• Non ci sono risultati.

Abbiamo rilevato una correlazione inversa significativa tra livelli di 25-OH D e concentrazione sierica di PTH nel siero materno:

Livelli materni di 25-OH D al di sotto della soglia dei 20 ng/ml sono risultati associati a:

 Livelli di PTH più alti (p<0,05)

 Concentrazioni di calcio più basse (p<0,05)  Parto nella stagione invernale (p>0,001)

I valori medi di vitamina D sono risultati significativamente inferiori nelle donne che indossavano il velo (24 ng/ml vs 38 ng/ml p<0,05) , mentre l’esposizione della cute al sole è risultata associata a livelli ematici protettivi > 30 ng/ml (p<0,05).

Concentrazioni di PTH materno al di sopra del valore soglia (72 pg/ml) sono risultate associate a:

 concentrazioni di 25 OH vitamina D significativamente inferiori (in media 18 ng/ml vs 37 ng/ ml p<0,01)

 calcemia significativamente inferiore (8,6 mg/dl vs 9 mg/dl p<0,05)

 valori di fosfatasi alcalina ossea in media più elevati (45 vs 32 p<0,01)

Dall’analisi comparata delle coppie madri-neonato del gruppo a rischio risulta esistere una stretta correlazione tra le concentrazioni di 25(OH) D materne e quelle cordonali (p<0,001).

Madri con valori ematici < 30 ng hanno partorito nel 76% dei casi neonati con livelli di 25 (OH) D cordonale < 20 ng/ml.

Livelli ematici materni >30 ng/ml risultano invece statisticamente associati a livelli protettivi su sangue di cordone (p<0,01).

DISCUSSIONE

In questo studio abbiamo riscontrato una differenza significativa nella prevalenza di deficit di vitamina D tra madri appartenenti a categorie a rischio per fototipo cutaneo ed esposizione cutanea alla luce solare e madri senza apparenti fattori di rischio.

Risultati simili sono stati rilevati in studi su popolazioni di differente etnie condotti negli Stati Uniti, Olanda, Iran, Cina, Grecia, Pakistan, Turchia, Somalia, Australia (70-72).

Abbiamo osservato valori medi di 25(OH) D significativamente inferiori nelle donne appartenenti alla categoria a rischio che hanno partorito durante la stagione invernale. Del resto è noto che la concentrazione di vitamina D è direttamente correlata a tempo e grado di esposizione alla luce solare (73) e variazioni stagionali simili durante la gravidanza sono già state segnalate da precedenti studi (74,75).

Abbiamo rilevato che all’interno del gruppo di donne a rischio quelle che avevano l’abitudine di esporre la cute alla luce del sole avevano più spesso delle altre concentrazioni ematiche sufficienti di vitamina D. Ciò suggerirebbe che anche a queste latitudini e anche tra donne con fattori di rischio, certi stili di vita influiscono significativamente sullo status vitaminico.

Vitamina D e PTH materno mostrano un discreto grado di correlazione inversa. Nelle gravide a rischio con deficit vitaminico conclamato (<20 ng/ml) i livelli di PTH al momento del parto

materno è risultato correlato a concentrazioni più basse di vitamina D e calcio e valori più elevati di fosfatasi alcalina.

Il PTH è considerato il più importante regolatore dell’omeostasi di calcio e fosforo nell’organismo e il suo rilascio è direttamente regolato dai livelli di calcio. Anche la vitamina D agisce a feeback su paratormone e il suo deficit a lungo termine può risultare in una perdita di questa funzione regolatoria.

Allo stesso modo delle madri, figli di donne del gruppo a rischio hanno mostrato una concentrazione media di vitamina D cordonale notevolmente inferiore rispetto ai neonati dell’altro gruppo.

Il 61% dei neonati di madri a rischio aveva valori di 25(OH) D non protettivi.

Abbiamo verificato una strettissima correlazione tra livelli di vitamina D materni e livelli di vitamina D del cordone ombelicale del neonato, in accordo con numerosi altri studi. Ciò conferma il che i livelli di 25 (OH)D della madre hanno un ruolo chiave nel determinare il volume delle riserve del neonato (46).

Le concentrazioni medie di PTH nei due gruppi di neonati non differiscono significativamente, a differenza di quello che abbiamo osservato analizzando i risultati del PTH materno. Questo non deve stupire perchè il rilascio di PTH è regolato principalmente dalla concentrazione ematica di calcio, la quale nel feto è determinata dal trasporto attivo placentare, che garantisce alti livelli di questo minerale e quindi soppressione della

L’alta incidenza di deficit di vitamina D in gravidanza è un problema rilevante perchè neonati figli di madri carenti di vitamina D avranno probabilmente riserve vitaminiche ridotte nelle fasi precoci della vita.

