• Non ci sono risultati.

Capitolo II: L’alluvione di Genova del

II.II Analisi economica dell’alluvione

“Un buon numero di grandi città è stato costruito in aree a rischio terremoto, inondazioni, eruzioni vulcaniche e uragani”147, proprio per questo motivo risulta

essenziale riuscire a identificare in modo preciso l’impatto economico di questi fenomeni. Henrik Svensen conferma una situazione particolarmente appropriata per descrivere l’evento di Genova e cioè “la malsana abitudine di far finta di dimenticare

146 Lubelli, “35 anni dopo la "Grande Alluvione" dimenticata: Genova 1970”, cit, p. 4. 147 Svensen, Storia dei disastri naturali, cit., p. 108.

le caratteristiche del territorio in fase di sviluppo urbanistico”148. Ciò che abbiamo

raccontato nelle pagine precedenti illumina questa riflessione in tutta la sua drammatica verità.

Come abbiamo visto, il rischio localizzativo per l’entroterra genovese ha generato molti danni: “questa forma di sfruttamento, crea esternalità negative, o danni, che sono unidirezionali e colpiscono altri soggetti, ma anche reciproci. Ciò significa che i soggetti responsabili della sovra-antropizzazione delle aree fluviali danneggiano sia gli altri che loro stessi”149. Osservando la conformazione abitativa dell’area

interessata dall’alluvione del 7 e 8 ottobre 1970, in particolare dell’area urbana, si evidenzia come l’edilizia avesse prodotto, a partire dagli anni ’50, la forte lottizzazione di aree boschive e una riduzione degli alvei dei torrenti, arrivando in alcuni casi ad interrarli.

Lo sviluppo della popolazione ha prodotto un’esplosione dell’attività edilizia: case, alberghi, strade, ferrovie ed impianti di risalita si sono diffusi dappertutto, aumentando la capacità di attrazione delle regioni alpine. Questi territori, però, sono sensibili e, praticamente sempre a rischio. Le zone naturalmente sicure sono scarse e le costruzioni, spesso edificate in assenza di un’idonea pianificazione urbanistica, sono state localizzate nelle vallate torrentizie fino ad allora evitate dai montanari150.

Le conseguenze di questi fenomeni hanno portato ad un aggravamento delle condizioni naturali. Inoltre sappiamo che, oggi come allora, le aree delle fasce fluviali sono caratterizzate da bassi prezzi fondiari, tali da favorire anziché dissuadere la localizzazione in un’area di rischio. Questo fuorviante segnale del mercato ha favorito la localizzazione in aree non sicure. Le opere infrastrutturali utilizzate per difendersi da eventi naturali di portata eccezionale hanno dimostrato nel corso del tempo, in particolare nel corso degli ultimi decenni, di non essere totalmente in grado di ridurre il rischio ma, anzi, in molti casi hanno generato una degenerazione del fenomeno stesso.

148

Ivi, p. 109.

149 Cellerino, L’Italia delle alluvioni: un’analisi economica, cit., p. 73. 150 Ivi, p. 77.

“Più l’antropizzazione aumenta, più si rendono necessarie opere di difesa. Queste ultime difendono i frontisti ma aumentano la violenza della acque e, quindi, l’entità dei danni, a scapito dei soggetti localizzati a valle”151. Oltre a questo dato, la presenza

di infrastrutture di difesa crea un senso di sicurezza che favorisce la sottovalutazione del rischio da parte della popolazione favorendo una progressiva diminuzione di precauzioni. Anche la storia di Genova racconta di un allarme esondazione mai partito dalla stazione idrometrica di Presa di Bargagli, esempio particolarmente chiarificatore di come un’infrastruttura creata per monitorare il torrente non sia riuscita nel suo intento. La popolazione di Genova inoltre, pur essendo a conoscenza della drammatica alluvione che aveva interessato il giorno precedente Voltri, è stata indotta a sottovalutare il rischio esondazione del Bisagno nonostante i torrenti della zona avessero dimostrato in altre occasioni di poter innescare situazioni catastrofiche.

Nonostante il nostro Paese sia teatro di eventi alluvionali da tempi remoti, non si è mai proceduto ad una rilevazione istituzionalizzata ed omogenea del valore dei danni che tali eventi producono. A tutt’oggi, infatti, non esiste alcun ente con il compito di raccogliere in modo sistematico e mirato le variabili economiche relative ai fenomeni alluvionali, di analizzarle ed aggregarle, e fornire, quindi, indicazioni operative e politiche152

Esattamente come è stato rilevato anche per altri fenomeni disastrosi di origine naturale, l’Italia non è ancora riuscita a proporre un sistema di rilevazione dei danni adeguato nonostante dimostri una estrema fragilità ambientale. In particolare, la rilevazione di tutti i danni, sia quelli diretti che quelli indiretti permetterebbe di comprendere appieno quali politiche di ‘emergenza’ mettere in atto. L’esatta quantificazione degli eventi, alla stregua dell’adeguata identificazione delle cause del fenomeno disastroso si delinea allora come punto focale di questo studio emergendo in tutta la sua imprescindibilità. L’impatto economico e sociale dei fenomeni alluvionali e franosi in Italia nel corso del XX secolo è stato fortissimo, ecco alcuni dati elaborati dal Sistema Informativo sulle Catastrofi Idrogeologiche (SICI) del CNR-GNDCI

151 Ivi, p. 75. 152 Ivi, p. 81.

10.000 tra morti, feriti e dispersi; 350.000 senza tetto;

migliaia di case distrutte o danneggiate; migliaia di ponti distrutti o danneggiati;

centinaia di chilometri di strade e ferrovie distrutte o danneggiate153.

Questa preziosa banca dati tuttavia non ci permette di comprendere fino in fondo l’entità dei danni e in particolare l’impatto di questi fenomeni sullo sviluppo dell’economia locale nei decenni successivi all’evento.

Tutti gli studiosi di tematiche attinenti alla quantificazione economica dei danni sono concordi nel ritenere che le rilevazioni dirette e indirette delle perdite, effettuate con qualsivoglia metodologia, concorrono a determinare soltanto un ordine di grandezza del valore economico dei danni ma non hanno come finalità l’assoluta precisione contabile154.

Sappiamo che molte catastrofi hanno generato o alimentato moti migratori sia a livello nazionale che internazionale. In questo caso specifico, successivamente all’alluvione del 7 e 8 ottobre 1970 da molti testi trapelava la paura di uno spopolamento dell’entroterra genovese a favore della localizzazione in altri territori più ‘sicuri’. Siamo anche a conoscenza che a partire dal 1950 si verificò una forte urbanizzazione della città di Genova conseguente ad un abbandono progressivo dei territori alpini della regione, aree depresse e isolate dai centri produttivi. Questi movimenti spiegherebbero sia la crescita fino al 1970 e anche parte della successiva decrescita. Non bisogna infatti dimenticare che, questo testo vuole promuovere il fattore ‘fragilità ambientale’ quale elemento che concorre, all’interno di un insieme di fattori, al mutamento economico e sociale di un territorio.

153 F. Guzzetti, Frane e Inondazioni in Italia, CNR- Istituto di ricerca per la protezione

idrogeologica nell’Italia centrale, Perugia, http://avi.gndci.cnr.it/ppt/avi2000a/ppframe.htm, data di consultazione 18 maggio 2012.