Il Piano anticorruzione
6. Altre iniziative
6. Altre iniziative
6.1. Indicazione dei criteri di rotazione del personale
L’ente intende adeguare il proprio ordinamento alle previsioni di cui all’articolo 16, comma 1, lettera I-quater, del decreto legislativo 165/2001, in modo da assicurare la prevenzione della corruzione mediante la tutela anticipata.
La dotazione organica dell’ente è assai limitata e non consente, di fatto, l’applicazione concreta del criterio della rotazione.
Non esistono figure professionali perfettamente fungibili.
La legge di stabilità per il 2016 (legge 208/2015), al comma 221, prevede quanto segue: “(…) non trovano applicazione le disposizioni adottate ai sensi dell'articolo 1 comma 5 della legge 190/2012, ove la dimensione dell'ente risulti incompatibile con la rotazione dell'incarico dirigenziale”.
In sostanza, la legge consente di evitare la rotazione dei dirigenti/funzionari negli enti dove ciò non sia possibile per sostanziale infungibilità delle figure presenti in dotazione organica.
In ogni caso l’amministrazione attiverà ogni iniziativa utile (gestioni associate, mobilità, comando, ecc.) per assicurare l’attuazione della misura.
32
Con il presente Piano, recependo gli indirizzi ANAC, si stabilisce che i Responsabili di Settore devono adottare le seguenti misure alternative alla rotazione del personale finalizzate ad evitare la concentrazione delle fasi decisionali in un unico soggetto:
per le istruttorie più delicate nelle aree a rischio, promuovere meccanismi di condivisione delle fasi procedimentali prevedendo di affiancare al dipendente istruttore un altro dipendente in modo che, ferma restando l’unitarietà della responsabilità del procedimento, più soggetti condividano le valutazioni degli elementi rilevati per la decisione finale dell’istruttoria;
utilizzare il criterio della cosiddetta “segregazione delle funzioni” che consiste nell’affidamento delle varie fasi del procedimento appartenente a un’area rischio a più persone, avendo cura di assegnare la responsabilità del procedimento ad un soggetto diverso dal Responsabile del Settore cui compete l’adozione del provvedimento finale. A tal fine, dovrebbero attribuirsi a soggetti diversi compiti relativi a: a) svolgimento di istruttorie e accertamenti; b) adozione di decisioni; c) attuazione delle decisioni prese; d) effettuazione delle verifiche.
Nel caso in cui in un Settore non siano presenti figure idonee ad assicurare l’attuazione della sopracitata misura alternativa alla rotazione del personale, i Responsabili sono tenuti ad istituire forme di collaborazione con gli altri Responsabili di Settore che consentano una mobilità parziale specifica tra dipendenti appartenenti a diversi settori, in possesso di un’adeguata competenza professionali alle funzioni da attribuirsi.
6.2. Indicazione delle disposizioni relative al ricorso all’arbitrato con modalità che ne assicurino la pubblicità e la rotazione
L’ente applica, per ogni ipotesi contrattuale, le prescrizioni dell’articolo 1, commi 19-25, della legge 190/2012 e degli articoli 241, 242 e 243 del decreto legislativo 163/2006 e s.m.i., escludendo, in tutti i casi in cui sia possibile, il ricorso all’arbitrato.
6.3. Elaborazione della proposta di decreto per disciplinare gli incarichi e le attività non consentite ai pubblici dipendenti
L’ente applica sia la dettagliata disciplina del decreto legislativo 39/2013, dell’articolo 53 del decreto legislativo 165/2001 e dell’articolo 60 del DPR 3/1957 nonché quella prevista dal regolamento sulle incompatibilità e sui criteri per le autorizzazioni ai dipendenti allo svolgimento di incarichi a favore di altri soggetti, approvato con deliberazione del Commissario prefettizio n. 9 del 5.02.2014.
L’ente intende intraprendere adeguate iniziative per dare conoscenza al personale dell’obbligo di astensione, delle conseguenze scaturenti dalla sua violazione e dei comportamenti da seguire in caso di conflitto di interesse.
6.4. Elaborazione di direttive per l’attribuzione degli incarichi dirigenziali, con la definizione delle cause ostative al conferimento e verifica dell’insussistenza di cause di incompatibilità L’ente applica con puntualità la già esaustiva e dettagliata disciplina recata dagli articoli 50, comma 10, 107 e 109 del TUEL e dagli articoli 13 – 27 del decreto legislativo 165/2001 e s.m.i..
