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2. L’abuso del diritto e la sua “storia”

1.2. Le altre tipologie di interpello

Per maggiore completezza è opportuno analizzare le altre tipologie di interpello previste al comma 2 del nuovo art. 11 e in altre fonti normative.

L’interpello “disapplicativo” previsto nell’abrogato articolo 37bis, comma 8, del DPR n. 600/1973, viene ripreso al comma 2 dell’articolo 11 dello Statuto del contribuente. Si tratta dell’unica fattispecie rimasta a carattere “obbligatorio” (alcuni cenni su questo tema verranno fatti nel paragrafo successivo), che prevede la possibilità per il contribuente, qualora non sia stata resa risposta favorevole, di fornire la dimostrazione richiesta anche nelle successive fasi dell’accertamento in sede amministrativa e contenziosa.

Questa tipologia consente al contribuente di presentare istanza all’Agenzia delle Entrate e di dimostrare che gli effetti elusivi che la norma intende evitare non possono verificarsi, ottenendo in tal modo la disapplicazione di norme che limitano deduzioni, detrazioni e crediti di imposta, come, per esempio:

- la disciplina del riporto delle perdite nelle ipotesi che comportano il mutamento della compagine sociale e la modifica dell’attività principale (articolo 84 del Tuir);

- la disciplina del dividend washing di cui all’articolo 109 del Tuir, relativamente all’acquisto di partecipazioni in prossimità della data di stacco del dividendo e della successiva cessione dei titoli dopo l’incasso degli utili.

Anche in questo caso, viene previsto l’obbligo di preventività, pena l’inammissibilità della domanda, e il termine ultimo per la presentazione delle istanze è il termine legale di presentazione della dichiarazione (Iva e imposte dirette).

Per quanto riguarda i tempi di risposta dell’amministrazione, per gli interpelli di tipo disapplicativo il termine è salito a 120 giorni.

Un aspetto favorevole per il contribuente è la previsione della possibilità di far valere comunque le proprie ragioni in sede di accertamento, e, se del caso, in sede contenziosa, essendo in tale ipotesi applicabile la sola sanzione in misura fissa, prevista ora dal nuovo comma 7-ter dell’articolo 11 del D.Lgs. n. 471/1997, da €. 2.000 a €. 21.000, eventualmente raddoppiabile se la legittimità della disapplicazione venisse poi disconosciuta (da €. 4.000 a €. 42.000).

In termini più chiari, è prevista la possibilità anche per gli interpelli disapplicativi di non presentare la relativa istanza e subire come conseguenza il semplice raddoppio della medesima sanzione in misura fissa prevista per la mancata segnalazione in dichiarazione di una fattispecie per la quale l’interpello è facoltativo, avendo disatteso, di fatto, il requisito dell’obbligatorietà attribuito dal nuovo decreto in esame all’interpello di tipo disapplicativo.

L’articolo 2 del D.Lgs. n. 147/2015, (c.d. “Decreto internazionalizzazione”), invece, ha introdotto una nuova fattispecie di interpello volto a favorire gli investimenti in Italia. È il c.d. “interpello

investimenti”. La norma aveva enunciato l’esigenza che le modalità applicative e l’individuazione degli uffici competenti alla risposta, fossero demandati rispettivamente a un decreto ministeriale e ad un provvedimento del Direttore dell’agenzia delle Entrate, ma non sono ancora stati pubblicati.

Si tratta di un tipo di interpello che dà la possibilità alle imprese italiane ed estere di interrogare l’Agenzia al fine di ottenere informazioni sull’investimento che intendono realizzare per un ammontare pari ad almeno €. 30.000.000. È uno strumento che per essere utilizzato richiede la presentazione di uno specifico business plan da parte dell’impresa, piano che sarà poi oggetto di analisi da parte dell’Agenzia che è chiamata a fornire una risposta entro 120 giorni, oppure chiedere ulteriori informazioni, alle quali dovrà rispondere entro 90 giorni dalla loro presentazione (in questo caso non è richiesto alcun limite alla possibilità di chiedere documentazione integrativa).

