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Il disastro naturale che coinvolse le terre dello Stretto scoprì, senza troppi pudori, tutte le fragilità dello Stato Italiano.

Tre crolli avvennero simultaneamente a Messina all’alba del 28 dicembre: quello materiale, che trasformò la città in un mucchio di rovine; quello sociale che spezzò di colpo i legami comunitari (…); e quello morale, che sconvolse ed alterò nella coscienza dei sopravvissuti gli equilibri e le condizioni elementari della convivenza100.

Sconcertante è ritrovare a più di cent’anni di distanza ancora vivi i resti di questo disastro naturale. La necessità di restituire ai sopravvissuti, stimati in 68 mila101 nella sola Messina, un’abitazione e una speranza per il futuro era

evidentemente una priorità anche nella caotica quanto inefficiente gestione dell’emergenza a pochi giorni dal terremoto. Abbiamo già avuto l’occasione di descrivere le drammatiche condizioni in cui la popolazione fu costretta a vivere dei mesi successivi alla catastrofe: le piccole baracche di legno purtroppo mal riparavano dalle intemperie e dalle temperature invernali. Disarmante è sapere che a tutt’oggi esistono baraccopoli paragonabili a favelas brasiliane risalenti al 1909, in cui sono costrette a vivere migliaia di famiglie siciliane. Il piano Borzì, approvato in via definitiva il 31 dicembre 1911, aveva come obiettivo quello di ricostruire la città di Messina attraverso le più moderne regole edilizie. L’idea di Borzì era quella di creare una città più moderna “destinata ad esercitare una cospicua importanza come emporio commerciale”102. Quest’idea di base, che prediligeva la costruzione di

un centro destinato alle attività commerciali, rese estremamente più lunga la permanenza della popolazione nella baracche in quanto l’inizio della costruzione di aree più prettamente residenziali venne rimandato fino al agli anni Venti.

Ad oggi sono pochi i monumenti e le targhe commemorative di questa immane tragedia, ma, come in un presepe vivente, è possibile ritrovare nei quartieri

100 F. Mercadante (a cura di), Il terremoto di Messina. Corrispondenze, testimonianze e polemiche

giornalistiche, cit., p. XVII.

101 Legambiente dei Peloritani, A cent’anni dal piano Borzì, quale future urbanistico per la città

di Messina?, Documento di sintesi del Convegno del 11/02/2012, p. 1.

dimenticati di Maregrosso, Camaro, Arcobaleno, Bisconte, Santa Lucia, Giostra, Annunziata e Fondo Fucile tutte le immagini del 1908. Qui le persone nascono e muoiono da un secolo senza alcuna speranza di una vita migliore. Il legno delle pareti delle prime baracche, regalate dagli eserciti svedesi, russi e americani nei primi mesi di gennaio del 1909, venne mangiucchiato da topi e dagli insetti. Con l’arrivo del fascismo arrivarono i primi mattoni, ma anche la Seconda Guerra Mondiale, che distrusse buona parte di quello che era stato lentamente ricostruito. L’intervento dello Stato dopo la fine delle guerra portò una distesa infinita di lastre sovrapposte di eternit dalle quali ancora oggi si distaccano particelle letali che ammalano e uccidono adulti e bambini. Il terremoto sembra essere stato la genesi di una tragedia umana senza fine.

Quando si racconta di una catastrofe naturale spesso ci si limita a fare un riepilogo di vittime ma, in questo caso, il bilancio è molto più complicato: si potrebbe pensare che questo si sia chiuso solo pochi anni fa, con il decesso degli ultimi sopravvissuti nelle baracche della periferia di Messina.

Quelle baracche furono chiamate “casette ultrapopolari ad uso provvisorio” ma, come racconta Cesare Fiumi nell’aprile 2008, erano e sono abitate da persone come

Francesco Assenzio, classe 1911, che per cinquant’anni, ogni anno, fece domanda di una casa – senza successo, naturalmente – fino a quando se ne andò per sempre nel ’98, quattro anni prima di diventare trisnonno di un altro Francesco Assenzio, nato pure lui tra il legno, le lamiere e il provvisorio infinito103.

Questi ammassi di lamiera non sono di certo nulla di simile ad una casa. Amaramente, dopo 104 anni, si può anche ragionevolmente affermare che non vi sia nulla di provvisorio in questi quartieri ad eccezione della dignità umana e che l’aggettivo ultrapopolari mal cela una realtà che va ben al di sotto della soglia di povertà.

Dei 500 miliardi di lire104 stanziati con legge regionale del 1990 sono stati spesi 103 C. Fiumi, “Cent'anni nelle baracche” , Corriere della Sera,

http://www.corriere.it/cronache/08_aprile_15/magazine_messina_cento_anni_di_baracche_5a 181f44-0af0-11dd-98e1-00144f486ba6.shtml, data di aggiornamento 15 aprile 2008, data di consultazione 05 marzo 2012.

solo 150 miliardi: i restanti 350 miliardi sono dati per dispersi. Nel 2004, la regione ha investito altri 70 miliardi per riprendere la demolizione delle baraccopoli e costruire nuovi quartieri residenziali popolari ma i tre cancri dell’Italia, burocrazia, malavita e ritardi cronici, non hanno lasciato procedere i lavori.

Il terremoto sembra aver colpito questi quartieri da pochi giorni, ma invece molti dei loro abitanti sono nati in queste stesse baracche dai sopravvissuti di quel terremoto. Altri si aggiunsero dopo il drammatico bombardamento della Seconda Guerra Mondiale e altri arrivarono, come in una catena di Sant’Antonio, ereditando le baracche da genitori e parenti in un ricircolo di nuovi e vecchi “terremotati” che sembra non vedere ancora una fine.

Il bilancio immediato del terremoto fu gravissimo: 80.000 morti, centinaia di orfani, danni economici inestimabili. Questi i numeri che furono riportati dai quotidiani a pochi giorni dal terremoto. Ma a questi è doveroso sommare le 3.100 famiglie che occupano ad oggi le 3.336 baracche105 esistenti nella sola Messina e

censite da Legambiente nel 2008.

Il terremoto non si limita a riportare indietro temporaneamente le lancette della storia fino agli albori della civiltà; rivela che l’intera storia del Mezzogiorno non è altro che un epifenomeno della sua instabile geologia106.

105 R. Lupoli , “ Messina città negata” , La nuova Ecologia,

http://www.lanuovaecologia.it/view.php?id=10315&contenuto=Notizia, data di aggiornamento 28 novembre 2008, data di consultazione 05 marzo 2012.