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Una veduta recente della casa di J. W. Goethe sul Frauenplan a Weimar; (Klassik Stiftung Weimar, Bestand Fotothek Weimar).

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Questo incarico lo rese praticamente un primo ministro o comunque il principale rappresentante del ducato nelle sempre più complesse vicende diplomatiche in cui Carlo Augusto era allora coinvolto. Era quindi essen-ziale elevarlo a titolo nobiliare, e così nel 1782 divenne Johann Wolfang von Goethe e si trasferì in una casa più grande sul Frauenplan,

che sarebbe stata la sua dimora a Weimar per il resto della vita.

Goethe fu attratto dal mondo della corte: riconobbe, probabilmente inconsciamente, che i principati rappresentavano il futuro politico della Germania meglio delle città libere della classe media da cui pro-veniva.

Gli piaceva anche l’i-dea, che rappresentò in un poema incompiuto, I mi-steri (Die Geheimnisse), nel 1784-1785 e in seguito nei suoi romanzi di Wilhelm Meister, di una società di no-bili, di persone autodisciplinate che hanno superato l’egoismo della pas-sione al fine di dedicarsi alla cultura, al miglioramento del mondo e al ser-vizio dei loro simili.

La realtà, tuttavia, non corrisponde-va affatto a quell’ideale: la corte di Weimar era intellettualmente misera e arretrata, ma in Charlotte von Stein (1742-1827), moglie del barone Frie-derich von Stein (1735-1793),

Goe-the pensò finalmente di assistere all’incarnazione dei valori a cui aspi-rava. Si sentiva destinato a lei ancor prima di incontrarla e, per dieci anni durante i quali furono amanti in tutto tranne che in senso fisico, le permise di esercitare su di lui un fascino stra-ordinario. In lei vide soddisfatto il de-siderio di calma dopo la tempesta e lo

stress che espresse nelle due poesie del Canto notturno del viandante (Wandrers

Nachtlieder). Con il ti-tolo nobiliare, si po-trebbe pensare che

Goethe avesse rag-giunto l’apice

del-la sua carriera.

Tuttavia, la sua produzione let-teraria incomin-ciò a soffrire.

Fino al 1780 continuò a produrre opere originali, in particolare, nel 1779, un dramma in prosa in un modo completamente nuovo, Ifigenia in Tauride (Iphigenie auf Tauris), che mo-stra il processo di guarigione che lui attribuì all’influenza di Frau von Stein nel contesto di una relazione fratello-sorella emotivamente carica e come profonda rieducazione morale e teo-logica. Trovò dunque sempre più dif-ficile completare qualsiasi opera e il flusso poetico, che si stava assotti-gliando, si prosciugò definitivamente.

Angelika Kauffman:

Ritratto di J.W. Goethe 1787; olio su tela (Weimar Goethe-Nationalmuseum).

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Continuò a lavorare come scrittore costringendosi a scrivere il romanzo La missione teatrale di Wilhelm Meister (Wilhelm Meisters theatralische Sendung) fino al 1785.

In un modo rozzo e ironico, che ri-corda il romanziere inglese Henry Fielding (1707-1754), racconta la sto-ria di un giovane che punta alla cele-brità in una cultura teatrale naziona-le tedesca riformata. Inizialmente la trama è velatamente autobiografica, ma con gli anni gradualmente la vita di Goethe si discostò da quella del suo eroe e il romanzo rimase un semplice manoscritto. Nell’arco di dieci anni Goethe si era allontanato dal mondo editoriale: l’ultima sua lunga opera pubblicata prima di questa pausa fu Stella nel 1776.

Goethe non fu mai completamente a suo agio nel suo ruolo di cortigiano a Weimar. Inoltre non aveva una guida spirituale da consultare, ma in diverse occasioni si rivolse ai “poteri scono-sciuti” che chiamava “das Schicksal”

(destino) e da cui cercava un segno.