L’Agenzia, per prendere coscienza degli elementi che siano utili ai fini della risposta, può accedere alle sedi dell’impresa. Anche in questo tipo di meccanismo vale la regola del silenzio assenso e la risposta, anche se desunta dal silenzio assenso, vincola l’amministrazione; inoltre la medesima risposta resta valida finché restano immutate le circostanze di fatto e di diritto sulla base delle quali è stata resa la risposta.

L’ulteriore novità che si inserisce nel quadro dipinto di recente dal decreto legislativo è rappresentata dal fatto che l’impresa che dà attuazione alla risposta può accedere (se ricorrono gli altri requisiti) all’istituto dell’” adempimento collaborativo” (D.Lgs. n. 128/2015), di cui tratteremo alcuni aspetti in seguito.

Si potrà con l’Agenzia in questo modo esaminare, prima della consegna delle dichiarazioni, le eventuali operazioni soggette a rischi fiscali e giovare comunque di una diminuzione delle sanzioni amministrative nel caso in cui l’impresa mettesse in atto un

comportamento non conforme. È, inoltre, prevista una procedura abbreviata di interpello, con la quale la risposta arriva entro 45 giorni.

Altra tipologia è il nuovo “ruling internazionale”: l’art. 1 del decreto Crescita e Internazionalizzazione ha abrogato la disciplina del ruling internazionale di cui all’art. 8, D.L. n. 269/2003, introducendo la nuova disposizione contenuta nell’art. 31-ter del D.P.R. n. 600/1973. Il nuovo art. 31-ter, collocandosi nel D.P.R. n. 600/1973, contribuisce ad identificare la natura degli accordi preventivi quali forme di esercizio consensuale e condiviso delle modalità di controllo e verifica di cui dispongono gli organi dell’Amministrazione finanziaria.

È importante in primo luogo cogliere le differenze, sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, dell’attuale disciplina rispetto a quella previgente. Sotto il profilo soggettivo l’istituto era destinato ai soli soggetti residenti e ai soggetti non residenti con una stabile organizzazione in Italia; il nuovo art. 31-ter, D.P.R. n. 600/1973 ha invece ampliato l’ambito applicativo del ruling, estendendolo altresì ai soggetti non residenti senza stabile organizzazione in Italia.

Sotto il profilo oggettivo, il ruling poteva investire, nella precedente disciplina, questioni connesse al metodo di calcolo della base imponibile per operazioni di carattere transnazionale, nonché la qualificazione giuridica di particolari fattispecie il cui trattamento fiscale poteva essere ritenuto dubbio.

La portata del ruling subì un’estensione già due anni prima con il D.L. n. 145/2013 che ricomprese anche le questioni attinenti la preventiva individuazione di eventuali stabili organizzazioni in Italia da parte di soggetti non residenti. Qualche anno dopo il decreto internazionalizzazione ha esteso la possibilità di presentare il ruling anche nei casi, di novella introduzione, di exit ed entry tax.

“A ciò consegue che - a differenza di quanto avviene per le altre

l’Amministrazione effettua una valutazione autonoma delle fattispecie sottoposte al suo vaglio, stabilendo se le stesse rientrino o meno nell’ambito di applicazione di una determinata norma, alla quale consegue un atto (il parere unilaterale dell’Agenzia) che spiega effetti in capo all’istante (il quale ha sempre il diritto di non adeguarsi al parere fornito) - il ruling internazionale rinvia alla tipica figura del contratto negoziale (si parla infatti di “accordo”), cui si giunge attraverso un contraddittorio imperniato sull’an e sul quantum dell’obbligazione tributaria e che affonda le proprie radici non solo sul rispetto della legge ma anche su valutazioni di convenienza ed opportunità per le parti.”52

Del resto, tali aspetti non possono essere dimenticati, trattandosi di questioni in larga parte valutative (si pensi al transfer pricing) che, per definizione, possono portare a determinazioni assai diverse a seconda dell’interpretazione fornita dall’una o dall’altra parte.