Inoltre, l’ente applica puntualmente le disposizioni del decreto legislativo 39/2013 ed in particolare l’articolo 20 rubricato: dichiarazione sulla insussistenza di cause di inconferibilità o incompatibilità.
6.5. Divieto di pantouflage
33
L’art. 53, comma 16-ter del D.Lgs. n. 165/2001, così come inserito dalla lettera l) del comma 42 dell’art. 1 della L. 6 novembre 2012, n. 190, testualmente dispone:
«16-ter. I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica Amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.»
I “dipendenti” interessati sono coloro che per il ruolo e la posizione ricoperti nell’Amministrazione comunale hanno avuto il potere di incidere in maniera determinante sulla decisione oggetto dell’atto e, quindi, coloro che hanno esercitato la potestà o il potere negoziale con riguardo allo specifico procedimento o procedura (Responsabili di Posizione Organizzativa, Responsabili di procedimento nel caso previsto dall’art. 125, commi 8 e 11, del D.Lgs. n. 163/2006).
Ai fini dell’applicazione delle suddette disposizioni si impartiscono le seguenti direttive:
a) nei contratti di assunzione del personale è inserita la clausola che prevede il divieto di prestare attività lavorativa (a titolo di lavoro subordinato o lavoro autonomo) per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto nei confronti dei destinatari di provvedimenti adottati o di contratti conclusi con l’apporto decisionale del dipendente;
b) nei bandi di gara o negli atti prodromici agli affidamenti, anche mediante procedura negoziata, è inserita la condizione soggettiva di non aver concluso contratti di lavoro subordinato o autonomo e comunque di non aver attribuito incarichi ad ex dipendenti che hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni nei loro confronti per il triennio successivo alla cessazione del rapporto;
c) verrà disposta l’esclusione dalle procedure di affidamento nei confronti dei soggetti per i quali sia emersa la situazione di cui al punto precedente;
d) si agirà in giudizio per ottenere il risarcimento del danno nei confronti degli ex dipendenti per i quali sia emersa la violazione dei divieti contenuti nell’art. 53, comma 16-ter, del D.Lgs. n.
165/2001.
e) i Responsabili di Posizione Organizzativa comunicano annualmente al Responsabile della prevenzione della corruzione (RPC), l’avvenuta applicazione delle disposizioni di cui alle lettere a) e b).
6.6. Elaborazione di direttive per effettuare controlli su precedenti penali ai fini dell’attribuzione degli incarichi e dell’assegnazione ad uffici
La legge 190/2012 ha introdotto delle misure di prevenzione di carattere soggettivo, che anticipano la tutela al momento della formazione degli organi deputati ad assumere decisioni e ad esercitare poteri nelle amministrazioni.
L’articolo 35-bis del decreto legislativo 165/2001 pone condizioni ostative per la partecipazione a commissioni di concorso o di gara e per lo svolgimento di funzioni direttive in riferimento agli uffici considerati a più elevato rischio di corruzione.
La norma, in particolare, prevede che coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel Capo I del Titolo II del libro secondo del Codice penale:
a) non possano fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni per l’accesso o la selezione a pubblici impieghi;
b) non possano essere assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all’acquisizione di beni, servizi e forniture;
34
c) non possano essere assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla concessione o all’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati;
d) non possano fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, per la concessione o l’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché per l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere.
Pertanto, ogni commissario e/o responsabile, all’atto della designazione, sarà tenuto a rendere, ai sensi del DPR 445/2000, una dichiarazione di insussistenza delle condizioni di incompatibilità di cui sopra.
L’ente verifica la veridicità di tutte le suddette dichiarazioni.
6.7. Adozione di misure per la tutela del dipendente che effettua segnalazioni di illecito (whistleblower)
L’Autorità Nazionale Anticorruzione il 28 aprile 2015 ha approvato, dopo un periodo di
“consultazione pubblica”, le “Linee guida in materia di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti (c.d. whistleblower)” (determinazione n. 6 del 28 aprile 2015, pubblicata il 6 maggio 2015).
La tutela del whistleblower è un dovere di tutte le amministrazioni pubbliche le quali, a tal fine, devono assumere “concrete misure di tutela del dipendente” da specificare nel Piano triennale di prevenzione della corruzione.
La legge 190/2012 ha aggiunto al d.lgs. 165/2001 l’articolo 54-bis.