I nati da madri con scarse riserve di vitamina D sono particolarmente a rischio di sviluppare deficit vitaminico nelle prime settimane di vita (43,44). Ipovitaminosi D neonatale è un fattore di rischio noto per lo sviluppo di ipocalcemia (con o senza convulsioni), rachitismo ad esordio precoce (craniotabe del lattante), difetti dello smalto dentario (52,53).

La concentrazione di vitamina D materna sembra anche influire in maniera determinante sul benessere scheletrico del bambino nelle età successive (54).

La ricerca futura potrà chiarire se questo deficit di mineralizzazione nell’infanzia aumenta il rischio di fratture osteoporotiche nella vita adulta.

Gli effetti extrascheletrici a lungo termine del deficit di vitamina D sono in gran parte sconosciuti, ma dobbiamo prendere atto che spesso nuove evidenze suggeriscono associazioni tra ipovitaminosi D e malattie autoimmuni, cancro, cardiopatie, sindrome metabolica.

E’ quindi possibile che alterazioni del sistema endocrino della vitamina D in un momento così delicato dello sviluppo come la vita fetale abbiano effetti permanenti sulla struttura, sulla fisiologia e sul benessere dell’individuo.

Studi di coorte in follow up potranno meglio definire i potenziali effetti avversi correlati a deficit di vitamina D in utero (76).

Migliorare lo status vitaminico generale della popolazione e in particolare delle donne in gravidanza potrebbe avere un impatto ancora poco immaginabile per la salute pubblica.

L’AAP consiglia la profilassi con 400 UI di vitamina D al giorno ad ogni bambino di età inferiore ai 12 mesi che non assuma almeno 1 litro al giorno di latte formulato supplementato (40). Secondo le raccomandazioni di Endocrine Society del 2011 nei pazienti a rischio la profilassi può essere somministrata a dosi maggiori (400-1.000 UI/die nel primo anno di vita)(17).

Riteniamo che pazienti a rischio possano essere considerati i figli di madri con pelle scura o che non espongono la propria cute all’azione dei raggi solari.

Allo stato attuale i paesi che praticano lo screening materno per 25(OH) vitamina D al 1°-2° trimestre di gestazione sono molto pochi, del resto non ci sono dati precisi che suggeriscano quali siano i livelli desiderabili di 25(OH) vitamina D per le donne gravide. Vengono comunemente utilizzati i limiti generali fissati da Endocrine Society o da IOM (17,77), nonostante alcune evidenze facciano ipotizzare che la produzione di vitamina D durante la gravidanza sia sovraregolata e che quindi la definizione di tali valori potrebbe essere sottostimata.

Non esiste un accordo unanime sul quantitativo di vitamina D giornaliero che la donna in gravidanza dovrebbe assumere.

Le linee guida al proposito variano da paese a paese, e all’interno dello stesso paese da istituzione a istituzione.

Ad esempio le linee guida IOM, formulate attraverso la valutazione dei risultati di trial clinici randomizzati, suggeriscono un apporto giornaliero in gravidanza compreso tra 400-600 UI. (77).

Bisogna considerare che l’efficacia di un trattamento integrativo con vitamina D può variare in base alla popolazione a cui viene proposto, che può avere differenti abitudini alimentari, utilizzare cibi già fortificati, presentare uno status vitaminico di base migliore rispetto ad un altra popolazione. Tuttavia risultati di studi recenti suggeriscono che questi quantitativi sono generalmente insufficenti per assicurare livelli di vitamina D protettivi per madre e feto, anche se prendiamo come punto di riferimento i valori soglia più bassi (70,76).

Endocrine Society, utilizzando tutta la vasta produzione scientifica disponibile, dai trial clinici agli studi osservazionali ritenuti di buona qualità, ha di recente stilato linee guida per la prevenzione e il trattamento dell’ipovitaminosi D, secondo le quali il quantitativo minimo consigliato in gravidanza è di 1400 UI (17). Le linee guida di Canadian Academy of Paediatrics consigliano un apporto di 2000 UI/die.

Un recente trial clinico randomizzato ha rilevato che 4000 UI al giorno non determinano comparsa di effetti da sovradosaggio ed assicurano livelli di vitamina D adeguati (76).

In conclusione possiamo affermare che il problema del deficit di vitamina D in gravidanza è conosciuto da anni, come del resto lo sono alcune delle conseguenze negative che esso comporta sulla madre e sul feto.

Il fatto che questo ed altri studi osservazionali su popolazioni continuino a rilevare tassi di prevalenza elevati, soprattutto ma non solo all’interno dei gruppi considerati a rischio, indica che molto ancora si può fare in termini di prevenzione e di salute pubblica.

Sono necessari trials randomizzati controllati di supplementazione di vitamina D, allo scopo di verificare i dati osservazionali e suggerire la necessità di un adeguato status vitaminico materno in gravidanza per un ottimale sviluppo scheletrico del bambino.

Una volta che la ricerca avrà compreso quali siano le reali richieste di vitamina D durante la gravidanza, il medico avrà a disposizione linee guida chiare e condivise da applicare con regolarità nell’attività clinica quotidiana.

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