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Amicizia con Schiller (1794–1805)

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Questi nuovi inizi erano associati a un cambiamento fondamentale nell’at-teggiamento di Goethe verso il passa-to classico. Sin dal viaggio in Italia, Goethe aveva pensato a Weimar come a un luogo in cui la cultura classica potesse essere riportata in vita ancora una volta; quella convinzione aveva, ad esempio, portato alla costruzione della Casa Romana.

In scala molto più grande, Goethe di-resse la ricostruzione del palazzo du-cale, distrutto da un incendio nel 1774: l’esterno era modesto, ma l’ar-redamento interno era uno dei primi esempi di stile neoclassico in Germa-nia ed ebbe un’influenza duratura.

Ma stava diventando ovvio che il nuovo mondo, con la Rivoluzione francese, avrebbe reso ancora più dif-ficile recuperare appieno lo spirito dell’antichità.

Nel 1796 la campagna italiana di Na-poleone tagliò fuori Goethe dall’Ita-lia proprio mentre stava program-mando di tornarvi nel decimo anniversario della sua prima parten-za da Karlsbad. Il tentativo di portare a termine il suo piano l’anno successi-vo fu interrotto nuovamente in Sviz-zera perché Bonaparte aveva costret-to papa Pio VI a spedire a Parigi le sue cento migliori opere d’arte e il poeta non avrebbe ritrovato l’Italia del 1786.

Così Goethe non riprovò più ad at-traversare le Alpi, e il concetto di un’Italia come luogo della perfezione classica umana, della natura e dell’ar-te divenne un puro ideale a cui dell’ar- tende-re in maniera astratta.

Dovette riconobbe che il mondo mo-derno era lontano da quello classico,

ma era anche certo che l’ideale classico fosse infinitamente superiore

a tutto ciò che i suoi contemporanei pote-vano offrire: nel 1798 avviò un nuovo gior-nale, Die Propyläen, per predicare la

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superiorità degli antichi sui moderni, ma il progetto ebbe vita breve.

Nel 1799, al fine di portare avanti il proprio lavoro,

inaugurò una serie di con-corsi d’arte in cui i sog-getti dell’antichità classi-ca venivano giudiclassi-cati

secondo un rigido canone in

oppo-sizione ai gran-di

cambiamen-ti che si stavano verificando nell’arte tedesca, specialmente nella pittura paesaggistica e religiosa.

La posizione di Goethe era estrema-mente paradossale e ironica.

Da un lato, pensava che il moderno movimento di rivoluzione politica, l’i-dealismo in filosofia e il romanticismo in letteratura fossero irresistibili e po-tessero essere ignorati solo a proprio rischio e pericolo.

Era in rapporti amichevoli con i teo-rici romantici August Wilhelm von Schlegel (1767-1845) e Friedrich von Schlegel (1772-1829), con gli artisti romantici Philipp Otto Runge (1777-1810) e Caspar David Friedrich (1774-1840), e con i filosofi idealisti post-kantiani Johann Gottlieb Fichte (1762-1814), Friedrich Wilhelm Joseph von Schelling (1775-1854) e Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), che tutti, grazie a lui, insegnarono filosofia a Jena.

D’altra parte, continuava a sostenere che il mondo classico fosse l’unico vero ideale e che quindi il mondo moderno fosse profondamente fuor-viato. Qualcosa di questa nuova vi-sione finì nella sua revivi-sione del Faust, il cui protagonista divenne il rappre-sentante dell’uomo moderno, assu-mendo alcune delle caratteristiche di un idealista filosofico.

Statua in onore di J. W. Goethe e Schiller (Theaterplatz, Weimar, Germania).

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I sentimenti di Goethe furono espres-si direttamente nella tragedia La figlia naturale (Die natürliche Tochter), che ini-ziò a progettare nel 1799 e che infine completò, produsse e pubblicò nel 1803. In essa, la Rivoluzione francese appare come nemica della bellezza e inaugura una nuova era in cui il mon-do classico sopravviverà nella cultura della classe media piuttosto che nelle corti che nel XVIII secolo lo avevano ospitato.

La crescente incapacità di Goethe di scrivere per il pubblico del suo tempo fu nascosta dall’enorme produttività di Schiller. Goethe aveva assunto la direzione del teatro di corte di Wei-mar nel 1791, lo aveva ricostruito se-condo il suo progetto nel 1798, e in seguito aveva messo in scena la prima rappresentazione di sette grandi ope-re di Schiller25.

Ma nel 1803 il periodo florido del-la cultura cdel-lassica di Weimar era ormai terminato. Quell’estate vide l’apertura del nuovo palazzo duca-le, ma anche i primi effetti della ri-organizzazione napoleonica della Germania, che era stata messa in moto dalla Relazione conclusiva (Hauptschluss) elaborata dalla Depu-tazione imperiale(Reichsdeputation).

Alla base di questa Relazione vi era il Trattato di Lunéville che prevedeva vari risarcimenti territoriali da parte dell’Austria alla Francia. Con le vit-torie di Napoleone, il confine france-se si era spostato fino alla sponda del Reno, così da privare alcuni principi tedeschi dei loro possedimenti. Gran parte dei territori appartenenti ai principi elettori ecclesiastici e le loro capitali (Colonia, Magonza e

Trevi-ri), così come gran parte dell’Eletto-rato Palatino, facevano parte ora del-la Francia.

Uno dei risultati fu che l’Università di Jena perse molti dei suoi più illustri professori, incluso Schelling, che pre-ferirono andare altrove in istituzioni più ricche e moderne. Jena non riuscì mai più a godere di quella posizione dominante di cui aveva beneficiato nel 1790.

Nel dicembre 1803 Herder morì, e all’inizio del 1805 Schiller e Goethe si ammalarono entrambi gravemen-te. Schiller non sopravvisse, mentre Goethe riuscì a riprendersi, ma con la morte dell’amico sentì di aver per-so una parte importante della propria vita.

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