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2. L’abuso del diritto e la sua “storia”

1.1. Le disposizioni dell’art 37-bis d.p.r 600/73

Nel 1996 è stata predisposta una riforma del sistema tributario35 che

prevedeva la “revisione dei criteri di individuazione delle operazioni di natura elusiva indicate nell’art. 10 della Legge n. 408/1990”.

L’obiettivo prefissato dal legislatore era quello di impedire l’elusione d’imposta con strumenti “meglio organizzati di quelli già esistenti”36; la

riforma si proponeva, quindi, di superare i “principali inconvenienti riscontrati nell’art. 10 della L. n. 408/1990, alla luce di alcuni anni di

34 E’ senz’altro da condividere, dunque, la teoria per la quale la buona fede oggettiva “non è un principio costituzionale, è anche un principio costituzionale”. Principio cioè con tracce importanti nelle disposizioni della Carta fondamentale, ma che in realtà è norma integrativa verticale dell’intero sistema, integrativa, cioè, di ogni ordine di produzione codificata del diritto (costituzionale, legislativa primaria, regolamentare, comunitaria). E come lo è la buona fede, lo è il divieto d'abuso. 35 L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 161, lett. g). 36 Relazione ministeriale allo “Schema di decreto del 12 settembre 1997” (D. Lgs.

358/1997), in www.camera.it

esperienze pratiche e di analisi giuridiche”31, riproponendo, tuttavia, un

modello sostanzialmente analogo a quello fino ad allora in vigore. Si era ripresentata (e nuovamente persa) l’occasione di introdurre nel nostro ordinamento un principio antielusivo di carattere generale, e proprio per questo Russo, in quel periodo, affermava che “l’ordinamento italiano per la tradizione che lo connota e per la situazione in cui versa

31 Relazione ministeriale allo “Schema di decreto del 12 settembre 1997” (D.Lgs. 358/1997), in www.camera.it

la sua Amministrazione finanziaria non è ancora maturo per l’introduzione di una clausola generale antielusiva”32.

Dall’analisi del testo dell’art. 37-bis si poteva dedurre quanto emergesse la necessità di specificare in modo puntuale che la realizzazione di un progetto elusivo si verificava, nella maggior parte dei casi, attraverso la concatenazione di atti tra loro coordinati, a differenza di quanto riscontrato in molte delle previgenti disposizioni. In effetti, l'amministrazione finanziaria aveva il potere e il dovere di disconoscere il vantaggio tributario ottenuto, ma tale potere non derivava quasi mai da un unico “atto, fatto o negozio giuridico”, ma dal coordinamento di questi, posti in essere dal contribuente secondo una logica diretta in alcuni casi a far valere anche l'intervenuta prescrizione del potere di accertamento dell’Amministrazione.

In seguito alle problematiche provocate dall’utilizzo dell’avverbio “fraudolentemente” nel disposto dell’art. 10 L.408/90, il Legislatore cercò di risolvere il problema utilizzando altre espressioni meno “oscure” ma che in ogni caso erano in grado di far comprendere la ratio della norma in questione: un progetto elusivo si realizzava nel momento in cui il contribuente utilizzava in modo indebito norme preposte per scopi diversi da quelli che voleva realmente perseguire in determinate situazioni.

Quindi, sulla base di ciò che è stato precedentemente detto, per poter individuare una fattispecie elusiva, si ponevano a confronto due o più regimi fiscali applicabili alle operazioni oggetto di verifica e si stabiliva se quello che era stato effettivamente scelto dal contribuente rispettasse la “natura economica” della stessa e se non fossero stati alterati i tratti fondamentali al mero fine di ottenere vantaggi di natura tributaria.

È importante a questo punto soffermarsi sui punti essenziali dell’articolo in questione per cercare di coglierne la struttura. Nella sua

32 In tal senso cfr. P. Russo, Brevi note in tema di disposizioni antielusive, in Rass.

previgente formulazione l’art. 37-bis del D.P.R. 600/73, al I comma, recitava che “Sono inopponibili all'amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.

Affinché, quindi, un’operazione potesse essere considerata elusiva risultava necessario che coesistessero contemporaneamente tre requisiti:

- “l’assenza di valide ragioni economiche”;

- “l’aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario”;

- l’obiettivo di “ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.

È molto importante sottolineare che la sola mancanza di uno dei sovra citati canoni di elusività implicava l’impossibilità di ricondurre una determinata operazione alla fattispecie prevista da tale disposizione. Quindi, per chiarire ulteriormente il concetto, un’operazione posta in essere da un soggetto, “priva di valide ragioni economiche” che non gli avesse procurato alcun vantaggio di natura fiscale, non poteva essere oggetto di considerazione da parte del Fisco.

Alcuni esponenti della dottrina erano riusciti, in realtà, ad individuare la portata innovativa della norma tanto da affermare che il legislatore, attraverso i primi due commi dell’articolo 37-bis, aveva tentato di inserire una vera e propria clausola generale potenzialmente applicabile a tutte le imposte del sistema e ad ogni comportamento abusivo, pur limitandola alle sole operazioni del terzo comma e all’ambito della sola imposizione sui redditi.

Tant’è che, secondo Chinellato, nei primi due commi dell’articolo 37- bis, il legislatore aveva tentato di introdurre un’efficace disposizione antielusiva di carattere generale, posizionando l’elencazione delle

ipotesi potenzialmente elusive in un terzo comma, con l’obiettivo di far trovare al futuro legislatore una norma generale già predisposta, da rendere efficace attraverso la semplice abrogazione del terzo comma.33 In tal senso anche Zizzo interviene e afferma: “a me pare non resti che

prendere atto dell’obsolescenza dei limiti che attualmente segnano la sfera di intervento della predetta clausola, per procedere alla loro soppressione in guisa da elevare la stessa al rango di clausola generale dell’ordinamento tributario, non legata ad uno specifico settore ne alla realizzazione di specifiche classi di operazioni. Questa generalizzazione gioverebbe su due fronti: consentirebbe di uniformare le condizioni per ricondurre le condotte all’area dell’elusione, assicurando una maggiore trasparenza nell’accertamento della ricorrenza del fenomeno; consentirebbe, altresì, e soprattutto, di uniformare le garanzie procedimentali connesse a detto accertamento, che il ricorso al principio comunitario permette oggi di saltare”34.

Per questo iniziò a diffondersi l’idea che l’introduzione di un unico principio antiabuso, che permettesse di uniformare lo scenario per tutte le tipologie di tributo, avrebbe potuto rappresentare una notevole semplificazione in un panorama già abbastanza complesso.

1.2. Introduzione del nuovo art. 10-bis: come cambiano le regole