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L’ambiente nella più recente giurisprudenza olandese: il caso Urgenda

Nel documento Il diritto ambientale comparato (pagine 51-53)

di Alice Villar

5. L’ambiente nella più recente giurisprudenza olandese: il caso Urgenda

Con una fondamentale sentenza depositata il 24 giugno 2015 (procedimento C/09/456689/HA ZA 13- 1396) si è assistito a una decisione senza precedenti: per la prima volta, infatti, un giudice ha condannato un governo per non essersi impegnato a sufficienza nel proteggere la salute dei propri cittadini dai pericoli del cambiamento climatico.

La pronuncia origina da un ricorso proposto da un’associazione ambientalista, la Fondazione Urgenda (i.e. una piattaforma di 886 cittadini che sviluppa programmi e misure per prevenire il cambiamento climatico), che aveva intentato un’azione legale contro lo Stato olandese chiedendo ai giudici di obbligarlo a ridurre, entro il 2020, le emissioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera del 40 %, o per lo meno del 25 %, rispetto ai livelli del 1990, in quanto le attuali politiche sarebbero state insufficienti a scongiurare il pericolo di cambiamenti climatici.

All’esito di un procedimento durato quasi due anni, la Corte distrettuale dell’Aja ha ordinato ai Paesi Bassi di adottare misure preordinate a far sì che le emissioni complessive di gas ad effetto serra siano ridotte, entro il 2020, di almeno il 25% rispetto ai livelli del 1990. La Corte ha ritenuto, infatti, che gli obiettivi perseguiti e le azioni attualmente poste in essere dallo Stato avrebbero condotto, nel 2020, ad una percentuale di riduzione delle emissioni del 14-17 %, quindi insufficiente rispetto a quella – che si attesta tra il 25% al 40% – ritenuta necessaria dalla comunità scientifica internazionale e segnatamente dall’Intergovernmental Panel on Climate Change, per bloccare gli effetti dannosi delle emissioni sul clima. La questione fondamentale su cui la Corte ha dovuto pronunciarsi è se esista, in capo allo Stato, un obbligo di limitare le emissioni in misura maggiore rispetto a quanto non sia già stato fatto mediante l’azione governativa. Più in astratto, la questione affrontata riguarda il livello di discrezionalità degli organi legislativi e dell’amministrazione nell’adottare (o no) misure di attuazione del dovere di “prendersi cura” dei propri cittadini (duty of care), tenuto conto delle conseguenze sui diritti umani delle generazioni future. Secondo la ricostruzione dell’associazione ambientalista, il fondamento giuridico di tale dovere potrebbe rinvenirsi (i) nell’art. 21 della Costituzione olandese, che impone allo Stato un duty of care relativo alla vivibilità del paese, alla protezione ed al miglioramento dell’ambiente, ovvero, sul piano delle fonti di diritto internazionale, (ii) in fonti di matrice europea (art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europe e le direttive 2003/87/CE, 2004/101/CE e 2009/29/CE in materia di emission trading), (iii) nel

principio del “no-harm rule”, secondo il quale uno Stato è tenuto a prevenire, ridurre e controllare il rischio di danno ambientale verso altri Stati, nonché (iv) nelle obbligazioni e i doveri derivanti dalla Cedu e, nello specifico, gli art. 2 (right to life) e 8 (right to private and family life) della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte, escludendo che la discrezionalità dello Stato nell’adottare misure a tutela dell’ambiente potesse essere limitata facendo applicazione del diritto interno, del diritto europeo o in virtù del generale principio di non danneggiamento, ha affermato che i principi contenuti nella Convenzione quadro del 1992 e nell’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, pur non imponendo obblighi diretti verso i cittadini, sono idonei a misurare il corretto uso della discrezionalità dello Stato nello stabilire le politiche di riduzione delle emissioni. La sentenza ha concluso che lo Stato Olandese, omettendo di porre in essere misure sufficienti per prevenire cambiamenti climatici dannosi, ha agito in modo “negligente” (nel senso della tort law di matrice anglosassone).

Secondo la Corte, inoltre, nel caso sottoposto al suo esame, sarebbe configurabile una violazione dei diritti personali di cui all’art. 2 (diritto alla vita) e art. 8 (diritto alla vita privata e familiare) della Cedu, che offrono tutela contro le arbitrarie interferenze del potere pubblico e che, in certe circostanze, possono comportare l’obbligo per le autorità di adottare misure positive per proteggere i cittadini. Ciò significa che la discrezionalità riconosciuta allo Stato dalla Costituzione e dai trattati internazionali relativamente alle misure da adottare non è illimitata perché non può essere inferiore a certi standard necessari a dare tutela ai diritti umani. Con specifico riguardo al caso di specie, la Corte arriva quindi ad affermare che lo Stato ha opzioni limitate nell’esercizio del proprio potere discrezionale perché la mitigazione è essenziale per prevenire pericolosi cambiamenti climatici. Inoltre, precisa la Corte, lo Stato nello scegliere le misure di mitigazione da adottare deve tenere in considerazione un’equa distribuzione dei costi tra le generazioni presenti e quelle future, basando le sue azioni sul principio secondo cui “prevenire è meglio che curare”.

Bibliografia

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Nel documento Il diritto ambientale comparato (pagine 51-53)

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