quelle da essa normalmente disciplinate, ma

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Perspicue le considerazioni svolte in proposito da G.B. FERRI,Ordine pubblico, buon costume, e la teoria del contratto, cit., p. 166; più “aperta” la posizione di chi rileva - così postulando che il divieto possa implicitamente “rinviare” ad una disciplina “in positivo” - come talora non sia agevole intendere se la legge si limiti ad un divieto ovvero rimandi, in qualche modo, a regole inderogabili: cfr. sul punto C.M. BIANCA,Il contratto, cit., p. 514, nota 55, e già F. CARNELUTTI,in Tentativo contrattuale, in Foro it., 1948, I, p. 241, (in un caso di nullità di “clausola oro valore” stipulata per fuggire gli effetti del principio nominalistico, per Carnelutti sarebbe operante in sostituzione, ai sensi dell’art. 1419, capoverso, c.c., “la norma relativa al valore legale della lira”).

184 Pochi dubitano di una simile conclusione, che appare del tutto corretta proprio sotto il profilo sistematico, in quanto se è la singola norma inderogabile a determinare il contenuto imposto, la sostituzione è provveduta, in via generale ed una volta per tutte, dall’art. 1339 c.c.: in questo senso, tra gli altri, già S. RODOTÀ,Le fonti di integrazione del contratto, cit., p. 35; G. PATTI e S. PATTI, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, in Il codice civile, Commentario, diretto da P. Schlesinger, Milano, 1993, p. 248 e ss., nonché E.SARACINI,Nullità e sostituzione di clausole contrattuali, Milano, 1971, p. 50; B. INZITARI,Autonomia privata e controllo pubblico nel rapporto di locazione, Napoli, 1979, p. 156.

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A. BARBA, L’abuso di dipendenza economica: profili generali, in CUFFARO, La subfornitura nelle attività produttive, Napoli, 1998, p. 354.

l’operare di una regola diversa da quella prevista dall’art. 1339 c.c., che ammette le sole sostituzioni con patti “imposti dalla legge”.

Si tenta allora una diversa strada per giustificare l’applicabilità, in via diretta, del meccanismo di cui all’art. 1339 c.c.

Si ritiene che la norma, lungi dall’operare nelle sole ipotesi in cui un patto sia vietato e poi sostituito con regole legali, opererebbe anche quando la norma imperativa si limiti a “suggerire i criteri da cui l’interprete possa ricavare una disciplina sostitutiva”186

.

E tanto accadrebbe, ad esempio, per il caso di abuso di dipendenza economica, ove il legislatore, nel comminare la nullità del patto ingiustificatamente gravoso, suggerirebbe implicitamente all’interprete la regola sostitutiva, desumibile dalle condizioni normalmente praticate nel mercato dell’impresa dominante.

In altre parole, escluso che la sostituzione debba essere prevista espressamente dalla norma inderogabile; considerato che per la sostituzione ex art. 1339 c.c. sia sufficiente che la norma imperativa, oltre a porre un divieto, prefiguri “in qualche modo” una disciplina positiva del rapporto; ritenuto, più precisamente, che detta disciplina positiva sia configurabile non soltanto nel caso in cui la legge preveda “dettagliatamente” i prezzi sostitutivi o le condizioni ma anche nell’ipotesi in cui “suggerisca” i criteri per l’individuazione di tali condizioni, allora non vi sarebbero ostacoli all’operare delle regole di cui agli artt. 1339 e 1419, secondo comma, c.c. anche in molte delle fattispecie in cui il legislatore, nel sanzionare il patto abusivo, non predisponga precise regole sostitutive inderogabili.

Così nell’ipotesi di nullità del patto frutto dell’abuso di posizione dominante, si potrebbero individuare i criteri per la correzione del patto invalido:

186 V. M.R. M

AUGERI, Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, Milano, 2003, p. 179 e ss. Analogamente A. TOFFOLETTO,Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per la violazione della normativa antitrust, Milano, 1996, p. 344 e ss.

se la clausola è abusiva in quanto la dipendenza economica ha alterato le normali condizioni dello scambio praticate sul mercato, queste ultime sarebbero introdotte per mezzo dell’intervento correttivo del giudice.