Nel dicembre del 1777, incerto se rimanere o meno a Weimar con sempre maggiori responsabilità poli-tiche, partì segretamente per il Bro-cken, la vetta più alta delle montagne dell’Harz e centro di un folklore mol-to superstizioso: probabilmente per le ostili condizioni atmosferiche, per la nebbia costante che l’avvolgeva, per il fatto che la cima emergesse maestosa e ben visibile dal paesaggio circostan-te o che il Brocken si trovasse in una

regione poco abitata, la montagna aveva da sempre messo in soggezione le popolazioni limitrofe. Una poesia del 1300 cantava di un Brocken come luogo di incontro di esseri fantastici20. Non fu un caso se tra il XVI e XVIII secolo la montagna divenne il luogo perfetto dove incontrare streghe e es-seri infernali: questi incontri furono chiamati “Hexensabbat”, mentre la riunione annuale di tutte le streghe tra il 30 aprile e il 1maggio, la notte di Valpurga, “Walpurginacht”21. Goethe decise che se fosse riuscito a scalare la montagna completamente innevata, qualcosa che pare nessuno avesse mai tentato prima, lo avrebbe preso come un segno che era sulla strada giusta. Ci riuscì e scrisse la po-esia Viaggio sullo Harz in inverno

J. W. Goethe: Paesaggio siciliano (1808 circa); acquerello (Klassik Stiftung Weimar, Bestand Museen).

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(Harzreise im Winter), che esprimeva la sua nuova fiducia nel proprio percor-so di vita.

Questa esperienza fu anche trasposta in una scena del Faust nella quale Me-fistofele conduce il protagonista sul Brocken per assistere ad un ballo del-le streghe: da questa festa Faust spera di capire qualcosa di più sulla natura del Male, ma Mefistofele riesce a di-strarne l’attenzione grazie ad un bal-lo lascivo con una strega che diventa per Faust un’esperienza di passione.

Prima di scrivere questa scena Goe-the si era ben documentato su tutti gli aspetti popolari degli “Hexensab-bat”, riuscendo ad inserire nel testo molti elementi che ne facevano parte.

Interessante è la comparazione che si può effettuare con un evento

specula-re e assolutamente non “pagano”

narrato da un pilastro della letteratu-ra italiana quale Fletteratu-rancesco Petletteratu-rarca (1304-1374): l’Ascesa al monte Ventoso (mont Ventoux), compiuta col fratello Gherardo tra il 24 e il 26 aprile 1336, si rivelò difficile non solo per la mor-fologia della montagna, ma soprat-tutto per la grave crisi spirituale af-frontata, poiché in quel periodo l’animo del poeta italiano era occu-pato dalla passione e dall’attacca-mento ai beni mondani anziché esse-re rivolto a Dio. Alla fine Petrarca riuscì a raggiungere la cima, simbolo della salvezza e di Dio stesso: per rin-graziarlo lesse un passo a caso delle Confessioni di Sant’Agostino imbat-tendosi in una riflessione dal grande valore simbolico riferendosi proprio ALL

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alla sua condizione:

“Eppure gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferen-za dell’Oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano se stessi”22.

La montagna ha da sempre incarnato un simbolo di unione tra cielo e terra, un emblema spirituale di luogo asce-tico in cui ricercare la divinità e dove distaccarsi dalle cose terrene elevan-dosi al cielo. La montagna simbolizza gli ostacoli, ma anche la volontà di su-perarli; rappresenta il vissuto, le diffi-coltà da affrontare, la fatica richiesta per raggiungere i propri obiettivi, la gioia per la vetta conquistata, la pau-ra per i pericoli, il vuoto e l’insucces-so. Tuttavia anche la discesa ha un forte valore simbolico, di ripartenza per delle nuove sfide.

Così nel 1779 Goethe decise di cele-brare il suo trentesimo compleanno accettando compiti politici più seri con un lungo viaggio in Svizzera in compagnia di Carlo Augusto.

Per la seconda volta giunse al Passo del San Gottardo e dovette riallon-tanarsi dalla strada per l’Italia per adempiere al proprio dovere in Ger-mania, pensando fosse la cosa giusta.

Nel 1785, tuttavia, dopo circa 10 anni dal suo arrivo a Weimar, quella speranza si era esaurita: in quell’anno Goethe si ritirò dal Consiglio Privato e dalle sue responsabilità più onerose da Scacchiere del ducato. Il suo qua-rantesimo compleanno si stava avvi-cinando ed era ancora celibe. Peggio ancora, nel suo tempo libero sem-brava incapace di rianimare la pro-pria vena poetica; si era sempre più

interessato alle scienze naturali23: alla geologia, a causa del suo lavoro alle miniere, e all’anatomia.

