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Il vantaggio ai sensi del D.Lgs. 231/01

Al concetto di interesse si contrappone quello di vantaggio, che secondo la tesi prevalente avrebbe natura prettamente oggettiva e la cui valutazione sarebbe possibile solo ex post. Considerando il vantaggio dell’ente, la responsabilità della persona giuridica può sussistere anche qualora la persona fisica abbia agito a prescindere da qualsivoglia valutazione in merito alle conseguenze che sarebbero derivate in capo alla società e, ciò non di meno, in capo alla persona giuridica siano derivate delle conseguenze positive e dunque dei vantaggi.

(26) Si pensi ad esempio al reato di corruzione commesso dal direttore generale di un’impresa al fine di ottenere un appalto per aumentare le commesse pubbliche nel proprio ramo d’azienda e non, quindi, allo scopo esclusivo di procurare un beneficio alla propria impresa di appartenenza.

32 In buona sostanza, quindi, anche nella misura in cui la persona fisica abbia agito nel suo esclusivo interesse, ma in ciò abbia cagionato un vantaggio alla propria società, tale circostanza è sufficiente ai fini dell’addebito di responsabilità, assieme ad altri profili di cui agli artt. 6 e 7 del Decreto in esame.

Ai fini dell’accertamento del vantaggio, si sostiene che sia sufficiente provare che la società ha tratto dalla condotta illecita posta in essere dal soggetto agente, una qualsiasi utilità patrimoniale, oggettivamente apprezzabile. Certamente va detto che, ai fini dell’imputazione della responsabilità in capo alla persona giuridica, è opinabile che sia sufficiente il solo vantaggio tratto da una condotta illecita di un proprio soggetto apicale o di un sottoposto.

Il rischio, infatti, in sostanza, è che qualora l’ente abbia tratto vantaggio da un fatto di reato commesso da un soggetto per lui operante, si crei una disconnessione tra la persona giuridica e l’illecito, considerando quest’ultima responsabile anche se totalmente estranea al fatto di reato commesso e laddove manchi, quindi, ogni raccordo tra le capacità gestionali dell’ente ed il fatto di reato (27). Diventa importante allora, capire cosa si debba intendere per vantaggio, non potendosi considerare la sola ricaduta patrimoniale favorevole, a seguito di reato commesso dai soggetti che operano per la società. Dovrà escludersi in primo luogo il vantaggio qualora vi sia un contrasto tra gli interessi patrimoniali della

(27) Si consideri, a titolo esemplificativo, all’ipotesi in cui gli amministratori di una società, al fine di occultare gli utili maturati e versarli nei propri conti personali, falsifichino i dati del bilancio. Certamente la società ne trarrà un vantaggio in termini di benefici fiscali, ma non pare corretto parlare di vero e proprio vantaggio ai sensi del D.lgs. 231/01. Si pensi, poi all’amministratore che consapevole della volontà dell’assemblea di rimuoverlo dalla propria carica, corrompa un Pubblico Ufficiale al fine di evitare sanzioni tributarie a carico dell’ente e quindi la propria rimozione dalla carica. In quest’ultimo caso la società non si vedrà addebitare la sanzione, ma si tratta di un vero e proprio vantaggio ai sensi del decreto in esame? Per ulteriori esemplificazioni si veda C.SANTORIELLO, Op. cit. ,in Rivista231, 2010.

33 persona giuridica e la condotta delittuosa posta in essere dal singolo, anche se, in via incidentale siano derivati dei vantaggi alla persona giuridica a seguito della condotta posta in essere. E’ lo stesso Legislatore in questo caso che esclude la responsabilità della persona giuridica, nella misura in cui l’interesse per cui il soggetto ha agito sia stato esclusivamente proprio o di terzi. In tali fattispecie, infatti, è irrilevante che la società abbia tratto qualche beneficio dalla condotta illecita del soggetto agente, beneficio del tutto casuale e non voluto. Secondariamente, va detto che gli effetti della condotta criminosa, devono essere considerati complessivamente, per cui il beneficio che potrebbe essere tratto da un lato (in termini ad esempio di sanzione non comminata a seguito di una corruzione) potrebbe rivelarsi un danno da altro punto di vista (impossibilità per esempio di rimuovere l’amministratore incapace che ha provveduto alla corruzione e per ciò ha evitato la sanzione e la propria rimozione).

In terzo luogo, deve pur sempre essere rinvenibile una connessione tra la commissione del reato e la società, la quale deve essere imputabile se non altro per colpa nell’organizzazione. Il vantaggio che quindi maturi in capo alla società in ragione di circostanze del tutto casuali ed episodiche, quali dirette conseguenze di reati che pur rientranti nel novero dei reati-presupposto del decreto legislativo 231/01 risultano assolutamente estranei al consueto agire della società, non potrà di certo costituire elemento ai fini dell’imputazione in capo alla società (28).

(28) Si consideri l’esempio, tratto da SANTORIELLO, Op. cit. ,in Rivista231, 2010, in base al quale l’amministratore di una nota casa editrice venga sorpreso in atteggiamenti sessuali con minori d’età. Al fine di evitare lo scandalo lo stesso utilizza fondi della casa editrice per depistare le indagini corrompendo gli investigatori. Evita così il processo e notevoli danni alla casa editrice. In tal caso, pur in presenza del reato di corruzione ad opera di un soggetto amministratore di società, costituente uno dei reati presupposto e pur avendo la società tratto vantaggio dalla condotta dell’amministratore, ciò non di meno, la condotta tenuta non rientra tra quelle che l’organizzazione collettiva è tenuta a prevenire con le modalità descritte dagli artt. 6 e 7 del decreto. In tale situazione, quindi, la società, pur avvantaggiata dal reato del proprio amministratore non potrà essere imputata per carenze organizzative della propria struttura e dei relativi meccanismi di controllo.

34 Ciò posto, ad esclusione delle ipotesi ora citate, certamente il requisito del vantaggio potrà operare ai fini della considerazione della responsabilità dell’ente rispetto all’illecito commesso dai propri soggetti apicali o ad essi sottoposti. Nella misura in cui, dunque si possa rinvenire una carenza organizzativa, quantomeno, dell’ente all’interno del quale è stato commesso il reato, solo in quel caso si potrà ipotizzare una responsabilità ai sensi del decreto in esame. Sarà certamente responsabile, dunque, la società che non sia stata in grado di prevenire la commissione di reati da parte di suoi organi apicali o di suoi dipendenti, ma lo sarà solo ed esclusivamente qualora sia rinvenibile una qualche forma di colpevolezza in capo alla stessa – ai sensi dell’art. 27 Cost., cosi come espresso dagli artt. 5, 6 e 7 del D.Lgs. 231/01 - almeno nella forma della colpa.