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6 RISULTATI

6.9 Analisi della tossicità in relazione agli schemi terapeutici

Per comprendere la relazione tra i diversi schemi terapeutici e la tossicità manifestata dal campione, abbiamo calcolato la percentuale delle ADR manifestate per ogni tipo di trattamento, soffermando l’analisi sui trattamenti CAPOX, FOLFOX, De Gramont e Capacitabina. In Tabella 12 riportiamo un esempio del risultato ottenuto per l’ADR nausea_vomito.

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TRATTAMENTO TOTALE GRADO 1-2 GRADO 3-4 NO ADR

CAPOX 84 39%(33) 28%(24) 32%(27)

De Gramont 28 14%(4) 21%(6) 60%(17)

Capecitabina 40 22%(9) 25%(10) 52%(21)

FOLFOX-4 59 39%(23) 17%(10) 44%(26)

Tabella 12. Frequenza ADR nausea_vomito per Capox, Folfox, De Gramont e Capacitabina

Dalle analisi effettuate emerge che lo schema terapeutico CAPOX, somministrato in 84 pazienti, ha sviluppato nei pazienti nausea_vomito e diarrea di grado 3-4 in una percentuale del 28% e del 64% rispettivamente, mentre eventi di stomatite di grado 3-4 nel 15%. Lo schema terapeutico De Gramont, somministrato in 28 pazienti, sviluppa tossicità di grado 3-4 per quanto riguarda diarrea, stomatite nel 39%, 25% dei casi rispettivamente, e leucopenia, neutropenia e nausea vomito di grado 3-4 nel 21% dei casi. Il trattamento con Capecitabina ha sviluppato una tossicità di grado 3-4 per quanto riguarda diarrea, nausea_vomito e stomatite rispettivamente nel 52%, 25% e 25% dei casi, mentre HFS sia di grado 1-2 che di grado 3-4 nel 17% dei casi. Per quanto riguarda lo schema terapeutico FOLFOX(-4), somministrato in 59 pazienti, si osservano eventi di neutropenia e diarrea di grado 3-4 in una percentuale del 35% e del 57% rispettivamente, e eventi di stomatite e leucopenia di grado 3-4 in una percentuale del 22% e del 25% rispettivamente, mentre si osservano diarrea e febbre di grado 1-2 nel 20% dei casi. Per comprendere se vi fossero delle differenze statisticamente significative in questi diversi schemi terapeutici relativamente allo sviluppo di ADR, abbiamo effettuato dei test, i cui risultati sono riportati in tabella n 13.

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ADR gastrointestinali non severe ADR gastrointestinali severe n.ro di pazienti De Gramont 12 15 n.ro di pazienti Capacitabina 12 27 Analisi χ2 χ2 1,28 OR 1,8 P 0,25 IC95 0,65-4,98

ADR ematologiche non severe ADR ematologiche severe n.ro di pazienti De Gramont 17 10 n.ro di pazienti Capacitabina 32 7 Analisi χ2 χ2 3 OR 0,37 P 0,08 IC95 0,12-1,15

ADR cutanee non severe ADR cutanee severe n.ro di pazienti De Gramont 23 4 n.ro di pazienti Capacitabina 32 7 Analisi χ2 χ2 0,11 OR 1,25 P 0,73 IC95 0,32-4,08

ADR gastrointestinali non severe

ADR gastrointestinali severe

n.ro di pazienti De

Gramont 12 15

n.ro di pazienti FOLFOX 20 39

Analisi χ2

χ2 0,88

OR 1,56

P 0,34

IC95 0,61-3,95

ADR ematologiche non severe ADR ematologiche severe n.ro di pazienti De

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n.ro di pazienti FOLFOX 33 26

Analisi χ2

χ2 0,37

OR 1,33

P 0,53

IC95 0,52-3,4

ADR cutanee non severe ADR cutanee severe n.ro di pazienti De

Gramont 23 4

n.ro di pazienti FOLFOX 50 9

Analisi χ2

χ2 0,002

OR 1,03

P 0,95

IC95 0,28-3,71

ADR gastrointestinali non severe

ADR gastrointestinali severe

n.ro di pazienti

Capacitabina 12 27

n.ro di pazienti Capox 20 64

Analisi χ2

χ2 0,67

OR 1,42

P 0,41

IC95 0,61-3,31

ADR ematologiche non severe ADR ematologiche severe n.ro di pazienti

Capacitabina 32 7

n.ro di pazienti Capox 70 14

Analisi χ2

χ2 0,03

OR 0,91

P 0,86

IC95 0,33-2,48

ADR cutanee non severe ADR cutanee severe n.ro di pazienti

Capacitabina 32 7

n.ro di pazienti Capox 76 8

Analisi χ2

χ2 1,76

OR 0,48

P 0,18

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Tabella 13. Test χ2 suitrattamenti Capox, Folfox, De Gramont e Capacitabina e le ADR

Dalle tabelle di contingenza ottenute, si evince che non ci sono differenze significative nello sviluppo di reazioni avverse gastrointestinali, ematologiche e cutanee tra De Gramont e Capecitabina, tra Capecitabina e CAPOX, tra De Gramont e FOLFOX.