Nel campo della geologia, un ricono-scimento scientifico lo ebbe nel 1806 da un famoso mineralogista tedesco, Johann Georg Lenz (1748-1832) che negli anni giovanili aveva fatto parte anche dello Sturm und Drang, e che attri-buì il nome di Goethe ad un idrossido di ferro, noto fin dall’antichità e fino a quel momento chiamato rubberglimmer (rosso bagliore), ma che da allora reca il nome di Goethite. Dal 1785 in poi si interessò anche alla botanica. Sebbe-ne alcuni dei professori dell’universi-tà locale di Jena mostrassero un edu-cato interesse nei suoi confronti, non riuscì ad ottenere nella scienza il rico-noscimento che aveva ottenuto nella poesia. Accettò dunque un’offerta dall’editore Georg Joachim Göschen (1752-1828) a Lipsia per pubblicare le sue opere complete in otto volumi, ma molte erano solo frammenti che non era sicuro di riuscire a terminare.

Vicino alla disperazione, decise al-lora di completare il programma educativo di suo padre e fuggire se-gretamente in Italia, la terra dove Winckelmann aveva trovato compi-mento nello studio dell’arte e dell’ar-chitettura antica e che i pittori Claide Lorraine (1600-1682) e Jacob Philipp Hackert (1737-1807), due artisti che amò particolarmente, avevano de-scritto come un paradiso terrestre.

Viaggiò in incognito, rompendo, an-che se solo temporaneamente, tutti i suoi legami con Weimar, anche con la signora von Stein, e portando con sé solo il compito di preparare i suoi otto volumi per la pubblicazione.

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Dopo circa due anni trascorsi in Ita-lia, al suo ritorno a Weimar nel 1788, il duca Carlo Augusto accettò con grande generosità di sollevarlo da tutti i compiti amministrativi per dar-gli la possibilità di concentrarsi total-mente sulla poesia. Goethe decise di preservare quanto più poteva l’atmo-sfera romana; reclutò artisti che ave-va incontrato in Italia e subito, prima che ci fosse tempo per ripensarci, in-staurò una relazione con Christiane Vulpius (1765-1816), giovane figlia del defunto archivista del duca pres-so la Biblioteca della Duchessa Anna Amalia.

Con lei ebbe un figlio, Julius August (1789-1830). La società aristocrati-ca di Weimar si rivelò decisamente spietata nei confronti della giovane fioraia ritenuta non all’altezza di un grande scrittore come lui, ma che lui stesso difeso sempre dalle malelingue.

L’unione destò enorme scandalo alla corte di Weimar poiché Goethe si ri-fiutò di sottoporsi alla cerimonia ec-clesiastica che era l’unico modo per sposarsi legalmente, e quindi la re-lazione non potè essere riconosciuta formalmente.

Durante il viaggio italiano completò l’Egmont, sebbene con uno sposta-mento dell’attenzione che ne offusca-va il punto politico, e riscrisse alcune opere minori; si dedicò pochissimo alla poesia lirica. Goethe si avvicinò all’idea che l’arte fosse impersonale, forse influenzato dalle idee di Karl Philipp Moritz (1756-1793), che

ave-va incontrato a Roma. Queste idee continuarono a persistere in Goe-the per qualche tempo, ma due anni dopo il suo ritorno tali convinzioni si affievolirono.

Il suo dolore per aver lasciato l’Italia trovò campo fertile nell’opera teatra-le Torquato Tasso del 1790, la prima tragedia della letteratura europea con un poeta come eroe, che fu scritta in gran parte nel 1788-1789, sebbene fosse stata iniziata alcuni anni prima.

Le poesie erotiche che Goethe scris-se nei primi mesi del suo amore per Christiane, alcune delle prime imi-tazioni tedesche dei distici elegiaci classici, sono tra i suoi risultati più notevoli. Successivamente pubblicate in parte come Elegie Romane (Römische Elegien) costituirono occasione per la von Stein di esprimere negative opi-nioni per la sua rivale in amore.

Per i suoi quarant’anni, nel 1789, Goethe aveva quasi completato l’e-dizione della raccolta delle sue ope-re, tra cui una revisione del Werther, sedici opere teatrali e un volume di poesie. L’unico dramma frammenta-rio era il Faust, che non trovava anco-ra opportunità di compimento e che apparve per la prima volta nel 1790 come Faust: un frammento (Faust: Ein Fragment).

Nello stesso anno, Goethe trascorse due mesi a Venezia e dintorni, e in autunno accompagnò Carlo Augusto in Slesia e a Cracovia, ma le ricom-pense letterarie di questi viaggi furo-no poche.

Rientro dall’Italia e Rivoluzione francese