La norma prevede che il pubblico dipendente che denunci all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, o all’ANAC, ovvero riferisca al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non possa “essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia”.
L’articolo 54-bis delinea una “protezione generale ed astratta” che, secondo ANAC, deve essere completata con concrete misure di tutela del dipendente. Tutela che, in ogni caso, deve essere assicurata da tutti i soggetti che ricevono la segnalazione.
Il Piano nazione anticorruzione prevede, tra azioni e misure generali per la prevenzione della corruzione e, in particolare, fra quelle obbligatorie, che le amministrazioni pubbliche debbano tutelare il dipendente che segnala condotte illecite.
Il PNA impone alle pubbliche amministrazioni, di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 165/2001, l’assunzione dei “necessari accorgimenti tecnici per dare attuazione alla tutela del dipendente che effettua le segnalazioni”.
Le misure di tutela del whistleblower devono essere implementate, “con tempestività”, attraverso il Piano triennale di prevenzione della corruzione (PTPC).
L’articolo 54-bis del d.lgs. 165/2001 impone la tutela del dipendente che segnali “condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro”.
Le segnalazioni meritevoli di tutela riguardano condotte illecite riferibili a:
tutti i delitti contro la pubblica amministrazione di cui al Titolo II, Capo I, del Codice penale;
le situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati, nonché i fatti in cui venga in evidenza un mal funzionamento dell’amministrazione a causa dell’uso a fini privati delle funzioni attribuite, ivi compreso l’inquinamento dell’azione amministrativa ab externo e ciò a prescindere dalla rilevanza penale.
A titolo meramente esemplificativo: casi di sprechi, nepotismo, demansionamenti, ripetuto mancato rispetto dei tempi procedimentali, assunzioni non trasparenti, irregolarità contabili, false dichiarazioni, violazione delle norme ambientali e di sicurezza sul lavoro.
L’interpretazione dell’ANAC è in linea con il concetto “a-tecnico” di corruzione espresso sia nella circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 1/2013 sia nel PNA del 2013.
35
Le condotte illecite devono riguardare situazioni di cui il soggetto sia venuto direttamente a conoscenza “in ragione del rapporto di lavoro”. In pratica, tutto quanto si è appreso in virtù dell’ufficio rivestito, nonché quelle notizie che siano state acquisite in occasione o a causa dello svolgimento delle mansioni lavorative, seppure in modo casuale.
Considerato lo spirito della norma, che consiste nell’incentivare la collaborazione di chi lavora nelle amministrazioni per l’emersione dei fenomeni illeciti, ad avviso dell’ANAC non è necessario che il dipendente sia certo dell’effettivo avvenimento dei fatti denunciati e dell’autore degli stessi.
E’ sufficiente che il dipendente, in base alle proprie conoscenze, ritenga “altamente probabile che si sia verificato un fatto illecito” nel senso sopra indicato.
Il dipendente whistleblower è tutelato da “misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia” e tenuto esente da conseguenze disciplinari.
La norma intende proteggere il dipendente che, per via della propria segnalazione, rischi di vedere compromesse le proprie condizioni di lavoro.
L’articolo 54-bis del d.lgs. 165/2001 fissa un limite alla predetta tutela nei “casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione o per lo stesso titolo ai sensi dell’art. 2043 del codice civile”.
La tutela del whistleblower trova applicazione quando il comportamento del dipendente segnalante non perfezioni le ipotesi di reato di calunnia o diffamazione.
Il dipendente deve essere “in buona fede”. Conseguentemente la tutela viene meno quando la segnalazione riguardi informazioni false, rese colposamente o dolosamente.
La legge 30 novembre 2017, n. 179, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 14 dicembre 2017, che è entrata in vigore il 29 dicembre 2017. Le nuove norme modificano l’art. 54 bis del D.Lgs. n.
165/2001 stabilendo che il dipendente che segnala al Responsabile della prevenzione della corruzione le condotte illecite o di abuso di cui sia venuto a conoscenza, in ragione del suo rapporto di lavoro, non può essere, per motivi collegati alla segnalazione, soggetto a sanzioni, demansionamento, licenziato, trasferito o sottoposto ad altre misure organizzative che abbiano un effetto negativo sulle condizioni di lavoro.
La nuova disciplina prevede che il dipendente sia reintegrato nel posto di lavoro in caso di licenziamento e che siano nulli tutti gli atti discriminatori o ritorsivi.