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7 DISCUSSIONE

In questo lavoro sono state analizzate delle varianti geniche in pazienti trattati con fluoro pirimidine, con l’obiettivo di identificare dei marcatori genici che fossero correlati con tossicità di grado elevato. I risultati dicono che la presenza di varianti geniche aumenta la probabilità di avere reazioni avverse di tipo ematologico, in particolare di grado elevato, e di tipo cutaneo, mentre diminuiscono la probabilità di avere reazioni di tipo gastrointestinale, rispetto a chi non possiede varianti, anche se l’associazione delle variabili esaminate non ha raggiunto la significatività statistica. I risultati delle analisi effettuate per ogni singola variante genica, indicano che non esistono particolari differenze tra i portatori di una singola variante e i wild type, tranne nel caso dei polimorfismi 1627AG e 2194GA+X che risultano essere associati a una diminuzione del rischio di riscontrare diarrea di grado elevato. Dalla letteratura emerge il ruolo certo che le mutazioni IVS14+1G>A e 2846A>T hanno nello sviluppo di ADR severa: i portatori della mutazione DPYD IVS14+1G>A hanno un rischio più elevato di sviluppare tossicità di grado ≥3, tossicità ematologica, mucosite e diarrea, cosi come i portatori della mutazione DPYD 2846T. Talvolta queste mutazioni, se presenti in omozigosi, hanno portato a casi di decesso dopo i primi cicli di terapia, e sono considerati marcatori genici di elevata importanza per quanto riguarda la predizione dell’esito del trattamento con fluoropirimidine. Nel nostro campione abbiamo osservato 14 pazienti aventi la variante IVS14+1GA, il 77% ha sviluppato diarrea di grado elevato, 31% stomatite, 38% leucopenia 31% piastrinopenia. Dei 7 pazienti aventi la variante 2846A>T, il 43% ha sviluppato nausea vomito e l’86% ha sviluppato diarrea e l’unico paziente in cui è stata riscontrata la variante omozigote mutata, mostra nausea-vomito e diarrea di grado 2, stomatite di grado

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elevato. L’esiguità del campione, dovuta alla rarità della presenza di queste varianti, non ci ha permesso di effettuare test statistici, ma come si evince dalle percentuali relative ottenute, si osserva comunque una forte presenza di eventi di ADR gastrointestinale di grado elevato, nei pazienti portatori di queste varianti. Inoltre, il dato deve essere considerato con cautela, perché, specie nei pazienti portatori dell’ IVS14+1GA, vi era anche la presenza di altri polimorfismi, fattore che può avere influenzato ulteriormente l’attività dell’enzima, in modalità non solo riconducibili alla presenza della singola variante presa in esame.

L’analisi della relazione tra numero di varianti e ADR, ha registrato un aumento nella percentuale relativa di eventi avversi nel caso di pazienti aventi 3 varianti. Questo ha fatto pensare all’eventuale presenza di aplotipi che potessero in qualche modo correlate con lo sviluppo di ADR. In effetti in questo campione si riscontrava molto più frequentemente, rispetto ad altre varianti o associazione di varianti, la presenza contemporanea delle varianti 496AG e 1627AG, ma il numero di osservazioni era troppo limitato per poter effettuare test statistici, e quindi necessita di maggiori osservazioni. È stata invece verificata l’esistenza di differenze tra i portatori dell’aplotipo 2194GA+ 1627AG e la singola variante 1627AG, tra l’aplotipo 2194GA+ 1627AG e la singola variante 2194GA, per quanto riguarda lo sviluppo di diarrea, ma non abbiamo avuto differenza significativa tra i due gruppi. Inoltre abbiamo cercato di discriminare tra l’aplotipo 2194GA+ 496AG e la singola variante 496AG, e tra l’aplotipo 2194GA+ 496AG e la singola variante 2194AG, ma anche in questo caso non abbiamo avuto differenza significativa tra i due gruppi. Infine abbiamo confrontato i due aplotipi, 2194GA+ 1627AG e 2194GA+ 496AG non trovando differenza significativa. Per quanto riguarda l’analisi della tossicità dei trattamenti, sulla base dei

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nostri dati possiamo affermare che non ci sono differenze statisticamente significative nello sviluppo di reazioni avverse tra lo schema terapeutico De Gramont e Capecitabina, De Gramont e FOLFOX, Capacitabina e CAPOX. Abbiamo cercato di capire se il sesso avesse un’influenza nello sviluppo di reazioni gastrointestinali, cutanee o ematologiche, ma sulla base dei nostri dati, questo tipo di caratteristiche cliniche non risulta essere statisticamente associato allo sviluppo di ADR.