Da ciò discende una specie di inquadramento “ibrido” dell’istituto nel nostro ordinamento che è possibile collocare a metà strada fra un parere interpretativo ed un piano attuativo di un accordo negoziale. Per utilizzare termini più chiari, essendo presenti elementi

caratterizzanti sia la “interpretazione” (alla luce del fatto che, in ogni caso, v’è in gioco la corretta applicazione delle norme tributarie nazionali e convenzionali) che la “attuazione”, quello che si cerca di raggiungere è un accordo (si passi il termine) di “opportunità”, tanto per il contribuente quanto per il Fisco.

Ma qui è opportuno sottolineare l’aspetto più critico dell’istituto, forse il più rilevante, che è quello connesso alla tempistica per l’espletamento della procedura, i cui tempi medi di conclusione sono oggi stimati in 16 mesi.

52 Cfr. Ipsoa, Decreto internazionalizzazione: il nuovo ruling internazionale, 11 dicembre 2015, in www.ipsoa.it

Esaminando la novella sul ruling si nota che non viene in alcun modo preso in considerazione l’aspetto della tempistica, contrariamente a quanto previsto dal Decreto Crescita e Internazionalizzazione in relazione all’interpello sui nuovi investimenti. È auspicabile che il provvedimento attuativo fissi dei termini (ci si auspica perentori) entro i quali il contraddittorio deve concludersi, così come le modalità con le quali sarà possibile rinnovarne l’efficacia.

Quindi è possibile giungere alla conclusione che lo scarso utilizzo di questo strumento non sia dovuto al demerito degli Uffici (che anzi dimostrano sempre maggiore competenza in tema di fiscalità internazionale) ma per le lungaggini connesse al raggiungimento dell’accordo e alle scarse risorse dedicate; sul punto si deve

intervenire.53

Infine, gli articoli da 3 a 7 del D.Lgs. 128/2015 introducono e disciplinano un nuovo schema di relazioni tra Agenzia delle entrate e contribuenti denominato “Regime dell'adempimento collaborativo”. Le disposizioni in commento danno attuazione all'articolo 6 della legge 23/2014, che delega il governo, come abbiamo già ampiamente accennato nel capitolo precedente, all'adozione di una serie di decreti legislativi al fine di realizzare un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita.

In particolare, l'articolo 3 del D.Lgs. 128/2015 precisa che il regime dell'adempimento collaborativo tra Agenzia delle Entrate e contribuenti è istituito "al fine di promuovere l'adozione di forme di comunicazione

e di cooperazione rafforzate basate sul reciproco affidamento tra Amministrazione finanziaria e contribuenti, nonché di favorire nel

comune interesse la prevenzione e la risoluzione delle controversie in materia fiscale".54

È importante precisare alcuni aspetti essenziali per l’utilizzo dell’istituto: l'accesso al regime è su base volontaria ed è subordinato al possesso di determinati requisiti, comportando l'assunzione per entrambe le parti di precisi doveri. Quello che si richiede al contribuente che decide di aderire al regime dell'adempimento collaborativo è che sia necessariamente dotato di un efficace sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale, inteso quale rischio di operare in violazione di norme tributarie ovvero in contrasto con i principi o con le finalità dell'ordinamento tributario.

Ad essere oggetto di valutazione è il c.d. sistema di controllo interno di gestione del rischio fiscale che, fatta salva l'autonomia del contribuente relativamente alla scelta delle soluzioni organizzative ritenute più idonee al perseguimento dei propri obiettivi, deve in ogni caso inserirsi nel contesto operativo del sistema di governo aziendale e di controllo interno.

Occorre, infine, precisare, con riferimento al quadro generale del tema trattato, che la risposta, espressa o tacita, ad un interpello vincola esclusivamente l’Amministrazione finanziaria.

