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Le altre misure cautelari: sequestro preventivo finalizzato alla confisca. Cenni al

9. Le sanzioni previste dal D.Lgs. 231 del 2001

9.4 Le misure cautelari ex D.Lgs. 231/01

9.4.3 Le altre misure cautelari: sequestro preventivo finalizzato alla confisca. Cenni al

Nel quadro delle misure cautelari che possono essere imposte ad un ente devono essere considerati anche il sequestro preventivo ed il sequestro conservativo, disciplinati dagli artt. 53 e 54 del decreto in esame.

Con riferimento, in particolare, al sequestro preventivo, la norma di cui all’art. 53 stabilisce che tale misura può essere disposta per le cose di cui è consentita la confisca di cui all’art. 19. In tal caso si applica le disposizioni del codice di procedura penale in quanto compatibili, in tema di sequestro preventivo (52).

(52) Ricorda EPIDENDIO, Sequestro preventivo speciale e confisca, in Rivista231, 2006 che il sequestro preventivo disciplinato dall’attuale codice di procedura penale, nasce dallo sdoppiamento dell’unitario sequestro penale previsto dal codice “Rocco” del 1930. La ragione dello sdoppiamento risiede nel fatto che vi sono beni che da un lato possono svolgere una funzione istruttoria di prova del reato e dall'altro di strumento per lo sviluppo ulteriore dell'illecito; il vincolo reale imposto svolgeva quindi una duplice funzione l’una probatoria e l’altra preventiva, “avente lo scopo di evitare la reiterazione del reato o di impedire che lo stesso venisse portato a ulteriori conseguenze attraverso l'uso di una cosa (in tal senso) penalmente pericolosa”.

63 L’istituto della confisca cui fa cenno l’art. 53 consiste in un’ulteriore sanzione che viene sempre comminata all’ente a seguito della condanna e consiste nell’acquisizione del prezzo o del profitto del reato o di beni o denaro ad essi equivalenti (c.d. confisca per equivalente), salva la parte che può essere restituita al danneggiato (53). Lo scopo del sequestro

(53) Il sistema di procedura penale tradizionale prevede l’istituto della confisca, disciplinato quale misura di sicurezza di carattere reale ex art. 236 c.p. Nell’istituto del sequestro preventivo disciplinato dal codice di rito vigente vi sono attualmente due ipotesi di sequestro, contemplate rispettivamente dal primo e dal secondo comma dell'art. 321 c.p.p., a seconda che la pericolosità penale della “res” sia valutata in concreto o in funzione della dell’assoggettabilità a confisca. Sussiste così un sequestro preventivo delle “cose pertinenti il reato” e un sequestro preventivo delle “cose assoggettabili a confisca”, avendo gli stessi come tratto comune l’intrinseca pericolosità della cosa. Nel sistema delineato dal D.Lgs. 231 del 2001, invece, la confisca costituisce una vera e propria sanzione, la cui natura è confermata, come evidenziaEPIDENDIO, Op.cit, in Rivista231, 2006, dal fatto che, “quando il Legislatore ha voluto che si procedesse ugualmente alla confisca pur in assenza di condanna o di responsabilità dell'ente, lo ha previsto espressamente stabilendo eccezioni alla suddetta regola generale in tal modo indirettamente ribadita. Ciò è avvenuto in caso di esenzione dell'ente da responsabilità per adozione ed efficace implementazione di modelli organizzativi idonei: in tale ipotesi, pur andando l'ente esente da responsabilità, il profitto deve essere ugualmente confiscato, come previsto dall'art. 6 comma 5 secondo cui «è comunque disposta la confisca del profitto che l'ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente». La circostanza che sia stato necessario precisare che, in tal caso, si procede ugualmente alla confisca, dimostra come la natura sanzionatoria attribuita alla confisca non avrebbe potuto consentire l'applicazione dell'istituto in un caso di esenzione da responsabilità, in quanto di regola, come ogni sanzione, la confisca di cui al decreto legislativo avrebbe dovuto implicare la responsabilità dell'ente. Non di una vera e propria eccezione, ma di una semplice conferma della portata generale e obbligatoria della confisca-sanzione, si tratta invece nei casi di condotte riparatorie ex art.17 ove è previsto che l'ente metta a disposizione il profitto del reato per la confisca (art.17 comma 1 lett. c): tali condotte

64 preventivo, dunque è quello di consentire, in caso di condanna, che anche tale sanzione venga effettivamente comminata, evitando il disperdersi dei frutti del reato commesso. Occorre allora approfondire cosa si intenda con il termine profitto, nel sistema delineato dal decreto in esame. Da questo punto di vista va osservato che nel decreto legislativo il termine “profitto” viene utilizzato non solo quale elemento oggetto di confisca quale sanzione, ma anche quale aggravante ai sensi dell’art. 13 comma 1 lett. a). Talvolta, poi, il profitto costituisce parametro di commisurazione della sanzione pecuniaria nello speciale caso di cui all'art. 25 sexies comma 2 (la sanzione base per l'illecito dipendente da abuso di informazioni privilegiate o manipolazioni del mercato è aumentata fino a dieci volte il prodotto o il profitto “conseguito dall'ente”).