E lo stesso accadrebbe per il caso di contratti che contemplino clausole che sono il frutto di un patto anticoncorrenziale. Si ritiene infatti che i cartelli, vietati dall’art. 2 della 1. 1990, n. 287, influenzino anche il contenuto dei contratti “a valle”, conclusi tra l’utente finale ed uno dei partecipanti al cartello, che normalmente contempleranno condizioni di prezzo monopolistiche e perciò sfavorevoli al cliente. Orbene, dette condizioni potrebbero essere sostituite, ex art. 1339 c.c., non da regole legali nella specie inesistenti, ma dai prezzi normalmente praticati al contraente finale in un mercato concorrenziale, con conseguente salvezza dell’affare previa neutralizzazione del suo contenuto abusivo187.

La soluzione ancora la correzione giudiziale a direttive legali, limitando fortemente la discrezionalità del giudice, il cui intervento sarebbe rigorosamente orientato dal legislatore.

187 E’ la già evocata opinione di A. T

OFFOLETTO, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per la violazione della normativa antitrust, cit., p. 344, per cui la sostituzione ex art. 1339 c.c. del prezzo non concorrenziale, avverrebbe “con l’applicazione di un paradigma costituito da una fascia di prezzi astrattamente non inquadrabili nel concetto di prezzi non equi o eccessivi”. Un tale orientamento postula evidentemente la nullità del patto - frutto dell’abuso - contemplato dal contratto a valle: ma un simile presupposto è da ultimo assai dibattuto ed oggetto di un vivace scambio di opinione. Perché se per taluno il patto che contempli un prezzo “monopolista” previsto nel contratto (“a valle” del patto d’intesa restrittiva della concorrenza) sarebbe nullo, per altri la tutela del cliente finale pregiudicato dall’intesa anticoncorrenziale darebbe invece diritto al risarcimento del danno. Per la nullità, C. CASTRONOVO, Antitrust e abuso della responsabilità civile, in Danno e resp., 2004, p. 473 (si veda anche Ingiustizia del danno ed evoluzione dell’ordinamento, in La nuova responsabilità civile3, Milano, 2006, p. 177

e ss.) per il quale il prezzo stabilito nel contratto a valle in dipendenza dell’intesa anticoncorrenziale “è illecito e costituisce oggetto illecito del contratto”; in diversa prospettiva M. LIBERTINI, Ancora sui rimedi civili conseguenti a violazioni di norme antitrust, in Danno e resp., 2004, p. 94 e s., per cui invece (v. altresì Ancora sui rimedi civili conseguenti a violazioni di norme antitrust (II), in Danno e resp., 2005, p. 237) “le intese restrittive della concorrenza, comportando la violazione di una norma di condotta corredata da sanzioni amministrative pecuniarie (...) sono atti illeciti e costituiscono pertanto, in linea di principio, fatti produttivi di danno risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c”. Anche la giurisprudenza è incerta: per la prima tesi Cass. 9 dicembre 2002, n. 17475; per la seconda, l’orientamento che si è fatto prevalente: Cass. 11 giugno 2002, n. 9384; Cass. S. U. 4 febbraio 2005, n. 2207; Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305. Sul punto v. anche M.R. MAUGERI, Sulla tutela di chi conclude un contratto con un ‘impresa che partecipa ad un’intesa vietata, in Riv. dir. comm., 2004, II, p. 347 e ss.

Sennonché il richiamo al meccanismo degli artt. 1339 e 1419, secondo comma, c.c. sembra impraticabile.

Perché - se è vero che l’operare dell’art. 1339 c.c. non è subordinato ad una espressa previsione di sostituzione ad opera della singola norma imperativa violata188 - è comunque indispensabile che le regole sostitutive siano indicate in modo rigoroso, poiché diversamente l’eterointegrazione non potrebbe configurarsi come “adattamento legale” del contratto189

.

Per altro verso deve rilevarsi che, se è indubitabile che l’art. 1339 c.c. intenda imporre “una misura oggettiva”190

di un determinato rapporto, nei nostri casi la disapprovazione, pur potendo avere ad oggetto la misura di un rapporto, non attiene certo a “misure imposte”, la cui esistenza è presupposto per quell’inserimento “di diritto” garantito dall’art. 1339 c.c.191

. Il Giudice, infatti, non si limita ad applicare un parametro oggettivo preesistente (ad es. il prezzo di mercato o la regola dispositiva), ma è chiamato a verificare se lo scostamento operato dalla regola privata, rispetto al prezzo di mercato, sia giustificato sulla scorta delle circostanze concrete.

