• Non ci sono risultati.

Analisi centrata sul target

Nel documento Semiotica. Teorie e tecniche (pagine 56-59)

COMUNICAZIONE PUBBLICITARIA*

2. Analisi centrata sul target

Nella definizione delle linee portanti del messaggio – o della campagna – si può decidere tanto di poggiare direttamente sul- l’inventività dei creativi (ciò che di fatto avviene nella maggior parte dei casi) quanto di lavorare sulla base di una apposita ricer- ca.

Partiamo da questo secondo caso che ha il vantaggio di ren- derci il procedimento maggiormente visibile, e supponiamo per semplicità che venga realizzata una comune ricerca fondata su interviste, o volendo su colloqui di gruppo. In pratica, un cam- pione statisticamente rappresentativo del target di comunicazio-

ne viene sottoposto a un’indagine che ne può accertare i gusti, le attese, le inclinazioni valoriali e di linguaggio, i livelli di com- prensione, i possibili interessi, e così via. E la ricerca può anda- re anche più a fondo, prendendo magari anche delle strade con- siderate più esplicitamente “creative”. Gli intervistati possono essere messi di fronte agli obiettivi di comunicazione, proponen- do loro magari una elaborata situazione che simuli da vicino con- dizioni effettive di produzione comunicativa, ed essere quindi invitati a scegliere le espressioni e i colori più adatti, a immagi- nare personaggi e situazioni, a creare possibili trame risponden- ti agli obiettivi di comunicazione proposti.

In molti casi, se non altro per ragioni di rapidità e di econo- mia, le ricerche preliminari di questo genere vengono scavalcate, sostituendole con più o meno posticipate ricerche che controllano il lavoro, ormai compiuto in tutto o in parte, dei creativi (ricerche di questo genere, un po’ impropriamente denominate pre-test, comportano in verità forti rischi e tensioni, poiché i costi già sostenuti e la ristrettezza dei tempi rendono spesso drammatica la scoperta di ogni inadeguatezza della proposta rispetto agli obiet- tivi prefissati).

Ma anche in questo caso, la logica dell’azione creativa è di fatto molto diversa? Se non si realizza una ricerca, si affida in pratica ai creativi la capacità di cogliere nell’aria i gusti e le ten- denze del momento, di intuire con la propria sensibilità ciò che “va” per il target voluto, di individuarne i più segreti desideri, gli stili più graditi, e così via. L’intuizione sostituisce quindi, con i suoi percorsi impliciti, ma spesso anche più sottili, i passi tipici di una ricerca vera e propria. L’intuizione si fonda del resto, ine- vitabilmente, su un’attenta indagine, condotta in termini di ana-

lisi testuale: giacché il buon creativo è quello che molto si docu-

menta, che legge ciò che il suo pubblico legge, che vede tutti i film significativi, che studia le nuove tendenze della grafica, e così via. Così in pratica tra l’azione del creativo e la realizzazio- ne di una ricerca formale c’è una differenza di modi più che di logica effettiva.

Il risultato è comunque quello che ci importa: i messaggi pubblicitari vengono realizzati sulla base dei linguaggi, dei valo- ri, delle forme narrative, delle competenze musicali eccetera dei propri destinatari. Da questo punto di vista (che peraltro andrà, come vedremo, corretto e completato), ben lungi dal presentarsi come attività propriamente creativa, il lavoro dell’agenzia pub- blicitaria ci appare piuttosto come un abile lavoro di confeziona- mento, di rielaborazione e riadattamento di elementi e configu- razioni affermate sulla scena culturale: un’attività che richiede peraltro forse anche più sensibilità e più intelligenza di quanto sarebbe necessario per una diretta creazione da zero.

D’altro canto, quale interesse potrebbe muovere, in fondo (almeno nella maggior parte dei casi), un’agenzia pubblicitaria ad affrontare il lavoro incerto, lungo e faticoso di imporre nuove concezioni e nuovi linguaggi, di ignorare i gusti dominanti per sovrapporvi i propri, di inventare personaggi che non si è affatto certi che possano piacere, e così via? La sorte leggendaria dei tanti artisti innovatori ignorati in vita e compresi finalmente dopo la morte è di per sé più che sufficiente a far considerare con molto distacco ipotesi di questo genere.

È, paradossalmente, proprio il fatto banale e criticato di esse- re mossi da un obiettivo commerciale, a rendere l’agenzia un ente a suo modo neutrale. Il suo massimo interesse è di ottenere l’adesione dei destinatari, di dare espressione ai loro desideri, di dichiarare di condividere in toto i loro valori. In altre parole, sembrerebbe a questo punto che la massima realizzazione per un pubblicitario fosse quella di un discorso i cui enunciati sono

assunti piuttosto che creati. Come il politico in campagna eletto-

rale aggancia la sua immagine, o quella del suo partito, ai discor- si che circolano con maggior forza di convinzione, ma che non ha creato lui stesso, così è dunque buona norma anche per il pub- blicitario, il quale naturalmente aggancerà ai discorsi e alle forme espressive dominanti non l’immagine propria ma il nome e i plus del prodotto e dell’azienda da promuovere.

Ecco perché la pubblicità, più di altri discorsi, può costituire un documento relativamente fedele dei gusti e delle inclinazioni di un’epoca, dei suoi linguaggi e delle sue stravaganze. Si aggiunga che, a differenza di altri generi di discorso che pure cercano l’approvazione di massa, primo fra tutti quello televisi- vo, il discorso pubblicitario è immediatamente articolato e diffe- renziato dal riferimento a target assai più specifici. Proprio in quanto azione comunicativa perlopiù precisamente mirata, la pubblicità in molti casi non presenta i caratteri di un discorso “generalista”, consentendo anzi nelle diverse occasioni l’espres- sione di prospettive diverse e di modi di sentire anche antitetici.

Tutto questo ci porta a ripensare in termini meno banali il rapporto tra livelli di comunicazione privati e pubblici, tra discorsi di parte e discorsi collettivi. I semiologi sanno bene che, al di là delle apparenze, i testi non appartengono a chi li confe- ziona e che il valore dei fatti comunicativi è sempre il risultato di un’interazione sociale. Ma c’è da pensare che oggi una qualche consapevolezza in tal senso si stia in certo modo diffondendo, e che questo spiegherebbe tra l’altro perché la pubblicità venga ormai sempre meno ingenuamente colpevolizzata.

Nel documento Semiotica. Teorie e tecniche (pagine 56-59)

Documenti correlati