Risulta dalla breve disamina sopra considerata, che in questi casi il profitto viene posto quale elemento fondante la quantificazione della pena, in relazione all'esigenza di commisurare la stessa, non al danno cagionato alla collettività, ma al guadagno conseguito dall'ente, al fine di controbilanciare la spinta criminogena derivante dall'ottenimento di vantaggi economici derivanti dal reato, assegnando correlative e proporzionali perdite all'ente in conseguenza della sua responsabilità per l'illecito dipendente da quel reato. In riferimento a queste ipotesi non avrebbe alcun senso parlare di “profitto – ricavo”, in quanto nella misura in cui i costi dovessero superare i ricavi non vi sarebbe nulla da controbilanciare essendo già sconveniente di per sé la commissione di illeciti. Ecco che allora si capisce come all’interno del decreto legislativo il termine “profitto” deve essere

riparatorie consentono infatti all'ente di evitare sanzioni interdittive, ma non quelle pecuniarie e la confisca, di tal che implicano l'affermazione di responsabilità e la condanna dell'ente, senza escluderla minimamente ma solo limitando lo spettro delle sanzioni applicabili”.

65 considerato in termini maggiormente raffinati rispetto alla mera valutazione rispetto al ricavo. Il profitto va altresì distinto tanto dal vantaggio che dall’interesse, trattandosi di elementi costitutivi alternativi dell'illecito delineato dal decreto, e non di elementi accidentali come invece il profitto è.

Si badi che quando il Legislatore intende riferirsi a un risultato economico positivo utilizza il termine “profitto”, mentre il termine vantaggio assume connotati più ampi e non presuppone necessariamente un’utilità economica, potendosi concretizzare invece, per esempio, nell'acquisizione di particolari posizioni nel mercato e in generale in qualsiasi posizione che consenta all'ente di affermare la propria superiorità (vantaggi strategici, ecc...). L'interesse e il vantaggio, in conclusione, possono avere natura patrimoniale o non patrimoniale; il vantaggio al pari del profitto consiste in un risultato, ma diversamente dal profitto può avere anche natura non patrimoniale. Ecco che allora la confisca del profitto avrà ad oggetto quei beni consistenti nel vantaggio tratto dal reato commesso, legati da un nesso di causalità allo stesso, dotati di valore patrimonialmente rilevante. Solo in quest’ultimo caso, infatti, potrà individuarsi un interesse dell'agente al suo conseguimento e quindi solo in detti limiti potrà considerarsi quale movente da eliminare in quanto incentivo alla commissione del reato.

Merita a questo punto un breve cenno la confisca per equivalente, menzionata dall’art. 19 comma 2 del D.Lgs. 231/01.

E’ noto, in primo luogo, come la confisca per equivalente sia subordinata alla confisca di cui al comma 1 e quindi al prezzo ed al profitto del reato, nel senso che, per procedere alla confisca di altri beni di valore equivalente a quelli costituenti il profitto illecito, occorre che sia impossibile aggredire direttamente questi ultimi.

Di un tanto, infatti dovrà essere data dimostrazione dal giudice e dal Pubblico Ministero in sede di istanza. Non potranno essere scelti, in particolare tutti i beni dell’ente, purchè di valore equivalente a quello del prezzo o del profitto del reato, ma si dovrà dimostrare di non aver potuto aggredire direttamente i beni costituenti profitto o prezzo del reato da cui dipende l'illecito, così che la confisca di valore diventi una confisca per equivalente.

Conferma di un tanto si rinviene nello stesso dettato normativo dal quale emerge, art. 19 comma 2 del Decreto, che “quando non è possibile eseguire la

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confisca a norma del comma 1 (i.e. la confisca del prezzo o del profitto del reato) la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato”.

Va evidenziato, da ultimo, che nel caso della confisca per equivalente, evidentemente viene a mancare quel nesso di pertinenzialità proprio della confisca di cui al comma 1, essendo necessario solo dimostrare, per legittimamente procedere alla confisca, che la somma di denaro, il bene o l'altra utilità siano di pertinenza del soggetto passivo della confisca e che siano di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato (54).

Un ultimo breve cenno va, per dovere di completezza, al sequestro conservativo di cui all’art. 54 del D.Lgs. 231/01. Si tratta di disposizione che non pone problemi interpretativi e che ha ad oggetto, in particolare il sequestro che viene disposto, in qualsiasi stato e grado del procedimento, nel caso in cui vi sia fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della sanzione pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato. Può avere ad oggetto beni mobili o immobili, somme o cose appartenenti all’ente. Anche in questo caso il testo normativo rinvia alle disposizioni in materia del codice di procedura penale, in quanto applicabili.