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Altri cronisti di Ezzelino: Guglielmo Cortusi e Giovanni da Nono

Guglielmo Cortusi nacque a Padova probabilmente intorno al 1285 e si hanno notizie d’archivio su di lui fino all’anno 1361, quando compare in un elenco di giudici della città (non si conoscono altre informazioni sulla sua biografia dopo questa data). Anch’egli uomo di legge, scrisse una cronaca per lungo tempo ritenuta di mano sua e di suo nipote Albrighetto, dal titolo Chronica de

novitatibus Padue et Lombardie. Pubblicata per la prima volta, come le altre

cronache ezzeliniane, da Felice Osio a Venezia nel 1636, fu poi riproposta da Johann Georg Graeve nel VI volume del Thesaurus antiquitatum et

historiarum Italiae (l’opera pubblicata a Leida fra il 1704 e il 1705 e terminata

da Pieter Burman il Vecchio), poi dal Muratori nei Rerum Italicarum

Scriptores (ma questa volta nel XII libro), ristampata infine nell’edizione

Carducci-Fiorini, nel 1941, tuttavia incompleta, a cura di B. Pagnin. Fu quest’ultimo a dimostrare l’attribuzione della sola paternità dell’opera a Guglielmo Cortusi. La struttura di questa cronaca ci ricorda per alcuni aspetti quella di Antonio Godi poiché narra — o meglio, l’intento sarebbe stato quello di narrare — gli avvenimenti della città di Padova dal 1311 al 1358 (ed è dunque l’unico testo di storiografia padovana di questo periodo a registrare il trapasso dal regime comunale alla signoria scaligera e carrarese), ma riporta in apertura avvenimenti precedenti partendo dagli anni di Ezzelino da Romano. Il cronista non giudica in maniera esplicita la trama politica del tempo, quindi è difficile capire in quali periodi i diversi libri della cronaca vennero scritti. È probabile che egli fu spinto alla scrittura dopo la discesa di Enrico di Lussemburgo in Italia nel 1310, ma l’opera si mostra piuttosto discontinua e per questo non la si può ancora oggi datare con precisione. Quella del Cortusi è un’opera storiografica fondata sulla retorica dei dettatori delle scuole, in cui l’apertura viene dedicata (come accadeva nel testo di Antonio Godi, si diceva) alla passata carriera di Ezzelino da Romano. Nei primi sette libri infatti Cortusi sembra riprendere proprio Rolandino, o come ha detto J.K. Hyde nel

Dizionario Biografico degli Italiani (volume 29, 1983) «non fa altro che un

riassunto intelligente dell'opera del Rolandino, del quale segue non solo la narrazione ma anche l'atteggiamento antitirannico, sottolineando il repubblicanesimo della sua fonte» . Ma il Cortusi si mostra uno scrittore 363

calato nel suo tempo, il Trecento, e infatti i punti salienti del suo testo vogliono approfondire le vicende politiche dei decenni che egli visse nella città di Padova. Infatti negli ultimi libri della cronaca sono sempre maggiori le descrizioni delle feste e degli spettacoli con cui i principi si mantenevano il favore dei cittadini, tramite i quali il Cortusi ci fa capire la rivoluzionaria mentalità che provocò il sorgere delle signorie in città di forti tradizioni repubblicane come Padova . Ma il punto interessante della cronaca di 364

Guglielmo Cortusi risiede proprio nella sua scelta di aprirla con le nemmeno tanto antiche gesta di Ezzelino da Romano, proprio negli anni in cui a Padova veniva scritta l’Ecerinis da Albertino Mussato, la tragedia in cui — per dirla con le parole di Pastore Stocchi — «egli aveva ambito a proporsi (e il successo non gli era mancato) quale cultore dello stilus grandiloquus o

tragicus» . Notò bene Girolamo Arnaldi quando scrisse a proposito 365

dell’importanza dell’explicit del commento ufficiale alla tragedia, in cui si sottolinea la coincidenza fra la conclusione di tale lavoro e la proditoria resa a Cangrande della scala del castello di Monselice, il 21 dicembre del 1317. Lo studioso ricorda che ai tempi di Ezzelino, nel 1237, la caduta di Monselice era stata il precedente immediato alla caduta di Padova. Ecco perché il Cortusi farà incominciare la sua Chronica de novitatibus «con la preghiera rivolta dai padovani a santa Giustina quando si diffuse la notizia della conquista di Monselice da parte del tiranno: O gloriosa Iustina, civitatis Padue Regina,

[…] in nos respice oculis pietatis: malitiis hominum obvia, quoniam […] quidam nituntur Paduam tuam propriam civitatem summittere dominio

http://www.treccani.it/enciclopedia/guglielmo-cortusi_(Dizionario-Biografico)/. 363

Ibid.

364

PASTORE STOCCHI 2019, p. VIII.