Non vi è, quindi, nessun obbligo in capo al contribuente interpellante, il quale rimane libero di determinare il proprio comportamento (uniformandosi o meno al parere ricevuto). La risposta non è altro che un parere, e non una disposizione vincolante, per questo motivo non può vincolare il comportamento del contribuente, con riferimento alla questione oggetto dell’istanza. Tuttavia, vi sono alcune situazioni da tenere ben presenti in caso di presentazione di una istanza di interpello: - “Mancato adeguamento alla risposta negativa: il mancato

adeguamento alla risposta negativa dell’Agenzia pone il contribuente in

54 Art. 3 D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, Disposizioni sulla certezza del diritto tra fisco

una situazione di potenziale conflitto, con possibilità di avvio di una fase di accertamento. Inoltre, in un eventuale contenzioso vi sono per il contribuente ridotte possibilità di ottenere il riconoscimento della buona fede la quale, a fini sanzionatori, costituisce un’esimente. A tale riguardo, le sanzioni irrogabili sono eventualmente e solamente quelle correlate al comportamento tenuto, ovvero all’omissione realizzata, e non anche in relazione al mancato adeguamento alla risposta ricevuta. In ogni caso, la risposta fornita dall’Agenzia, anche se negativa, vale di per sé ad attestare, per il periodo pregresso, il riconoscimento (tacito) dell’esistenza di obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione della normativa al caso di specie. È quindi possibile chiedere al Giudice tributario, per il periodo pregresso, la non applicazione delle sanzioni ai sensi dell’articolo 8 del D.Lgs. n.546/92;

- Mancata presentazione di interpelli probatori e disapplicativi: nel

caso in cui il contribuente non abbia presentato istanza di interpello probatorio o disapplicativo, ovvero abbia ricevuto una risposta negativa, l’omessa segnalazione in dichiarazione dei redditi della mancata presentazione o della risposta negativa prevede una sanzione amministrativa da €. 2.000 a €. 21.000 in base al nuovo comma 3-quinquies dell’articolo 8 del D.Lgs. n. 471/97.”55

Infine, resta da sottolineare che l’eventuale mancata comunicazione della risposta da parte dell’Agenzia entro i termini di legge, configura un’ipotesi di silenzio assenso equivalendo, nella sostanza, a una condivisione della soluzione prospettata dal contribuente.

Di conseguenza, sono affetti da nullità eventuali atti a contenuto impositivo o sanzionatorio diverso dalla soluzione su cui si è formato il silenzio. L’efficacia della risposta, anche in caso di silenzio, si estende ai comportamenti successivi del contribuente a condizione che siano

55 In tal senso consulta il sito www.fiscomania.com , La nuova disciplina

riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello. Ciò a meno che non intervenga una rettifica della soluzione interpretativa resa, la quale risulta comunque applicabile solamente ai comportamenti futuri.

Un aspetto rilevante che deve essere preso in considerazione, nel momento della predisposizione dell’interpello, è quello relativo alle cause di inammissibilità. Sono causa di inammissibilità diretta la presentazione dell’interpello senza i dati identificativi dell’istante ovvero la circostanziata e specifica descrizione della fattispecie.

Al contrario, come viene specificato nel nuovo decreto, “non danno luogo a inammissibilità e sono causa di richiesta di regolarizzazione da parte dell’ufficio le istanze che non indicano il tipo di interpello che si intende presentare, ovvero l’indicazione delle disposizioni di cui si richiede l’interpretazione, l’applicazione o la disapplicazione ovvero l’esposizione della soluzione proposta”.

In questi casi il contribuente è invitato dall’ufficio alla regolarizzazione entro 30 giorni, termine da rispettare in modo perentorio poiché se non si provvede a regolarizzare le carenze identificate dall’ufficio entro i 30 giorni le stesse si trasformano in causa di inammissibilità dell’interpello.

Ulteriore elemento da esaminare e che, se non rispettato, fa scattare una immediata inammissibilità, è il carattere preventivo dell’istanza che si vuole presentare: il contribuente deve presentare l’interpello prima della scadenza dei termini previsti dalla legge per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento di altri obblighi tributari direttamente connessi alla fattispecie oggetto dell’istanza.