L’onere di provare che le misure discriminatori o ritorsive adottate nei confronti del segnalante sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione e sarà a carico dell’amministrazione.
L’Anac, a cui l’interessato o i sindacati comunicano eventuali atti discriminatori, applica all’ente (se responsabile) una sanzione pecuniaria amministrativa da 5.000 a 30.000 euro, fermi restando gli altri profili di responsabilità. Inoltre, l’Anac applica la sanzione amministrativa da 10.000 a 50.000 euro a carico del responsabile che non effettua le attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute.
Non potrà, per nessun motivo, essere rivelata l’identità del dipendente che segnala atti discriminatori e, nell’ambito del procedimento penale, la segnalazione sarà coperta nei modi e nei termini di cui all’art. 329 del codice di procedura penale. La segnalazione sarà sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241.
L’Anac, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, elaborerà linee guida sulle procedure di presentazione e gestione delle segnalazioni promuovendo anche strumenti di crittografica quanto al contenuto della denuncia alla relativa documentazione per garantire la riservatezza de1 segnalante.
Sempre secondo quanto previsto dalla legge in esame, il dipendente che denuncia atti discriminatori non avrà diritto alla tutela nel caso di condanna del segnalante in sede penale (anche in primo grado) per calunnia, diffamazione o altri reati commessi con la denuncia o quando sia accertata la sua responsabilità civile per dolo o colpa grave.
Le nuove disposizioni valgono non solo per tutte le amministrazioni pubbliche, inclusi gli enti pubblici economici e quelli di diritto privato sotto controllo pubblico, ma si rivolgono anche a chi lavora in imprese che forniscono beni e servizi alla P.a.
36
Inoltre, secondo quanto previsto dall’articolo 2 della legge, la nuova disciplina allarga al settore privato la tutela del dipendente o collaboratore che segnali illeciti o violazioni relative al modello di organizzazione e gestione dell’ente di cui sia venuto a conoscenza per ragioni del suo ufficio.
L’art. 3 del provvedimento introduce, in relazione alle ipotesi di segnalazione o denuncia effettuate dal settore pubblico o privato come giusta causa di rivelazione del segreto d’ufficio, professionale, scientifico e industriale, nonché di violazione dell’obbligo di fedeltà all’imprenditore, il perseguimento, da parte del dipendente che segnala illeciti, dell’interesse all’integrità delle amministrazioni alla prevenzione e alla repressione delle malversazioni.
Le specifiche tutele del dipendente che segnala illeciti sono le seguenti:
1. Anonimato.
La ratio della norma è quella di evitare che il dipendente ometta di effettuare segnalazioni di illecito per il timore di subire conseguenze pregiudizievoli.
La norma tutela l’anonimato facendo specifico riferimento al procedimento disciplinare. Tuttavia, l’identità del segnalante deve essere protetta in ogni contesto successivo alla segnalazione.
Per quanto riguarda lo specifico contesto del procedimento disciplinare, l’identità del segnalante può essere rivelata all’autorità disciplinare e all’incolpato nei seguenti casi:
consenso del segnalante;
la contestazione dell’addebito disciplinare è fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione: si tratta dei casi in cui la segnalazione è solo uno degli elementi che hanno fatto emergere l’illecito, ma la contestazione avviene sulla base di altri fatti da soli sufficienti a far scattare l’apertura del procedimento disciplinare;
la contestazione è fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità è assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato: tale circostanza può emergere solo a seguito dell’audizione dell’incolpato ovvero dalle memorie difensive che lo stesso produce nel procedimento.
La tutela dell’anonimato prevista dalla norma non è sinonimo di accettazione di segnalazione anonima. La misura di tutela introdotta dalla disposizione si riferisce al caso della segnalazione proveniente da dipendenti individuabili e riconoscibili. Resta fermo restando che l’amministrazione deve prendere in considerazione anche segnalazioni anonime, ove queste si presentino adeguatamente circostanziate e rese con dovizia di particolari, siano tali cioè da far emergere fatti e situazioni relazionandoli a contesti determinati (es.: indicazione di nominativi o qualifiche particolari, menzione di uffici specifici, procedimenti o eventi particolari, ecc.).
Le disposizioni a tutela dell’anonimato e di esclusione dell’accesso documentale non possono comunque essere riferibili a casi in cui, in seguito a disposizioni di legge speciale, l’anonimato non può essere opposto, ad esempio indagini penali, tributarie o amministrative, ispezioni, ecc.