Per attribuire un corretto significato ai risultati ottenuti, bisogna considerare alcune caratteristiche dello studio effettuato. Non aver riscontrato differenze sostanziali tra i portatori di varianti e i non portatori nello sviluppo di ADR, è un risultato che potrebbe essere stato influenzato dal fatto di aver reclutato nello studio solo pazienti aventi reazioni avverse, e quindi in assenza di un vero e proprio controllo. Il fatto di aver avuto risultati più significativi per quanto riguarda le ADR di tipo ematologico, potrebbe in qualche modo far capo a una sorta di obiettività nella registrazione del grado di ADR, derivando queste osservazioni da parametri misurati in laboratorio, a differenza delle reazioni di tipo gastrointestinale e cutaneo che potrebbero essere state inficiate dalla valutazione qualitativa dell’operatore. L’operatore inoltre, ovvero i diversi oncologi che hanno reclutato i pazienti di questo studio, sono nella maggior parte dei casi figure esterne al progetto e potrebbero aver registrato le ADR senza avere la visione globale del progetto di ricerca e quindi senza l’obiettività necessaria. Un sostegno a questa ipotesi sta nel fatto che molti campioni genotipizzati non erano corredati da una scheda di registrazione delle reazioni avverse compilata in maniera corretta, o compilata affatto, motivo per il quale sono stati esclusi dalle analisi statistiche riportate. La stessa natura del progetto, relativa ad osservazioni effettuate in un singolo momento, non dà risposte per quanto riguarda

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l’evoluzione di questi pazienti nel tempo. Questa fase prospettica del lavoro, sarà effettuata in un secondo momento e una volta individuate le effettive relazioni tra genotipo e fenotipo. Per ora, le caratteristiche del campione analizzato non ci permettono di escludere con certezza che le varianti analizzate abbiano un ruolo nello sviluppo di ADR, e anche per le varianti di cui abbiamo avuto risultati statisticamente significativi, benché talvolta non in linea con la letteratura, bisogna convalidare tali risultati con maggiori osservazioni. Questo nonostante il buon numero di osservazioni prese in considerazione nelle analisi statistiche, poiché le diverse stratificazioni del campione che sono state effettuate nei calcoli, molto spesso hanno ridotto di molto le unità considerate.

Bisogna considerare infine che l’identificazione di geni candidati per le analisi farmaco genetiche, è un processo complesso poichè l’attività dei chemioterapici antitumorali è influenzata da diversi fattori, tra cui:

• attivazione ed inattivazione metabolica; • espressione dei bersagli farmacologici;

• integrità dei sistemi di trasduzione che riconoscono le lesioni cellulari e promuovono o inibiscono l’apoptosi;

• efficacia dei sistemi di riparazione del DNA;

• attività dei trasportatori attivi dei farmaci al di fuori delle cellule.

Sarebbe utile a questo proposito approfondire il ruolo degli aplotipi, o comunque dell’interazioni di più varianti geniche anche relative ad altri geni coinvolti nel metabolismo del 5-FU, allo scopo di individuare non una sola variante, ma una classe di varianti che sia predittiva della risposta al trattamento. Inoltre i nuovi chemioterapici disegnati per inibire specifiche vie molecolari determinanti per la sopravvivenza delle

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cellule neoplastiche, come imatinib e gefitinib, sono teoricamente suscettibili di fallimento terapeutico a causa di mutazioni del bersaglio o downregulation con attivazione di sistemi alternativi di trasduzione del segnale.

Alle informazioni di tipo genetico, dovrebbero essere aggiunte anche le informazioni relative a variabili antropometriche, nonostante la letteratura sia ancora contraddittoria sul ruolo che il sesso, l’età o altre variabili cliniche hanno nell’attribuzione della dose corretta. Anche in letteratura è stato identificato un numero di determinanti genetiche nelle neoplasie, ma la rilevanza clinica di molte di queste determinanti deve essere ancora confermata, in quanto la correlazione delle alterazioni genetiche con la risposta alla terapia tumorale è stata limitata da vari fattori, come:

• il basso numero di pazienti esaminati, a causa della difficoltà ad ottenere campioni adeguati;

• la mancanza di studi disegnati allo scopo di verificare le correlazione tra l’anomalia genica e la risposta ai farmaci o la prognosi;

• la variabilità delle metodiche analitiche utilizzate;

• la mancanza di controlli di qualità

• la scelta di indicatori che siano più strettamente associati alla farmacocinetica e alla farmacodinamica del trattamento, come ad esempio quelli relativi all’attività enzimatica.