Hezerini de Romano, qui Montemsilicem occupavit…» . Il mito di Ezzelino, 366

se nei suoi stessi anni era già stato inaugurato, quasi a sua insaputa, veniva ora ufficializzato, proprio grazie al fatto che Padova aveva a che fare con Cangrande della Scala. Guglielmo Cortusi si rivela uno dei promotori di questa pubblicistica padovana, il cui intento doveva probabilmente essere quello di discutere di una situazione politica attuale, ma che si rivelò, ancora una volta, un’operazione di (ri)lancio del mito di Ezzelino da Romano.

Anche Giovanni da Nono, giudice padovano nato intorno al 1275 e attestato presso i banchi tribunali fino al 1346, anno della sua morte, fu uno scrittore dotato di abilità e fantasia nei confronti della storia della Marca. Il suo nome è legato alla realizzazione di un corpus di opere di argomento storico, composte intorno agli anni 1314-1337, che nei codici compaiono nel seguente ordine: De aedificatione urbis Patavie (o Phatolomie), Visio Egidii

regis Patavie e Liber de generatione aliquorum civium urbis Padue (La Visio

è edita in FABRIS 1977, mentre le altre opere sono ancora inedite). Il primo

narra con tono cavalleresco il passato mitico di Padova, ai tempi della guerra di Troia e si concentra sulla morale storica all’origine della fondazione della città (e non a caso nel proemio compare un accenno a Cangrande in quanto minaccia per il popolo). La Visio — che in uno dei più autorevoli testimoni (il

Mss. 264, del XIV secolo conservato a San Daniele del Friuli presso la

Biblioteca civica Guarneriana) reca il titolo di Liber ludi fortune et I de

visione Egidii — è stata composta, secondo J.K. Hyde, fra il 1314 e il 1318 e

si tratta di un testo che presenta in forma di profezia il racconto in prima persona di Egidio, mitico re di Padova, vissuto al tempo di Attila . Il 367

messaggio contenuto è che la città di Padova sarebbe vissuta in pace fino agli anni dell’imperatore Federico II quando, per punire i padovani per i loro peccati di aggressione verso altre città, Dio mandò a castigarli Ezzelino da Romano. Essi, dopo un breve periodo in grazia di Dio, saranno poi nuovamente puniti dall’arrivo di Enrico VII e di Cangrande della Scala. Il

ARNALDI 1980, p. 90.

366

http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-da-nono_(Dizionario-Biografico)/. 367

libro si conclude con una profezia finale in cui si dice che come Dio ha perdonato i padovani ai tempi di Ezzelino da Romano, così lo farà anche nel presente (dunque negli anni di Cangrande), ma se essi dovessero meritarlo nuovamente allora la stirpe dei da Romano tornerà, più crudele che mai. L’allusione è quindi chiaramente quella di attribuire a Cangrande la reincarnazione, mezzo secolo dopo, di Ezzelino, il cui nome viene ancora una volta accostato a quello di Attila (cfr. il capitolo 2.5 «Dietro agli Annales di 368

Niccolò Smereglo»). Si pensa che la Visio Egidii non fosse divulgata vivente l’autore poiché solo verso la fine del Trecento, e sotto altro nome, essa è ricordata per la prima volta dal Vergerio nel preambolo delle sue Vitae

principum Carrariensium . Il da Romano compare infine anche nell’opera 369

considerata principale di Giovanni da Nono, il De generatione. Lasciata incompleta e di difficile datazione, anch’essa contiene il racconto della morte di Ezzelino, narrato sulla scorta dei Cronica di Rolandino e del Chronicon

Marchiae Tarvisinae et Lombardiae. Anche nei testi di da Nono — «nemico

dichiarato e petulante del contemporaneo Mussato» — scorgiamo quindi la 370

stagione ezzeliniana come spartiacque nello svolgimento della storia padovana, nonché frutto di una tradizione ormai solida in cui la sua scrittura profetica e piena di invenzione si presenta in linea con la letteratura ezzeliniana del tempo.

Il Quattrocento si può considerare come il periodo della maggior popolarità di Giovanni da Nono: le sue tre opere vennero volgarizzate, compendiate e liberamente rimaneggiate ed ebbero una straordinaria diffusione. Della Visio Egidii esiste anche un compendio latino che può essere considerato come il prototipo di quella redazione volgare che comparve appunto nel Quattrocento. Giovanni da Nono non ebbe grande fortuna nei secoli successivi alla sua produzione, poi nell’Ottocento ne fu tentata una

Il nome Ezzelino viene da Ecelus, trascrizione fonetica in latino medievale del tedesco Etzel, cioè 368

il nostro Attila (BERTELLI-MARCADELLA 2001, Introduzione).

FABRIS 1977, p. 35.

369

BILLANOVICH 1976.

riabilitazione dal d’Ancona, da Rajna e altri studiosi dediti al recupero della storiografia medievale come luogo dove ricercare le radici dell’identità nazionale italiana.

Capitolo 3.2