In definitiva l’art. 1339 c.c. può operare solo qualora le regole sostitutive siano imposte dalla legge e tanto si verifica solo quando le clausole sostitutive siano immediatamente ricollegate alle scelte del legislatore; il che impone una loro esatta individuazione, che non sussiste nel caso in cui il giudice si debba, genericamente, affidare al mercato per ricostruire il regolamento equo192.

188

Né d’altro canto sembra doversi escludere il carattere “automatico” della sostituzione sol perché la legge, piuttosto che disporre direttamente contenuti sostitutivi, si limita a dettare criteri per la loro elaborazione. Per tale rilievo v. invece M. LIBERTINI,Ancora sui rimedi civili conseguenti a violazioni di norme antitrust (II), cit., p. 248.

189 Da ultimo si veda in proposito C. C

ASTRONOVO, Antitrust e abuso dì responsabilità civile, in Danno e resp., 2004, p. 473.

190 Così la stessa M.R. M

AUGERI, Sulla tutela di chi conclude un contratto con un ‘impresa che partecipa ad un ‘intesa vietata, cit, p. 354.

191 Per l’obiezione vedi ancora M. L

IBERTINI, Ancora sui rimedi civili conseguenti a violazioni di norme antitrust (II), cit., p. 248.

192 In tema di tariffe nelle professioni intellettuali, U.A. S

ALANITRO,Contratti onerosi con prestazione incerta, Milano, 2003, p. 310, nota 537, ritiene che la formulazione “in positivo” dell’art. 2236, secondo comma, c.c. consenta l’operare del meccanismo di cui agli artt. 1339 e 1419, capoverso, c.c. anche se i prezzi da sostituire siano determinate non direttamente dalla

D’altronde gli orientamenti in esame portano con sé il rischio di ampliare eccessivamente l’ambito operativo dell’art. 1339 c.c., che finirebbe per applicarsi sempre, atteso che la disapprovazione di una clausola abusiva postula in molti casi la valutazione di un regolamento equo.

Pertanto sostenere che in casi simili il giudice possa correggere il contratto depurandolo dell’abuso comporta di fatto l’attribuzione al giudice, in casi davvero frequenti, di una facoltà di determinazione equitativa del regolamento193. Soluzione, quest’ultima, che non sembra trovare riscontro nella previsione dell’art. 1339 c.c.

In conclusione, il meccanismo di cui agli artt. 1339 e 1419, secondo comma, c.c, non sembra essere di aiuto nello studio della sorte del contratto che sia privato di una sua clausola essenziale per effetto di una norma meramente proibitiva, che non detta, neppure per relationem, una regola sostitutiva. Né, tanto meno, un simile richiamo si rivela utile per i casi in cui la legge impone ai contraenti di determinare in modo esplicito il regolamento di interessi194. Anche in questi casi le norme non recano con sé una disciplina “sostanziale” capace di supplire alle lacune contrattuali195.

legge bensì “secondo procedure determinate dalla legge”. Ed invero facendosi questione in tali casi di norme su prezzi, oggettivamente individuabili nelle disposizione sui “minimi” di tariffa, la soluzione sembra da condividere.

193

Si noti come, valutando criticamente gli orientamenti menzionati quanto alla sostituzione dei patti iniqui contemplati nei contratti, “a valle”, A. NERVI, La difficile in- tegrazione tra diritto civile e diritto della concorrenza, in Riv.dir.civ., 2005, II, p. 506 e s., stigmatizzi tout court l’idea di un intervento eteronomo di fonte esclusivamente giudiziale, senza nemmeno ipotizzare un utilizzo improprio della tecnica dell’art. 1339 c.c. Tale è la convinzione che in casi simili l’art. 1339 c.c. abbia poco da dire da far omettere all’autore come l’opinione criticata si regga proprio sull’operare dell’art. 1339 c.c. (v. ancora A. TOFFOLETTO, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per la violazione della normativa antitrust, cit., p. 341) quale fonte del potere giudiziale correttivo.

194 Così il contratto che regola servizi bancari e finanziari deve indicare tasso d’interesse ed ogni altra condizione e prezzo praticato (art. 117, comma 4, del TUB).

195 Non è evidentemente sempre così: talora il legislatore si spinge fino a definire un contenuto inderogabile dei contratti: v. ad es. il già menzionato art. 117, comma 8, TUB (che peraltro demanda ad autorità amministrative una siffatta determinazione di contenuti imposti).

3. La sostituzione delle clausole nulle mediante il ricorso all’art. 1374