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8 CONCLUSIONI

Gli agenti chemioterapici analizzati in questo lavoro, comportano citotossicità sia nei confronti delle cellule tumorali, che nei confronti delle cellule sane. Le reazioni avverse osservate spingono verso la definizione di strategie di dosaggio che limitino la tossicità del trattamento aumentandone l’efficacia. I recenti progressi delle metodologie analitiche e il sequenziamento del genoma, hanno permesso la scoperta di varianti alleliche di geni coinvolti nel metabolismo dei farmaci che potrebbero essere correlate alla chemiosensibilità o alla tolleranza nei confronti del trattamento. La scelta del dosaggio quindi, si configura come elemento critico di sicurezza del trattamento stesso, e dovrebbe essere effettuata sulla base dei recenti progressi nel campo della medicina molecolare, tenendo in considerazione sia le variabili cliniche, sia le variabili genetiche del paziente. Per comprendere meglio il ruolo giocato dalla genetica nella definizione del dosaggio, sono emerse due nuove discipline farmacologiche: la farmacogenetica, che studia le basi genetiche della risposta ai farmaci, e la farmacogenomica, che consiste nell’analisi dell’intero genoma di cellule e tessuti per identificare le complesse alterazioni genetiche responsabili delle risposte terapeutiche che non sono spiegabili con il metodo farmacogenetico del gene candidato. I risultati indicano quindi che nonostante sia molto probabile l’esistenza di una correlazione tra genotipo e risposta al trattamento, ad oggi questo non è sufficiente per affermare che gli schemi di dosaggio basati su informazioni genetiche siano più precisi degli schemi tradizionali. Per stabilire un approccio farmacogenetico corretto ci sarebbe bisogno di indagini sull’intera rete di relazioni esistente nella farmacocinetica e nella farmacodinamica del trattamento e, considerando la molteplicità di geni coinvolti e di varianti ad essi associate, la strada verso

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l’individuazione di algoritmi di precisione per il dosaggio di fluoro pirimidine, pare essere ancora molto lunga. E’ questo il motivo per cui, nonostante lo straordinario avanzamento nella comprensione dei meccanismi molecolari e genetici alla base dei tumori solidi, tali conoscenze non sono ancora state trasferite nella regolare gestione del paziente con il cancro, e il ruolo predittivo della farmacogenetica è stato messo in dubbio. D’altra parte è fuori discussione che un approccio personalizzato aumenti l’efficacia del trattamento, diminuendo reazioni avverse, e che la personalizzazione della terapia può effettuarsi anche attraverso la considerazione di variabili non genetiche relative alla biologia cellulare, che potrebbero avere un peso non trascurabile nella risposta alla terapia. Il determinismo genico infatti ci ha portati a pensare che la risposta a molte domande sulla fisiologia cellulare risieda nel DNA, dimenticando il ruolo fondamentale delle altre componenti cellulari. Lo stesso DNA infatti è suscettibile di cambiamenti che non sempre sono fissi e individuabili, e che attengono all’ambiente che circonda questa molecola e la rendono molto più plastica e imprevedibile di quanto il fissismo genico ci abbia abituati a pensare. Le interazioni chimiche tra componenti cellulari, proteine e DNA inclusi, potrebbero essere determinanti nell’esito della terapia, previa conoscenza dei meccanismi con cui avvengono. Sarebbe auspicabile quindi che la personalizzazione delle terapia fosse un obiettivo perseguibile attraverso una visione più ampia della cellula, vista come un organismo in grado di percepire e rispondere agli stimoli che la circondano, in maniera tale da considerare molte più variabili in gioco. La sfida per il futuro è quindi cercare di attribuire il giusto peso alle variabili esistenti, con l’obiettivo di individuare una cura che sia realmente a misura d’uomo. Jean Dausset, premio Nobel nel 1980, in un suo editoriale ha affermato che la medicina sta diventando prima di tutto predittiva, poi preventiva e solo

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nei casi estremi, curativa [207]. Lo sforzo di comprensione dei meccanismi cellulari con cui il nostro organismo funziona, sarà non solo utile nell’ottimizzazione delle terapie, ma nella prevenzione delle stesse patologie.

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